L’amore più grande
Decisamente non aveva avuto fortuna con gli uomini che aveva amato. Due per l’esattezza. Il primo la piantò con un bimbo in grembo quando ancora aveva quattordici anni, sedotta e abbandonata. Era il giovane figlio ventenne d’un amico del padre, che la lusingò, la fece innamorare come poteva una fanciulla così giovane, e poi non ne volle più sapere, facendola per giunta passare per una poco di buono. E così io assunsi il cognome del nonno materno, lo stesso di mamma. Il secondo, cinque anni dopo, dopo che lei si era trasferita in casa di lui, in un’altra città, lasciando il lavoro e la propria famiglia. I suoi non glielo perdonarono. La lasciò sulla strada, senza una lira con me di cinque anni e mia sorella di due. Da quel giorno giurò che nessun altro uomo sarebbe più entrato a far parte della sua vita. Scrisse ai miei nonni che l’aiutassero economicamente per pagare l’affitto di una casa e il sostentamento per i figli. E i nonni molto benestanti, seppure con freddezza, non le fecero mancare il sostegno economico necessario. Mia madre trovò subito lavoro come cameriera e, dopo alcuni mesi, come commessa allo ‘Sma’. La sorellina, di mattina, era affidata alla vicina, che mamma compensava come poteva economicamente, il pomeriggio a me. Giada più che fratello, nonostante avessi solo tre anni più di lei, cominciò a considerarmi come il papà. Quando mamma otteneva le ferie ci recavamo dai nonni che accoglievano più caldamente noi, non così la mamma. E questo atteggiamento finì per ridurre, nel tempo, il soggiorno dai nonni. Nella loro grande casa noi bambini vivevamo da sogno, mentre nella nostra, un bilocale con bagno, ci sentivamo un po’in carcere. Mia sorella rimase sistemata, fino a quando entrò alle elementari, nel lettino transennato in cui era stata posta appena nata. Quando entrò alla media comprammo un divano con il lettino e lo sistemammo nel saloncino. Giada lo considerava come la sua camera. In effetti, tutta la nostra vita si svolgeva quasi lì dentro. Io, invece, dormivo con mamma. Era stato da sempre o quasi. Perché, dopo che lei si sposò, quando mi svegliavo, la notte, correvo a rifugiarmi nel letto dei due sposini. Cosa che faceva litigare spesso mamma col marito, che non gradiva le mie incursioni notturne. Chissà, se pure questo incise nella sua fuga con una diciottenne. Nonostante la quasi totale povertà io ero felice, perché dormivo con mamma. Lei era tutta mia e la potevo stringere quanto, come e dove volevo. E come un bambino, vuoi che fosse inverno, vuoi estate, finivo per accucciarmi sempre con lei il capo contro il suo omero e, senza malizia cosciente, mi aggrappavo tenacemente con la mano a un suo seno. Non solo lei non si infastidiva, ma lo ricercava. Non mi sentivo rassicurato solo io da quella stretta, ma pure lei. Questa abitudine restò anche quando passai nell’adolescenza. Del resto, per lei continuavo a rimanere il suo bambino. Solo che non era più così. Lei era una splendida femmina con gli appetiti sessuali specifici e io un ragazzo, un giovanissimo maschio con i relativi ormoni che danzavano vorticando come i bollori del magma di un vulcano. Forse lei non ci faceva caso, ma nello starle vicino, soprattutto la notte, lei seminuda e carnale, mi sentivo avvampare dal desiderio e prenderle solo il seno mentre dormivo non poteva certo bastarmi. Anche se i nostri abbracci, le nostre carezze erano molto più frequenti, indugianti e, al limite, del lecito, ci muovevamo dentro gli argini consentiti.
La prima volta accadde ‘ o, almeno, io me ne accorsi – appena compiuti i sedici anni, verso la metà di novembre. Mi ero risvegliato dal primo sonno e, al mio solito, mi ero ritrovato con la mano abbarbicata al seno di mamma. E, certamente, mi sarei immediatamente riaddormentato, se non avessi sentito mamma lamentarsi flebilmente. Lì per lì, mi preoccupai. Non feci tardi, però, a capire che si trattava di un lamento particolare: gemeva di piacere. Stava facendo un sogno erotico. Forse trent’anni prima un ragazzo della mia età non avrebbe capito, ma ormai siamo troppo smaliziati per non capire certe cose. E in quel momento mi resi conto che mia madre non era solo tale, ma anche, e soprattutto, donna. E che donna. Quel seno, su cui ancora trattenevo la mano, era sodo e pieno più di quello di una sedicenne. Il sedere era statuario e morbido, le gambe tornite e voluttuose e, là sotto, il vello era folto, rigoglioso. Del resto in quella casa così piccola, anche se avesse voluto, come avrebbe potuto nascondere le sue forme? Ma mamma non aveva remore e capitava che ci facessimo la doccia anche insieme. Il fatto era che non avevo pensato mai a lei come una donna di straordinaria bellezza e sensualità. Non è che non mi piacessero le ragazze della mia età, ma mai nessuna di loro aveva suscitato intensi desideri sessuali. Accessi la luce discreta della lampada sul comodino e al suo riverbero la contemplai. Era una radiosità voluttuosa, così immersa nel suo sogno erotico. Con le dita andai a raccogliere il capezzolo del seno che, poco prima, tenevo stretto: era turgido come una bacca verde e, nel valutarlo, il mio sesso si inalberò. Mi venne allora voglia di lei, di esplorare quel corpo voluttuoso e caldo. Mamma non indossava altro che una sottoveste leggera e molto scollata: passeggiare con la mano su di lei era più che semplice, solo che non avrei mai voluto che si accorgesse dei miei vagabondaggi erotici sopra il suo corpo: sarei avvampato dalla vergogna. Come avrei fatto a proteggerla dagli altri, se non ero capace di proteggerla da me? Questo certamente mi avrebbe rimproverato. Ma io l’amavo più della mia vita. Volevo solo stordirmi della sua femminilità. Non avevo mai accarezzato un corpo nudo di donna. E così, piegato sul fianco, tremando, titubante, ma infervorato, cominciai ad accarezzarle il seno, lentamente, saggiandone la morbidezza, la voluttuosità, la plasticità, sfregandone i capezzoli con dolcezza, il cui tessuto sembrava di velluto. Mia madre accentuò i suoi sospiri. Lasciai il seno e mi indirizzai deciso sopra il suo pube. Un folto cespuglio crespo e caldo accolse la mia mano. Sentii le mie carni solcate da carreggiate di piacere infuocato. Poi, un mio dito trovò la segreta fessura umida e gonfia. Vi trascorsi il mio polpastrello in tutta la lunghezza. Mia madre accentuò i suoi gemiti. Incentivato da essi, desideroso di farla godere di più, ardii affondare il mio dito tra quelle labbra fino a trovare il pistillo di carne e con dolcezza cominciai a masturbarla. Il suo viso si contrasse in rughe di piacere, mentre si mordeva le labbra ed agitava la testa. Le feci raggiungere l’orgasmo, godendomi i suoi singulti di piacere. Soddisfatta si girò su un fianco in un sonno più tranquillo. Io riafferrai al mio solito con la mano una sua mammella e, così stretta, mi addormentai.
Pur se già adolescente, mamma non aveva abbandonato l’abitudine di farmi il bagno, né io l’avevo incentivata a non farmelo. Tutt’altro. Quando lei osservava che ero già grande, che, vuoi nella vasca, vuoi con la doccia, il bagno lo potevo fare da solo, io protestavo che non mi sapevo lavare soprattutto dietro le spalle e lei con un sospiro cedeva. Ma era orgogliosa, mentre mi lavava, delle mie fattezze. Mi diceva che mi facevo sempre più bello e più uomo, che ero l’amore della sua vita e che le donne avrebbero fatto a gara per portarmi via.
La mattina successiva all’episodio raccontato, mamma riempì la vasca e io mi accomodai per farmi fare il bagno. Come avrei fatto a non ricordarmi delle sensazioni sensuali trascorse? Lei mezza nuda trasudava femminilità ed erotismo a profusione. Il seno a portata della mia mano, piegata com’era in avanti, era del tutto scoperto in tutta la sua rigogliosa radiosità. Il mio desiderio di afferrarlo, baciarlo, morderlo era grande. Il mio sesso non poteva non risentirne e si rizzò in tutta la sua gagliardia. Non potevo di certo nasconderlo. Anzi, quando mia madre scese la sua mano giù per il grembo, l’eccitazione diventò intensa. E, raccogliendo nel pugno il trionfo della mia giovanile virilità, divertita, commentò: ‘Ehi, ehi. Questo è l’effetto che ti faccio? Non l’avrei mai immaginato. Il mio cucciolo si è fatto davvero grande. Guarda qui, quant’è grosso!. Come faccio a lavarti più!’. Diceva così, mentre continuava a stringere il mio membro. Avevo i testicoli che parevano incandescenti: L’eccitazione diventò incontenibile e, con immensa vergogna, sussultando, venni nella sua mano. Mamma arrossì come una bambina sorpresa a rubare la marmellata, tanto non se l’aspettava. Però, visto il mio turbamento e la mia vergogna, alleggerì quel momento di imbarazzo tremendo. ‘E’ la cosa più normale di questo mondo. Ti sarebbe accaduto prima o poi, magari di notte. Le gonadi sono ricolme e hanno l’esigenza di svuotarsi. E così è stato. Io sono stata quella che l’ha incentivata. Non c’è nulla da vergognarsi. Ti rendi conto che sei grande e che ti devi lavare da solo? Al limite, ti strofino e sciacquo solo le spalle. Amore mio, sei grande. Mi sa che devo comprarti un lettino. Vorrai dormire da solo ormai’. Io, che, mortificato, stavo con gli occhi bassi, al sentirle dire queste parole, mi allarmai e dimenticai la vergogna. Lei era mia madre e la donna di cui ero innamorato. Non avrei mai accettato di lasciare il suo, il nostro letto, anche se avrei dovuto celare per sempre il mio desiderio incestuoso. ‘E tu avresti il coraggio di farmi dormire da solo, dopo sedici anni che dormo con te! Come puoi lontanamente immaginarlo. Morirei d’insonnia e depressione. Ho bisogno di te. Senza di te sono perso. Non vedi che mi aggrappo come a un albero disperso nel mare la notte. Sei la mia gomena. Se non ti stringo a me, affondo, capisci mamma, annego’. E mi afferrai a lei per le spalle, stringendola a me e tempestandola di baci sul viso, sulla bocca.
‘Se ci tieni tanto, dormi pure con me’, balbettò lei, il fiato mozzo dalla mia esuberanza affettiva. ‘Non dire mai parole del genere. Tu sei la mia vita, Insieme a tua sorella siete l’unico scopo. Non ti azzardare mai più. Depressione. Mai più. Stringiti a me, stringimi, baciami quanto vuoi’. Poi, a voce più bassa. ‘Tra qualche anno avrai qualche altra da baciare e stringere, forse anche l’hai anche ora, ma me lo nascondi..Ero molto più piccola di te, quando posai gli occhi su un uomo. Magari fossi stata cieca. Che dico, amore mio, amore mio. Ho avuto te, però. Forse con un altro uomo, tu non saresti tu. No’, sorrise, ‘volevo dire che invece della mamma anzianotta, avrai delle adolescenti come te da abbracciare e baciare’.
‘Tu sei scema’, risposi, sempre tenendola stretta per le spalle. Non solo non ho nessuno, ma non mi interessano, sono insignificanti ed oche. Sei la donna più bella del mondo, sì, la più bella e sensuale Mi chiedo perché ti sei adatta a fare la commessa. Col fisico che hai avresti potuto fare, la potresti ancora fare a trent’anni, la modella. Sei così bella che mi togli il respiro e sei qui accanto a me, tra le mie braccia. Quale ragazza potrebbe competere con te?’.
‘Lasciami che mi fai venire la scoliosi. La più bella. Ci sai fare con le parole. Non puoi, però, sedurmi: sono tua madre. Certo, certo, la modella. Ma mi trovi davvero così seducente? Oh, mi togli il respiro. Lasciami, che mi stai rompendo le cervicali’.
‘Non ti lascio, no. Fatti il bagno con me e ti dimostro che sei bellissima’.
‘Mi hai bagnata tutta. Mi faccio la doccia, dopo. Lasciami andare”.
Non la lasciai finire. Le tirai su la vestaglietta e lei docilmente se la lasciò sfilare.
‘Ma, tua sorella di là’, lamentò. Ma si calò nella vasca con me. Io la contemplai con il cuore che aveva accelerato i suoi battiti.
‘Ecco dove sei bella, più d’ogni altra donna. Qui’, e le accarezzai i capelli. ‘Sono simili a increspature del mare in una notte ammorbidita dal velo della luna’. E la baciai sui capelli. ‘Qui, su gli occhi, gocce di ambra che imprigiona la fiamma del sole’, e le baciai gli occhi. ‘Qui, sul nasino, bello come quello della Venere di Milo’, e le sfiorai la punta del naso con un bacio. ‘Qui, sulle labbra, dove i petali rossi della rosa hanno lasciato il loro colore, la freschezza, la morbidezza e il trionfo della loro bellezza’, e vi soffiai la brezza di un mio bacio, sfiorandole le labbra. ‘Qui, sul seno, alto e superbo come montagne innevate e torride come la lava dei vulcani, lussureggianti e sensuali come ninfee su laghi di sogno, con questi capezzoli, fresche fragoline di bosco appena sbocciate’, e, mentre, allungate le mani, feci per cullare quelle mammelle di voluttà, con le labbra sfregai con un bacio il velluto dei capezzoli. Sentii un brivido trascorrerla, mentre il mio sesso si ergeva impudico.
‘Basta così’, disse ansando mia madre. ‘Devo scappare. Mi farai arrivare in ritardo al lavoro. Vuoi farmi licenziare? Ancora devo preparare tua sorella. Mi fai perdere la testa’, e schizzò via dall’acqua come una saetta, raccogliendo a volo la sottoveste. Ma ormai nella mia mente mi figuravo la notte, quando ci saremmo ritrovati nel letto. Sapevo che non dovevo precipitare, ma ero certo che nel brevissimo tempo avrebbe fatto l’amore con me, sarebbe diventata la mia donna.
E così fu. Quando andammo per coricarci, avvertii benissimo un suo impercettibile impaccio. Armeggiò accanto ai cassetti dell’armadio: non sapeva se indossare la solita sottoveste o qualcosa di più coperto. Il che avrebbe significato che aveva paura di mie improvvide incursioni. Così, però, pensava mi avrebbe offeso. Perciò, finì per indossare una sottoveste analoga a quella della mattina. Solo quella: niente reggiseno, niente mutandine, come da sempre.
Quando mi fu accanto, la abbracciai e le dissi: ‘Allora, ti ho convinta stamattina che sei la donna più bella del mondo?’.
‘Sei un lurido seduttore di mamme. Questa è la verità. Tieni, però, lontane le manine dalle mie tette che non sono per nulla algide e sono molto sensibili alle carezze di un figlio. Un confronto, inoltre, si può fare, solo quando ti sarai fatta la dovuta esperienza con le tue coetanee. E, allora, vedrai che mammina non è più appetibile e sensuale di una di loro. E, se ti troverò sempre con il tuo pisello in ebollizione, dovremo prendere provvedimenti’.
‘Non hai detto che è naturale?’, replicai sornione, mentre la tenevo tra le mie braccia.
‘Certo che l’ho detto. Solo che non me lo voglio sentire premere contro. Non credi che sia, diciamo, imbarazzante?’.
‘Ma, non sei orgogliosa di un figlio che è così sensibile, da maschio, alla bellezza femminile. Non è che ce l’ho piccolo, vero?’, e feci la faccia del finto preoccupato.
‘Certo che sono orgogliosa. Ti assicuro che è a posto il tuo arnese, più che a posto. Solo che non è proprio opportuno che svetti tra le mie mani. Prima che donna, sono tua madre’. In risposta, il mio arnese, contro la mia conscia volontà, era già inalberato come uno stendardo. Non sapevo se farle avvertire quella prepotenza, oppure evitare. Optai per la prima soluzione e mi strinsi di più a lei con il bacino. Lei avvertì e, pur leggermente, sussultò. ‘Appunto. Levati e fattene una ragione. Sono lusingata, ma non posso farci niente. Su, fai il bravo. Se ti scosti, la fregola ti passa. Oh, insomma, lo capisci: sono tua mamma’.
‘Oh, mamma, mamma’, le sospirai sul viso, ‘ho voglia, voglia’
‘Voglia di che?’. E, questa volta mi avvidi che era tesa e realmente preoccupata.
‘Voglia di tenerti abbracciata come faccio da sempre’.
‘Con quella erezione che ti ritrovi? Finiresti come nella vasca e per giunta addosso. Su, lasciami. Senti, fammi addormentare, intanto il tuo pisello va in ritirata e, poi, quando ti svegli dal primo sonno, ti abbarbichi al mio seno. O così, oppure mi faccio un giaciglio per terra e dormo per terra’.
Faceva sul serio. Era turbata. Non so se aveva più paura per la mia intemperanza o di sé. Era sicuro, però, che la faccenda per lei era chiusa, almeno consciamente. Riluttante, mi scostai, lei si girò su un fianco e, poco dopo, si addormentò o almeno così mi parve. Io non riuscivo a prendere sonno. Sapevo che non era giusto, ma volevo sentirla tra le mie mani, volevo sentire il tepore delle sue carni attorno al mio sesso. Mi feci coraggio, mi riavvicinai a lei, le cercai il seno e, come al solito, lo strinsi nella mia mano, cercando di dormire. Niente. Avevo il terremoto nel mio corpo e il fuoco nel mio ventre. Meccanicamente mi ritrovai a sfregarle il capezzolo che, pronto, cominciò a inturgidirsi. Mi feci più addosso. Lasciai scivolare la mano sino all’attaccatura della sua coscia e le sollevai la sottoveste. Lei si mosse. Io mi fermai. Lei sollevò il ginocchio della sua gamba sinistra, ripiegandola a squadra. Ascoltai il suo respiro. Sì, dormiva. O, almeno, così pareva. Rimossi la mano e la lasciai scivolare lungo la sua natica sinistra, tornita e vellutata, fino a raggiungere la meta ambita: la sua fica. Il solco dei suoi glutei che declinava in quello più caldo e voluttuoso del suo sesso. Comincia ad accarezzarlo, rapito, inebriato. Poi, lasciai che scivolasse dentro il mio dito solo per saggiarne il tepore. Mia madre si scosse con un sospiro, per ricomporsi. Mi sfilai lo slip e accostai il mio membro sul suo di dietro fino a raggiungere il suo sesso. Al suo contatto, mia madre si agitò più di prima, scendendo la gamba e ritrovandomi così col mio sesso imprigionato tra le sue cosce. Ormai non capivo più nulla. Stretto al suo seno, cominciai il mio andirivieni dentro quella ogiva incandescente. Fu una cosa di qualche minuto, perché il desiderio era così intenso che sentii salire vorticosamente il mio seme verso il mio fallo e, tirandomi velocemente indietro, mi girai sull’altro fianco, rovesciando il mio sperma sul lenzuolo. La febbre si era un po’ attutita. Dopo un po’ mi rigirai verso mia madre e, agganciata la sua mammella, cercai di addormentarmi. Lei si scosse e si accucciò di più a me. Respirava serena. E così mi addormentai.
La mattina successiva ricominciò la pantomima del bagno. Lavata e sistemata mia sorella, si precipitò al box doccia senza di me. Io la raggiunsi subito. Non mi voleva fare entrare. La spiegazione era che non eravamo più innocenti, ma toccati dalla malizia, cosa che dava ai nostri gesti, alle nostre carezze, altre valenze. Ribattei che erano tutte storie, che non poteva più mettermi da parte, che mi rendeva così infelice. Insomma: cedette. Quando fui sotto la doccia, con l’acqua che ci pioveva addosso, cominciai a baciarla. Tentò di respingermi, ma sempre più debolmente. Le scompigliai i seni con i miei baci. Infine scesi sul suo sesso. La sentii sospirare, mentre mi teneva le mani sui capelli. Quando era sul punto di giungere all’orgasmo, da vigliacca fuggì come il lampo, lasciandomi con il sangue in fiamme.
Quando ci ritrovammo a letto la sera, feci il risentito. Mi coricai in silenzio. Era lei, questa volta, che mi doveva cercare. Non diceva che non la dovevo toccare? E io non la toccavo. Non mi piaceva per nulla apparire come chi si prende qualcosa, fosse anche l’amore di mamma, con la forza o con la compassione.
‘Stanotte niente coccole, abbracci? Meglio così. Mi fai venire il mal di testa. Non mi parli nemmeno. Pure. Dovrei essere io arrabbiata con te, e, invece, sei tu a tenermi il muso’. E visto che non mi scrollavo dal mio mutismo, scivolò leggera su di me, sospendendosi sulle braccia, che incorniciavano il mio capo, i suoi seni a spiovere dinanzi ai miei occhi, il suo grembo gravare sul mio.
‘Ma’ sei senza mutande. Questa è nuova. E fai pure l’offeso. Ti corichi con me nudo. Ti pare una cosa conveniente’.
E io gelido: ‘Come se tu le avessi mai indossate di notte’.
‘Per me è un gesto naturale: L’ho fatto da sempre. Tu lo fai di proposito ora. Per provocazione’.
Sentivo nitidamente il suo vello cresposo sul mio sesso, il tepore umido del suo. E il mio membro ne risentì immediatamente, inarcandosi e pigiando sotto di lei. Le sue gote si accesero di strisce di fuoco,
‘Già ti ho fatto effetto, Capisci allora? Sono tua madre. So come ti senti, capisco la tua voglia. E ne hai ragione. Devi guardare le tue compagne. Sei un ragazzo fantastico, bello e virile. Ti farai le tue esperienze’. Intanto non si smuoveva dal mio grembo che sentivo come inondato da una colata di lava e il mio desiderio cresceva a dismisura. Lei si chinò sul mio viso, mi baciò entrambi gli occhi, poi mi sfiorò le labbra con un bacio.
‘Sei l’amore più grande della mia vita. Sono tua madre, tua madre’, e si staccò da me. ‘Se vuoi, puoi stringere il mio seno, quando stai per addormentarti. Mancherebbe pure a me, questa presa, se non lo facessi. E’ da quando sei nato che lo fai. Leggiti un libro, intanto. So che sembro cretina nel consigliartelo, ma ami tanto la letteratura e ti aiuterà a calmarti. Non me ne volere. Sai già che sono lusingata dalla tua’reazione diciamo alla mia femminilità. Mi fai sentire una donna bellissima’. Si girò per spegnere la lampada sul suo comodino e chiuse gli occhi come per addormentarsi.
‘Mamma’, dissi raggiungendola dal suo lato, ‘mamma tu sei bellissima. Gli uomini ti spogliano con gli occhi quando ti vedono per strada o allo SMA. E io qualche volta’ Sì, qualche volta mi dà fastidio. Sei così bella che togli il respiro. Baciarti, accarezzarti è un bisogno dell’animo ancora prima che della mia giovinezza. Io ti amo, ti amo da impazzire. Permettimi di baciarti come un uomo, non solo come un figlio’.
Lei scoprì le sue orbite di una notte profonda e peccaminosa. Le sue labbra tremolarono.
‘Pensi che non gradisca i tuoi baci, le tue carezze? E’ che sono troppo ardite, da uomo, appunto, e io sono tua madre. Cerca di imprimerti nella mente queste parole: ‘tua madre’. Ti amo da madre e tu, checché possa desiderare, mi ami da figlio. Ti prego, mettiti a leggere. Per l’amore che so che mi vuoi, non mi tormentare. Leggi un libro e lasciami addormentare. Fallo per l’amore che mi vuoi’.
