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Racconti Erotici Etero

Tram numero 33

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Attraversa la città da un capo all’altro. Quante volte l’ho preso! Quando era il solo mezzo di locomozione concessomi. Lo prendevo per andare a scuola, stracolmo di studenti, pressati tra gli zaini ingombranti. Per cinque anni lo stesso tragitto, che appariva brevissimo quando il compito di matematica era fissato alla prima ora. Sempre lo stesso tram per arrivare dalla mia amica del cuore: più di quaranta minuti di viaggio. Lento ed inesorabile attraverso il traffico cittadino. Arrivavo sempre in ritardo e con il cuore in gola, tanta era la voglia di incontrarci di nuovo, dopo aver trascorso insieme la mattina.

Sempre lo stesso tram per andare in piscina o a lezione di chitarra. E ancora il tram numero 33 per andare in stazione, in centro, o verso la metropolitana.

Anche oggi sono su quel tram.

Ma sono passati vent’anni.

Seduta osservo la gente salire, scendere, scorrere davanti ai miei occhi in silenzio. Inevitabilmente mi tornano alla mente episodi passati. Alcuni allegri, altri meno, certi altri dolorosi. Mi rivedo in piedi tra gli amici di scuola, oppure abbracciata al primo fidanzatino o ancora in lacrime mentre mi affannavo verso l’ospedale.

Allora non mi guardavo intorno. Oggi, invece, non faccio altro.

Da ragazzi non si pensa a ciò che sarà e nemmeno a ciò che &egrave stato. Si vive e basta. Convinti di avere il mondo in mano. Sicuri che gli errori commessi dagli altri saremo in grado di evitarli. Convinti di saper fare sempre la scelta giusta.

Poi, un giorno la vita, comincia a punirti. Comincia a farti scontrare con muri sempre più duri. Comincia a farti avvertire il dolore. Quello violento che ti sconvolge la vita, così come quello subdolo, che lentamente si insinua nell’anima e non ti abbandona più. Quello con il quale devi imparare a convivere; quello che devi combattere per non farti sopraffare. Conosci il dolore dell’abbandono, della morte. Ma la vita riserva anche gioie. Il piacere della vittoria, della sfida e della conquista. A qualcuno riserva la fortuna di conoscere l’amicizia, a pochi l’amore.

E allora osservo la gente salire su questo tram, gettare un’occhiata distratta, sedersi ed immergersi nei propri pensieri, in una lettura o semplicemente osservare fuori dal finestrino. Immagino la vita di una signora ben vestita che mi siede di fronte, così come quella di un ragazzo che, in piedi, controlla se sale il controllore. Sorrido, pensando a quante volte ho corso lo stesso rischio.

Così immersa nei miei pensieri non mi accorgo di dove mi trovo, fino a quando il conducente annuncia un guasto al mezzo e, dunque, la necessità di scendere dal tram.

Infilo a tracolla la sacca del portatile, afferro la borsa e mi appresto a scendere. Mi guardo intorno accorgendomi di essere nei pressi della stazione. Decido di proseguire a piedi per un tratto fino alla primo ingresso della metropolitana. Cammino senza pensare.

Tentando di non pensare, mentre la mia mente invece ha già cominciato a correre.

Questa strada mi evoca così tanti ricordi che non posso evitarli. Mi aggrediscono, mi investono, quasi barcollo. I miei pensieri impazziscono in un turbinio di emozioni, di ricordi, di speranze, di desiderio. Rivedo il suo volto materializzarsi davanti a me. Vedo noi due camminare in questa piazza, sederci su quel muretto. Sento i suoi baci.

Accelero il passo, come per scappare da me stessa. Come se si potesse fuggire dal ricordo. Come se fosse possibile chiudere la porta della propria mente e non soffrire, né gioire. Perché questa &egrave la realtà. Inutile scacciare il ricordo. Inutile tentare di pensare ad altro. Lui &egrave qui. E’ con me. E’ dentro di me. Ed essere qui ora, passeggiare dove, insieme, qualche mese fa c’eravamo noi due riaccende un desiderio mai sopito. Risveglia un ricordo che mi assale ogni giorno. Che mi avvolge di tenerezza, di calore, di piacere infinito.

Rallento la camminata e, come un automa, svolto a sinistra. In fondo alla strada c’&egrave un albergo. Mi fermo sul marciapiede opposto ed osservo l’ingresso.

Ora &egrave freddo, pioviggina ed il cielo &egrave grigio. Quel giorno, invece, uno splendido cielo terso ci regalava una giornata meravigliosa, non solo per il tempo.

Le porte scorrevoli dell’albergo si aprono all’avvicinarsi dei clienti.

Quel giorno si aprivano per farlo uscire e lasciare che si avvicinasse a me. Camminava lentamente, strizzando gli occhi che si abituavano alla luce forte del giorno. Uno sguardo veloce a terra, un altro in giro e poi ancora su di me. Io sorridevo. E nel mio sorriso c’era tutto il desiderio di averlo, finalmente. Sapevo solo sorridere davanti a lui. E più sorridevo e più mi agitavo, incapace di celare qualsiasi sentimento. L’avrei abbracciato, baciato, stretto forte a me. Sentivo il desiderio di toccarlo, di accarezzarlo. Invece sorridevo e basta.

Sei raggiante, mi diceva. Ed era vero.

