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Racconti Erotici Etero

Patrizia

By 14 Agosto 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Un attimo prima andava, poi, un attimo dopo, ‘ puff ‘ il motore si è spento.
Di colpo, senza alcun avvertimento, nulla, neanche un sussulto, un rumorino, una indecisione.
Posso fare solo una cosa, accostare al bordo della strada, mentre l’auto rallenta e lo sterzo si fa duro, perché a motore spento il servosterzo non funziona.
Non è poi tutto questo dramma, penso io, magari adesso provo di nuovo e riparte, le macchine di oggi, zeppe di elettronica fanno spesso di questi scherzi, se poi non va, chiamo un carro attrezzi e via.
La grande spia rossa, quella che indica il malfunzionamento dell’elettronica e non dovrebbe accendersi mai, mi guarda malignamente, mentre cerco di riavviare la macchina.
Niente, il motorino d’avviamento gira che è una bellezza, ma il motore non da il minimo segno di vita e la spia non si spegne.
Faccio ancora qualche tentativo, poi desisto, così al massimo riesco a scaricare la batteria.
Piano B, prendo il telefonino nella borsetta posata sul sedile del passeggero, premo il tasto che fa accendere il display e ‘ bliin.
è il suono che indica la batteria scarica. Il display resta acceso per un paio di secondi, poi si spegne.
Questa non ci voleva, è anche colpa mia perché dovevo cambiare la batteria, visto che è un po’ di tempo che, quando è verso la fine della carica, va giù di colpo.
L’unica soluzione che mi viene in mente è farmela a piedi.
Dai Patrizia, non sei mica nel deserto del Sahara, sei in città, ad un chilometro da casa e, se ti sbrighi, arrivi prima che faccia buio del tutto.
C’è solo un elemento che non mi fa considerare bene questa soluzione: mi trovo su un tratto di strada, diciamo, non ben frequentato.
Per fare prima, con la macchina faccio sempre la tangenziale e poi prendo un viale alberato che passa vicino ad una pineta. Solo poche centinaia di metri, prima di svoltare a destra, dove ricomincia la città, con case, luci e negozi.
Il viale è pieno di ‘quelle lì’, africane, romene e di altri paesi dell’est. Insomma è un posto frequentato da prostitute, e non mi sembra l’ideale per una signora cinquantenne.
Intanto il sole sta tramontando e penso, che se il percorso lo faccio di notte è anche peggio, così scendo dalla macchina, la chiudo e mi incammino.
A venti metri ce n’è una, una africana alta, robusta e scurissima, con canottiera scollata e pantaloncini cortissimi di un rosso fuoco, che contrasta con il nero della sua pelle.
Mi viene un’idea. Le chiedo di fare una telefonata. Ma sì, il cellulare ce l’hanno tutti, le dico che mi si è rotta la macchina, non mi mangerà mica.
Sarà alta almeno 1,80, con le spalle larghe, i seni rotondi e sporgenti che sembrano voler schizzar fuori dalla canottiera e due cosce robuste e muscolose. Un donnone poderoso, con cui non vorrei mai litigare.
Sfodero il mio sorriso più accattivante e mi accingo a parlare.
”fanculo, che cazzo vuoi? Questo è il posto mio, capito?’
E per spiegarsi meglio, tante volte non avessi capito, raccoglie un sasso e me lo lancia.
La pietra, grande come una mela, passa ad un soffio dalla mia testa.
Io cerco di chiarire l’equivoco, ma quella raccoglie altri sassi e sono costretta a battere in ritirata.
Non mi capacito dell’equivoco. Bisogna proprio essere rozzi ed ignoranti per non capire che l’abito che indosso l’ho comprato in una delle migliori boutique della città, costa un mucchio di soldi ed una poveraccia che batte il marciapiede non se lo potrebbe mai permettere.
Forse, con il buio che sta calando, ha valutato solo la lunghezza della gonna e non la finezza del modello.