Non risposi. La guardai intensamente, le presi le spalline della sottoveste e le tirai giù. Lei non si mosse, lasciò fare. Le accarezzai i seni con tutta la dolcezza e l’esasperazione sensuale possibile. Poi, le baciai i capezzoli, li succhiai. Il suo respiro era mozzo. Quelle lussureggianti sfere di carne si alzavano e sollevavano trepide. Il suo viso era sofferente, lancinato da emozioni violentemente contrastanti. Lasciai le sue mammelle e la baciai leggermente sulla bocca. I suoi occhi erano una supplica. Mi staccai da lei e feci come mi aveva invitato a fare: presi un romanzo dal mio comodino e mi misi a leggere, o, almeno, tentai. Una decina di minuti dopo sentii il respiro di lei che, supina, si era addormentata, il seno scoperto come lo avevo lasciato io. La mia intenzione era quella di coprirla, invece’ Quando le mie dita incontrarono la pelle del suo seno tremarono di desiderio. Mi poggiai su un gomito e la contemplai. Era un sogno da invasato d’amore. Le raccolsi il velluto dei capezzoli tra le dita, delicatamente, per non svegliarla. Poi infilata la mano sotto il lenzuolo cercai il suo sesso e cominciai a masturbarla. Sì, volevo che godesse nel sonno, volevo sentirla gemere. Quel lamento sommesso era una musica di delizia erotica e volevo risentirlo. E di lì a poco cominciò a lamentarsi di piacere. Godeva ed ero io che la stavo facendo godere. Si agitò, si contrasse. Era un orgasmo. Non lasciai la presa. Anzi, lasciai scivolare il mio dito dentro di lei, mimando il coito. Con lamenti sommessi, lei si girò sul fianco verso di me. Il mio membro era strinato dal desiderio. A un certo punto la follia ebbe il sopravvento. Le presi la mano e la portai su di esso. Mi bastava sentirne il calore, il tatto. Nel sonno, invece, lei, come se fosse a un dito, lei vi si aggrappò. Io, allora, cominciai ad agitarla e, inconsciamente, lei cominciò a farlo da sola. Su e giù, su e giù. Sentii il flusso salire dai testicoli, impetuoso. Feci per staccarmi, ma le sue dita si erano ben aggrappate. Non potevo eiacularle sopra. Sarei sprofondato dalla vergogna. Feci forza e le schiusi le dita, per rovesciarmi sull’altro fianco e lì, nel posto della notte precedente, svuotai l’onda rutilante della mia passione. ‘Oh, mamma, mamma, mi farai impazzire’, dissi tra di me. Sentii lei alle mie spalle che si stringeva a me calda e vellutata. Il suo seno contro le mie spalle, il suo bacino contro le mie terga. Poi, come per rannicchiarsi meglio, scavalcò le mie gambe con la sua destra. E in questo suo abbraccio mi addormentai.
Mi risvegliai verso le sei e mezzo del mattino. Fuori era buio pesto, ma la nostra camera era illuminata flebilmente dalla luce della lucciola. C’era un caldo soffocante. Sicuramente mamma aveva alzato la temperatura del riscaldamento e pareva di essere in piena estate. Accesi la lampada del mio comodino e mi girai a guardare mia madre. Era completamente scoperta, supina, una gamba distesa, l’altra piegata scompostamente, la sottoveste raccolta sotto la schiena, un seno denudato. Una visione che abbagliava e infuocava. Nonostante fosse freddolosa, aveva accusato il caldo anche lei. Come si poteva resistere alla tentazione di accarezzarla? Dimenticai di scendere dal letto per abbassare la temperatura del riscaldamento e mi accostai a lei. Volevo solo accarezzarla come avrebbe fatto una leggera brezza innamorata. Dopo averle lambito con un bacio il capezzolo, calai le mie labbra sul suo pube, folto come una savana. Rovistai quella selva lussuriosa come incantato con delicatezza, poi, scesi dolcemente verso il solco ombrato dalla peluria baciandolo a fior di labbra come fosse la sua bocca. La sentii muovere e, indugiando nel mio bacio, sospirare. Mi feci più audace e, accoccolatomi ai suoi piedi naufragai letteralmente su quell’ogiva di malia erotica. Il suo grembo cominciò a contrarsi, come più fitti si fecero i sospiri. Il che mi incentivava a insistere nella mia carezza labiale. Mi eccitava sentirla godere: mi rimandava al momento in cui l’avevo vista masturbarsi nel sonno. Le schiusi le turgide labbra del sesso e lasciai che la mia lingua vi scorresse dentro, per poi fermarsi sul segreto castone del piacere, insistente, avido. Il suo lamento si fece più lungo, languido, profondo. Il suo pube leggermente si inarcò, quasi in un’offerta. Insistetti. La volevo sentire appagata dal godimento. Picchiettai e leccai quel pistillo fino a quando non sentii il suo grembo sobbalzarmi contro e una leggera, calda, rugiada bagnare le mie labbra. Contento che aveva goduto mi levai e mi distesi accanto a contemplarne il viso radioso e soddisfatto. Dopo qualche minuto, i suoi occhi si aprirono pian piano e videro i miei che dall’alto si beavano di lei.
‘Marco, che c’è? E’ già suonata la sveglia? Sei incantato a guardarmi? Allora sono davvero bella’. E si stiracchiò tutta. Arricciò il naso e allargò le braccia.
‘Vieni qui, sul mio petto. Ho bisogno di tenerti stretto a me. Sei il maschio della casa, la mia fortezza, la mia speranza, il mio futuro. Anima mia, anima mia’.
Io mio abbandonai nel suo abbraccio, il viso affondato nel suo seno e la mano a stringerne uno.
‘Vedi che non è suonata la sveglia’, dissi io. ‘Hai alzato la temperatura del riscaldamento a duecento. La sauna ci possiamo fare’.
‘Non sento caldo. Sto comoda’, rispose lei.
‘Tant’è ch’eri tutta scoperta. Sei tutta scoperta’
‘Un dono per i tuoi occhi. Ti piacerebbe stessi così. Mi vedi sempre nuda: ci dovresti aver fatto l’abitudine’.
‘Ma non ti fai toccare’.
‘Quando mai, se sei sempre con le manine a scorazzare dappertutto su di me!’
‘Dappertutto, no. E, poi, vuoi carezze da figlio’.
‘Lo so. Vorresti carezze più intemperanti. Marco, Marco, certe cose si possono sognare. Nei sogni si può fare tutto: la realtà è diversa’.
‘Mamma, mamma’ e mi strinsi di più a lei sollevando la mia gamba sinistra tutta su di lei. Il mio sesso gravò marmoreo contro il suo bacino. La sentii irrigidire anche se per qualche istante.
‘Mi sa che ci dobbiamo alzare. Tua sorella dorme come un angelo. Non facciamo rumore. Avremo così un po’ di tempo in più per farci la doccia, prepararci la colazione con calma. Domani, che è domenica, potremo poltrire di più a letto, sempre se tu lo consenti’. E, senza darmi nemmeno il tempo di protestare, si alzò dal letto e scese a terra. Si infilò le ciabatte e si diresse verso il bagno.
‘Allora, poltrone che fai? Non mi raggiungi?’.
Figuratevi se non la raggiungevo. Ero talmente galvanizzato dal desiderio che la raggiunsi in un attimo.
‘Fatti insaponare da me. Questo me lo puoi concedere almeno’.
‘Solo le spalle. Ti concedo solo le spalle’.
L’acqua cominciò a piovere dalla doccia. Presi il contenitore del sapone e lo spremetti sulle spalle. Dopodiché mi detti a spalmarlo dappertutto con irruenza, fervore. ‘Piano, piano’, mi invitò lei con affanno. L’acqua cadeva galeotta sui nostri visi, le spalle, il petto, il sesso. I peli erano come impreziositi da gocce di brillante che rendevano più conturbanti il suo corpo, la sua femminilità. Mi ritrovai inconsciamente a baciarla, circondandola da dietro, sulle guance, sul collo, mentre con una mano la tenevo stretta per un seno e con l’altro le ghermivo il sesso.
‘Marco, Marco no, non si può. Oh, Marco, fermati’, ansava, mentre la tempestavo di baci, non rispondendo certo ai miei, ma non sottraendosi. Serrai il mio sesso contro le sue terga e non la sentii scostarsi, mentre mi invitava a smettere. Ma il suo respiro era sempre più affannato, il seno sempre più ansante. La girai verso di me. Si girò verso di me. Ne cercai la bocca, che schiuse leggermente. Non rispondeva ai miei baci, ma li raccoglieva tutti come la pioggia di acqua che ci scrosciava addosso. Le raccolsi i seni tra le mani e vi tuffai il mio viso, stordendo quelle sfere voluttuose con l’ardore dei mie baci, dei miei morsi leggeri. Sembrava anche lei travolta dal fuoco da cui era bruciato io. Le presi la mano e la spinsi sul mio sesso. La guardai con la supplica negli occhi. Raccolse il mio sesso nel suo pugno e cominciò a masturbarlo, mentre mi tenevo stretto a lei, avvinghiato, la gota del suo viso contro la mia. Se il mio cuore batteva a mille, il suo non era di meno. Dolcemente avanti e indietro, avanti e indietro. Quando sentii che stavo per venire, serrai il mio bacino contro il suo. Non si sottrasse. Con la mano lasciò che si indirizzasse sotto il suo perineo e venni dentro quell’ogiva fiammante, mentre l’acqua scrosciava sopra di noi, portandosi via l’onda del mio godimento.
‘Su andiamo a fare colazione’, disse staccandosi con dolcezza da me.
‘Mamma, io”.
‘Shiii. Ho una gran fame. E oggi sarà una giornata dura allo Sma’.
Quando uscii per recarmi a scuola con mia sorella e feci per baciarla sulla guancia, lei mi fermò per le spalle, rimirandomi e spinse il bacino contro il mio, stringendomi a sé. Il mio sesso si rizzò immediatamente e lei mi trattenne su di sé, quindi, le labbra schiuse, mi baciò vereconda sulle labbra. Lei si diresse verso l’automobile, io, il cuore in tumulto, e Giada verso la scuola.
Erano quasi le nove di sera, quando lei fece il suo ingresso in casa. Ero febbricitante e nervoso. Mi aspettavo tanto e nel contempo nulla di più di quel che mia aveva concesso. Aveva il viso stanco, ma, quando mi vide, capì che ero teso e mi sorrise. Mi sporsi per baciarla e, per la seconda volta nella mia vita, mi porse le labbra. Era, certo, un bacio da educanda, ma sulle labbra, come fa un’innamorata. Aveva bisogno di tempo, ma ero convinto che sarebbe stata mia, la mia donna. La seguii come un’ombra nella camera da letto. Lei si spogliò, rimanendo in mutandine e reggiseno e fece per indossare un grembiule. L’abbracciai per la vita, baciandola sul collo. Lei si girò e mi guardò sorridente.
‘Sono stanca. Il sabato è infernale: Che hai fatto oggi a scuola? A tavola voglio sapere tutto. Sai che sono gelosa’. Ancora una volta, mentre parlava e la serravo per la vita, pressò il suo pube contro il mio, che avvertì, ovviamente, la prepotenza già turgida del mio sesso.
‘Non hai motivo di esserlo. Tu sei non solo nel mio cuore, nella mia mente, ma anche nei miei occhi sempre. Io non vedo altri visi se non il tuo. Se potessi, ti vorrei ogni attimo con me’.
‘Mi ami così tanto, allora. Sei un romantico d’altri tempi. Come si fa a resisterti?’.
‘Oh, mamma, mamma’, e cominciai a baciarla sugli occhi, poi la bocca. Le mie mani corsero al suo seno. Lei schiuse trepida le labbra. Non ricambiò con la passione che imprimevo io ai miei baci, ma le accettava e il suo grembo non si staccava dal mio, ma timidamente e decisamente vi strusciava contro. Quando feci per cercarle il sesso, però, lei mi scostò, il viso in fiamme.
‘Mi vuoi fare preparare la cena? Giada comincerà a chiamare. E’ sola in cucina. Si chiederà che staremo facendo’.
La guardai con gli occhi perduti.
‘Vorrei perdermi tra i tuoi seni. Sono perfetti, meravigliosi. Drogano. Si, mi drogano’.
‘Non so se mi fanno un po’ male perché mi devono venire le mestruazioni. Ma ancora mancherebbe una settimana. No, è perché tu me li stringi troppo’.
‘E’ il reggiseno che ti stringe troppo. Perché non te lo togli’.
‘ Se lo vuoi vedere sempre così sostenuto, lo devo curare, non credi?, con un buon reggiseno’.
‘Le coppe delle mie mani ti faranno da reggiseno. Levalo per questa volta’. E, presala per le spalle, la girai.
‘Ma che fai?’, rise lei, mentre le sbottonavo il grembiule e andai a slacciarle il reggiseno, per raccogliere le sue mammelle tra le mie mani. La voglia di lei era prepotente. Se la sua ragione non avesse interferito con il suo istinto, si sarebbe abbandonata tra le mie braccia. Al momento accettava solo questo gioco dei sensi e io dovevo rispettarlo, anche se era una tortura. Ubriacai le mie mani nel palparle, pizzicarle. Lei mi porgeva, girando la testa, le labbra schiuse che io baciavo avido. Il suo di dietro premeva sul mio sesso. Ansimò, mentre si strofinava contro di me. Poi, si staccò decisa.
‘Mi farai perdere completamente la testa. Io devo ragionare per tutti e due. Tu hai gli ormoni in tempesta, ma io sono adulta e devo essere saggia per entrambi’.
‘Mamma!’, era il grido di Giada. ‘Mamma, ho fame!’. Si rassettò. Restando senza reggiseno. Sulla soglia della porta si fermò. Rifletté un attimo, si portò le mani sotto il grembiule e, guardandomi di sottecchi, con un sorriso assassino, si sfilò le mutandine. Capì che era così che la volevo, anche se non avevo avuto il coraggio di chiederglielo. Mentre cucinava mi portai dietro di lei, prendendola per la vita.
‘Fammi cucinare. Giada, distrai tuo fratello, se volete cenare presto. Su, sii buono’.
Ma, sempre da dietro, le cercai il seno, prendendole i capezzoli.
‘Marco, Marco’, sospirò’, ma le piaceva che le palpassi i seni. Restando coperta perché mia sorella non se ne avvedesse. Mi feci più audace. Del resto, non mi aveva lei incentivato? Perché si era tolta le mutandine, se non avesse voluto? E, senza darlo a vedere a Giada, sapendo che dinanzi a lei mamma non avrebbe potuto protestare, la cercai nel grembo sotto la vestaglia. Lei sobbalzò, cercando di togliermi la mano. Non desistetti, l’afferrai per il vello. Lei tentava di scacciare la mano. La cercai nel sesso e cominciai a masturbarla. Si dibatté, senza darlo a vedere, in silenzio, tentando di respingere via la mano. Ma il fiato si faceva pesante. La parte più profonda di lei voleva, eccome. Il viso sul collo, una mano sul seno, lei mi strattonava, io la rovistavo. La mammella sobbalzava nella mia mano dall’accelerazione dei battiti del suo cuore. Infine, si arrese e aspettò di godere, mentre si abbandonava contro la mia spalla. La frugai con un dito, poi due, la titillai ancora, ancora e ancora. Il mio sesso, pigiava marmoreo contro le sue terga che l’apprezzavano. La sentii nitidamente contrarsi. Stava godendo. La mia mano si bagnò del suo miele adorato. Si girò, il viso in fiamme, gli occhi di fuoco. ‘Ti odio, ti odio’, mi sussurrò. Ma gli occhi cantavano un inno diverso. Ormai dovevo aspettare la notte, quando saremmo andati a letto.
Fu una serata insolita. Seduto accanto a lei sul divano, davanti al televisore, anche se Giada era vicina, la cercavo nel sesso. Lei mi allontanava. Le prendevo la mano e la posavo sul mio. Lei non la toglieva, ma la teneva immobile. E questo mi esasperava. Ad un tratto mi gridò sottovoce: ‘Basta, Marco. Per stasera, basta’. Giada vedeva quello strano agitarci e ci guardava. Mamma protestava, però, non si allontanava da me. Quando capì che volevo restare il più possibile con la mano nel suo grembo, si alzò e io credei che si sedesse altrove. Invece tornò con un plaid. Si riaccomodò accanto a me e, come se sentisse freddo ‘ era impossibile con la temperatura alta che c’era in casa,- coprì le gambe sue e le mie. Lo faceva per mia sorella, perché non si accorgesse di quelle strane manovre. Allora, le piaceva! Lo sapevo! Era tutta una pantomima per eccitarmi di più. Tornai alla carica. Come prima lei tentò di allontanare la mia mano, infine si arrese, accettando pure di rimanere con la sua dentro la mia patta. Non la masturbai questa volta. Volevo solo tenerla lì, calda, in quel vello voluttuoso. Era da un po’ che la sua mano stava nei miei calzoni, quando le sue dita lentamente si mossero e cercarono i miei testicoli. Mi sentii sprofondare nel cuore. La mano di mia madre mi mungeva dolcemente. Non avrei mai immaginato ‘ non ne avevo consapevolezza, – che si potesse provare un piacere così intenso. Allentava e serrava, allentava e serrava. Con la punta delle dita pigiava deliziosamente alla radice dei testicoli. Il piacere si fece sempre più forte, il mio membro si tese al parossismo. Mi aggrappai al sesso di lei, mentre venivo copioso nella sua mano. Continuò per qualche minuto a massaggiarmi il pene, avanti e indietro, poi tirò la mano fuori dalla mia patta, asciugandola sul grembiule.
Rimasi così tranquillo fino a quando lei si alzò per permettere a Giada che cascava dal sonno di coricarsi.
‘Voglio vedere’, biascicò Giada, ‘quando darai un po’ di attenzioni anche a me. Come se non fossi pure io una donna!’
‘Lurida mocciosa’, feci io, scompigliandole i capelli. ‘Se non mi lasci mai da solo. Sei sempre in mezzo; e mi fai pure litigare con qualcuno che ti viene dietro’.
‘Il mio eroe!’, mi canzonò. ‘E, comunque, resta il fatto che quando sei in casa sei sempre addosso a mamma e me, manco mi vedi. Vattene con mamma, va via, che sto cascando dal sonno’.
‘Hai capito, la signorina: mi fa penare tutta la giornata, tu vieni solo la sera tardi e pure si lagna. Ah, la gratitudine’.
‘Che faccia tosta! Sta tutto il pomeriggio per i fatti suoi. Quando mai con tutte le smancerie che fai a mamma. Baci a destra e carezze a mamma. Se non ti stanassi io, saresti peggio di un fantasma’.
‘Buonanotte, tesoro’, disse mamma. ‘Lascialo perdere questo ragazzaccio. Ora glielo faccio io il discorsetto.’ E si indirizzò verso la cucina. Io la seguii a ruota.
‘Ho bisogno di un litro di camomilla: sono troppo euforica’, e si accinse a prendere dalla mensola una scatola di bustine di camomilla. Mi feci subito accanto e l’abbracciai, baciandola sul collo.
‘Smettila: mi fai venire i brividi’.
Feci per cercarle i seni. Lei parve respingermi. La girai e tentai di baciarla sulla bocca.
‘Allora, che facciamo? Andiamo a letto o restiamo ancora qui a giocare allo scoperto?’. Così mi affrontò guardandomi fitto negli occhi. ‘Sì, ché solo questo possiamo fare. Il resto non ci è consentito. Almeno io, non posso, non voglio andare oltre’.
‘Ma tu mi desideri, vero, come ti desidero io?’; balbettai. ‘Non è che lo fai per compiacermi, perché mi vuoi bene?’, continuai spaventato. In fondo ero un ragazzo, anche se volevo fare l’uomo consumato.
Lei capì la mia trepidazione. ‘Ti ho già detto che nel sogno, quando si dorme, tutto diventa lecito, ma da svegli tanti nostri desideri devono essere domati. No, non sono costretta a corrisponderti. Certo, se non fossi stata sollecitata da te, quei desideri proibiti sarebbero rimasti nascosti dentro il mio cuore, ma ora che sono emersi in modo così vistoso, non posso più tenerli segreti. E’ da una vita che non sentivo una mano maschile cercare la mia femminilità. Era come una fiamma che covava nella cenere. Tu l’hai scoperta e fatta deflagrare e so che non potrò più farne a meno, se tu mi tenti. Non mi chiedere, però, più oltre. E’ proibito. Non si può, non si può’.
‘E’ senza senso ciò che ci vuoi imporre. Che logica è la tua? Proibito fare l’amore. E’ questo che intendi, non è così? Masturbarsi allora si può e fare l’amore no? Non lo capisco, davvero. Tu lo desideri, vero? Desideri fare l’amore con me. Dillo. Se è vero, dillo. Almeno questo lo devi. Voglio sentirtelo dire: voglio fare l’amore con te’.
‘Non ti basta che ti faccia godere? A me basta. Vedi quanto piacere si può avere lo stesso, senza, sì, quella cosa’.
‘Perché non hai il coraggio di pronunciarlo, perché?’. Mi feci incontro e le raccolsi il viso tra le mani. Tremavano le sue morbide labbra di desiderio. Vi apposi le mie in un bacio appassionato e con la lingua cercai che schiudesse del tutto la bocca. Fremente la baciavo e sospingevo la lingua. Scostava il viso nel falso tentativo di districarsi, ma non desistevo dal tormentarle la bocca con le mie labbra e la lingua. Fu la sua ultima resistenza. Si abbandonò al mio bacio, la lingua dentro la lingua, la saliva mischiata alla mia. Cercai ancora il suo seno, mi persi sopra il suo sesso. D’un colpo lei mi respinse. ‘Non ti resisto, se insisti. Mi costringi allora a scappare via, fuori, di notte. E’ questo che vuoi. Non posso fare l’amore, non posso. E’ peccato, peccato. E’ proibito. Non posso però resisterti. Non sono così forte come pensi. Ti cederei, ma il rimorso mi ucciderebbe. Ti prego, accontentati delle carezze. Sai, ti ho dato una piccola prova: so fare tante cose che ti spicciano tanto piacere. Ti insegnerò come farmi godere, senza fare l’amore. Lo fanno le donne tra loro. Ti insegnerò a farlo con me’.
‘Io non sono una donna. L’hai visto e sentito’.
‘Hai compreso benissimo. Mi puoi prendere, se vuoi. Non opporrò resistenza. Ma è come se mi uccidessi. Godiamo di quello che abbiamo. Tu non immagini i miei giochi d’amore. E’ come se lo facessimo’.
‘Oh, mamma, che dici, che dici. E’ meglio che andiamo a coricarci. Non ti prenderei mai contro il tuo desiderio, per vederti infelice. L’amore è gioia radiosa, è luce, è sorriso, è la vita, mamma, la vita. Faremo l’amore solo quando sarai pronta. Io so che tu lo farai, ma senza il veleno del rimorso. Ti voglio vedere gioire, quando faremo l’amore. Prenderti in ogni occasione solo perché tu ne goda, ti senta appagata e serena. Su vieni a letto’.
