Questa notte su Roma neanche una stella, che tace che brilla, che dà sostanza e misura a questo cielo che incombe e minaccia. Solo acqua battente su questo seno che sterile si mostra ed invano si offre ai fantasmi di notte, annidati come nebbia, intorno alla più bella, che porta un nome finto come finti e troppo sodi sono i suoi seni che non lasciano alla voglia il gusto di sgonfiarli.
Neanche una stella! Che sciama di luce e rischiara questa faccia che inganna, coperta di strati di cipria che appiattiscono rughe e che sapone non lava. Ormai pelle, oramai essenza che mi regola dentro respiri e parole, ansia e bugie fino a convincermi di essere giovane e bella, d’essere come mi guarda lo sguardo di questo sparuto cliente che da mezz’ora fa il giro come mosche attorno a rifiuti, come indiani attorno ad un fuoco. Vorrebbe scaldarsi, ma non ha il coraggio d’offrirmi i suoi spiccioli radi, rubati magari in questa chiesa di fronte che gotica s’innalza fino a bucare le nuvole. Ma sono io la Madonna! Sono io l’isola di pace, che vergine negli occhi purifico spiriti e risollevo peni depressi! E come bimbi nel grembo materno s’accovacciano e s’accucciano dentro questo paradiso di carne e trovano alcova e riparo a questa solitudine appiccicosa, che come ombra di notte ti segue e precede e non ti lascia da sola. Sono io l’ombrello! A questa pioggia che insistente mi sciupa la tinta e non smette di battere, come le mie colleghe di fronte che tirano a mattina e mi rovinano la piazza togliendomi lavoro. E a quel fantasma con la faccia da uomo che sta facendo un altro giro, vorrei dirgli che quello che vede l’affitto per poco, che in multiproprietà è conveniente davvero, senza spreco di soldi, sentimento e fatica a sopportare il ruolo peggiore di donna che chiamano moglie.
Neanche una stella! Che illumini la mia parte migliore, quella che nemmeno il pudore protegge e le mutande non fanno altrettanto. Nuda e piatta non fa mistero e non fa voglie, dove gli uomini che passano per caso non s’affannano a riempire. Come invece vorrei che fosse, simile ad un secchio sotto la pioggia che senza fondo riceve ed incassa senza mai colmarsi fino all’orlo. Vorrei che m’annusassero invece di stare lì a guardare, che s’impregnassero del profumo dei miei seni, perché solo l’odore fa ricordare, e associa immagini e parole, che altrimenti s’annerirebbero nel buio di questa notte senza futura memoria. Ma le mie tette non fanno più poesia, non destano rime e non generano fantasie e stanno giù molli, appiccicate sul corpo come un lago prosciugato in estate o palloni aggrinziti lasciati sgonfiare dal tempo. Si fermano e subito ripartono, neanche il tempo di masturbarsi per poco, per dare dignità e prestigio a questa donna che sola s’ostina a strascicare i suoi tacchi riempiendo la notte di travertino e desolazione, come questa fica ridotta ad un buco nel muro dove neanche i ragni sono più curiosi d’entrare.
Neanche una stella! Che mi faccia scovare da chi a quest’ora non ha ancora trovato ricovero alle sue voglie, e gira frenetico alla ricerca di labbra proprio come le mie, che morbide e carnose non aspettano altro, che schiudersi a forza al desiderio che irrompe, che ingrandite come salsicce vorrebbero farsi sbafare oltre il contorno di matita che penosamente straborda. Neanche una stella che mi risucchi, che mi trascini sulla propria scia e m’inebri di luce fino a rendermi incandescente, fino a farmi apparire più bella dentro un bordello. Coperta di spacchi profondi su divani in attesa, dove occhi viziosi ed impazienti mi cercano e sprofondano nel nero che fa magia e mistero, e desiderio di salire le scale per una singola, doppia o addirittura una notte esclusiva ed intera. Dove uomini col sesso pulito mi chiedono il permesso prima di scoparmi di santa ragione, e poi gentili mi offrono rose e poi scuse su un letto di seta o addosso ad un termosifone bollente, se una spina per caso m’ha graffiato una mano o si sono spinti oltre il fondo che persino puttana rifiuta. Neanche una stella che mi porti fortuna se proprio non conosce bordelli!
E mi mangio le unghie finte perché quelle vere sono diventate carne da tempo, come sigarette divorate oltre la decenza del filtro o membri sfilacciati che stanno lì lì per venire. Ma a quest’ora, qui alle tre del mattino, basterebbe un cliente che mi inghiottisca nel buio di uno di questi vicoli ciechi, dove in fondo c’è un muro di rovine romane e tappeti di scarti delle mie colleghe al lavoro. E che mi tratti senza nessuna premura, perché riguardo e deferenza non hanno ragione quando ti scelgono perché non hanno trovato di meglio, quando in piedi ti sbattono nuda senza neanche un velo per sentirti una femmina. Basterebbe uno solo, che mi chiami puttana perché altro non sono! E che goda magari da solo o rifiuti proprio sul più bello la parte che ha pagato, infilando il suo sesso nel buco del muro perché tanto sarebbe lo stesso! Ma che mi offra quel poco di soldi che non sia proprio niente, in modo che domani possa ricominciare da sera a sperare che qualcuno non abbia trovato di meglio guardando questo cielo che incombe dove stanotte non c’è neanche una stella! Che tace che brilla!