Mi spiego, anche se ho una cinquantina d’anni, ho ancora un fisico invidiabile e le mie gambe sopportano benissimo una minigonna, come quella che indosso ora.
A questo punto non ho alternative, posso solo andare avanti.
La negrona si è piazzata in mezzo al marciapiede a gambe larghe e, dall’alto della sua stazza, mi guarda con tono di sfida. Ha pure in mano un grosso bastone.
Così mi incammino a passo svelto, cercando di evitare i rifiuti ed i sassi che costellano il marciapiede.
I fari delle poche macchine che passano illuminano il mio corpo snello, foderato dal vestito nero, corto ed attillato e comincio a sentirmi poco tranquilla.
‘Quanto?’
Una macchina si è fermata improvvisamente a fianco a me ed io ho fatto un sobbalzo, perché presa di sorpresa.
Guardo stupita attraverso il finestrino abbassato.
‘Quanto prendi?’
Oddio, ora ho capito. Anche questo mi ha scambiata per una prostituta.
‘No, nooo! Io sto tornando a casa’, dico tutto d’un fiato e riprendo il cammino cercando di accelerare.
Le mie scarpe, con il tacco alto e fino, non sono adatte a camminare su quel terreno sconnesso e gli aghi di pino che mi entrano davanti, incastrandosi tra le dita dei piedi, mi danno fastidio, ma non mi sembra il caso di fermarmi.
Quello della macchina insiste.
‘Dai, a casa ci vai dopo, ti fai l’ultimo cliente, anch’io sono a fine turno, guarda che i soldi ce li ho’.
Mi sventola delle banconote sotto il naso e in quel momento vedo sul tetto della macchina la scritta luminosa TAXI.
‘Signore, io sto solo tornando a casa, mi si è rotta la macchina, per favore, mi porti a casa, le pago la corsa.’
Forse, avendo capito l’errore fatto, si è vergognato, insomma, è ripartito di colpo, sgommando, e mi ha lasciata lì.
Basta, devo concentrarmi per tornare a casa a piedi, nel più breve tempo possibile, poi domani mattina cercherò di recuperare la macchina. ‘Ciao bella, te lo fai un giro con noi?’
Si è fermata un’altra macchina, il mio ritorno a casa si sta trasformando in un calvario.
‘No, voglio solo andare a casa, non sono una …’
Il tizio della macchina scoppia in una fragorosa risata.
è una grande station wagon francese, un po’ ammaccata, e dentro ci sono due giovani, che dall’aspetto potrebbero essere magrebini.
‘Davvero? Non sei una mignotta? E che ci fa nella via delle mignotte?’
Il termine locale, anzi, dialettale, fa uno strano effetto in bocca a lui, a causa del leggero accento francese.
In quel momento sento delle grida femminili, la virago nera sta arrivando a passo di carica, seguita da due colleghe di lavoro bionde e secche.
Se mi prendono mi fanno passare un brutto quarto d’ora.
‘No, veramente, mi si è rotta la macchina, stavo tornando a casa.’
Sto per mettermi a piangere.
‘Forse è vero, prima c’era una macchina bianca ferma’, dice quello alla guida.
‘Sì, sì, è la mia!’
Un sasso, per fortuna non troppo grosso, mi colpisce sul sedere, sporcandomi il vestito nero.
‘Dai sbrigati, salta su, che quelle stronze sennò mi sfasciano la macchina.’
La scelta è tra farmi massacrare da tre puttane incazzate, tra cui una basterebbe a mandare all’ospedale un uomo robusto, e salire in macchina con due magrebini sconosciuti, insomma tra la padella e la brace.
Apro lo sportello posteriore ed entro in macchina, proprio mentre una pietra, bella grossa a giudicare dal rumore che fa, atterra sul tetto dell’auto.
La macchina parte sgommando, per ora sono salva.
Il dilemma è, li avrò convinti?