Ancora oggi che sono trascorsi mesi, mi trovo qui davanti, seduta su una panchina, che rivivo le stesse emozioni e rivedo il suo sguardo fisso nei miei occhi. Sento la mia voce chiedergli di smettere di fissarmi. Lo sento rispondermi che non può farne a meno. Con quella voce meravigliosamente calda, profonda, dolce. Quella voce che conosco meglio del suo sguardo. Ogni intonazione, ogni inflessione. Conoscono il tono felice, quello arrabbiato, stanco o ironico. Conosco meglio la sua voce del suo profumo. Conosco più le sue parole del tocco delle sue mani, del calore della sua pelle.

Chiudo gli occhi un istante per rivivere il momento del primo bacio. L’indimenticabile istante in cui le nostre labbra si sono avvicinate, in cui ho potuto godere del suo respiro, del calore della sua bocca, del sapore della sua lingua sulla mia. Il momento in cui il mondo non esisteva più. L’attimo in cui siamo tornati ragazzini, in cui ci siamo permessi di dimenticarci di tutto e di tutti. Abbiamo scordato lavoro, doveri, responsabilità.

Abbiamo vissuto come se non esistesse un domani e come se potessimo dimenticarci il passato. Siamo stati insieme, l’uno nell’altro, vicini, incollati come se potessimo trattenere una parte dell’altro dentro di noi. E forse &egrave successo proprio così. Per questo il ricordo torna a tormentarmi ogni giorno.

Chiudo gli occhi, per trattenere una lacrima, che incurante della mia sofferenza scende a rigarmi una guancia. Le guance che lui baciava. La pelle che annusava e baciava continuamente. Le sue mani correvano sulla mia pelle nuda, massaggiavano la mia schiena, le natiche, le gambe e risalivano verso il collo, l’orecchio, il viso girato di lato. Poi si chinava su di me e mi baciava le guance, mi stuzzicava l’orecchio con il fiato, poi con la lingua fino a che i brividi non correvano lungo la schiena, tra i glutei, fino alle gambe nude. E allora tornava a giocare con i polpastrelli, pizzicandomi, solleticando i miei sensi. E la bocca seguiva il disegno delle dita, la lingua leccava ogni punto della schiena fino a scendere, sempre più giù.

Sento le sue mani impugnarmi i glutei, mentre la lingua scivola verso il basso, insinuandosi tra le natiche che istintivamente divarico. La sento scorrere dolcemente lungo ogni mio segreto percorso, avverto il suo calore, il suo respiro dove mai avrei immaginato di sentirlo. Lo lascio spalmare la saliva intorno al mio piccolo anfratto rosa, lascio che ci giochi lentamente, che spinga dolcemente per entrare con la lingua. Morbidamente. Teneramente. Aspetto di rilassarmi per concedergli anche questo di me. Lascio che si apra piano la via, prima la sua lingua, poi un dito. Il dito che prima succhiavo, leccavo assaporavo colmo del suo profumo. Del profumo di uomo. Del mio uomo. Sento il dito penetrarmi piano ed abbandonarmi subito dopo, poi ancora dentro e via di nuovo. Con dolcezza, con amore. Mentre la mia mente piano piano si apre al piacere che poi sarà. Sento ancora la sua lingua su di me, scivolarmi dentro, poi di nuovo un dito, mentre il mio piacere si mescola al rantolo del suo respiro. Eccitato. Avverto il suo desiderio. Sento quanto mi vuole. Sento il bisogno di averlo dentro. Voglio lasciarlo entrare. Voglio offrirgli tutto di me. La mia voce gli sussurra ‘prendimi’, mentre la mente si perde in un mare di piacere. Lo sento risalire lungo la schiena. Sento che ancora mi lecca, mi bacia, fino ad arrivare al collo. Mi morde con dolcezza. Cerca il mio orecchio. Sento ‘ti amo’ sussurrato, impercettibilmente, mentre il suo membro spinge tra le mie natiche. Impazzisco sentendolo poggiarsi su di me. Il mio respiro aumenta prepotentemente, tanto &egrave il desiderio di essere sua. Sollevo leggermente il bacino mentre sento che piano mi entra dentro.

Sempre di più.

Giro la testa da un lato, gli offro le labbra che bacia. La sua lingua scivola in bocca, mentre mi scorre dentro. Lo sento muoversi dentro di me. Il ritmo aumenta e con lui i baci, le carezze, gli spasmi. Gli spasmi del nostro orgasmo che ci avvolge violento, fino a lasciarci spossati l’uno sull’altro, incapaci perfino di respirare.

Ora sorrido.

Cosa penserà chi mi vede? Seduta, sola, piango e rido insieme.

Piango per il dolore della mancanza di un uomo che sa farmi volare. Di un uomo che mi ha saputo amare così teneramente, che ho avuto quando già era mio, che ha saputo farmi sentire unica, che ha saputo darmi tutto in poche ore. Ma che poi se ne &egrave andato promettendo, un giorno, di tornare.

Sorrido per l’emozione e le sensazioni che solo il pensiero dei nostri momenti insieme sa risvegliare in me. Posso avvertire ancora il piacere dei suoi baci infiniti, delle sue carezze, del suo sorriso. Posso sentire le sue mani stringermi i seni. Mi sembra di udirlo dirmi che sono sua.

Mentre la solitudine, invece, mi accompagna ogni giorno che passa.

E’ ora di andare. Piove sempre di più. O forse sono le mie lacrime che scendono copiose, quasi a voler lavare via un dolore che non deve esserci. Perché lui mi ha dato gioia, amore, serenità.

E tornerà, lo so che tornerà.

Verrà il giorno in cui sarà ancora mio ed io sarò ancora la sua donna.

La mia cometa passerà di nuovo’.un giorno.

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