Ci spogliammo e ci coricammo nudi pieni di voglia. La presi tra le mie braccia e la travolsi di baci. La sua bocca ripose con passione, vorticando sulle mie labbra. Cercò col suo pube il mio sesso che le scivolò sotto il suo. Lo voleva ora sentire duro e ruggente sul suo. Poi presi a baciarmi con voluttà. Non si ritenne più ormai di stringere in mano il mio sesso o di baciarlo o ancora di suggerlo, avvolgendolo, nella sua bocca. Era vero: seppe farmi godere senza farmi eiaculare, esasperando sino all’inverosimile i miei sensi infiammati. Guidò la mia mano sul suo corpo con sapienza raffinata, che la fece torcere dal godimento. La mia lingua, le labbra le torturarono i seni e tutte le pieghe del sesso sino a sfinirla dal tripudio dei sensi. Ma, come non avvedersi che rimaneva incompleto quell’intrecciarsi dei corpi nello stillare piacere, senza l’amplesso d’amore. Tantalo s’avvicinava per raccogliere l’acqua con la bocca riarsa, ma, appena era a lambirla, l’acqua si ritirava. Così era di lei. La voglia l’attanagliava di sentire il mio maglio scendere dentro di lei, ma, quando stava a lambire quelle labbra golose, si ritraeva scomposta come da una minaccia paurosa. Certo godetti intensamente nella sua bocca assetata: non era l’alcova agognata.
‘Aiutami a farmi addormentare, come fai ogni notte, la tua mano stretta sul mio seno e col tuo bacino contro il mio di dietro e il tuo sesso a scorrere sotto il mio. Aiutami a dormire: mi hai stremata’.
‘Non appagata, non appagata. Tu lo desideravi, quanto me, ma non hai avuto il coraggio’.
‘Amore mio, amore mio! Chissà, forse tra un mese, due, chissà. Sicuramente lo sognerò e godrò di te nel sonno. Da sveglia dovrà essere naturale, dovrà avvenire naturalmente. Potrai prenderti, allora, non solo il mio grembo, ma anche quella parte più segreta. Abbracciami’.
Si accucciò contro di me e poco dopo si addormentò. Ma le sue ultime parole avevano accresciuto il mio desiderio che non si era per niente spento. Il mio membro svettava come un obelisco tra le sue gambe. Allungai la mano e la accarezzai nel sesso da dietro, partendo dal buchetto tra le natiche. Lei si agitò e si strinse di più a me, ripiegando verso l’alto un poco le gambe. Il suo sesso si schiuse invitante sopra il mio membro. Non capivo più niente. Lo vedevo come un invito ineludibile. Lei dormiva: non ne avrebbe avuto coscienza. Se avesse goduto nel sonno ‘ non l’aveva detto sempre lei?- non avrebbe avuto rimorso. L’accarezzai ancora di sotto, vi feci sgusciare un dito nella fessura agognata. Era ancora bagnata e vi scivolai quasi con un risucchio. Andavo e venivo, riuscito, la masturbavo e nuovamente la penetravo col dito, poi con due dita. Si strinse ancora di più a me col suo culetto. La sentii sussultare nella mia mano che si bagnò dei suoi umori. Nel sonno stava godendo. Mi decisi. Poggiai la punta del glande e lentamente la penetrai. Il cuore mi si slargò nel petto. Come la sentii tanto mia. Era come se quella vagina attendesse la sua giusta spada. Lingua di fuoco sul mio sesso mentre infierivo su lei. Lei che sospirava con lamenti profondi. Stava sognando che la possedevo. La vidi mordersi le labbra, il viso striato dal piacere. L’abbrancavo per il seno, mentre scorrevo dentro di lei. Andavo e venivo più veloce. Lasciai con la mano il suo seno e mi ancorai al suo ventre. Avanti e indietro, avanti e indietro. Volevo venire dentro di lei. E, se restava poi incinta? Ma non mi aveva detto che era vicina alle mestruazioni? Allora potevo inondarle col seme il suo grembo. Certo, potevo. Frenetico mi muovevo dentro di lei, i miei testicoli schiaffeggiavano le sue natiche. Poi fu uno spasmo e mai godimento fu intenso come quello provato fino allora. Anche lei singhiozzò di lamenti, pur dormendo, del godimento provato. La sentii vivamente contrarsi contro il mio petto. Ora potevo dormire. Lei ridistese le gambe ad incontrare le mie. Ora era serena, riposava tranquilla. Aveva goduto nel sonno con quell’amplesso proibito. Anch’io ero appagato. Potevo finalmente dormire.
Fu lei la prima a svegliarsi questa volta e a svegliarmi con un bacio sulla bocca.
‘Buongiorno, maschione. Hai dormito bene? Io mi sento meravigliosamente in forma’, e mi si buttò addosso nella sua radiosa nudità. Ora non mostrava più ritrosie, riposti pudori. Si mostrava e agiva come una disinibita amante e io ero stordito dalla sua carnalità, ipnotizzato dalla sua bellezza, ammaliato dalle sue forme, irrimediabilmente innamorato della sua femminilità. Sapeva quanto il suo seno mi affascinava e mi eccitava, perciò lo lasciò appena gravare sul mio petto, scivolandolo sempre più in giù fino a strusciarlo sul mio sesso, ritto come l’albero di una nave. Niente più timidezze ormai, inibizioni. Prese quell’asta di carne e la fece scorrere nell’incavo dei seni, giocò a punzecchiare con i capezzoli duri nella loro morbidezza la punta del glande. Poi, se la portò contro il viso, la accarezzò, la vezzeggiò, la baciò, la cullò, ne succhiò i testicoli sballottandoli dentro la bocca tra una guancia e l’altra. Quindi, si sedette e guardandomi con un sorriso luminoso, gli occhi accesi dalla bramosia, mi disse: ‘Voglio vederlo eruttare la passione che lo incalza’. E cercò il mio sguardo d’intesa. Io bruciavo dalla voglia e sbattei le palpebre senza parlare. Lei, come impugnando uno scettro regale, cominciò a masturbare il mio membro. Prima con un saliscendi lento, quasi esasperato, poi più veloce, fino a diventare frenetico, il viso a ridosso a divorarlo con gli occhi. Il getto schizzò su violento, investendole il volto e inondando la mano. Bramosa calò la sua bocca a nettare il mio glande. Io mi sentii estasiare.
Poi, in uno slancio d’amore, mi si gettò addosso e mi travolse di baci.
‘Ti amo, ti amo, ti amo. Non dovrei, so che non dovrei. E’ un peccato, un peccato. Però non stiamo facendo l’amore. Sono felice che tu mi trovi bella, seducente. In fondo, che facciamo? Ci concediamo dei gesti più affettuosi dell’usuale. Ma non è vero che le nonne di un tempo per calmare il nervosismo dei bambini piccoli, maschi o femmine che fossero, li masturbassero. C’era qualcuno che per questo si scandalizzava? Effusioni, sono solo effusioni d’amore, d’un amore senza confini. La traduzione esteriore, fisica, di quest’amore. Basta che non facciamo quello, non credi?’.
‘Mamma, tu non puoi nemmeno immaginare quanto ti ami e ti desideri. Io voglio fare l’amore con te, stare dentro di te. Quando mi dai la tua bocca, o la tua mano e ti vengo lì e qua, certo che mi fai godere un mondo, ma non è la stessa cosa, non siamo una sola cosa. E’ tutto esteriore. Se sto dentro di te ti sentirai mia, mi sentirai tuo. Ero tuo perché ero dentro di te, quand’ero un feto. Ecco: debbo stare dentro di te, per ridiventare tuo, essere mia. Sentirmi dentro di te, nelle tue mucose, il mio sesso che si gonfia dentro di esse e tu lo senti pulsare, avvampare, ne senti il getto che asperge l’utero, lo senti reclinare. Come fai a negarti questo dono, a negarlo a me? Sei la mia donna, la mia: voglio entrare lì, da dove sono uscito’.
‘Marco, Marco, mi fai impazzire. Mi hai fatto bagnare, tanto mi hai eccitata con queste parole. Mi hai scopata con esse. Sì, mi hai scopata. Vedi? Lo dico: mi hai scopata. Non c’è bisogno di farlo in quel modo. E’ un fatto mentale. Tu l’hai descritto come se fossi dentro di me e io così l’ho sentito e ho goduto. Guarda: il tuo gingillo si è inarcato. Hai visto come hai reagito?’.
‘Cosa dici, mamma? Mi si rizza in qualsiasi momento, se ti ho vicino. Oh, mamma, mamma: ti scoperei tutti gli istanti della mia vita. Sei un sogno di lussuria, uno scrigno di altissimo erotismo. I tuoi seni sono cuscini di cocaina, la tua fica è una grotta di perdizione, di goduria senza confini. Fammi entrare in quella grotta. Hai sognato che facevamo l’amore, lo hai sognato? Ti ho vista in viso, mentre dormivi, il viso radioso, sognante. E se lo hai sognato, è perché lo agogni. Allora, perché non realizzare il sogno, visto che siamo qui vicini e bramosi di amarci?’.
‘Sì, l’ho sognato. Lo ricordo bene. Mi hai fatto godere tanto. Ma nel sogno ‘ te l’ho già detto ‘ tutto è permesso. Non ci pensare, goditi ora i miei seni e fammi godere. Devastali, martirizzali, sprizza mille orgasmi da essi. Stringili, baciali, non parlare più’.
Calò su di mie i suoi occhi neri carichi di desiderio, avvolgendomi la mente e l’anima, e mi tuffai in quelle colline fumiganti di concupiscenza. Capivo che era più di una grande passione, era una febbre, un incendio che ti colava nelle ossa, te li corrodeva. Martoriai veramente quelle mammelle che mi stregavano e la feci spasimare dal piacere. Poi, scavalcatomi, si mise carponi su di me con il suo sesso pencolante sul mio viso e il suo a ridosso dei miei genitali. L’avevo vista, quella posizione, nei film porno, ma non l’avrei mai immaginata a praticare con mia madre.
‘Leccami e penetrami con la punta della lingua e resisti nel venire fino a quando te lo dico io’, quindi abbracciò il mio genitale e lo infervorò di stimoli da renderli insopportabili. Volevo far esplodere pure lei dal godimento, sentirla sussultare sul mio viso. Intanto, cercavo di trattenermi, ma lei era più che esperta sul come fare. Capiva quando stavo per venire e riusciva a spegnere il rigurgito che saliva dai testicoli. Poi, la voce rotta dal piacere, sillabò: ‘Ora, ora, vieni, vieni’. Esplosi, il sesso chiuso nella sua bocca, e lei, senza farlo fuoriuscire, inghiottì sino all’ultima goccia lo sfogo del mio orgasmo. Avrei dovuto essere sfinito, spompato e, invece, mi bastava sfiorarla perché la voglia di lei riprincipiava. Volevo possederla, entrare in lei. Sì, l’avevo presa, l’avevo scopata, la sensazione era stata deliziosa, solo che lei non aveva partecipato. O meglio: aveva goduto, ma quasi in silenzio, quasi immobile, passivamente e io la volevo vedere torcere sotto o sopra di me, il viso stravolto dal godimento.
Una voce, quella di Giada. Fosse entrata qualche istante prima ci avrebbe colto in flagrante. Sobbalzammo all’unisono: non era mai entrata così silenziosamente di mattina, anche perché, dormigliona, si svegliava sempre dopo di noi.
‘Avete intenzione di farmi morire di fame. Marco, ehi, tutto nudo! Verrebbe un infarto alle mie compagne a vederti così: potrei farmi pagare il biglietto e farti ammirare di nascosto: vedi i pettegolezzi, però, a vederti con mamma. Mamma, è un figo Marco, non è vero?’
‘Sì, un figo. Anzi, di più: è uno splendore, più bello e possente di un arcangelo. E lo amo’.
‘Anch’io, mamma, anch’io, anche se non come te’.
Io mi ero prontamente coperto le pudenda, mamma non si era per nulla scomposta. Giada era abituata a vederla nuda come me, ma non nel letto insieme a me nudo e con l’asta in erezione. Non so se mia sorella fosse sorpresa, indifferente o divertita. Scandalizzata no. Non era certamente ingenua. Aveva tredici anni, ma era già una bella fanciulla con una seconda piena di seno, le gambe lunghe e un vitino di vespa. E sapeva di essere seducente, anche se non si truccava, non solo perché mamma non l’avrebbe permesso, ma perché sapeva di non averne bisogno. Eppure, nonostante non avessimo problemi di pudore, non credo, o almeno, non ci avevo fatto mai caso, di avere visto mia sorella completamente nuda. Mamma si infilò una maglietta e la gonna. Non indossò né reggiseno, né mutandine. Una dimenticanza o una cosa voluta come il giorno precedente? E Giada? Che avrebbe pensato Giada? Non ci volle molto, almeno secondo la mia impressione ‘ o forse perché mi sentivo colpevole avevo quell’impressione, – ad accorgermi che ci tallonava da presso. Discreta, ma attenta. Io ambivo toccare mia madre, palpeggiarla. Non avevamo nemmeno fatto la doccia insieme. E avevo così voglia di sentire quelle magnolie di voluttà, quella sua foresta nera, come pure certamente ne aveva lei.
Mamma cominciava ad acconciarsi a preparare il pranzo che chiese a Giada se andava a stendere la biancheria in lavatrice.
Con indolenza, lei svuotò la lavatrice e si portò sul balcone per stendere la biancheria. Eravamo sicuramente invasati. Ci buttammo subito uno nelle braccia dell’altra, assetati, avidi, come se non ci fossimo visti da mesi. L’afferrai per i seni agognati, la maglietta alzata, il viso perso su di essi. Indietreggiando sotto la mia irruenza, finì per sbattere contro il tavolo di cucina. La rovesciai sopra, braccandole il sesso. Mi ubriacai del suo odore penetrante, mentre lei mi si stringeva con le gambe attorno alle spalle. Furono pochi minuti, intensi, frenetici, che ci lasciarono con le fiamme nel sangue. Il desiderio e la paura si scontrarono: vinse la pura che, per qualche motivo, Giada rientrasse prima. Mamma si rimise a preparare. Io le stavo dietro le spalle, un occhio alla porta del saloncino e la mano sotto la sua maglietta. Che cosa potevo trovare di più di quel che la mia mano già sapeva? Perché quel morboso desiderio di sentire quella fioritura femminile sempre nella mia mano, perché anche lei godeva nel sentirsela agognata e abbrancata? Non saremmo mica impazziti, madre e figlio. E, se tutta questa frenesia era perché non potevamo sfogare i nostri sensi con la sua penetrazione e trovava il suo sfogo in questo altissimo surrogato erotico? Stavo cercando nuovamente di artigliare la sua intimità, quando scorsi mia sorella che rientrava. Lasciai subito mamma e mi girai, appoggiandomi contro il piano della cucina.
‘Penso che una volta tanto anche tu potresti andare a stendere la biancheria: solo come principio, non perché mi secchi. Piuttosto, invece di stare lì senza far nulla e distrarre mamma, perché non mi aiuti a fare i compiti?’.
‘Come se avessi bisogno di me!’
‘E chi l’ha detto che non ne ho. Fosse anche del tuo sostegno morale. Avanti, sta un po’ con me: non esiste solo mamma’.
‘Su, va con Giada. Ha ragione di essere gelosa. Giada, guarda che tuo fratello ti adora. Ma tu lo sai. E’ che quando è con me, si lascia trasportare: ci vediamo così poco’.
‘Se dormite insieme: ci manca solo il cordone ombelicale per non lasciarti completamente. Respira pure un po’ l’odore di tua sorella’, disse rivolta a me’.
La seguii nel salone. Lei tirò fuori libri e quaderni e cominciò a sfogliarli con me che le stavo accanto.
‘Mi trovi bella? Se non fossi mio fratello, attirerei la tua attenzione?’.
‘Sai che sei bella, ne abbiamo parlato. Se non ti guardano in modo casto gli altri ragazzi, perché lo dovrei fare io?’.
‘Allora ti piaccio o mi trovi troppo piccola per un giudizio sessualmente interessato?’.
‘Perché? Tu saresti una fanciulla che non suscita desideri sessuali?’.
‘Hai capito benissimo. Sono troppo piccola perché tu possa sentirti attratto sessualmente da me. I fratelli sono attratti dalle sorelle. Ogni fratello vorrebbe scoparsi la sorella’.
‘Giada, stai dando i numeri! Non essere volgare. Sì, può darsi che un fratello voglia farsi la sorella: non è il mio caso’.
‘Perché sono piccola o perché non suscito sogni erotici. Insomma: se mi vedessi nuda’ ti intrigherei? E non mi tacciare di volgarità, come non avessi sentito in che modo conversi con i tuoi amici, maschi e femmine’.
‘Che c’entra. Perché anche se ti desiderassi come donna, non ci penserei perché sei mia sorella’.
‘Allora con mamma? Ti fai la doccia con lei e, per giunta, nudo nel letto con un pennone inalberato. L’ho visto sai. E cos’è quello se non desiderio erotico?’.
‘ Che c’entra, Giada. Mamma l’ha raccontato tante di quelle volte. E’ da quando sono nato che dormo con lei e che mi attacco al suo seno. E’ come se mi mettessi il dito in bocca mentre dormo’.
‘Col dito in bocca non si rizza all’arma bianca’.
‘E’ una cosa che avviene a tutti i ragazzi, quando si svegliano’.
‘Ti eri già svegliato da molto prima. Allora, se è così innocente, se non ti suscita nessun appetito erotico, non accadrebbe pure con me, tenendomi un seno’.
‘Giada, non ti capisco davvero. Mamma è mamma: mi ha partorito. Tu non sei mia madre’.
‘Che dovrebbe suscitarti istinti erotici più casti di quanti non te ne susciti io. Però, il tuo arnese la pensa diversamente. Io volevo sapere se ti farei lo stesso effetto. Non per altro: visto che sono tua sorella, posso permettermi di sapere senza pregiudizi che effetto faccio a un ragazzo, se gli faccio toccare le mie tette’.
‘Vuoi che ti tocchi le tette? Stai scherzando’.
‘Ti faccio proprio schifo. Sei un cafone, allora’.
‘Non so che t’è successo stamattina. Io non ho detto che le tue tette non mi possano turbare. Dico solo che”
Non mi lasciò finire. ‘Voglio che tu me li palpeggi come farebbe un eventuale mio ragazzo. Su, stringimi e fai il conto che sei il mio ragazzo’, e, prendendomi per le mani se li portò sui propri fianchi, mentre si stringeva a me. ‘Avanti, Marco, lo voglio’, disse con la voce arrochita, tanto da farmi venire un brivido. L’avevo vista solo e sempre come una bambina. Perplesso, ma con il fiato sospeso, lasciai le mie mani scivolare sotto la maglietta e cominciai a risalire con le mani fino ad incontrare i suoi seni, piccoli, ma sodi e vellutati. Li raccolsi, tenendo immobili le dita su di essi. Lei si girò dandomi le spalle. ‘Accarezzali’, mi intimò sempre con quella voce roca che non conoscevo. Mi sentivo stringere la gola. Era un’emozione che non immaginavo. Lentamente cominciai a brancolare le dita in quelle sue ghiandole mammarie più che appetibili e il mio sesso ne risentì insorgendo. Cosa di cui lei si accorse, visto che mi stava incollata addosso. La palpeggiai per alcuni minuti, le stropicciai i piccoli capezzoli tra le dita, quindi mi sfilai da quel teatro così femminile. Lessi il suo disappunto sul suo viso.
‘Allora non sei insensibile al mio fascino. Non immagini quanto sono orgogliosa, non lo immagini. Se faccio questo effetto a te, figuriamoci ad un estraneo’.
‘Estraneo? Quale estraneo. Non permetterei a nessuno di toccarti per puro passatempo. Come se non sapessi quello che fanno con le tue amiche, e che ci stanno a farsi fare. Non mia sorella’.
‘E chi me lo impedirebbe, tu? Come faresti a saperlo. E, poi, se non ti interesso, che ti importa? A me è piaciuto tanto. Ho provato sensazioni sconosciute. Se le mani di mio fratello mi provocano questo, figuriamoci quelle di un altro’.
‘Oggi tu sei impazzita. Mi hai costretto a fare una cosa che non avrei mai pensato di fare e ora mi dici che vorresti pomiciare con uno di quei deficienti che non aspettano altri di gingillarsi con una ragazzina e magari mettertelo dentro. Non te lo permetterò: ci puoi scommettere. Del resto ti sto sempre dietro’.
Sorrise deliziosamente. Dio quant’era bella! Come ho potuto non accorgermi.
‘Sei geloso, geloso. Che bello: sei geloso di me’, e mi gettò le braccia al collo, baciandomi felice sulle guance. ‘Stringimi ancora un poco le tette, ancora un poco’. Imbarazzato, ma voglioso, portai le mani sul suo petto, sopra la stoffa. Lei me le rimise sul costato sotto il tessuto. Risalii a riprendere quelle morbide, voluttuose piccole colline e ne assaporai ancora meglio la concupiscenza adolescenziale. E quelle piccole escrescenze carnee erano decisamente conturbanti. Le lasciai scorrere tra i miei polpastrelli fino a farli diventare turgidi come corbezzoli. Lei si stringeva a me apprezzando la prepotenza del mio sesso a pigiare sul suo. Poi, con un atto di volontà, mi staccai da lei.
‘Ora mettiti davvero a studiare. Torno in cucina’.
‘Sei fantastico e ti piaccio. Le mie tette ti piacciono, ti eccitano. Come sono contenta. Va da mamma, va pure. Chiamatemi quand’è pronto’.
Ma come: prima ha fatto il guardiano e ora mi lasciava via libera? Aveva capito, forse, che io e mamma eravamo amanti? No, che non l’aveva capito. Immaginava solo qualche carezza più ardita. Ma in fondo che cos’erano le nostre effusioni, se non carezze un po’ più ardite? Ero, intanto, così infoiato che lo sbocco naturale era quello di fare l’amore con mamma, ma lei non voleva, non voleva e io scoppiavo dal desiderio.
Mi vidi catapultarecome una valanga su di lei e, sicuro che Giada non si sarebbe fatta vedere, le cercai avidamente la bocca, togliendole il respiro con i miei baci. Riuscì solo a sussurrare il nome di Giada.
‘Non viene’, la rassicurai ansante, ‘non viene’ e continuai a baciarla.
‘Aspetta, calmati, ché brucio tutto. Aspetta quanto abbasso la fiamma del gas’.
‘Ti voglio scopare, ora, subito. Sto scoppiando’, Le sollevai la gonna e piegandola un po’ in avanti, tirai fuori il mio membro intenzionato a penetrarla.
‘Sei impazzito. Non si può. Può entrare tua sorella. Non così. Quando dovesse accadere, sarà nel nostro letto’ Sapevo che lo diceva per blandirmi. Non voleva scopare, non voleva. E non potevo violentarla, anche se si sarebbe fatta violentare. Non era questo che volevo. Lei doveva partecipare con la stessa bramosia mia. Tenevo il suo sesso nella mano così stretto che le feci male e me lo disse
‘La vuoi, la mia fica, la vuoi prendere con la forza? Non c’è bisogno. Avanti: prendila, prendila, non mi oppongo’.
Ero furente con lei. Mi si offriva come una vittima. Non era giusto. La lasciai. La presi per le spalle e la abbassai giù a ginocchi arsi.
‘Succhialo, allora. So che ti piace, succhialo’.
Un rivolo di lacrime si sprigionò dai suoi occhi. E questo mi stroncò. Annichilì il mio furore e le mie voglie.
‘Oh, mamma, mamma, perdonami, scusami, scusami’. Mi misi a piangere con lei. ‘E’ che ti desidero tanto, tanto’.