Novantanove su cento stavano passando di lì perché cercavano una prostituta, quindi, se non hanno creduto alla mia versione, pretenderanno da me ‘
Oddio!
Anche se mi hanno creduto, non sono sicura che mi depositeranno sana e salva davanti al portone di casa.
Intanto mi stanno portando via da quelle tre esagitate, poi si vedrà.
L’idea di andare con uno sconosciuto mi spaventa, e poi sono in due.
Vorranno farlo insieme? Un davanti e ‘
Patrizia, ma che dici?
Mi rendo conto che non sono SOLO spaventata. Che mi sta succedendo? Non sono mai stata una persona particolarmente trasgressiva, non ho mai pensato seriamente di avere rapporti sessuali con sconosciuti. Beh, qualche volta, quando ero molto giovane, vedendo un bel ragazzo, un pensierino ce lo avevo fatto, ma era solo un gioco innocente, che sapevo non si sarebbe potuto tramutare in qualcosa di reale.
Ora è diverso, se questi vogliono farlo, lo fanno e basta.
Devo prendere in mano la situazione.
‘Grazie, grazie, ero veramente in un grosso guaio.
Io abito qui vicino, dovete svoltare la seconda a destra, poi sono cento metri e sono arrivata, vi pago il disturbo, naturalmente.’
Loro non mi rispondono, la macchina procede spedita lungo il viale, supera l’incrocio e la paura mi prende di nuovo.
Vorrei dire che hanno sbagliato, che dovevano girare, ma ho paura che la loro risposta non sarebbe quella sperata.
Ma veramente voglio tornare subito a casa?
La macchina gira ora, ma non c’è strada.
Supera di slancio il gradino del marciapiede, che in quel punto è basso e si inoltra nella pineta, a pochi metri da una tizia grassoccia, seduta a gambe larghe su un panchetto pieghevole.
Che faccio?
Trovato, come si fermano, apro lo sportello e scappo, forse nel buio della pineta riesco a seminarli.
La macchina percorre una cinquantina di metri e si ferma dietro ad un fitta siepe, in modo da non essere visibile dalla strada.
Nel preciso istante in cui la macchina si arresta mi precipito sulla maniglia interna, ma lo sportello non si apre.
Allora mi slancio sul sedile e provo l’altro lato. Loro potrebbero cercare di fermarmi ma rimangono immobili e capisco il perché: sanno che entrambi gli sportelli posteriori sono bloccati, forse la sicura per i bambini, quindi, ogni mio sforzo per uscire, sarà vano.
‘Tranquilla, non ti facciamo niente di male, vogliamo solo divertirci un po’.’
‘Per favore ‘ vi prego ”
Comincio a supplicarli, la mia voce trema ma mi rendo conto che non è solo per la paura, ma anche perché il pensiero di quello che sta per accadere, mi eccita.
Escono tutti e due dalla macchina, richiudono gli sportelli e mi lasciano intrappolata sul sedile posteriore.
Mi volto quando sento il rumore del portellone che si apre dietro di me.
Per la prima volta vedo bene i miei accompagnatori, sono giovani, massimo trent’anni e niente male, alti, fisico asciutto e muscoloso, uno dei due, in particolare, mi piace proprio.
Insomma, Patrizia, ti poteva andare peggio. No, ma non doveva, anzi non deve assolutamente andare così.
Hanno abbattuto metà dello schienale del divano posteriore, uno di loro entra carponi, mi prende per le braccia e mi trascina sul pavimento del bagagliaio.
Ho perso le scarpe e le calze, in questa operazione, si sono strappate sulle ginocchia.
Le sue mani, che mi stringono forte i polsi, mi danno una strana eccitazione, alla fine mi ritrovo con la schiena poggiata sul mezzo sedile rimasto in posizione e le gambe piegate ed allargate.
Il vestito, già corto di suo, visto che arriva a metà coscia, strusciando sul pavimento del bagagliaio è salito completamente e mi si vede lo slip nero sotto al collant.