Ma l’alba è vicina, e timida s’adagia sul tetto di fronte, rischiarando i contorni e l’illusione che stanotte una stella, una stella qualunque m’avrebbe potuto far compagnia. E nel mentre mi rassegno a recuperare vestiti e decenza, lasciati ciancicare dentro un sacchetto, vedo in lontananza una coppia. Uomo e donna in un’unica figura, che si stringono fino ad entrare nella pelle dell’altro, fino a generare un’unica richiesta, improvvisa e allettante, che quantifica un prezzo che per nessuna ragione potrei rifiutare. Lei ha il viso di una donna d’altri tempi, aristocratica e lasciva, coperta da sete e pelliccia che neanche l’incasso di una vita potrebbe bastare. Lui ha gli occhi che mi mozzano il fiato e m’ingrossano queste tette cadenti come se già mi fosse di dentro, come se gratis già lo stessi cullando. Mi guardano e si guardano fino ad aprire la porta lì a pochi passi, fino a ritrovarci in un salone di marmo dove riflettono le mie premure di non essere all’altezza. Mi sussurrano impazienti che si sono conosciuti da poco, stasera in un ristorante poco lontano, guardandosi negli occhi e confidandosi reciproche attese che complici ora si svuotano come i miei ridicoli seni che invano tento di coprire, che invano tento di gonfiare. Ma non m’hanno invitata per questo! Non m’hanno invitata per le mie cosce livide di freddo o per la smagliatura sulla calza fermata malamente da smalto di altro colore! Mi dicono e mi fanno capire che hanno bisogno dei soli miei occhi e che del resto non sanno che farci. E mentre mi guardo riflessa ad un vetro non posso che dargli ragione di non essere qui per destargli la minima voglia. Hanno bisogno dei soli miei occhi! Che guardino senza sbattere le palpebre mentre loro fanno l’amore!. Perché troppo felici e sorpresi di esserlo non vorrebbero che di questa notte, domani, ne rimanesse soltanto un sogno o comunque un velo di dubbio che li faccia tentennare d’averla vissuta. Semplicemente una testimone che muta assista e li guardi, che immobile ne misuri la gioia come un segnalibro in un diario incollato su uno stupendo ricordo che non si vuole dimenticare. E in piedi, in disparte mi faccio più piccola per non farmi vedere, rallento i respiri perché non siano di disagio mentre si rincorrono e provano piacere soltanto a sfiorarsi e le loro mani anoressiche si accarezzano gentili e premurose come quelle del mio cliente dentro il bordello. Ma il mio cliente non ci avrebbe messo così tanto tempo per decidere di passare all’attacco e sbattermi addosso a quel termosifone che ancora mi brucia davanti e di fianco. E non capisco perché rimangono vestiti, perché lui non l’abbia già spogliata del tutto, come me in questo momento, dove i miei clienti non farebbero nessuna fatica a trovare l’ingresso senza ogni volta alzare la gonna e scostare mutande. E continuano a guardarsi negli occhi, a parlare frasi spezzate senza che nessuno dei due si faccia più avanti ad offrire il piacere che da oltre mezz’ora si sono promessi. Ora lui s’avvicina, la cerca, la chiama, ma lei stringe le cosce e poi scappa ridendo verso la finestra, poi torna sul divano e si ricompone mutande e capelli. Lui continua a guardarla estasiato, dicendole che mai donna più bella ha gonfiato le sue voglie, come se non potesse pretendere altro, come se quell’attesa d’amore non avesse mai fine e non prevedesse altre soglie. E lei seduta si compiace solo a farsi ammirare, a farsi sfiorare la stringa di un lilla sbiadito che non avrei mai portato, come se il seno stesse comodo al suo posto, come se la sua bocca non potesse far altro che parlare. Li guardo di nuovo e faccio per andarmene pensando che dall’ètà della ragione nessuno mai m’ha fatto attendere così tanto, che m’hai nessuno m’ha aspettato più del tempo che c’impiego ad aprire una lampo o a sfilarmi mutande quando ci sono. Lì guardo ancora delusa pensando che il tempo per l’affitto è oramai scaduto sia pure per quella parte del mio corpo che nessuno mai finora m’aveva richiesto. E scuoto la testa ripensando a quanto quest’uomo, nelle mie braccia, sarebbe stato felice, a quanto l’avrei assecondato senza farlo aspettare, fino ad accoglierlo nuda e capiente nel posto e nel momento che la voglia di maschio decide. “Ho visto come m’ha guardata, come il suo sguardo intenso m’ha penetrata gli occhi e la pelle! Se solo m’avesse incontrata prima! Se solo fosse passato di lì qualche ora prima! Addosso a quel muro una stella, gli avrebbe fatto cambiare ristorante e percorso! Già nuda, già pronta, senza quelle ridicole mutande di raso che sbarrano la strada e ti fanno perdere tempo!” E mentre il giorno di fuori ha raffreddato voglie e clienti mi rimetto alla rinfusa i miei vestiti ciancicati e mi sale la rabbia guardando quel poverino che s’affatica su chi ancora vestita ne fugge, lo invita e non s’è tolta nemmeno le calze! E chiudo la porta e scendo le scale pensando che ancora un momento m’avrebbe scelto davvero, mentre ora s’affanna per una donna che ancora seduta accavalla le gambe e dondola il tacco.
“Solo perché non m’ha incontrata prima! Solo perché passando non m’ha intravista addosso a quel muro! Se solo ci fosse stata una stella!”
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…