‘Smettila, smettila. Non piangere. Ché mi fai soffrire di più. Non ce l’ho con te. Come potrei, se ti amo più della mia vita? Ti ho dato tutto di me. Vedi mi vesto come un’amante impudica per soddisfare i nostri sensi. Non posso, non posso consciamente scopare con te. E’ qualcosa che mi irrigidisce dentro, mi gela, mi fa sentire in peccato mortale. Sarà la fede della mia infanzia, quel che mi hanno insegnato. Siamo trasgressivi, eccome, ma non riesco ad andare oltre la soglia di quello che facciamo. Sicuro che tua sorella non entra?’.
‘Sicuro, sta facendo i compiti. Mi ha detto di chiamarla quando sarà in tavola. Scusami, mamma. E’ che sono un bambino, pensi solo a me e non anche a te. Ti amo da impazzire e la voglia di te è profonda come l’abisso, come la notte fonda dei tuoi occhi’.
‘Mi seduci solo con le parole. Vieni, vieni qui. Tanto per sicurezza’. Chiuse la porta e mi ci fece appoggiare contro. Portò la sua mano sulla mia cintura, la sciolse mi abbassò calzoni e slip. Al tocco della sua mano, il mio pene, che si era afflosciato, si sollevò. Lei lo accarezzò, poi se lo portò in bocca e cominciò a succhiarlo. Non lasciò gocciolare nemmeno una stilla del mio seme, quando eiaculai.
Quando si sollevò, mi baciò teneramente, poi mi disse: ‘Mi piace il tuo sapore, tanto. Ti devo. Però, chiarire una cosa. A sedici anni, tu potresti venire pure dieci volte in una giornata, però, questo con certezza di farebbe ammalare. Figurati se tu potresti chiedermi mai questo. In due giorni non so più quante volte sei venuto. Allora, tienilo presente, perché su quest’altra cosa sarò irremovibile: non ti farò sciogliere più di due volte al giorno, con qualche eccezione magari alla domenica. Perciò, per stanotte transeat, ma da domani sera una o al massimo due volte’.
‘Oggi il numero non conta, però’, dissi io prendendole i seni sotto la maglietta.
‘Non ne puoi fare allora a meno. Ti eccitano così tanto? Non è che sarò costretta a mettere un reggiseno corazzato. Se me lo devi tastare in continuazione, finendo per scioglierti, non me lo farò più palpare’.
‘Adoro le tue tette. Sono ingordo come chi lo è dei dolci. Sì, è vero, ma te l’ho già detto: vorrei che le mie mani fosse le coppe del tuo reggiseno, per tenerle sempre accucciate dentro di esse. So che ti piace, quando te le palpo’.
‘Certo che mi piace. A quale donna non piacerebbero. Tutto, però, ha una moderazione, se poi ci deve far star male. Se palparmi il seno si traduce solo in un salutare piacere, va bene per entrambi. Se questo si dovesse tradurre, come i fatti dimostrano, nel farti eiaculare di continuo, non esiste proprio’.
Così arrivò il momento del pranzo, quando arrivò Giada. Un lampo di intesa nei suoi occhi. Sicuramente non ci sarebbero state solo le tette di mia madre ad ammaliare le mie mani. Io non avrei mai fatto il passo di trafugare quelle dolci colline adolescenziali di mia volontà. Però, non riuscivo a pensare senza uno stilo di libidine a quelle tettine così invitanti.
Il pomeriggio diventò una sorta di mordi e fuggi con mia madre. Lei non si azzardò a cercarmi il sesso, io, però, non rinunciai a rapide incursioni nelle sue femminilità.
Poco prima di ritirarci nei nostri letti, Giada, sottovoce, mi chiese di restare alcuni minuti con lei, poi, a voce alta: ‘Marco, prima di addormentarmi, me la leggi quella favola di cui mi hai parlato?’
‘Quale favola?’, chiese curiosa mamma.
Giada fu pronta a rispondere: ‘La fidanzata dello scheletro, mamma. Ha detto che fa venire i brividi’.
‘Ed una lettura da fare prima di dormire?’.
‘A me piacciono i brividi, vero Marco? Così esorcizzo la paura del buio’.
‘Mah’, commentò mamma.’Fate pure. Magari mi addormenterò prima che tu venga’.
Mi sentivo come l’asino di Buridano. Bramoso di seguire mamma e il letto di delizie che ci attendeva e insieme il timore di mia sorella. Forse, inconsciamente, il desiderio di esplorare quelle effervescenti tette.
Così mamma se ne andò. Giada sistemò il divano come lettino e, mentre io mi accomodai su una sponda, lei cominciò a spogliarsi per indossare il pigiama. Lo fece così lentamente che non potei non ammirarla in tutto il suo splendore. Era una lussuria. Il pube appena velato dalla peluria, lasciava intravedere un sesso perfetto nella levigatezza delle sue labbra.
‘Allora, me la leggi la fiaba?’, disse sorniona.
‘Non ho parole. E ora che dovrei fare? Giada, non capisco cosa vuoi’.
‘Non ti piace accarezzarmele, le tette? A me tanto. E ho sentito’ e indirizzò lo sguardo sulla mia patta ‘che sono piaciute tanto anche a te. Su vieni, accarezzami e baciale. Fa come un ragazzo che desidera la sua ragazza’.
E, poi, mia madre parlava che non dovevo eccitarmi troppe volte in una giornata. Giuro che non volevo toccarla. Lei slacciò i due bottoni e i bordi della casacca si schiusero, lasciando intravedere il fulgido incavo del seno.
‘Vieni’, disse con un sospiro, con gli occhi che le ardevano dal desiderio. E, prese le mie mani, le portò al seno, che sbocciò così nell’incavo delle stesse. Sembrava d’avorio nella sua bianchezza con le cime spennellate di rosa. Ero abbacinato. Cominciai lentamente ad accarezzarlo, a plasmarlo, a pizzicarlo. Lei mi circondò il collo e mi tirò a sé, sul suo petto. Non potei fare a meno di ricamarlo con i miei baci, a suggere quei capezzoli rosa come un’ape fa con la corolla di un fiore, finché la sentii gemere. E, allora, ricordai mamma.
‘Basta, Giada, basta così . Non è bene andare avanti più di così’.
‘Per ora, Marco, per ora. Buonanotte, maschione e sogni d’oro come li farò io’.
Quando raggiunsi mamma nel letto, lei dormiva serenamente. Eccitato da quanto era accaduto, con lei che si esponeva così invitante al mio sguardo, scivolai dietro di lei, raccolta quasi in forma fetale, come la notte precedente. E come allora l’accarezzai nel sesso, quindi senza indugio dolcemente la penetrai. Come al solito raccolsi il suo ansimare quasi silente, il suo sussultare, i suoi gemiti sommessi, finché la riempii del mio seme. Stretto al suo seno, mi addormentai.
Quando mi risvegliai, mia madre osservò quanto aveva deciso. Abbracci, carezze, baci, toccamenti sia che nel letto che nel bagno, ma niente eiaculazione. Una nuova donna, ormai però, cominciava ad inserirsi nella nostra storia: Giada. Mentre mamma si sistemava, lei pur se per pochi minuti mi si appiccicò addosso e non potei fare a meno di desiderare trafugare quelle sue rotondità vellutate, che lei, ovviamente, ritenne di avermi forse costretto a fare. Non era così.
Mamma non tornava per pranzo generalmente, perché così prendeva lo straordinario e anche perché il posto di lavoro era molto lontano da casa. Quindi, l’intero pomeriggio restavamo insieme soli.
Se lei usciva prima da scuola, veniva da me ad aspettarmi, diversamente, mi recavo io a raggiungerla. Quel giorno era felice e più ancora, quando tornammo a casa. Certamente aveva in mente tutto un programma. Io, quando camminavamo insieme, era come se glielo leggessi mentre mi rapiva con lo sguardo.
Pranzammo quel che mamma ci aveva lasciato, poi ci saremmo dovuto dedicare a svolgere i compiti. Le avvisaglie si erano avute già quando siamo entrati in casa. Sistemato lo zaino corse ad abbracciarmi. ‘Non mi baci?’, mi disse. ‘Così, però, come due fidanzati’, e schiuse le sue labbra sulle mie. Si vedeva che non aveva mai baciato, ma erano così fresche e acerbe quelle labbra che diventavano più eccitanti ancora. Mi cercò con la lingua pur se impacciata. Ma in breve le insegnai. E, questa volta non ci fu più bisogno della sua incitazione a palpeggiarle il seno. Ero così desideroso di farlo.
‘Che cosa hai per domani?’, chiesi, mettendomi alle sue spalle. Lei prese lo zaino, tirò fuori il diario e cominciò ad elencare i compiti. Poi, lo posò sul tavolo e fissandomi maliziosamente: ‘Dobbiamo proprio subito? Ho tanta voglia di te e tu? Non mi vuoi insegnare come si fa a far godere una donna?’.
Mi tremò il cuore. Avevo paura e desiderio insieme. Lei mi si accostò e mi si strinse addosso. Si era tolte le colorate calze di lana che le fasciavano le belle, sottili gambe, e il maglione: era solo in camicetta e gonna. Aveva le guance macchiate di rosso. Mia guardava con gli occhi castani carichi di voglia.
Contraccambiai quel suo sguardo. Gettai alle ortiche ogni remora. Il mio sesso già lievitava e la voglia di esplorarla più di quanto aveva fatto mi incalzava. Mi mossi verso il divano e mi sedetti.
‘Vieni, piccola ninfetta, vieni qui’.
Scivolò leggera verso di me e mi si accomodò sulle gambe.
‘Sei così eccitata che si vedono i capezzoli sotto la camicetta. Non porti il reggiseno?’.
‘Certo che lo porto. Non l’ho messo per te. Per rendermi più eccitante’.
‘Vediamo, vediamo’, e le passai la mano sopra il seno. La sentii vibrare come per il passaggio di una scossa elettrica. Il fiato quasi sospeso. ‘Sono intriganti, queste tette’. E strusciai la punta dell’indice su quella cima turgida che spingeva il tessuto, che si fece più teso. Poi, strinsi quei capezzoli nascosti tra le dita e cominciai delicatamente a sfregarli. Lei chiuse gli occhi, assaporando i leggeri brividi di piacere che la increspavano. Dalla camicetta lasciai la mano scivolare lentamente fino a ricadere sulla sua coscia nuda. Gambe da gazzella snelle e tornite, che profumavano di erotica acerbità. Con la mano sinistra con cui la cingevo per il fianco scivolai sotto la camicetta risalendo verso il seno sinistro, che artigliai compulsandolo e fregando il capezzolo, facendola trasalire, con la mano destra risalii accarezzando in su e in giù ora la coscia destra, ora la sinistra, fino a lambire l’orlo dello slip. Lei aspettava languida, abbandonata alla culla delle sensazioni che si irradiavano dagli stimoli delle mie carezze.. Col capo si abbandonò sulla mia spalla, le palpebre reclinate. Risalii oltre le mutandine, accarezzandole il ventre sulla pelle nuda, poi ridiscesi verso l’inguine e raccolsi prima uno, poi l’altro gluteo sotto il tessuto di cotone. Sodo e vellutato, piccolo e tondo mi colmò la mano di aghi di desiderio. Ora, volevo incontrare la sua natura pubescente. Risalii nuovamente con la mano verso l’elastico delle mutandine e le tirai giù giù, fino a sfilarle dalle gambe. Riappoggiai la mano sulla coscia destra, per risalire tutto il declivio morbido fino a incontrare una delle rive rigonfie del sesso. Sotto le mie dita che si agitavano sul suo piccolo seno, avvertii il cuore accelerare i suoi battiti. Lei si portò la sua mano sulla mia che custodiva la mammella, sulla camicetta, stringendola e pigiandola forte. E tremò intensamente quando l’altra mia mano le raccolse il sesso, trovando lungo il suo corso la fragolina del suo piacere. E cominciai, col dito bagnato dai suoi cospicui umori, delicatamente a masturbarla. Cominciò a stringersi sempre di più a me sopraffatta dal piacere e a gemere con flebili lamenti. E era così intensa la voluttà che ebbe quasi subito l’orgasmo. La sentii venire, deliziato ed eccitato, nella mia mano, che continuò imperterrito il supplizio, fino a quando non la risentii venire ancora. Le cercai la bocca con la mia con ingordigia, poi, mi alzai, tenendola sollevata in braccio e indirizzandomi verso la camera mia e di mia madre. Lì la adagiai sul letto e la denudai completamente, quindi mi spogliai sotto i sogni occhi che mi guardavano trasognata. Postomi in piedi al suo capezzale la invitai a prendere il mio sesso.
‘Su, avanti, prendilo e fai quello che ti piace. Vuoi tenerlo in mano?’.
Mi fece cenno di sì col capo, si girò su un fianco e, trepidante, cinse per l’asta del mio membro.
‘Su, che vuoi farne? Vuoi masturbarlo? Devi andare con la mano avanti e indietro: non mi farai male. Ti va?’.
‘Mi accennò di nuovo di sì con il capo e, impugnandolo, cominciò a masturbarlo. Tuttavia, ricordavo ‘ eccome! ‘ che dovevo risparmiarmi per mia madre, e non volevo venire più volte. Per cui, quando stavo per raggiungere l’orgasmo, la fermai. Salii sul letto e mi stessi col viso il mezzo alle sue gambe. Con le dita le schiusi il sesso sommesso, poi più forte, impregnato da rughe di lascivia profonda, quindi furono piccole grida, mentre rovesciava, incalzata dagli orgasmi che si ripetevano, la testa da un lato e dall’altro e sollevando il bacino protendendolo sulla mia bocca. Stava impazzendo dal godimento. E questo mi eccitava maggiormente. Il mio pene era più gonfio della testa di una biscia pronta a colpire. E come sarei voluto entrare in quella grotta vergine facendola svenire dal piacere. Non si poteva, no, almeno fino a quando non avessi scopato come si doveva con mamma. Tuttavia, volli farle sentire il turgore della punta del mio sesso su quel vestibolo lussurioso e, inginocchiatomi tra le sue gambe, con la mano ve lo poggiai contro. Non mi aspettavo il suo grido furente. Era come invasata. Chiuse le gambe come le chele di un crostaceo sui miei fianchi, sollevandosi sul letto, per farsi penetrare. Smaniava perché la possedessi. Ebbi quasi paura della sua furia erotica.
‘Mettilo dentro, scopami, scopami, mettilo dentro: lo voglio, dammelo, lo voglio, scopami, scopami, lo voglio’, un ritornello ossessivo, urlato, furente.
‘Fermati, calmati. Non si può, non si può’. Poi, mi venne in mente, forse più spinta da questa sua smania, che da un lubrico desiderio, anche se, una volta espresso, mi eccitò al massimo.
‘Calmati, ascolta’. Lei mi guardava alienata, gli occhi febbricitanti. Una ragazzina così libidinosa: non l’avrei immaginato mai. ‘Calmati. Tu hai visto qualche film porno. Sai del coito anale. Dà un piacere analogo a quello vaginale: non è la stessa cosa, ma si prova ugualmente un piacere intenso. Ti posso accontentare solo così per ora. Devo lubrificare molto quel buchimo che in te sicuramente è più stretto. Forse ti farà un po’ male. Aspersa per come si deve, ritengo di no. Se dovessi provare dolore mi avvertiresti e non insisterei. Allora, vuoi provare: calmerà questa smania erotica tua e che mi ha contagiato’.
‘Lo voglio, sì, lo voglio, prendimi il culo, scopami. Ho voglia di sentirmi il tuo cazzo dentro. Scopami il culo’.
Ora con gli umori abbondanti del suo sesso, ora con l’aiuto della mia saliva, cominciai a penetrale lo sfintere con un dito, poi tentai di forzarlo con la punta di due. Intanto con la lingua continuai a masturbarle il sesso. Mi artigliava perché la prendessi subito. Invece, aspettai che il suo ano fosse un po’ dilatato e, penetrandola con il dito e masturbandola con la lingua, accrebbi tanto il suo godimento da estasiarla. Quando lo ritenni opportuno, poggiai il glande sullo sfintere e pian piano lo lasciai scivolare dentro. La sentii svenire tra le mie braccia, non dal dolore, ma dal piacere. Si dimenava con una menade, urlava parole sconnesse, che mi eccitarono talmente da quasi violentarla in quelle mucose tanto cominciai a muovermi dentro di lei velocemente. Il suo ano, sembrava anatomicamente fatto per essere violato. Mi ritrovai a fotterla nel culo con le dita contratte spasmodicamente sui piccoli seni, ruggendo, mentre venivo in quelle segrete mucose. Mi accasciai su di lei, le mani sempre contratte sui seni. Per alcuni minuti la sentii sussultare sotto di me come percorsa ogni tanto da piccole scosse elettriche. Assaporava il riflusso dei marosi di un godimento estremo, che l’aveva fatta gridare istericamente. Mi mossi e risalii con la bocca sui suoi piccoli seni morbidi ed eburnei, i capezzoli ancora irti dall’eccitazione trascorsa. Poi, la voce calda, sommessa, parlò: ‘Ti amo, fratello. Ero sicura che mi avresti fatto godere da impazzire. Ho goduto da sentirmi svenire. Vi ho visti, stamattina, prima che ve ne accorgeste e ho sentito come mugolava mamma dal godimento. Tu dici che non scopi con lei, ma vi torcevate come animali in calore. Ora capisco: ho toccato vertici sconosciuti di godimento con te. Voglio che mi insegni tutto sul piacere, come averlo e darlo a te. Voglio essere tua, sverginata. Se il piacere che mi hai dato prendendomi il culo è stato grande, quanto dev’essere quello scaturito dalla mia vagina. Perché non mi hai voluto scopare?’.
‘Perché se fossi rimasti incinta sarebbe stata la fine di tutta la famiglia, poi, perché sei mia sorella e, infine, perché, se mamma se ne accorgesse, la ferirei a morte’.
‘Perché non vorresti fare più l’amore con me? E, poi, sorella per metà: i padri sono diversi. Mamma, mamma: non l’ha data pure lei a quattordici anni. Figurati. Solo un anno in più di me! Non lo faremmo sapere. Lei di giorno quasi sempre non c’è: ci ameremo come abbiamo fatto oggi. Non sono mica gelosa di lei. Se fosse con un’altra ragazza ti ucciderei, ma se lo fai con mamma no. No, davvero, non sono gelosa. Adoro mamma e, se fossi un ragazzo, come farei a non desiderarla: è bella e sensuale da infarto. Perché non scopi con lei?’.
‘Perché non vuole, perché è peccato secondo lei. Ecco perché non deve sapere quanto è successo: ne morrebbe. Sai, non ho mai pensato a te sessualmente, ma ora: sei una strega, uno scrigno di libidine. Spudorata e disinibita. Sprizzi erotismo da ogni poro. Questi seni sono afrodisiaci peggio di filtri d’amore. Fanno perdere il senno. Siete totalmente diverse tu e mamma, ma complementari. Nemmeno nel più torbido dei sogni avrei immaginato le mie donne più amate e consanguinee mie, tutte mie, spasimanti di voglia del figlio e fratello. Da quanto ho stretto i tuoi seni tra le mani, ho realizzato che non avrei mai sopportato che un altro li custodisse al posto mio. Io, io solo mi debbo beare di queste piccole cuspidi voluttuose. Le voglio ancora tra le mie mani e le mie labbra’. E così mi rovesciai avido su quelle morbide, ammalianti colline, impastandole e tormentandole, mordicchiandone le rosate cime e tornare a sentirla singhiozzare dal godimento. Ripresi a cercarle il sesso che spicciava il miele verginale di orgasmi ripetuti.
‘Succhialo’, la invitai a fare, mentre teneva l’asta del mio sesso in pugno. ‘Succhialo, dammi il gaudio della tua bocca, sorellina. Su, succhialo’.
Non se lo fece ripetere. Se lo portò in bocca e, senza nemmeno masturbarmi, cominciò a ciucciare. Ero così deliziato che di lì a poco il flusso del mio sperma cominciò a risalire. Ero bramoso di venire e nella sua bocca, ma dovevo risparmiarmi per la notte, dovevo e così, di colpo, mi tirai fuori da quelle labbra assassine con suo stupore e rincrescimento, tanto da tentare, ghermendomi per i testicoli, di riprendere il membro.
‘Un altro momento, Giada, sarà per un altro momento. Ho la testa vuota. Come farò ora a studiare? Rivestiti, piccola ninfa, ricomponiamoci e mettiamoci a studiare. Era da più di un’ora che ci dilettavamo in studi oltremodo licenziosi.
La sera quando ci siamo messi sul divano tutti e tre a guardare una trasmissione televisiva con me in mezzo, fui io a prendere il plaid e a stenderlo sulle gambe di tutte e tre. Mamma pensò che coprissi Giada per non insospettirla. Mia sorella capì solo quando la mia mano andò a girovagare sulla sua coscia alla ricerca del suo inguine. Mi lanciò uno sguardo brigante e l’accompagnò sulla sua passera. Su fronti opposte, mi deliziavo col sesso di entrambe mentre le masturbavo.
Quando ci lasciammo per coricarci, le mie mani erano intrise dell’odore penetrante della loro intimità. Riuscii a trovare il modo, dando la buonanotte a Giada, di strizzarle i capezzoli lussuriosi. Mi lanciò uno sguardo assassino. Nelle vene di quella ragazzina scorrevano fiumi di libidine.
Con mamma cominciammo i nostri giochi amorosi con intrecci funambolici dei nostri corpi, fino a quando venni nella sua bocca meravigliosa. Poi, al solito, lei si addormentò in quella posizione in cui potevo prenderla con il maggiore diletto possibile. Mi venne il sospetto che mamma fosse vigliacca. Che, in fondo, rimaneva sveglia dandomi a vedere che dormiva per permettere a me di appagarmi senza sentirsi in colpa lei, perché, formalmente era incosciente. Allora volli verificare questo mio dubbio. Invece di penetrarla, cominciai a fare scorrere il mio glande sulla sua vulva in modo esasperato, mentre con il dito le titillavo il clitoride. Sentivo nettamente il suo sesso contrarsi dal piacere, lo sentivo dilatarsi sotto il mio dito, annegato dai suoi secreti. Implorava di essere penetrata. Io, invece, ne lasciavo scivolare solo la punta e poi continuavo a farlo scorrere nella fessura. Mia madre cominciò ad agitarsi vivamente, oltre a gemere. Cominciò a scalciare, cacciando via lenzuola e coperta e stendendosi completamente bocconi, le gambe distese a squadra. Mi accomodai allora tra di esse e continuai ad agire come prima. Strofinavo il mio membro sul suo sesso, con la sua punta sfregavo sul clitoride, ridiscendevo, mimavo nel penetrarla, per ricominciare lo stesso tragitto. Si lamentava, una mano aggrappata al cuscino, l’altra contratta al bordo del materasso. Godeva e nello stesso fremeva perché la scopassi. La dovevo esasperare, finché aprisse le meravigliose orbite dei suoi occhi ed implorasse di farlo. Non voleva cedere. Mi tirai indietro per vedere cosa avrebbe fatto. Era gravida di desiderio. Sicuro. Ormai era abituata che, dopo le nostri varie effusioni erotiche, mentre fingeva di dormire, la penetravo. Aspettava la stessa cosa. Solo che avevo scoperto il suo gioco e se voleva il mio cazzo, se lo doveva guadagnare. Stavo disteso a rimuginare, ma con i testicoli che mi scottavano dalla voglia di lei, che si girò di scatto verso di me, come se avesse bisogno di accucciarsi, e mi si buttò addosso per tre quarti, la sua fica sopra il mio sesso: bastava solo che lo indirizzarsi per penetrarla. Invece, nulla. Cominciai a ripetere l’esercizio di prima. Il suo sesso pulsava nelle mie dita, quando lo accarezzavo e scottava sulla punta del mio glande. Si agitò scompostamente, sbattendo la testa a destra e a manca, finché si abbandonò, supina, le gambe oscenamente spalancate, il sesso esposto, implorante. L’invito a scoparla era violento. Mi inginocchiai tra le sue gambe e le sollevai riponendole sulle mie cosce, riappoggiando il mio pene sul solco del suo sesso, facendolo scorre lungo il solco, pigiando sul clitoride e penetrandola solo con la sommità di esso. Si agitava e sospirava. Finì col protendere il pube. Mi trovai a sorridere. Era fetente. Era quasi impossibile che non fosse sveglia, tranne che non fosse sotto l’effetto di sonniferi. Ero quasi certo che volesse essere scopata senza esporsi, tranne che col sesso così insolente nel suo desiderio. Che schiumava smanioso, bagnando il lenzuolo sottostante. Io non recedevo. Volevo che lei dicesse ‘scopami’, che partecipasse coscientemente all’amplesso carnale. Giocai allo scoperto. Mi distesi su di lei, il mio sesso disteso sopra il suo pube, gonfio all’inverosimile, e cominciai a mordicchiarle i capezzoli, duri come corbezzoli, mentre strofinavo il mio ventre sul suo.