‘Avevi detto che volevi andare a casa, prima ti sbrighi e prima ci torni.’
Accompagna le parole con l’azione delle mani che prendono il bordo del collant ed iniziano a tirarlo verso il basso.
Dovrei gridare, ribellarmi, dimenarmi, invece, l’unica cosa che faccio è puntellarmi con le mani e sollevare leggermente il sedere per agevolarlo.
Lentamente le calze scure e velate scendono, scoprendo la mia pelle leggermente ambrata dal sole che ho preso durante l’estate.
I loro sguardi mi fanno capire che sono molto soddisfatti delle mie gambe, sicuramente migliori di quelle della gran parte delle puttane della zona, infatti indugiano un po’, prima di farmi rimanere con le gambe completamente nude.
Uno dei due si toglie i pantaloni e le mutande, alla luce debole della plafoniera della macchina riesco comunque a vedere che ha un bel culo stretto e muscoloso (mi piacciono gli uomini con il culo così) e un ‘
‘ un arnese niente male, grande, lungo e dritto come una spada.
A questo punto li stupisco, ma stupisco anche me, prevenendoli: le mie mani afferrano il minuscolo slip nero e lo fanno scorrere rapidamente.
Me ne libero con un movimento elegante del piede, lo vedo sparire alla mia vista e finire probabilmente per terra, fuori dalla macchina.
Faccio così, perché altrimenti, se oppongo resistenza, questi si eccitano di più e, magari, mi fanno del male.
Patrizia, non è vero, stai mentendo, fai così perché tu sei eccitata e muori dalla voglia di farti scopare da questi due.
Lui entra in macchina, sento le sospensioni che si abbassano sotto il suo peso e me lo trovo proprio di fronte, vicinissimo.
Mi prende sotto le ascelle, mi solleva e mi sposta dall’altro lato del bagagliaio, quando atterro di nuovo, in posizione rialzata rispetto a prima, sento qualcosa di freddo e metallico sotto al sedere nudo: sono seduta sulla ruota di scorta.
‘Ci pensi tu, vero?’, mi dice mentre mi mette in una mano il suo pene eretto e nell’altra un profilattico.
è una cosa pazzesca, me ne sto mezza nuda, seduta su una ruota di macchina, e srotolo un profilattico sul pene di uno sconosciuto, dovrei ribellarmi, gridare per lo schifo, invece sono eccitata da morire.
Ho solo un attimo di tentennamento, poi le mie dita sottili e curate srotolano l’ultimo pezzetto.
Di istinto, prima che lui si sposti per prendere posizione, gli do un bacino sulla punta e lo sento fremere di piacere.
Mi tiro su la gonna del vestito, allargo le gambe e guardo in giù, sono bagnata fradicia.
Lui si avvicina e penso che è il più grande che mi sia mai entrato dentro, mi farà male?
Ma no Patrizia, sei bagnata, eccitata, può farti solo che bene.
Mi prende le gambe e me le solleva fino a poggiarmi i polpacci sopra le sue spalle.
Zac! Mi entrato dentro di colpo, come un coltello caldo nel burro.
Quel bastone duro e dritto, rivestito curiosamente di un sottile strato di gomma trasparente, dai riflessi verdastri, è sparito nel mio ventre, tutte le residue paure sono scomparse e stringo a me quel corpo giovane e forte, mentre lui inizia a muoversi.
Il tutto dura poco, troppo poco per i miei gusti e, quando si stacca da me, soddisfatto della scopata, rimango delusa.
Accidenti, ancora un po’ ‘
Decido di finire da me, infilo una mano in mezzo alle gambe ed inizio a toccarmi davanti a loro due, che sembrano trovare la scena molto interessante, visto che mi lasciano fare.
Ho finito, sono venuta, mi manca il respiro, vorrei riposarmi un attimo, ma è il turno dell’altro, quello che mi piace di meno, anche se non è affatto male.
Infilo il profilattico anche a lui, ormai ho fatto pratica e inizia il secondo round.
Anche lui si sbriga parecchio, ma ormai il mio piacere l’ho avuto, anche se, con un’altra toccatina…
No, Patrizia, meglio di no.
Di colpo mi cala addosso, insieme alla vergogna, la consapevolezza di quello che ho fatto, così scendo dalla macchina, rimetto a posto il vestito e mi infilo le scarpe.
I due profilattici, appena usati, spiccano sul terriccio della pineta e mi ricordano quanto accaduto, mentre i due magrebini si rivestono.
‘Adesso per favore, riportatemi a casa, ho fatto quello che volevate.’
Veramente l’ho voluto anch’io.
Volto le spalle ai due uomini e mi accosto allo sportello posteriore dell’auto. ‘Aspetta, un momento.’ Ha parlato quello dei due chi mi piace di meno.
‘Che ne dici, Alì, possiamo farci scappare questa meraviglia?’
Mi poggia una mano sul fianco, poi la lascia scivolare lentamente sul mio sedere.
Ho capito cosa è successo.
Anche se non sono più giovanissima, ho mantenuto un fisico invidiabile, immagino che effetto devono avergli fatto le mie gambe lunghe, snelle e ben modellate, con le scarpe con il tacco alto ed il vestito corto ed attillato.
E poi alla fine delle gambe c’è il mio pezzo migliore. Ho sempre avuto un bel didietro, un culetto rotondo, sodo, carnoso e delle giuste dimensioni.
Finché ero in macchina non l’hanno notato, e poi erano concentrati in altre cose.
La mano si infila sotto al vestito e comincia a carezzarmi le chiappe, poi si ferma un attimo e mi solleva completamente il vestito dietro.
Sento l’altro, Alì, fare un huuu di meraviglia.
Mi immagino l’effetto che ha provocato su di lui la vista del mio culetto nudo, con il triangolo bianco, non abbronzato, lasciato dal segno del costume.
Dovrei essere contenta, invece mi torna la paura che avevo scacciato all’inizio.
Era già convinta di aver finito e che sarei tornata a casa, e poi questa faccenda mi piace molto di meno, così faccio quello che non ho fatto prima: mi ribello, grido e mi dimeno, ottenendo soltanto di farli eccitare maggiormente.
Mi ritrovo stretta ad Alì, quello che mi piace (o forse mi piaceva), ma non è un abbraccio affettuoso, anche se non mi fa male, mi sento immobilizzata e soffocata.
‘Alì, hai ancora preservativi?’
‘No, erano gli ultimi due.’
‘Ne faremo a meno, non credo che ci prenderemo qualcosa se ci inchiappettiamo questa signora, mi sembra molto più pulita delle mignotte della pineta.’
Mi sono messa a gridare a squarciagola e allora mi hanno ficcato in bocca, a forza, le mie mutandine appallottolate.
‘Stai tranquilla, vedrai che ti piacerà, prima ci metto un po’ di vasellina, nel tuo bel buchetto, così non ti farà male.’
Mi da un paio di sculacciate, che ottengono l’effetto di farmi rilassare i muscoli per qualche istante.
Sono ferma, immobile, spaventata per quello che stanno per farmi e sento la mano che si infila in mezzo e mi allarga le chiappe alla ricerca della giusta apertura.
‘Sta calma’, mi dice Alì a bassa voce in un orecchio, mentre sento un dito entrarmi dentro.
Le dita diventano due, mi allarga lentamente e sento una sostanza scivolosa che mi entra, deve avermi spremuto un tubetto di qualcosa.
Spalma a lungo, dentro e sull’orlo esterno e più mi spalma e più mi preoccupo.
è un’attesa spasmodica, non posso vedere dietro di me, so soltanto che ad un certo punto toglierà la mano e ‘
Non sento più la mano ed Alì ha rinforzato la presa.