‘Ti voglio, ti voglio, ora e sempre, ogni notte della mia vita. Dimmi che vuoi che ti scopi, che lo brami, dimmi che vuoi il mio cazzo’. Mi scaturì dall’anima la parola ‘cazzo’. Non l’avevo mai usata con lei. ‘Dimmi che ti piace il mio cazzo, dimmelo, dimmelo: fottimi, Marco, fottimi, voglio il cazzo’.
Non cedeva. Gemeva, sussultava, ma non cedeva. Mi inginocchiai nuovamente tra le sue gambe tenendo il mio membro contro quella fessura gocciolante, strofinandolo e aspettai. Poi, avvenne tutto a rallentatore. Avvertii le sue gambe sollevarsi a poco a poco, scivolare sui miei fianchi a cingermi. Poi, nel chiarore della notte accarezzata dalla luce della lucciola, i suoi occhi si aprirono. Mi fissò appassionata e mi sussurrò con la voce soffocata: ‘Fottimi, Marco, fottimi, voglio il tuo cazzo. Lo voglio, lo bramo. Mi piace il tuo cazzo: scopami, presto. scopami, non ne posso più’. La guardai raggiante. Aveva ceduto. Aveva ripudiato per amore, per la passione il senso del proibito, del peccato, e voleva fare l’amore con me. Mi gettai a soffocarla di baci. Ma lei agognava solo essere penetrata, tentava perciò di brancicare il mio grembo. Ora era solo una donna che da tanto tempo non sentivo il membro di un uomo nel suo grembo e ora che lo aveva a portata di mano la voglia si era fatta disperata. Lo facevo apposta a non penetrarla. Mi eccitava sentirle dire di essere posseduta.
‘Mi hai fatto penare. E ora pregami che vuoi che ti fotta, pregami. Mi devi convincere’.
‘Fottimi, Marco, fottimi, fa presto, sto impazzendo, non resisto. Sì, sono stata una vigliacca. Mi piace il cazzo, mi piace, fottimi, Marco, fottimi’.
Accostai il pene su quella feritoia anelante e sprofondai dentro di essa. Fu risucchiato come dal gorgo di un abisso. Una sorta di vorace fiore carnivoro che inghiotte la preda. Non ci sono parole ad esprimere la sensazione che provai quella prima volta. Una sorta di nascita, un vedere una luce abbagliante dopo una discesa vorticosa in una galleria buia. Un’esplosione di luci. Le tempie mi si assordarono. Non era solo piacere quel che provavo, ma qualcosa che andava al di là del limite di ogni godimento, il gusto parossistico del proibito, forse il sapore paradisiaco dell’incesto. Una donna e una madre, la passione e l’amore filiale, un miscuglio che esplodeva con una fiamma di voluttà impossibile da descrivere. Sicuramente se non ci si fosse posto limiti di moderazione, i sensi così perennemente accesi, si sarebbe potuti morire di consunzione. Sarei potuto rimanere all’infinito nella fica di mamma, rinnovando in perpetuo il flusso delle mie gonadi. E lei? Come descrivere l’espressione del suo viso, le sue emozioni, il suo tremare, i suoi spasimi, i gorgoglii di un’ebbrezza dei sensi che la soffocava. Vidi i suoi occhi rovesciarsi, lei sbiancare nel volto, precipitare in un abisso di voluttà, rantolare come sulla soglia della morte. Forse, inconsciamente, era questa la paura del peccato. Quella di toccare le porte di un piacere che, nella sua intollerabilità, uccideva.
Facemmo l’amore tutta la notte, con ossessione, esasperazione, come se avessimo dovuto riappropriarci di un tempo perduto, come se avessi dovuto ripercorrere tutti gli attimi dal concepimento nel suo grembo. Non mi concedette solo questo, ma anche l’altra fessura più lubrica. La possedetti a lungo, instancabile, fino a gocciare quasi sangue dai testicoli. Nessuno dei due la mattina dopo si trovò in condizione di andare lei al lavoro, io a scuola. Davvero amore e morte erano nati insieme. Non era tanto lo sfinimento di una guerra all’ultimo spermatozoo, ma lo sfibramento dei neuroni. Avevamo toccato e forse oltrepassato i confini del bene e del male e volevamo solo essere lasciati in quella culla d’infinito, oltre il tempo e lo spazio, persi nell’amore e la passione, la mano nella mano, nudi, abbagliati da un’estasi ultraterrena. Quando Giada entrò nella nostra camera, la guardammo soltanto: non eravamo in grado di proferire parola. Nudi, continuavamo a tenerci per mano, trasognati e felici, come chi ha toccato il paradiso. Anche se fosse stata l’incarnazione dell’innocenza e dell’ingenuità, Giada non avrebbe potuto non capire. Anche lei quella mattina marinò la scuola.
Quando ci riprendemmo da quello stato atarassico psichedelico, mamma si rese conto che Giada aveva visto, che le si doveva confrontare. C’era poco da spiegare.
‘Come faccio a spiegarmi con Giada? Come faccio a farle capire che non mi sento in colpa perché ho fatto l’amore con te? Che dalla società nel suo complesso il nostro è un comportamento perverso, ma che per noi è la massima perfezione dell’amore, della passione?’.
‘Mamma, non dirle niente. Resta qui a letto. E’ preferibile che parli io con lei. Poi ti chiamo. Non ti preoccupare, amor mio, tutto si metterà a posto. Ci ama troppo per lasciarsi sfuggire una parola fuori di casa. Poi, mamma, non credo che sarà rimasta traumatizzata. E’ da quando è nata che ci vede dormire insieme, che mi addormento abbarbicato al tuo seno. Parla sempre del complesso del lattante. Lascia parlare me. Poi ti chiamo’.
Giada non aveva nemmeno sistemato il divano. In pigiama, stava seduta sulla sponda del lettino. Aveva l’espressione luciferina e pensosa.
‘Come fa a scandalizzarsi di noi due che siamo sorella e fratello, ma vicini per età, se lei scopa da madre con il figlio?’; così mi accolse appena mi vide. ‘Ti potrò fare pompini, segare, leccarti le palle, fare sesso in tutte le strampalate maniere e lei dovrà tacere. Perché non ci piove, mio maschione adorato: noi faremo l’amore, quando, come e dove vogliamo. Te l’ho già detto ieri: non sono né scandalizzata, né gelosa dal fatto che scopiate. Tu, poi, mi hai mentito. No, affatto. Voglio solo dormire con voi. Tutto qui. E tu avrai il compito di soddisfarci prima me, poi lei, o tutte e due insieme. Se non ha avuto remore con te, perché dovrebbe averne con me. Non te lo avrei mai confessato, ma sono innamorata anch’io di mamma. Non, non sono lesbica: lo hai visto. Il tuo cazzo mi fa diventare scema. Mamma, però, è l’incarnazione del bello e della sensualità e io sono infervorata dal suo seno bellissimo, dal suo sesso così pieno, peccaminoso, irresistibile, provocante. Ecco, vorrei pure io accarezzarla, baciarla, sentirla più mia. Vorrei avere pure io il cazzo per possederla. Come capisco che ti fa impazzire, come io impazzisco per te’.
‘Tu vorresti far l’amore con me?’
Sobbalzammo entrambi, rimanendo imbambolati.
‘Forse sarà innaturale che una mamma faccia l’amore con il figlio, tuttavia, sono convinta che se si fosse su un’isola deserta, l’istinto della riproduzione cancellerebbe quello della civiltà e mamma e figlio tornerebbero a diventare un uomo e una donna. Che tu voglia scopare con tuo fratello, lo posso capire: chi non lo vorrebbe come amante? Solo che sono io la sua donna e non lo divido con nessuna donna, anche se è mia figlia. Certo non mi scandalizzo se fai l’amore con lui. Hai ragione: come lo farei, se è sua madre che ha fatto l’amore con lui’.
Giada, però, si era ripresa dalla stupefazione e contrattaccò.
‘Visto che hai sentito, come ti ho sentita io stamattina, quando gridavi che volevi il suo cazzo, ecco, pure io lo voglio. Anzi, l’ho già avuto, anche se in un posto meno naturale della fica. E lo rivoglio. Non credo ti piaccia, mamma, che mi faccia scopare dal primo venuto, perché, se tu mi impediresti di fare l’amore con Marco, io mi farei sbattere da chiunque a parte il fatto che se spifferassi che te la fai con tuo figlio, andresti dritta, dritta in galera. Per quanto riguarda il mio amore con te, non lo puoi mettere in discussione. Sai che ti adoro, come Marco. Non per questo, però, con lui ti sei limitata all’affetto materno, te lo sei scopato. Non chiedevo ‘ ma, se tu non lo avessi sentito, non te lo avrei mai detto ‘ altro che di essere coccolata come Marco, ma solo se tu lo senti, che ti possa accarezzare come fa Marco, se tu me lo permetti. Non siamo due donne in competizione, ma tre persone che si amano più di qualsiasi altra persona al mondo. Non so immaginarmi senza te e Marco. Tu ritenevi fosse peccato fare l’amore con lui, poi lo hai fatto e hai visto che non era né peccaminoso, né ributtante, ma hai goduto fino a perdere la ragione. Che ne sai cosa proveresti a farti accarezzare da me o a farlo tu? Perché non provare?’.
‘Giada, Giada, se io andassi a finire in carcere, tu e tuo fratello finireste ai servizi sociali o, addirittura, in affidamento. Uccideresti me, ma tu che fine faresti? E tuo fratello, che dici di amare tanto, che fine farebbe?’.
‘E, allora, cosa proponi? Che tu te lo possa godere e io resti a guardare? Non ti accorgi che siamo tutte e tre nella stessa gabbia: o giubiliamo tutti e tre o anneghiamo tutti insieme. Non sono gelosa dite. Tutt’altro. Ma voglio, ne sono perdutamente innamorata, che Marco faccia l’amore pure con me’.
‘Scusate, voi due’, interruppi io, inserendomi nella vivace diatriba. ‘Credete che io sia solo un arnese da prendere e utilizzare come un vibratore? Il mio parere non conta. Quanto ti ami, mamma, è inutile accennarlo. Non mi ero accorto della femminilità di Giada. Lei me l’ha fatto capire e amo Giada: è sensuale, mi sa regalare sensazioni uniche con la sua carnalità acerba. Siete complementari. Non ci sono vie di uscita. Via amo tutte e due in modo diverso. Tu sei in cima, mamma, poi, c’ è Giada. Come la immagini uscita dalla nostra casa, né ora così giovane, né domani, maggiorenne? E’ un pezzo di noi, che sente, immagina e vibra come noi. Fuori di qui non avrebbe spazio: sarebbe una derelitta, emarginata, come lo saremmo noi, mamma. Io le voglio un bene dell’anima, non riesco ad immaginarla fuori della nostra vita, come non lo immagini tu. Tu la adori. Guardala più con gli occhi di madre che con quelli di donna. Come puoi vederla senza di noi, di te? Sono parole vuote, da femmina e basta. Giada è piccola, si ucciderebbe per te, lei ti ama, tu sai quanto. E allora? Che cosa conta tra di noi se non l’amore senza confini che ci vogliamo e che sentiamo di tradurre col possesso sessuale. Su abbracciatevi, come lo facevate fino a ieri notte: siamo i raggi di un’unica stella e brilliamo tutte e tre insieme’. Spinsi le mie donne l’una nelle braccia dell’altra. Mamma ristette qualche attimo, poi serrò al suo petto la figlia che se la cinse fortemente e, come la ragazzina che era, proruppe in pianto. E questa fu la molla che ammollò completamente mamma, che cominciò a baciarla e a consolarla.
Per alleggerire l’aria da melodramma dissi sorridendo:
‘Una cosa desidero quando siete in casa e non deve venire a trovarci nessuno’.
‘Che cosa?’, chiesero insieme.
‘Che sotto i vestiti non portiate né reggiseno, né mutandine’.
‘Mamma, vedi? E’ un maniaco sessuale. E poi si offende se lo si considera un vibratore. Che ci vorresti fare”.
‘Cominciate a ubbidirmi, schiave e poi vedrete quello che intendo fare’.
‘Vieni di là, parliamo noi due sole’, disse mamma a Giada. E si avviarono verso la nostra camera da letto.
Ero troppo curioso di vedere, perciò sbirciai senza darlo a vedere.
‘Davvero’, chiese mamma, ‘hai questo desiderio grande di accarezzarmi?’. Conoscevo già quella nota particolare nella voce. Era vigliacca, vigliacca. Lei aveva la libidine nel sangue e le parole della figlia la intrigavano eccitandola. Mi hai visto quotidianamente nuda, perché non me lo hai chiesto prima. In altro momento lo avrei trovato naturale. Ora ha connotati diversi. Lo desideri così tanto? Non sono mai stata accarezzata da una donna. Ne hai così tanta voglia?’.
‘Si, lo desidero. Tu mi parli così e mi ecciti tanto. Hai il seno più arrapante del mondo: il mio è così piccolo e il tuo sesso pare la foresta dell’Amazzonia, tanto lussureggiante e lussuriosa’, e, senza chiedere il permesso, allungò la mano verso una delle cosce di mamma, la cui vestaglia, spalancatasi, lasciava completamente scoperto, lasciando intravedere il folto bosco del sesso. La fece scivolare raggiungendo subito l’inguine e frugandola languidamente dentro il sesso. Mamma chiuse gli occhi, piegandosi un po’ su se stessa. Solo parole, parole quelle di prima. Era invece lusingata dalla voglia di Giada, compiaciuta e arrapata. Ed ora gustava il piacere che lei le regalava. Non guardai più. Ero davvero contento. Tutto si era risolto e io aveva due amanti meravigliose. Ero il ragazzo più fortunato del mondo. Cominciai a prepararmi uno zabaione con quattro tuorli e una bella tazza di latte. Finita la colazione, preparai quella per loro. Pian piano andai a vedere. Era uno spettacolo da infarto. Entrambe nude sul letto stavano una in mezzo alle gambe dell’altra, aperte a forbice che strusciavano i loro sessi l’uno contro l’altro e gemevano come gatte in calore. Rimasi galvanizzato da quella scena. Erano l’una degna dell’altra: avevano lo stesso fuoco nel sangue. Quando vennero a trovarmi in cucina era già trascorsa l’intera mattinata: avevano le guance infiammate ed erano tutte e due vestite normalmente. Erano affamate, videro che tutto era preparato e cominciarono a mangiare a due ganasce.
‘So che immaginate quanto sono felice. Sono fiero di voi e perdutamente innamorato. Le mie donne. Che peccato che nessuno possa immaginare: sarei il ragazzo più invidiato del mondo che non vede l’ora di stare a letto con voi’.
‘Hai capito, il ragazzo’, sorrise mamma. ‘Non si pone il problema di come farà a soddisfare due donne così vogliose e invaghite. Lo dobbiamo risparmiare, Giada, se no lo faremo avvizzire e noi lo vogliamo florido e funzionale’.
‘Non vi preoccupate voi due. So come trattarvi’, e, intanto, portatomi dietro le loro spalle, le cercai sotto il maglione e la gonna: erano nude. Avevano recepito bene. Comunque, fu mamma a calmare sia i miei che i bollori di Giada. Mi amava troppo per farmi ammalare. Noi eravamo adolescenti e pensavamo che potevamo trascorrere tutto il nostro tempo con scorribande sessuali, ma la vita era anche tante altre cose, brutte e belle, ma meravigliose. Ciononostante. io mi deliziai tutto il giorno a trastullarmi con la loro intimità, prendendo, anche se per poco, nel culo mia sorella e, sia in questo che nel sesso, mia madre, eccitandole e facendole godere. Quando le toccavo di sotto, prima di prenderle, erano sempre bagnate e i capezzoli sempre turgidi. Non venni, mai, però: mi risparmiai per la sera. Eravamo un’icona tenera e fortemente erotica insieme, quando ci ritrovammo tutti e tre accomodati davanti al televisore. Non so loro quanto abbiano visto del programma che trasmettevano: io sicuramente nulla. Scorazzavo nella loro intimità e nei loro petti come un mandrillo infoiato. Mi eccitava al massimo masturbare la passera di mia sorella, perché vergine. E fu per questo che mamma, quando andammo per coricarci volle che io e Giada per quella notte stessimo da soli nel letto matrimoniale, come due sposi alla loro prima notte di nozze. Lei si sarebbe coricata nel lettino di mia sorella. Accompagnai Giada nella camera da letto, poi ritornai da mamma. Non avevo bisogno di essere riscaldato, ma sentivo il bisogno di stare un po’ con lei, prima della consumazione con Giada. La volli nuda tutta per me. La voglia di fare l’amore era tremenda, ma lei aveva la padronanza sull’istinto più di me e seppe controllarmi, però ero appagato di essere riuscito a farla gemere e regalarmi tanti orgasmi e ingurgitare tanto di quel suo miele da profumare ogni poro della mia pelle. Quando mia sorella avrebbe fatto l’amore con me, un po’ lo avrebbe pure con lei. Tornai da Giada esaltato dalla prospettiva. Avrei fatto mia una fanciulla vergine, che, tranne il giorno prima, non aveva conosciuto, non solo il cazzo, ma neanche la mano di un uomo nella sua femminilità. Ora sarebbe stata mia, ogni giorno mia. Avrei visto nel tempo i suoi seni farsi sempre più grandi e più plasmati, così come il suo sesso farsi più pieno e più tappezzato di peluria. La trovai tutta nuda, rigurgitante di desiderio, sdraiata sul letto, invitante e sensuale. Quei seni così vezzosi ed eretti erano l’incarnazione dell’erotismo. Mi tuffai in mezzo ad essi come tra i flutti di un mare d’estate e intrecciai tutti i percorsi possibili su di essi. La sfinii di pizzichi, di suzioni, di piccoli morsi, di baci. Infine naufragai sul suo sesso. La feci urlare dal piacere prima di penetrarla, mi supplicò, mi invocò perché entrassi in lei: volevo che fosse prima allo stremo del godimento. Poi, la sollevai e la invitai a impalarsi da sola. Pronta si accomodò sulle mie cosce e, artigliato il pene, lo poggiò sulla sua giovanissima fica, sprofondandovi di colpo. Se sentì dolore, se lo tenne per sé. So solo che cominciò a dimenarsi come un’invasata, mettendosi poco dopo quasi ad urlare dalla voluttà, finché con uno spasmo lacerante venni come un fiume da una diga infranta. Descrivere le ore trascorse quella notte, quante volte la presi in tutti i buchi possibili e i giochi d’amore fatti sarebbe ripetitivo. So che riuscii a fare, perché leggera, a tenerla sospesa in braccio, aggrovigliata ai miei fianchi, mentre la possedevo, e questa posizione la fece godere fino al mancamento. Mamma, però, non riusciva a riposare bene, senza il mio abbraccio, perciò nelle mattinate venne a coricarsi insieme a noi. Mi attaccai al suo seno e col mio membro nella sua fica mi addormentai.
Era la prima volta che mi ritrovavo a letto in mezzo a due meravigliose donne. Davo la precedenza sempre a mia madre, ma mia sorella era subito pronta ad aggrapparsi alle mie spalle, trafiggendomi la pelle della schiena con i puntuti capezzoli dei suoi piccoli seni. La mamma già impugnava il mio pene.
Endimione
L’amore più grande
Decisamente non aveva avuto fortuna con gli uomini che aveva amato. Due per l’esattezza. Il primo la piantò con un bimbo in grembo quando ancora aveva quattordici anni, sedotta e abbandonata. Era il giovane figlio ventenne d’un amico del padre, che la lusingò, la fece innamorare come poteva una fanciulla così giovane, e poi non ne volle più sapere, facendola per giunta passare per una poco di buono. E così io assunsi il cognome del nonno materno, lo stesso di mamma. Il secondo, cinque anni dopo, dopo che lei si era trasferita in casa di lui, in un’altra città, lasciando il lavoro e la propria famiglia. I suoi non glielo perdonarono. La lasciò sulla strada, senza una lira con me di cinque anni e mia sorella di due. Da quel giorno giurò che nessun altro uomo sarebbe più entrato a far parte della sua vita. Scrisse ai miei nonni che l’aiutassero economicamente per pagare l’affitto di una casa e il sostentamento per i figli. E i nonni molto benestanti, seppure con freddezza, non le fecero mancare il sostegno economico necessario. Mia madre trovò subito lavoro come cameriera e, dopo alcuni mesi, come commessa allo ‘Sma’. La sorellina, di mattina, era affidata alla vicina, che mamma compensava come poteva economicamente, il pomeriggio a me. Giada più che fratello, nonostante avessi solo tre anni più di lei, cominciò a considerarmi come il papà. Quando mamma otteneva le ferie ci recavamo dai nonni che accoglievano più caldamente noi, non così la mamma. E questo atteggiamento finì per ridurre, nel tempo, il soggiorno dai nonni. Nella loro grande casa noi bambini vivevamo da sogno, mentre nella nostra, un bilocale con bagno, ci sentivamo un po’in carcere. Mia sorella rimase sistemata, fino a quando entrò alle elementari, nel lettino transennato in cui era stata posta appena nata. Quando entrò alla media comprammo un divano con il lettino e lo sistemammo nel saloncino. Giada lo considerava come la sua camera. In effetti, tutta la nostra vita si svolgeva quasi lì dentro. Io, invece, dormivo con mamma. Era stato da sempre o quasi. Perché, dopo che lei si sposò, quando mi svegliavo, la notte, correvo a rifugiarmi nel letto dei due sposini. Cosa che faceva litigare spesso mamma col marito, che non gradiva le mie incursioni notturne. Chissà, se pure questo incise nella sua fuga con una diciottenne. Nonostante la quasi totale povertà io ero felice, perché dormivo con mamma. Lei era tutta mia e la potevo stringere quanto, come e dove volevo. E come un bambino, vuoi che fosse inverno, vuoi estate, finivo per accucciarmi sempre con lei il capo contro il suo omero e, senza malizia cosciente, mi aggrappavo tenacemente con la mano a un suo seno. Non solo lei non si infastidiva, ma lo ricercava. Non mi sentivo rassicurato solo io da quella stretta, ma pure lei. Questa abitudine restò anche quando passai nell’adolescenza. Del resto, per lei continuavo a rimanere il suo bambino. Solo che non era più così. Lei era una splendida femmina con gli appetiti sessuali specifici e io un ragazzo, un giovanissimo maschio con i relativi ormoni che danzavano vorticando come i bollori del magma di un vulcano. Forse lei non ci faceva caso, ma nello starle vicino, soprattutto la notte, lei seminuda e carnale, mi sentivo avvampare dal desiderio e prenderle solo il seno mentre dormivo non poteva certo bastarmi. Anche se i nostri abbracci, le nostre carezze erano molto più frequenti, indugianti e, al limite, del lecito, ci muovevamo dentro gli argini consentiti.