Mi sento tirare forte, verso l’esterno, la carne delle chiappe e poi avverto la pressione di qualcosa che cerca di entrarmi dentro.
‘Non stringere, ‘che ti fai male, rilassati’, mi sussurra Alì.
Io ubbidisco, o almeno ci provo, perché comunque mi fa discretamente male, poi una spinta più forte, un piccolo colpo di reni, l’ostacolo iniziale è superato, e lo sento dilagare dentro di me.
Alì ha allentato la presa, mi tiene più per evitare che io finisca a terra, che per paura che possa fuggire, mentre l’altro si muove avanti e indietro, cercando di ficcarmelo più in profondità.
Sono riuscita a sputare le mutandine, che mi impedivano di respirare bene e, abbracciata al mio bell’Alì, seguo il ritmo impostomi dall’altro.
Non mi sta dispiacendo affatto e cerco di tenermi il più possibile accostata ad Alì, inguine contro inguine, sento il suo pene duro, tornato in erezione e mi ci strofino contro.
Questa volta dura di più e alla fine il dolore quasi non lo sento, mentre continuo a strofinarmi sul pene di Alì.
è finita, ha spinto più forte ed ho sentito lo sperma che mi invadeva, mentre lui, dietro di me, gemeva di piacere, poi mi hanno lasciata libera.
Sono rimasta in piedi a gambe larghe, con il vestito sollevato dietro ed avverto una strana sensazione di bruciore e freschezza allo stesso tempo.
Ora che ha finito, sento netto il bruciore provocato dal violento allargamento dell’ano, mitigato dal misto di vasellina e sperma che lentamente defluiscono dall’orifizio, rimasto evidentemente semi aperto.
Guardo in basso e vedo una piccola pozza scura in mezzo ai miei piedi, poi Alì mi prende per un braccio e mi porta verso la macchina.
Mi fa poggiare le braccia sulla barra portabagagli che sta sul tetto dell’auto, in modo da stare leggermente chinata in avanti.
‘Su, allarga le gambe.’
Ubbidisco subito e lui mi solleva di nuovo il vestito, arrotolandolo fino alla vita.
un’altra rapida spalmata e via.
Questa volta sono ben rilassata e mi entra dentro facilmente, si muove rapido e sicuro ed io lo assecondo, vorrei toccarmi, per godere fino in fondo anch’io, ma non mi fido a staccare una mano, perché lui spinge forte.
Aumenta il movimento, dai Alì, penso, vienimi dentro, sfondami.
Oddio, ma che mi sta succedendo?
Ma non c’è tempo. Eccolo, ora il movimento è più deciso finché ‘
è venuto, mi sento inondata, mi immagino il suo sperma caldo che risale e mi riempie l’intestino, naturalmente non è così, ma l’impressione è questa.
‘Dai, che può bastare, ti riportiamo a casa.’
Queste parole spezzano l’incantesimo e di colpo comprendo tutta l’enormità di quanto accadutomi.
Sono risalita in macchina e, questa volta, hanno svoltato dove gli ho indicato.
Li ho fatti fermare un paio di isolati prima di dove abito, perché il cervello di Patrizia ha ripreso a funzionare: meglio non far sapere il mio indirizzo, non vorrei ritrovarmeli davanti alla porta del mio appartamento, con l’idea di farlo di nuovo.
La cosa buffa è che mi hanno pure pagata. Io ho provato a dire di no, ma Alì, serio serio, ha ribattuto che erano partiti per andare a puttane, i soldi li avevano già stanziati, e poi io sono stata molto brava.
Mentre entravo in ascensore, tenendo strette in mano le banconote, frutto del mio diciamo sudato lavoro, ho pensato che una mia amica, che ha la mia stessa età ma non il mio stesso fisico, ogni tanto si vede con un tizio molto più giovane e, mi ha confessato, lo paga.
Dai, Patrizia, tu sei messa molto meglio, visto che gli uomini ancora pagano per venire con te.

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