La prima volta accadde ‘ o, almeno, io me ne accorsi – appena compiuti i sedici anni, verso la metà di novembre. Mi ero risvegliato dal primo sonno e, al mio solito, mi ero ritrovato con la mano abbarbicata al seno di mamma. E, certamente, mi sarei immediatamente riaddormentato, se non avessi sentito mamma lamentarsi flebilmente. Lì per lì, mi preoccupai. Non feci tardi, però, a capire che si trattava di un lamento particolare: gemeva di piacere. Stava facendo un sogno erotico. Forse trent’anni prima un ragazzo della mia età non avrebbe capito, ma ormai siamo troppo smaliziati per non capire certe cose. E in quel momento mi resi conto che mia madre non era solo tale, ma anche, e soprattutto, donna. E che donna. Quel seno, su cui ancora trattenevo la mano, era sodo e pieno più di quello di una sedicenne. Il sedere era statuario e morbido, le gambe tornite e voluttuose e, là sotto, il vello era folto, rigoglioso. Del resto in quella casa così piccola, anche se avesse voluto, come avrebbe potuto nascondere le sue forme? Ma mamma non aveva remore e capitava che ci facessimo la doccia anche insieme. Il fatto era che non avevo pensato mai a lei come una donna di straordinaria bellezza e sensualità. Non è che non mi piacessero le ragazze della mia età, ma mai nessuna di loro aveva suscitato intensi desideri sessuali. Accessi la luce discreta della lampada sul comodino e al suo riverbero la contemplai. Era una radiosità voluttuosa, così immersa nel suo sogno erotico. Con le dita andai a raccogliere il capezzolo del seno che, poco prima, tenevo stretto: era turgido come una bacca verde e, nel valutarlo, il mio sesso si inalberò. Mi venne allora voglia di lei, di esplorare quel corpo voluttuoso e caldo. Mamma non indossava altro che una sottoveste leggera e molto scollata: passeggiare con la mano su di lei era più che semplice, solo che non avrei mai voluto che si accorgesse dei miei vagabondaggi erotici sopra il suo corpo: sarei avvampato dalla vergogna. Come avrei fatto a proteggerla dagli altri, se non ero capace di proteggerla da me? Questo certamente mi avrebbe rimproverato. Ma io l’amavo più della mia vita. Volevo solo stordirmi della sua femminilità. Non avevo mai accarezzato un corpo nudo di donna. E così, piegato sul fianco, tremando, titubante, ma infervorato, cominciai ad accarezzarle il seno, lentamente, saggiandone la morbidezza, la voluttuosità, la plasticità, sfregandone i capezzoli con dolcezza, il cui tessuto sembrava di velluto. Mia madre accentuò i suoi sospiri. Lasciai il seno e mi indirizzai deciso sopra il suo pube. Un folto cespuglio crespo e caldo accolse la mia mano. Sentii le mie carni solcate da carreggiate di piacere infuocato. Poi, un mio dito trovò la segreta fessura umida e gonfia. Vi trascorsi il mio polpastrello in tutta la lunghezza. Mia madre accentuò i suoi gemiti. Incentivato da essi, desideroso di farla godere di più, ardii affondare il mio dito tra quelle labbra fino a trovare il pistillo di carne e con dolcezza cominciai a masturbarla. Il suo viso si contrasse in rughe di piacere, mentre si mordeva le labbra ed agitava la testa. Le feci raggiungere l’orgasmo, godendomi i suoi singulti di piacere. Soddisfatta si girò su un fianco in un sonno più tranquillo. Io riafferrai al mio solito con la mano una sua mammella e, così stretta, mi addormentai.
Pur se già adolescente, mamma non aveva abbandonato l’abitudine di farmi il bagno, né io l’avevo incentivata a non farmelo. Tutt’altro. Quando lei osservava che ero già grande, che, vuoi nella vasca, vuoi con la doccia, il bagno lo potevo fare da solo, io protestavo che non mi sapevo lavare soprattutto dietro le spalle e lei con un sospiro cedeva. Ma era orgogliosa, mentre mi lavava, delle mie fattezze. Mi diceva che mi facevo sempre più bello e più uomo, che ero l’amore della sua vita e che le donne avrebbero fatto a gara per portarmi via.
La mattina successiva all’episodio raccontato, mamma riempì la vasca e io mi accomodai per farmi fare il bagno. Come avrei fatto a non ricordarmi delle sensazioni sensuali trascorse? Lei mezza nuda trasudava femminilità ed erotismo a profusione. Il seno a portata della mia mano, piegata com’era in avanti, era del tutto scoperto in tutta la sua rigogliosa radiosità. Il mio desiderio di afferrarlo, baciarlo, morderlo era grande. Il mio sesso non poteva non risentirne e si rizzò in tutta la sua gagliardia. Non potevo di certo nasconderlo. Anzi, quando mia madre scese la sua mano giù per il grembo, l’eccitazione diventò intensa. E, raccogliendo nel pugno il trionfo della mia giovanile virilità, divertita, commentò: ‘Ehi, ehi. Questo è l’effetto che ti faccio? Non l’avrei mai immaginato. Il mio cucciolo si è fatto davvero grande. Guarda qui, quant’è grosso!. Come faccio a lavarti più!’. Diceva così, mentre continuava a stringere il mio membro. Avevo i testicoli che parevano incandescenti: L’eccitazione diventò incontenibile e, con immensa vergogna, sussultando, venni nella sua mano. Mamma arrossì come una bambina sorpresa a rubare la marmellata, tanto non se l’aspettava. Però, visto il mio turbamento e la mia vergogna, alleggerì quel momento di imbarazzo tremendo. ‘E’ la cosa più normale di questo mondo. Ti sarebbe accaduto prima o poi, magari di notte. Le gonadi sono ricolme e hanno l’esigenza di svuotarsi. E così è stato. Io sono stata quella che l’ha incentivata. Non c’è nulla da vergognarsi. Ti rendi conto che sei grande e che ti devi lavare da solo? Al limite, ti strofino e sciacquo solo le spalle. Amore mio, sei grande. Mi sa che devo comprarti un lettino. Vorrai dormire da solo ormai’. Io, che, mortificato, stavo con gli occhi bassi, al sentirle dire queste parole, mi allarmai e dimenticai la vergogna. Lei era mia madre e la donna di cui ero innamorato. Non avrei mai accettato di lasciare il suo, il nostro letto, anche se avrei dovuto celare per sempre il mio desiderio incestuoso. ‘E tu avresti il coraggio di farmi dormire da solo, dopo sedici anni che dormo con te! Come puoi lontanamente immaginarlo. Morirei d’insonnia e depressione. Ho bisogno di te. Senza di te sono perso. Non vedi che mi aggrappo come a un albero disperso nel mare la notte. Sei la mia gomena. Se non ti stringo a me, affondo, capisci mamma, annego’. E mi afferrai a lei per le spalle, stringendola a me e tempestandola di baci sul viso, sulla bocca.
‘Se ci tieni tanto, dormi pure con me’, balbettò lei, il fiato mozzo dalla mia esuberanza affettiva. ‘Non dire mai parole del genere. Tu sei la mia vita, Insieme a tua sorella siete l’unico scopo. Non ti azzardare mai più. Depressione. Mai più. Stringiti a me, stringimi, baciami quanto vuoi’. Poi, a voce più bassa. ‘Tra qualche anno avrai qualche altra da baciare e stringere, forse anche l’hai anche ora, ma me lo nascondi..Ero molto più piccola di te, quando posai gli occhi su un uomo. Magari fossi stata cieca. Che dico, amore mio, amore mio. Ho avuto te, però. Forse con un altro uomo, tu non saresti tu. No’, sorrise, ‘volevo dire che invece della mamma anzianotta, avrai delle adolescenti come te da abbracciare e baciare’.
‘Tu sei scema’, risposi, sempre tenendola stretta per le spalle. Non solo non ho nessuno, ma non mi interessano, sono insignificanti ed oche. Sei la donna più bella del mondo, sì, la più bella e sensuale Mi chiedo perché ti sei adatta a fare la commessa. Col fisico che hai avresti potuto fare, la potresti ancora fare a trent’anni, la modella. Sei così bella che mi togli il respiro e sei qui accanto a me, tra le mie braccia. Quale ragazza potrebbe competere con te?’.
‘Lasciami che mi fai venire la scoliosi. La più bella. Ci sai fare con le parole. Non puoi, però, sedurmi: sono tua madre. Certo, certo, la modella. Ma mi trovi davvero così seducente? Oh, mi togli il respiro. Lasciami, che mi stai rompendo le cervicali’.
‘Non ti lascio, no. Fatti il bagno con me e ti dimostro che sei bellissima’.
‘Mi hai bagnata tutta. Mi faccio la doccia, dopo. Lasciami andare”.
Non la lasciai finire. Le tirai su la vestaglietta e lei docilmente se la lasciò sfilare.
‘Ma, tua sorella di là’, lamentò. Ma si calò nella vasca con me. Io la contemplai con il cuore che aveva accelerato i suoi battiti.
‘Ecco dove sei bella, più d’ogni altra donna. Qui’, e le accarezzai i capelli. ‘Sono simili a increspature del mare in una notte ammorbidita dal velo della luna’. E la baciai sui capelli. ‘Qui, su gli occhi, gocce di ambra che imprigiona la fiamma del sole’, e le baciai gli occhi. ‘Qui, sul nasino, bello come quello della Venere di Milo’, e le sfiorai la punta del naso con un bacio. ‘Qui, sulle labbra, dove i petali rossi della rosa hanno lasciato il loro colore, la freschezza, la morbidezza e il trionfo della loro bellezza’, e vi soffiai la brezza di un mio bacio, sfiorandole le labbra. ‘Qui, sul seno, alto e superbo come montagne innevate e torride come la lava dei vulcani, lussureggianti e sensuali come ninfee su laghi di sogno, con questi capezzoli, fresche fragoline di bosco appena sbocciate’, e, mentre, allungate le mani, feci per cullare quelle mammelle di voluttà, con le labbra sfregai con un bacio il velluto dei capezzoli. Sentii un brivido trascorrerla, mentre il mio sesso si ergeva impudico.
‘Basta così’, disse ansando mia madre. ‘Devo scappare. Mi farai arrivare in ritardo al lavoro. Vuoi farmi licenziare? Ancora devo preparare tua sorella. Mi fai perdere la testa’, e schizzò via dall’acqua come una saetta, raccogliendo a volo la sottoveste. Ma ormai nella mia mente mi figuravo la notte, quando ci saremmo ritrovati nel letto. Sapevo che non dovevo precipitare, ma ero certo che nel brevissimo tempo avrebbe fatto l’amore con me, sarebbe diventata la mia donna.
E così fu. Quando andammo per coricarci, avvertii benissimo un suo impercettibile impaccio. Armeggiò accanto ai cassetti dell’armadio: non sapeva se indossare la solita sottoveste o qualcosa di più coperto. Il che avrebbe significato che aveva paura di mie improvvide incursioni. Così, però, pensava mi avrebbe offeso. Perciò, finì per indossare una sottoveste analoga a quella della mattina. Solo quella: niente reggiseno, niente mutandine, come da sempre.
Quando mi fu accanto, la abbracciai e le dissi: ‘Allora, ti ho convinta stamattina che sei la donna più bella del mondo?’.
‘Sei un lurido seduttore di mamme. Questa è la verità. Tieni, però, lontane le manine dalle mie tette che non sono per nulla algide e sono molto sensibili alle carezze di un figlio. Un confronto, inoltre, si può fare, solo quando ti sarai fatta la dovuta esperienza con le tue coetanee. E, allora, vedrai che mammina non è più appetibile e sensuale di una di loro. E, se ti troverò sempre con il tuo pisello in ebollizione, dovremo prendere provvedimenti’.
‘Non hai detto che è naturale?’, replicai sornione, mentre la tenevo tra le mie braccia.
‘Certo che l’ho detto. Solo che non me lo voglio sentire premere contro. Non credi che sia, diciamo, imbarazzante?’.
‘Ma, non sei orgogliosa di un figlio che è così sensibile, da maschio, alla bellezza femminile. Non è che ce l’ho piccolo, vero?’, e feci la faccia del finto preoccupato.
‘Certo che sono orgogliosa. Ti assicuro che è a posto il tuo arnese, più che a posto. Solo che non è proprio opportuno che svetti tra le mie mani. Prima che donna, sono tua madre’. In risposta, il mio arnese, contro la mia conscia volontà, era già inalberato come uno stendardo. Non sapevo se farle avvertire quella prepotenza, oppure evitare. Optai per la prima soluzione e mi strinsi di più a lei con il bacino. Lei avvertì e, pur leggermente, sussultò. ‘Appunto. Levati e fattene una ragione. Sono lusingata, ma non posso farci niente. Su, fai il bravo. Se ti scosti, la fregola ti passa. Oh, insomma, lo capisci: sono tua mamma’.
‘Oh, mamma, mamma’, le sospirai sul viso, ‘ho voglia, voglia’
‘Voglia di che?’. E, questa volta mi avvidi che era tesa e realmente preoccupata.
‘Voglia di tenerti abbracciata come faccio da sempre’.
‘Con quella erezione che ti ritrovi? Finiresti come nella vasca e per giunta addosso. Su, lasciami. Senti, fammi addormentare, intanto il tuo pisello va in ritirata e, poi, quando ti svegli dal primo sonno, ti abbarbichi al mio seno. O così, oppure mi faccio un giaciglio per terra e dormo per terra’.
Faceva sul serio. Era turbata. Non so se aveva più paura per la mia intemperanza o di sé. Era sicuro, però, che la faccenda per lei era chiusa, almeno consciamente. Riluttante, mi scostai, lei si girò su un fianco e, poco dopo, si addormentò o almeno così mi parve. Io non riuscivo a prendere sonno. Sapevo che non era giusto, ma volevo sentirla tra le mie mani, volevo sentire il tepore delle sue carni attorno al mio sesso. Mi feci coraggio, mi riavvicinai a lei, le cercai il seno e, come al solito, lo strinsi nella mia mano, cercando di dormire. Niente. Avevo il terremoto nel mio corpo e il fuoco nel mio ventre. Meccanicamente mi ritrovai a sfregarle il capezzolo che, pronto, cominciò a inturgidirsi. Mi feci più addosso. Lasciai scivolare la mano sino all’attaccatura della sua coscia e le sollevai la sottoveste. Lei si mosse. Io mi fermai. Lei sollevò il ginocchio della sua gamba sinistra, ripiegandola a squadra. Ascoltai il suo respiro. Sì, dormiva. O, almeno, così pareva. Rimossi la mano e la lasciai scivolare lungo la sua natica sinistra, tornita e vellutata, fino a raggiungere la meta ambita: la sua fica. Il solco dei suoi glutei che declinava in quello più caldo e voluttuoso del suo sesso. Comincia ad accarezzarlo, rapito, inebriato. Poi, lasciai che scivolasse dentro il mio dito solo per saggiarne il tepore. Mia madre si scosse con un sospiro, per ricomporsi. Mi sfilai lo slip e accostai il mio membro sul suo di dietro fino a raggiungere il suo sesso. Al suo contatto, mia madre si agitò più di prima, scendendo la gamba e ritrovandomi così col mio sesso imprigionato tra le sue cosce. Ormai non capivo più nulla. Stretto al suo seno, cominciai il mio andirivieni dentro quella ogiva incandescente. Fu una cosa di qualche minuto, perché il desiderio era così intenso che sentii salire vorticosamente il mio seme verso il mio fallo e, tirandomi velocemente indietro, mi girai sull’altro fianco, rovesciando il mio sperma sul lenzuolo. La febbre si era un po’ attutita. Dopo un po’ mi rigirai verso mia madre e, agganciata la sua mammella, cercai di addormentarmi. Lei si scosse e si accucciò di più a me. Respirava serena. E così mi addormentai.
La mattina successiva ricominciò la pantomima del bagno. Lavata e sistemata mia sorella, si precipitò al box doccia senza di me. Io la raggiunsi subito. Non mi voleva fare entrare. La spiegazione era che non eravamo più innocenti, ma toccati dalla malizia, cosa che dava ai nostri gesti, alle nostre carezze, altre valenze. Ribattei che erano tutte storie, che non poteva più mettermi da parte, che mi rendeva così infelice. Insomma: cedette. Quando fui sotto la doccia, con l’acqua che ci pioveva addosso, cominciai a baciarla. Tentò di respingermi, ma sempre più debolmente. Le scompigliai i seni con i miei baci. Infine scesi sul suo sesso. La sentii sospirare, mentre mi teneva le mani sui capelli. Quando era sul punto di giungere all’orgasmo, da vigliacca fuggì come il lampo, lasciandomi con il sangue in fiamme.
Quando ci ritrovammo a letto la sera, feci il risentito. Mi coricai in silenzio. Era lei, questa volta, che mi doveva cercare. Non diceva che non la dovevo toccare? E io non la toccavo. Non mi piaceva per nulla apparire come chi si prende qualcosa, fosse anche l’amore di mamma, con la forza o con la compassione.
‘Stanotte niente coccole, abbracci? Meglio così. Mi fai venire il mal di testa. Non mi parli nemmeno. Pure. Dovrei essere io arrabbiata con te, e, invece, sei tu a tenermi il muso’. E visto che non mi scrollavo dal mio mutismo, scivolò leggera su di me, sospendendosi sulle braccia, che incorniciavano il mio capo, i suoi seni a spiovere dinanzi ai miei occhi, il suo grembo gravare sul mio.
‘Ma’ sei senza mutande. Questa è nuova. E fai pure l’offeso. Ti corichi con me nudo. Ti pare una cosa conveniente’.
E io gelido: ‘Come se tu le avessi mai indossate di notte’.
‘Per me è un gesto naturale: L’ho fatto da sempre. Tu lo fai di proposito ora. Per provocazione’.
Sentivo nitidamente il suo vello cresposo sul mio sesso, il tepore umido del suo. E il mio membro ne risentì immediatamente, inarcandosi e pigiando sotto di lei. Le sue gote si accesero di strisce di fuoco,
‘Già ti ho fatto effetto, Capisci allora? Sono tua madre. So come ti senti, capisco la tua voglia. E ne hai ragione. Devi guardare le tue compagne. Sei un ragazzo fantastico, bello e virile. Ti farai le tue esperienze’. Intanto non si smuoveva dal mio grembo che sentivo come inondato da una colata di lava e il mio desiderio cresceva a dismisura. Lei si chinò sul mio viso, mi baciò entrambi gli occhi, poi mi sfiorò le labbra con un bacio.
‘Sei l’amore più grande della mia vita. Sono tua madre, tua madre’, e si staccò da me. ‘Se vuoi, puoi stringere il mio seno, quando stai per addormentarti. Mancherebbe pure a me, questa presa, se non lo facessi. E’ da quando sei nato che lo fai. Leggiti un libro, intanto. So che sembro cretina nel consigliartelo, ma ami tanto la letteratura e ti aiuterà a calmarti. Non me ne volere. Sai già che sono lusingata dalla tua’reazione diciamo alla mia femminilità. Mi fai sentire una donna bellissima’. Si girò per spegnere la lampada sul suo comodino e chiuse gli occhi come per addormentarsi.
‘Mamma’, dissi raggiungendola dal suo lato, ‘mamma tu sei bellissima. Gli uomini ti spogliano con gli occhi quando ti vedono per strada o allo SMA. E io qualche volta’ Sì, qualche volta mi dà fastidio. Sei così bella che togli il respiro. Baciarti, accarezzarti è un bisogno dell’animo ancora prima che della mia giovinezza. Io ti amo, ti amo da impazzire. Permettimi di baciarti come un uomo, non solo come un figlio’.
Lei scoprì le sue orbite di una notte profonda e peccaminosa. Le sue labbra tremolarono.
‘Pensi che non gradisca i tuoi baci, le tue carezze? E’ che sono troppo ardite, da uomo, appunto, e io sono tua madre. Cerca di imprimerti nella mente queste parole: ‘tua madre’. Ti amo da madre e tu, checché possa desiderare, mi ami da figlio. Ti prego, mettiti a leggere. Per l’amore che so che mi vuoi, non mi tormentare. Leggi un libro e lasciami addormentare. Fallo per l’amore che mi vuoi’.
Non risposi. La guardai intensamente, le presi le spalline della sottoveste e le tirai giù. Lei non si mosse, lasciò fare. Le accarezzai i seni con tutta la dolcezza e l’esasperazione sensuale possibile. Poi, le baciai i capezzoli, li succhiai. Il suo respiro era mozzo. Quelle lussureggianti sfere di carne si alzavano e sollevavano trepide. Il suo viso era sofferente, lancinato da emozioni violentemente contrastanti. Lasciai le sue mammelle e la baciai leggermente sulla bocca. I suoi occhi erano una supplica. Mi staccai da lei e feci come mi aveva invitato a fare: presi un romanzo dal mio comodino e mi misi a leggere, o, almeno, tentai. Una decina di minuti dopo sentii il respiro di lei che, supina, si era addormentata, il seno scoperto come lo avevo lasciato io. La mia intenzione era quella di coprirla, invece’ Quando le mie dita incontrarono la pelle del suo seno tremarono di desiderio. Mi poggiai su un gomito e la contemplai. Era un sogno da invasato d’amore. Le raccolsi il velluto dei capezzoli tra le dita, delicatamente, per non svegliarla. Poi infilata la mano sotto il lenzuolo cercai il suo sesso e cominciai a masturbarla. Sì, volevo che godesse nel sonno, volevo sentirla gemere. Quel lamento sommesso era una musica di delizia erotica e volevo risentirlo. E di lì a poco cominciò a lamentarsi di piacere. Godeva ed ero io che la stavo facendo godere. Si agitò, si contrasse. Era un orgasmo. Non lasciai la presa. Anzi, lasciai scivolare il mio dito dentro di lei, mimando il coito. Con lamenti sommessi, lei si girò sul fianco verso di me. Il mio membro era strinato dal desiderio. A un certo punto la follia ebbe il sopravvento. Le presi la mano e la portai su di esso. Mi bastava sentirne il calore, il tatto. Nel sonno, invece, lei, come se fosse a un dito, lei vi si aggrappò. Io, allora, cominciai ad agitarla e, inconsciamente, lei cominciò a farlo da sola. Su e giù, su e giù. Sentii il flusso salire dai testicoli, impetuoso. Feci per staccarmi, ma le sue dita si erano ben aggrappate. Non potevo eiacularle sopra. Sarei sprofondato dalla vergogna. Feci forza e le schiusi le dita, per rovesciarmi sull’altro fianco e lì, nel posto della notte precedente, svuotai l’onda rutilante della mia passione. ‘Oh, mamma, mamma, mi farai impazzire’, dissi tra di me. Sentii lei alle mie spalle che si stringeva a me calda e vellutata. Il suo seno contro le mie spalle, il suo bacino contro le mie terga. Poi, come per rannicchiarsi meglio, scavalcò le mie gambe con la sua destra. E in questo suo abbraccio mi addormentai.
Mi risvegliai verso le sei e mezzo del mattino. Fuori era buio pesto, ma la nostra camera era illuminata flebilmente dalla luce della lucciola. C’era un caldo soffocante. Sicuramente mamma aveva alzato la temperatura del riscaldamento e pareva di essere in piena estate. Accesi la lampada del mio comodino e mi girai a guardare mia madre. Era completamente scoperta, supina, una gamba distesa, l’altra piegata scompostamente, la sottoveste raccolta sotto la schiena, un seno denudato. Una visione che abbagliava e infuocava. Nonostante fosse freddolosa, aveva accusato il caldo anche lei. Come si poteva resistere alla tentazione di accarezzarla? Dimenticai di scendere dal letto per abbassare la temperatura del riscaldamento e mi accostai a lei. Volevo solo accarezzarla come avrebbe fatto una leggera brezza innamorata. Dopo averle lambito con un bacio il capezzolo, calai le mie labbra sul suo pube, folto come una savana. Rovistai quella selva lussuriosa come incantato con delicatezza, poi, scesi dolcemente verso il solco ombrato dalla peluria baciandolo a fior di labbra come fosse la sua bocca. La sentii muovere e, indugiando nel mio bacio, sospirare. Mi feci più audace e, accoccolatomi ai suoi piedi naufragai letteralmente su quell’ogiva di malia erotica. Il suo grembo cominciò a contrarsi, come più fitti si fecero i sospiri. Il che mi incentivava a insistere nella mia carezza labiale. Mi eccitava sentirla godere: mi rimandava al momento in cui l’avevo vista masturbarsi nel sonno. Le schiusi le turgide labbra del sesso e lasciai che la mia lingua vi scorresse dentro, per poi fermarsi sul segreto castone del piacere, insistente, avido. Il suo lamento si fece più lungo, languido, profondo. Il suo pube leggermente si inarcò, quasi in un’offerta. Insistetti. La volevo sentire appagata dal godimento. Picchiettai e leccai quel pistillo fino a quando non sentii il suo grembo sobbalzarmi contro e una leggera, calda, rugiada bagnare le mie labbra. Contento che aveva goduto mi levai e mi distesi accanto a contemplarne il viso radioso e soddisfatto. Dopo qualche minuto, i suoi occhi si aprirono pian piano e videro i miei che dall’alto si beavano di lei.
‘Marco, che c’è? E’ già suonata la sveglia? Sei incantato a guardarmi? Allora sono davvero bella’. E si stiracchiò tutta. Arricciò il naso e allargò le braccia.
‘Vieni qui, sul mio petto. Ho bisogno di tenerti stretto a me. Sei il maschio della casa, la mia fortezza, la mia speranza, il mio futuro. Anima mia, anima mia’.
Io mio abbandonai nel suo abbraccio, il viso affondato nel suo seno e la mano a stringerne uno.
‘Vedi che non è suonata la sveglia’, dissi io. ‘Hai alzato la temperatura del riscaldamento a duecento. La sauna ci possiamo fare’.
‘Non sento caldo. Sto comoda’, rispose lei.
‘Tant’è ch’eri tutta scoperta. Sei tutta scoperta’
‘Un dono per i tuoi occhi. Ti piacerebbe stessi così. Mi vedi sempre nuda: ci dovresti aver fatto l’abitudine’.
‘Ma non ti fai toccare’.
‘Quando mai, se sei sempre con le manine a scorazzare dappertutto su di me!’
‘Dappertutto, no. E, poi, vuoi carezze da figlio’.
‘Lo so. Vorresti carezze più intemperanti. Marco, Marco, certe cose si possono sognare. Nei sogni si può fare tutto: la realtà è diversa’.
‘Mamma, mamma’ e mi strinsi di più a lei sollevando la mia gamba sinistra tutta su di lei. Il mio sesso gravò marmoreo contro il suo bacino. La sentii irrigidire anche se per qualche istante.
‘Mi sa che ci dobbiamo alzare. Tua sorella dorme come un angelo. Non facciamo rumore. Avremo così un po’ di tempo in più per farci la doccia, prepararci la colazione con calma. Domani, che è domenica, potremo poltrire di più a letto, sempre se tu lo consenti’. E, senza darmi nemmeno il tempo di protestare, si alzò dal letto e scese a terra. Si infilò le ciabatte e si diresse verso il bagno.
‘Allora, poltrone che fai? Non mi raggiungi?’.
Figuratevi se non la raggiungevo. Ero talmente galvanizzato dal desiderio che la raggiunsi in un attimo.
‘Fatti insaponare da me. Questo me lo puoi concedere almeno’.
‘Solo le spalle. Ti concedo solo le spalle’.
L’acqua cominciò a piovere dalla doccia. Presi il contenitore del sapone e lo spremetti sulle spalle. Dopodiché mi detti a spalmarlo dappertutto con irruenza, fervore. ‘Piano, piano’, mi invitò lei con affanno. L’acqua cadeva galeotta sui nostri visi, le spalle, il petto, il sesso. I peli erano come impreziositi da gocce di brillante che rendevano più conturbanti il suo corpo, la sua femminilità. Mi ritrovai inconsciamente a baciarla, circondandola da dietro, sulle guance, sul collo, mentre con una mano la tenevo stretta per un seno e con l’altro le ghermivo il sesso.
‘Marco, Marco no, non si può. Oh, Marco, fermati’, ansava, mentre la tempestavo di baci, non rispondendo certo ai miei, ma non sottraendosi. Serrai il mio sesso contro le sue terga e non la sentii scostarsi, mentre mi invitava a smettere. Ma il suo respiro era sempre più affannato, il seno sempre più ansante. La girai verso di me. Si girò verso di me. Ne cercai la bocca, che schiuse leggermente. Non rispondeva ai miei baci, ma li raccoglieva tutti come la pioggia di acqua che ci scrosciava addosso. Le raccolsi i seni tra le mani e vi tuffai il mio viso, stordendo quelle sfere voluttuose con l’ardore dei mie baci, dei miei morsi leggeri. Sembrava anche lei travolta dal fuoco da cui era bruciato io. Le presi la mano e la spinsi sul mio sesso. La guardai con la supplica negli occhi. Raccolse il mio sesso nel suo pugno e cominciò a masturbarlo, mentre mi tenevo stretto a lei, avvinghiato, la gota del suo viso contro la mia. Se il mio cuore batteva a mille, il suo non era di meno. Dolcemente avanti e indietro, avanti e indietro. Quando sentii che stavo per venire, serrai il mio bacino contro il suo. Non si sottrasse. Con la mano lasciò che si indirizzasse sotto il suo perineo e venni dentro quell’ogiva fiammante, mentre l’acqua scrosciava sopra di noi, portandosi via l’onda del mio godimento.
‘Su andiamo a fare colazione’, disse staccandosi con dolcezza da me.
‘Mamma, io”.
‘Shiii. Ho una gran fame. E oggi sarà una giornata dura allo Sma’.
Quando uscii per recarmi a scuola con mia sorella e feci per baciarla sulla guancia, lei mi fermò per le spalle, rimirandomi e spinse il bacino contro il mio, stringendomi a sé. Il mio sesso si rizzò immediatamente e lei mi trattenne su di sé, quindi, le labbra schiuse, mi baciò vereconda sulle labbra. Lei si diresse verso l’automobile, io, il cuore in tumulto, e Giada verso la scuola.
Erano quasi le nove di sera, quando lei fece il suo ingresso in casa. Ero febbricitante e nervoso. Mi aspettavo tanto e nel contempo nulla di più di quel che mia aveva concesso. Aveva il viso stanco, ma, quando mi vide, capì che ero teso e mi sorrise. Mi sporsi per baciarla e, per la seconda volta nella mia vita, mi porse le labbra. Era, certo, un bacio da educanda, ma sulle labbra, come fa un’innamorata. Aveva bisogno di tempo, ma ero convinto che sarebbe stata mia, la mia donna. La seguii come un’ombra nella camera da letto. Lei si spogliò, rimanendo in mutandine e reggiseno e fece per indossare un grembiule. L’abbracciai per la vita, baciandola sul collo. Lei si girò e mi guardò sorridente.
‘Sono stanca. Il sabato è infernale: Che hai fatto oggi a scuola? A tavola voglio sapere tutto. Sai che sono gelosa’. Ancora una volta, mentre parlava e la serravo per la vita, pressò il suo pube contro il mio, che avvertì, ovviamente, la prepotenza già turgida del mio sesso.
‘Non hai motivo di esserlo. Tu sei non solo nel mio cuore, nella mia mente, ma anche nei miei occhi sempre. Io non vedo altri visi se non il tuo. Se potessi, ti vorrei ogni attimo con me’.
‘Mi ami così tanto, allora. Sei un romantico d’altri tempi. Come si fa a resisterti?’.
‘Oh, mamma, mamma’, e cominciai a baciarla sugli occhi, poi la bocca. Le mie mani corsero al suo seno. Lei schiuse trepida le labbra. Non ricambiò con la passione che imprimevo io ai miei baci, ma le accettava e il suo grembo non si staccava dal mio, ma timidamente e decisamente vi strusciava contro. Quando feci per cercarle il sesso, però, lei mi scostò, il viso in fiamme.
‘Mi vuoi fare preparare la cena? Giada comincerà a chiamare. E’ sola in cucina. Si chiederà che staremo facendo’.
La guardai con gli occhi perduti.
‘Vorrei perdermi tra i tuoi seni. Sono perfetti, meravigliosi. Drogano. Si, mi drogano’.
‘Non so se mi fanno un po’ male perché mi devono venire le mestruazioni. Ma ancora mancherebbe una settimana. No, è perché tu me li stringi troppo’.
‘E’ il reggiseno che ti stringe troppo. Perché non te lo togli’.
‘ Se lo vuoi vedere sempre così sostenuto, lo devo curare, non credi?, con un buon reggiseno’.
‘Le coppe delle mie mani ti faranno da reggiseno. Levalo per questa volta’. E, presala per le spalle, la girai.
‘Ma che fai?’, rise lei, mentre le sbottonavo il grembiule e andai a slacciarle il reggiseno, per raccogliere le sue mammelle tra le mie mani. La voglia di lei era prepotente. Se la sua ragione non avesse interferito con il suo istinto, si sarebbe abbandonata tra le mie braccia. Al momento accettava solo questo gioco dei sensi e io dovevo rispettarlo, anche se era una tortura. Ubriacai le mie mani nel palparle, pizzicarle. Lei mi porgeva, girando la testa, le labbra schiuse che io baciavo avido. Il suo di dietro premeva sul mio sesso. Ansimò, mentre si strofinava contro di me. Poi, si staccò decisa.
‘Mi farai perdere completamente la testa. Io devo ragionare per tutti e due. Tu hai gli ormoni in tempesta, ma io sono adulta e devo essere saggia per entrambi’.
‘Mamma!’, era il grido di Giada. ‘Mamma, ho fame!’. Si rassettò. Restando senza reggiseno. Sulla soglia della porta si fermò. Rifletté un attimo, si portò le mani sotto il grembiule e, guardandomi di sottecchi, con un sorriso assassino, si sfilò le mutandine. Capì che era così che la volevo, anche se non avevo avuto il coraggio di chiederglielo. Mentre cucinava mi portai dietro di lei, prendendola per la vita.
‘Fammi cucinare. Giada, distrai tuo fratello, se volete cenare presto. Su, sii buono’.
Ma, sempre da dietro, le cercai il seno, prendendole i capezzoli.
‘Marco, Marco’, sospirò’, ma le piaceva che le palpassi i seni. Restando coperta perché mia sorella non se ne avvedesse. Mi feci più audace. Del resto, non mi aveva lei incentivato? Perché si era tolta le mutandine, se non avesse voluto? E, senza darlo a vedere a Giada, sapendo che dinanzi a lei mamma non avrebbe potuto protestare, la cercai nel grembo sotto la vestaglia. Lei sobbalzò, cercando di togliermi la mano. Non desistetti, l’afferrai per il vello. Lei tentava di scacciare la mano. La cercai nel sesso e cominciai a masturbarla. Si dibatté, senza darlo a vedere, in silenzio, tentando di respingere via la mano. Ma il fiato si faceva pesante. La parte più profonda di lei voleva, eccome. Il viso sul collo, una mano sul seno, lei mi strattonava, io la rovistavo. La mammella sobbalzava nella mia mano dall’accelerazione dei battiti del suo cuore. Infine, si arrese e aspettò di godere, mentre si abbandonava contro la mia spalla. La frugai con un dito, poi due, la titillai ancora, ancora e ancora. Il mio sesso, pigiava marmoreo contro le sue terga che l’apprezzavano. La sentii nitidamente contrarsi. Stava godendo. La mia mano si bagnò del suo miele adorato. Si girò, il viso in fiamme, gli occhi di fuoco. ‘Ti odio, ti odio’, mi sussurrò. Ma gli occhi cantavano un inno diverso. Ormai dovevo aspettare la notte, quando saremmo andati a letto.
Fu una serata insolita. Seduto accanto a lei sul divano, davanti al televisore, anche se Giada era vicina, la cercavo nel sesso. Lei mi allontanava. Le prendevo la mano e la posavo sul mio. Lei non la toglieva, ma la teneva immobile. E questo mi esasperava. Ad un tratto mi gridò sottovoce: ‘Basta, Marco. Per stasera, basta’. Giada vedeva quello strano agitarci e ci guardava. Mamma protestava, però, non si allontanava da me. Quando capì che volevo restare il più possibile con la mano nel suo grembo, si alzò e io credei che si sedesse altrove. Invece tornò con un plaid. Si riaccomodò accanto a me e, come se sentisse freddo ‘ era impossibile con la temperatura alta che c’era in casa,- coprì le gambe sue e le mie. Lo faceva per mia sorella, perché non si accorgesse di quelle strane manovre. Allora, le piaceva! Lo sapevo! Era tutta una pantomima per eccitarmi di più. Tornai alla carica. Come prima lei tentò di allontanare la mia mano, infine si arrese, accettando pure di rimanere con la sua dentro la mia patta. Non la masturbai questa volta. Volevo solo tenerla lì, calda, in quel vello voluttuoso. Era da un po’ che la sua mano stava nei miei calzoni, quando le sue dita lentamente si mossero e cercarono i miei testicoli. Mi sentii sprofondare nel cuore. La mano di mia madre mi mungeva dolcemente. Non avrei mai immaginato ‘ non ne avevo consapevolezza, – che si potesse provare un piacere così intenso. Allentava e serrava, allentava e serrava. Con la punta delle dita pigiava deliziosamente alla radice dei testicoli. Il piacere si fece sempre più forte, il mio membro si tese al parossismo. Mi aggrappai al sesso di lei, mentre venivo copioso nella sua mano. Continuò per qualche minuto a massaggiarmi il pene, avanti e indietro, poi tirò la mano fuori dalla mia patta, asciugandola sul grembiule.
Rimasi così tranquillo fino a quando lei si alzò per permettere a Giada che cascava dal sonno di coricarsi.
‘Voglio vedere’, biascicò Giada, ‘quando darai un po’ di attenzioni anche a me. Come se non fossi pure io una donna!’
‘Lurida mocciosa’, feci io, scompigliandole i capelli. ‘Se non mi lasci mai da solo. Sei sempre in mezzo; e mi fai pure litigare con qualcuno che ti viene dietro’.
‘Il mio eroe!’, mi canzonò. ‘E, comunque, resta il fatto che quando sei in casa sei sempre addosso a mamma e me, manco mi vedi. Vattene con mamma, va via, che sto cascando dal sonno’.
‘Hai capito, la signorina: mi fa penare tutta la giornata, tu vieni solo la sera tardi e pure si lagna. Ah, la gratitudine’.
‘Che faccia tosta! Sta tutto il pomeriggio per i fatti suoi. Quando mai con tutte le smancerie che fai a mamma. Baci a destra e carezze a mamma. Se non ti stanassi io, saresti peggio di un fantasma’.
‘Buonanotte, tesoro’, disse mamma. ‘Lascialo perdere questo ragazzaccio. Ora glielo faccio io il discorsetto.’ E si indirizzò verso la cucina. Io la seguii a ruota.
‘Ho bisogno di un litro di camomilla: sono troppo euforica’, e si accinse a prendere dalla mensola una scatola di bustine di camomilla. Mi feci subito accanto e l’abbracciai, baciandola sul collo.
‘Smettila: mi fai venire i brividi’.
Feci per cercarle i seni. Lei parve respingermi. La girai e tentai di baciarla sulla bocca.
‘Allora, che facciamo? Andiamo a letto o restiamo ancora qui a giocare allo scoperto?’. Così mi affrontò guardandomi fitto negli occhi. ‘Sì, ché solo questo possiamo fare. Il resto non ci è consentito. Almeno io, non posso, non voglio andare oltre’.
‘Ma tu mi desideri, vero, come ti desidero io?’; balbettai. ‘Non è che lo fai per compiacermi, perché mi vuoi bene?’, continuai spaventato. In fondo ero un ragazzo, anche se volevo fare l’uomo consumato.
Lei capì la mia trepidazione. ‘Ti ho già detto che nel sogno, quando si dorme, tutto diventa lecito, ma da svegli tanti nostri desideri devono essere domati. No, non sono costretta a corrisponderti. Certo, se non fossi stata sollecitata da te, quei desideri proibiti sarebbero rimasti nascosti dentro il mio cuore, ma ora che sono emersi in modo così vistoso, non posso più tenerli segreti. E’ da una vita che non sentivo una mano maschile cercare la mia femminilità. Era come una fiamma che covava nella cenere. Tu l’hai scoperta e fatta deflagrare e so che non potrò più farne a meno, se tu mi tenti. Non mi chiedere, però, più oltre. E’ proibito. Non si può, non si può’.
‘E’ senza senso ciò che ci vuoi imporre. Che logica è la tua? Proibito fare l’amore. E’ questo che intendi, non è così? Masturbarsi allora si può e fare l’amore no? Non lo capisco, davvero. Tu lo desideri, vero? Desideri fare l’amore con me. Dillo. Se è vero, dillo. Almeno questo lo devi. Voglio sentirtelo dire: voglio fare l’amore con te’.
‘Non ti basta che ti faccia godere? A me basta. Vedi quanto piacere si può avere lo stesso, senza, sì, quella cosa’.
‘Perché non hai il coraggio di pronunciarlo, perché?’. Mi feci incontro e le raccolsi il viso tra le mani. Tremavano le sue morbide labbra di desiderio. Vi apposi le mie in un bacio appassionato e con la lingua cercai che schiudesse del tutto la bocca. Fremente la baciavo e sospingevo la lingua. Scostava il viso nel falso tentativo di districarsi, ma non desistevo dal tormentarle la bocca con le mie labbra e la lingua. Fu la sua ultima resistenza. Si abbandonò al mio bacio, la lingua dentro la lingua, la saliva mischiata alla mia. Cercai ancora il suo seno, mi persi sopra il suo sesso. D’un colpo lei mi respinse. ‘Non ti resisto, se insisti. Mi costringi allora a scappare via, fuori, di notte. E’ questo che vuoi. Non posso fare l’amore, non posso. E’ peccato, peccato. E’ proibito. Non posso però resisterti. Non sono così forte come pensi. Ti cederei, ma il rimorso mi ucciderebbe. Ti prego, accontentati delle carezze. Sai, ti ho dato una piccola prova: so fare tante cose che ti spicciano tanto piacere. Ti insegnerò come farmi godere, senza fare l’amore. Lo fanno le donne tra loro. Ti insegnerò a farlo con me’.
‘Io non sono una donna. L’hai visto e sentito’.
‘Hai compreso benissimo. Mi puoi prendere, se vuoi. Non opporrò resistenza. Ma è come se mi uccidessi. Godiamo di quello che abbiamo. Tu non immagini i miei giochi d’amore. E’ come se lo facessimo’.
‘Oh, mamma, che dici, che dici. E’ meglio che andiamo a coricarci. Non ti prenderei mai contro il tuo desiderio, per vederti infelice. L’amore è gioia radiosa, è luce, è sorriso, è la vita, mamma, la vita. Faremo l’amore solo quando sarai pronta. Io so che tu lo farai, ma senza il veleno del rimorso. Ti voglio vedere gioire, quando faremo l’amore. Prenderti in ogni occasione solo perché tu ne goda, ti senta appagata e serena. Su vieni a letto’.
Ci spogliammo e ci coricammo nudi pieni di voglia. La presi tra le mie braccia e la travolsi di baci. La sua bocca ripose con passione, vorticando sulle mie labbra. Cercò col suo pube il mio sesso che le scivolò sotto il suo. Lo voleva ora sentire duro e ruggente sul suo. Poi presi a baciarmi con voluttà. Non si ritenne più ormai di stringere in mano il mio sesso o di baciarlo o ancora di suggerlo, avvolgendolo, nella sua bocca. Era vero: seppe farmi godere senza farmi eiaculare, esasperando sino all’inverosimile i miei sensi infiammati. Guidò la mia mano sul suo corpo con sapienza raffinata, che la fece torcere dal godimento. La mia lingua, le labbra le torturarono i seni e tutte le pieghe del sesso sino a sfinirla dal tripudio dei sensi. Ma, come non avvedersi che rimaneva incompleto quell’intrecciarsi dei corpi nello stillare piacere, senza l’amplesso d’amore. Tantalo s’avvicinava per raccogliere l’acqua con la bocca riarsa, ma, appena era a lambirla, l’acqua si ritirava. Così era di lei. La voglia l’attanagliava di sentire il mio maglio scendere dentro di lei, ma, quando stava a lambire quelle labbra golose, si ritraeva scomposta come da una minaccia paurosa. Certo godetti intensamente nella sua bocca assetata: non era l’alcova agognata.
‘Aiutami a farmi addormentare, come fai ogni notte, la tua mano stretta sul mio seno e col tuo bacino contro il mio di dietro e il tuo sesso a scorrere sotto il mio. Aiutami a dormire: mi hai stremata’.
‘Non appagata, non appagata. Tu lo desideravi, quanto me, ma non hai avuto il coraggio’.
‘Amore mio, amore mio! Chissà, forse tra un mese, due, chissà. Sicuramente lo sognerò e godrò di te nel sonno. Da sveglia dovrà essere naturale, dovrà avvenire naturalmente. Potrai prenderti, allora, non solo il mio grembo, ma anche quella parte più segreta. Abbracciami’.
Si accucciò contro di me e poco dopo si addormentò. Ma le sue ultime parole avevano accresciuto il mio desiderio che non si era per niente spento. Il mio membro svettava come un obelisco tra le sue gambe. Allungai la mano e la accarezzai nel sesso da dietro, partendo dal buchetto tra le natiche. Lei si agitò e si strinse di più a me, ripiegando verso l’alto un poco le gambe. Il suo sesso si schiuse invitante sopra il mio membro. Non capivo più niente. Lo vedevo come un invito ineludibile. Lei dormiva: non ne avrebbe avuto coscienza. Se avesse goduto nel sonno ‘ non l’aveva detto sempre lei?- non avrebbe avuto rimorso. L’accarezzai ancora di sotto, vi feci sgusciare un dito nella fessura agognata. Era ancora bagnata e vi scivolai quasi con un risucchio. Andavo e venivo, riuscito, la masturbavo e nuovamente la penetravo col dito, poi con due dita. Si strinse ancora di più a me col suo culetto. La sentii sussultare nella mia mano che si bagnò dei suoi umori. Nel sonno stava godendo. Mi decisi. Poggiai la punta del glande e lentamente la penetrai. Il cuore mi si slargò nel petto. Come la sentii tanto mia. Era come se quella vagina attendesse la sua giusta spada. Lingua di fuoco sul mio sesso mentre infierivo su lei. Lei che sospirava con lamenti profondi. Stava sognando che la possedevo. La vidi mordersi le labbra, il viso striato dal piacere. L’abbrancavo per il seno, mentre scorrevo dentro di lei. Andavo e venivo più veloce. Lasciai con la mano il suo seno e mi ancorai al suo ventre. Avanti e indietro, avanti e indietro. Volevo venire dentro di lei. E, se restava poi incinta? Ma non mi aveva detto che era vicina alle mestruazioni? Allora potevo inondarle col seme il suo grembo. Certo, potevo. Frenetico mi muovevo dentro di lei, i miei testicoli schiaffeggiavano le sue natiche. Poi fu uno spasmo e mai godimento fu intenso come quello provato fino allora. Anche lei singhiozzò di lamenti, pur dormendo, del godimento provato. La sentii vivamente contrarsi contro il mio petto. Ora potevo dormire. Lei ridistese le gambe ad incontrare le mie. Ora era serena, riposava tranquilla. Aveva goduto nel sonno con quell’amplesso proibito. Anch’io ero appagato. Potevo finalmente dormire.
Fu lei la prima a svegliarsi questa volta e a svegliarmi con un bacio sulla bocca.
‘Buongiorno, maschione. Hai dormito bene? Io mi sento meravigliosamente in forma’, e mi si buttò addosso nella sua radiosa nudità. Ora non mostrava più ritrosie, riposti pudori. Si mostrava e agiva come una disinibita amante e io ero stordito dalla sua carnalità, ipnotizzato dalla sua bellezza, ammaliato dalle sue forme, irrimediabilmente innamorato della sua femminilità. Sapeva quanto il suo seno mi affascinava e mi eccitava, perciò lo lasciò appena gravare sul mio petto, scivolandolo sempre più in giù fino a strusciarlo sul mio sesso, ritto come l’albero di una nave. Niente più timidezze ormai, inibizioni. Prese quell’asta di carne e la fece scorrere nell’incavo dei seni, giocò a punzecchiare con i capezzoli duri nella loro morbidezza la punta del glande. Poi, se la portò contro il viso, la accarezzò, la vezzeggiò, la baciò, la cullò, ne succhiò i testicoli sballottandoli dentro la bocca tra una guancia e l’altra. Quindi, si sedette e guardandomi con un sorriso luminoso, gli occhi accesi dalla bramosia, mi disse: ‘Voglio vederlo eruttare la passione che lo incalza’. E cercò il mio sguardo d’intesa. Io bruciavo dalla voglia e sbattei le palpebre senza parlare. Lei, come impugnando uno scettro regale, cominciò a masturbare il mio membro. Prima con un saliscendi lento, quasi esasperato, poi più veloce, fino a diventare frenetico, il viso a ridosso a divorarlo con gli occhi. Il getto schizzò su violento, investendole il volto e inondando la mano. Bramosa calò la sua bocca a nettare il mio glande. Io mi sentii estasiare.
Poi, in uno slancio d’amore, mi si gettò addosso e mi travolse di baci.
‘Ti amo, ti amo, ti amo. Non dovrei, so che non dovrei. E’ un peccato, un peccato. Però non stiamo facendo l’amore. Sono felice che tu mi trovi bella, seducente. In fondo, che facciamo? Ci concediamo dei gesti più affettuosi dell’usuale. Ma non è vero che le nonne di un tempo per calmare il nervosismo dei bambini piccoli, maschi o femmine che fossero, li masturbassero. C’era qualcuno che per questo si scandalizzava? Effusioni, sono solo effusioni d’amore, d’un amore senza confini. La traduzione esteriore, fisica, di quest’amore. Basta che non facciamo quello, non credi?’.
‘Mamma, tu non puoi nemmeno immaginare quanto ti ami e ti desideri. Io voglio fare l’amore con te, stare dentro di te. Quando mi dai la tua bocca, o la tua mano e ti vengo lì e qua, certo che mi fai godere un mondo, ma non è la stessa cosa, non siamo una sola cosa. E’ tutto esteriore. Se sto dentro di te ti sentirai mia, mi sentirai tuo. Ero tuo perché ero dentro di te, quand’ero un feto. Ecco: debbo stare dentro di te, per ridiventare tuo, essere mia. Sentirmi dentro di te, nelle tue mucose, il mio sesso che si gonfia dentro di esse e tu lo senti pulsare, avvampare, ne senti il getto che asperge l’utero, lo senti reclinare. Come fai a negarti questo dono, a negarlo a me? Sei la mia donna, la mia: voglio entrare lì, da dove sono uscito’.
‘Marco, Marco, mi fai impazzire. Mi hai fatto bagnare, tanto mi hai eccitata con queste parole. Mi hai scopata con esse. Sì, mi hai scopata. Vedi? Lo dico: mi hai scopata. Non c’è bisogno di farlo in quel modo. E’ un fatto mentale. Tu l’hai descritto come se fossi dentro di me e io così l’ho sentito e ho goduto. Guarda: il tuo gingillo si è inarcato. Hai visto come hai reagito?’.
‘Cosa dici, mamma? Mi si rizza in qualsiasi momento, se ti ho vicino. Oh, mamma, mamma: ti scoperei tutti gli istanti della mia vita. Sei un sogno di lussuria, uno scrigno di altissimo erotismo. I tuoi seni sono cuscini di cocaina, la tua fica è una grotta di perdizione, di goduria senza confini. Fammi entrare in quella grotta. Hai sognato che facevamo l’amore, lo hai sognato? Ti ho vista in viso, mentre dormivi, il viso radioso, sognante. E se lo hai sognato, è perché lo agogni. Allora, perché non realizzare il sogno, visto che siamo qui vicini e bramosi di amarci?’.
‘Sì, l’ho sognato. Lo ricordo bene. Mi hai fatto godere tanto. Ma nel sogno ‘ te l’ho già detto ‘ tutto è permesso. Non ci pensare, goditi ora i miei seni e fammi godere. Devastali, martirizzali, sprizza mille orgasmi da essi. Stringili, baciali, non parlare più’.
Calò su di mie i suoi occhi neri carichi di desiderio, avvolgendomi la mente e l’anima, e mi tuffai in quelle colline fumiganti di concupiscenza. Capivo che era più di una grande passione, era una febbre, un incendio che ti colava nelle ossa, te li corrodeva. Martoriai veramente quelle mammelle che mi stregavano e la feci spasimare dal piacere. Poi, scavalcatomi, si mise carponi su di me con il suo sesso pencolante sul mio viso e il suo a ridosso dei miei genitali. L’avevo vista, quella posizione, nei film porno, ma non l’avrei mai immaginata a praticare con mia madre.
‘Leccami e penetrami con la punta della lingua e resisti nel venire fino a quando te lo dico io’, quindi abbracciò il mio genitale e lo infervorò di stimoli da renderli insopportabili. Volevo far esplodere pure lei dal godimento, sentirla sussultare sul mio viso. Intanto, cercavo di trattenermi, ma lei era più che esperta sul come fare. Capiva quando stavo per venire e riusciva a spegnere il rigurgito che saliva dai testicoli. Poi, la voce rotta dal piacere, sillabò: ‘Ora, ora, vieni, vieni’. Esplosi, il sesso chiuso nella sua bocca, e lei, senza farlo fuoriuscire, inghiottì sino all’ultima goccia lo sfogo del mio orgasmo. Avrei dovuto essere sfinito, spompato e, invece, mi bastava sfiorarla perché la voglia di lei riprincipiava. Volevo possederla, entrare in lei. Sì, l’avevo presa, l’avevo scopata, la sensazione era stata deliziosa, solo che lei non aveva partecipato. O meglio: aveva goduto, ma quasi in silenzio, quasi immobile, passivamente e io la volevo vedere torcere sotto o sopra di me, il viso stravolto dal godimento.
Una voce, quella di Giada. Fosse entrata qualche istante prima ci avrebbe colto in flagrante. Sobbalzammo all’unisono: non era mai entrata così silenziosamente di mattina, anche perché, dormigliona, si svegliava sempre dopo di noi.
‘Avete intenzione di farmi morire di fame. Marco, ehi, tutto nudo! Verrebbe un infarto alle mie compagne a vederti così: potrei farmi pagare il biglietto e farti ammirare di nascosto: vedi i pettegolezzi, però, a vederti con mamma. Mamma, è un figo Marco, non è vero?’
‘Sì, un figo. Anzi, di più: è uno splendore, più bello e possente di un arcangelo. E lo amo’.
‘Anch’io, mamma, anch’io, anche se non come te’.
Io mi ero prontamente coperto le pudenda, mamma non si era per nulla scomposta. Giada era abituata a vederla nuda come me, ma non nel letto insieme a me nudo e con l’asta in erezione. Non so se mia sorella fosse sorpresa, indifferente o divertita. Scandalizzata no. Non era certamente ingenua. Aveva tredici anni, ma era già una bella fanciulla con una seconda piena di seno, le gambe lunghe e un vitino di vespa. E sapeva di essere seducente, anche se non si truccava, non solo perché mamma non l’avrebbe permesso, ma perché sapeva di non averne bisogno. Eppure, nonostante non avessimo problemi di pudore, non credo, o almeno, non ci avevo fatto mai caso, di avere visto mia sorella completamente nuda. Mamma si infilò una maglietta e la gonna. Non indossò né reggiseno, né mutandine. Una dimenticanza o una cosa voluta come il giorno precedente? E Giada? Che avrebbe pensato Giada? Non ci volle molto, almeno secondo la mia impressione ‘ o forse perché mi sentivo colpevole avevo quell’impressione, – ad accorgermi che ci tallonava da presso. Discreta, ma attenta. Io ambivo toccare mia madre, palpeggiarla. Non avevamo nemmeno fatto la doccia insieme. E avevo così voglia di sentire quelle magnolie di voluttà, quella sua foresta nera, come pure certamente ne aveva lei.
Mamma cominciava ad acconciarsi a preparare il pranzo che chiese a Giada se andava a stendere la biancheria in lavatrice.
Con indolenza, lei svuotò la lavatrice e si portò sul balcone per stendere la biancheria. Eravamo sicuramente invasati. Ci buttammo subito uno nelle braccia dell’altra, assetati, avidi, come se non ci fossimo visti da mesi. L’afferrai per i seni agognati, la maglietta alzata, il viso perso su di essi. Indietreggiando sotto la mia irruenza, finì per sbattere contro il tavolo di cucina. La rovesciai sopra, braccandole il sesso. Mi ubriacai del suo odore penetrante, mentre lei mi si stringeva con le gambe attorno alle spalle. Furono pochi minuti, intensi, frenetici, che ci lasciarono con le fiamme nel sangue. Il desiderio e la paura si scontrarono: vinse la pura che, per qualche motivo, Giada rientrasse prima. Mamma si rimise a preparare. Io le stavo dietro le spalle, un occhio alla porta del saloncino e la mano sotto la sua maglietta. Che cosa potevo trovare di più di quel che la mia mano già sapeva? Perché quel morboso desiderio di sentire quella fioritura femminile sempre nella mia mano, perché anche lei godeva nel sentirsela agognata e abbrancata? Non saremmo mica impazziti, madre e figlio. E, se tutta questa frenesia era perché non potevamo sfogare i nostri sensi con la sua penetrazione e trovava il suo sfogo in questo altissimo surrogato erotico? Stavo cercando nuovamente di artigliare la sua intimità, quando scorsi mia sorella che rientrava. Lasciai subito mamma e mi girai, appoggiandomi contro il piano della cucina.
‘Penso che una volta tanto anche tu potresti andare a stendere la biancheria: solo come principio, non perché mi secchi. Piuttosto, invece di stare lì senza far nulla e distrarre mamma, perché non mi aiuti a fare i compiti?’.
‘Come se avessi bisogno di me!’
‘E chi l’ha detto che non ne ho. Fosse anche del tuo sostegno morale. Avanti, sta un po’ con me: non esiste solo mamma’.
‘Su, va con Giada. Ha ragione di essere gelosa. Giada, guarda che tuo fratello ti adora. Ma tu lo sai. E’ che quando è con me, si lascia trasportare: ci vediamo così poco’.
‘Se dormite insieme: ci manca solo il cordone ombelicale per non lasciarti completamente. Respira pure un po’ l’odore di tua sorella’, disse rivolta a me’.
La seguii nel salone. Lei tirò fuori libri e quaderni e cominciò a sfogliarli con me che le stavo accanto.
‘Mi trovi bella? Se non fossi mio fratello, attirerei la tua attenzione?’.
‘Sai che sei bella, ne abbiamo parlato. Se non ti guardano in modo casto gli altri ragazzi, perché lo dovrei fare io?’.
‘Allora ti piaccio o mi trovi troppo piccola per un giudizio sessualmente interessato?’.
‘Perché? Tu saresti una fanciulla che non suscita desideri sessuali?’.
‘Hai capito benissimo. Sono troppo piccola perché tu possa sentirti attratto sessualmente da me. I fratelli sono attratti dalle sorelle. Ogni fratello vorrebbe scoparsi la sorella’.
‘Giada, stai dando i numeri! Non essere volgare. Sì, può darsi che un fratello voglia farsi la sorella: non è il mio caso’.
‘Perché sono piccola o perché non suscito sogni erotici. Insomma: se mi vedessi nuda’ ti intrigherei? E non mi tacciare di volgarità, come non avessi sentito in che modo conversi con i tuoi amici, maschi e femmine’.
‘Che c’entra. Perché anche se ti desiderassi come donna, non ci penserei perché sei mia sorella’.
‘Allora con mamma? Ti fai la doccia con lei e, per giunta, nudo nel letto con un pennone inalberato. L’ho visto sai. E cos’è quello se non desiderio erotico?’.
‘ Che c’entra, Giada. Mamma l’ha raccontato tante di quelle volte. E’ da quando sono nato che dormo con lei e che mi attacco al suo seno. E’ come se mi mettessi il dito in bocca mentre dormo’.
‘Col dito in bocca non si rizza all’arma bianca’.
‘E’ una cosa che avviene a tutti i ragazzi, quando si svegliano’.
‘Ti eri già svegliato da molto prima. Allora, se è così innocente, se non ti suscita nessun appetito erotico, non accadrebbe pure con me, tenendomi un seno’.
‘Giada, non ti capisco davvero. Mamma è mamma: mi ha partorito. Tu non sei mia madre’.
‘Che dovrebbe suscitarti istinti erotici più casti di quanti non te ne susciti io. Però, il tuo arnese la pensa diversamente. Io volevo sapere se ti farei lo stesso effetto. Non per altro: visto che sono tua sorella, posso permettermi di sapere senza pregiudizi che effetto faccio a un ragazzo, se gli faccio toccare le mie tette’.
‘Vuoi che ti tocchi le tette? Stai scherzando’.
‘Ti faccio proprio schifo. Sei un cafone, allora’.
‘Non so che t’è successo stamattina. Io non ho detto che le tue tette non mi possano turbare. Dico solo che”
Non mi lasciò finire. ‘Voglio che tu me li palpeggi come farebbe un eventuale mio ragazzo. Su, stringimi e fai il conto che sei il mio ragazzo’, e, prendendomi per le mani se li portò sui propri fianchi, mentre si stringeva a me. ‘Avanti, Marco, lo voglio’, disse con la voce arrochita, tanto da farmi venire un brivido. L’avevo vista solo e sempre come una bambina. Perplesso, ma con il fiato sospeso, lasciai le mie mani scivolare sotto la maglietta e cominciai a risalire con le mani fino ad incontrare i suoi seni, piccoli, ma sodi e vellutati. Li raccolsi, tenendo immobili le dita su di essi. Lei si girò dandomi le spalle. ‘Accarezzali’, mi intimò sempre con quella voce roca che non conoscevo. Mi sentivo stringere la gola. Era un’emozione che non immaginavo. Lentamente cominciai a brancolare le dita in quelle sue ghiandole mammarie più che appetibili e il mio sesso ne risentì insorgendo. Cosa di cui lei si accorse, visto che mi stava incollata addosso. La palpeggiai per alcuni minuti, le stropicciai i piccoli capezzoli tra le dita, quindi mi sfilai da quel teatro così femminile. Lessi il suo disappunto sul suo viso.
‘Allora non sei insensibile al mio fascino. Non immagini quanto sono orgogliosa, non lo immagini. Se faccio questo effetto a te, figuriamoci ad un estraneo’.
‘Estraneo? Quale estraneo. Non permetterei a nessuno di toccarti per puro passatempo. Come se non sapessi quello che fanno con le tue amiche, e che ci stanno a farsi fare. Non mia sorella’.
‘E chi me lo impedirebbe, tu? Come faresti a saperlo. E, poi, se non ti interesso, che ti importa? A me è piaciuto tanto. Ho provato sensazioni sconosciute. Se le mani di mio fratello mi provocano questo, figuriamoci quelle di un altro’.
‘Oggi tu sei impazzita. Mi hai costretto a fare una cosa che non avrei mai pensato di fare e ora mi dici che vorresti pomiciare con uno di quei deficienti che non aspettano altri di gingillarsi con una ragazzina e magari mettertelo dentro. Non te lo permetterò: ci puoi scommettere. Del resto ti sto sempre dietro’.
Sorrise deliziosamente. Dio quant’era bella! Come ho potuto non accorgermi.
‘Sei geloso, geloso. Che bello: sei geloso di me’, e mi gettò le braccia al collo, baciandomi felice sulle guance. ‘Stringimi ancora un poco le tette, ancora un poco’. Imbarazzato, ma voglioso, portai le mani sul suo petto, sopra la stoffa. Lei me le rimise sul costato sotto il tessuto. Risalii a riprendere quelle morbide, voluttuose piccole colline e ne assaporai ancora meglio la concupiscenza adolescenziale. E quelle piccole escrescenze carnee erano decisamente conturbanti. Le lasciai scorrere tra i miei polpastrelli fino a farli diventare turgidi come corbezzoli. Lei si stringeva a me apprezzando la prepotenza del mio sesso a pigiare sul suo. Poi, con un atto di volontà, mi staccai da lei.
‘Ora mettiti davvero a studiare. Torno in cucina’.
‘Sei fantastico e ti piaccio. Le mie tette ti piacciono, ti eccitano. Come sono contenta. Va da mamma, va pure. Chiamatemi quand’è pronto’.
Ma come: prima ha fatto il guardiano e ora mi lasciava via libera? Aveva capito, forse, che io e mamma eravamo amanti? No, che non l’aveva capito. Immaginava solo qualche carezza più ardita. Ma in fondo che cos’erano le nostre effusioni, se non carezze un po’ più ardite? Ero, intanto, così infoiato che lo sbocco naturale era quello di fare l’amore con mamma, ma lei non voleva, non voleva e io scoppiavo dal desiderio.
Mi vidi catapultarecome una valanga su di lei e, sicuro che Giada non si sarebbe fatta vedere, le cercai avidamente la bocca, togliendole il respiro con i miei baci. Riuscì solo a sussurrare il nome di Giada.
‘Non viene’, la rassicurai ansante, ‘non viene’ e continuai a baciarla.
‘Aspetta, calmati, ché brucio tutto. Aspetta quanto abbasso la fiamma del gas’.
‘Ti voglio scopare, ora, subito. Sto scoppiando’, Le sollevai la gonna e piegandola un po’ in avanti, tirai fuori il mio membro intenzionato a penetrarla.
‘Sei impazzito. Non si può. Può entrare tua sorella. Non così. Quando dovesse accadere, sarà nel nostro letto’ Sapevo che lo diceva per blandirmi. Non voleva scopare, non voleva. E non potevo violentarla, anche se si sarebbe fatta violentare. Non era questo che volevo. Lei doveva partecipare con la stessa bramosia mia. Tenevo il suo sesso nella mano così stretto che le feci male e me lo disse
‘La vuoi, la mia fica, la vuoi prendere con la forza? Non c’è bisogno. Avanti: prendila, prendila, non mi oppongo’.
Ero furente con lei. Mi si offriva come una vittima. Non era giusto. La lasciai. La presi per le spalle e la abbassai giù a ginocchi arsi.
‘Succhialo, allora. So che ti piace, succhialo’.
Un rivolo di lacrime si sprigionò dai suoi occhi. E questo mi stroncò. Annichilì il mio furore e le mie voglie.
‘Oh, mamma, mamma, perdonami, scusami, scusami’. Mi misi a piangere con lei. ‘E’ che ti desidero tanto, tanto’.
‘Smettila, smettila. Non piangere. Ché mi fai soffrire di più. Non ce l’ho con te. Come potrei, se ti amo più della mia vita? Ti ho dato tutto di me. Vedi mi vesto come un’amante impudica per soddisfare i nostri sensi. Non posso, non posso consciamente scopare con te. E’ qualcosa che mi irrigidisce dentro, mi gela, mi fa sentire in peccato mortale. Sarà la fede della mia infanzia, quel che mi hanno insegnato. Siamo trasgressivi, eccome, ma non riesco ad andare oltre la soglia di quello che facciamo. Sicuro che tua sorella non entra?’.
‘Sicuro, sta facendo i compiti. Mi ha detto di chiamarla quando sarà in tavola. Scusami, mamma. E’ che sono un bambino, pensi solo a me e non anche a te. Ti amo da impazzire e la voglia di te è profonda come l’abisso, come la notte fonda dei tuoi occhi’.
‘Mi seduci solo con le parole. Vieni, vieni qui. Tanto per sicurezza’. Chiuse la porta e mi ci fece appoggiare contro. Portò la sua mano sulla mia cintura, la sciolse mi abbassò calzoni e slip. Al tocco della sua mano, il mio pene, che si era afflosciato, si sollevò. Lei lo accarezzò, poi se lo portò in bocca e cominciò a succhiarlo. Non lasciò gocciolare nemmeno una stilla del mio seme, quando eiaculai.
Quando si sollevò, mi baciò teneramente, poi mi disse: ‘Mi piace il tuo sapore, tanto. Ti devo. Però, chiarire una cosa. A sedici anni, tu potresti venire pure dieci volte in una giornata, però, questo con certezza di farebbe ammalare. Figurati se tu potresti chiedermi mai questo. In due giorni non so più quante volte sei venuto. Allora, tienilo presente, perché su quest’altra cosa sarò irremovibile: non ti farò sciogliere più di due volte al giorno, con qualche eccezione magari alla domenica. Perciò, per stanotte transeat, ma da domani sera una o al massimo due volte’.
‘Oggi il numero non conta, però’, dissi io prendendole i seni sotto la maglietta.
‘Non ne puoi fare allora a meno. Ti eccitano così tanto? Non è che sarò costretta a mettere un reggiseno corazzato. Se me lo devi tastare in continuazione, finendo per scioglierti, non me lo farò più palpare’.
‘Adoro le tue tette. Sono ingordo come chi lo è dei dolci. Sì, è vero, ma te l’ho già detto: vorrei che le mie mani fosse le coppe del tuo reggiseno, per tenerle sempre accucciate dentro di esse. So che ti piace, quando te le palpo’.
‘Certo che mi piace. A quale donna non piacerebbero. Tutto, però, ha una moderazione, se poi ci deve far star male. Se palparmi il seno si traduce solo in un salutare piacere, va bene per entrambi. Se questo si dovesse tradurre, come i fatti dimostrano, nel farti eiaculare di continuo, non esiste proprio’.
Così arrivò il momento del pranzo, quando arrivò Giada. Un lampo di intesa nei suoi occhi. Sicuramente non ci sarebbero state solo le tette di mia madre ad ammaliare le mie mani. Io non avrei mai fatto il passo di trafugare quelle dolci colline adolescenziali di mia volontà. Però, non riuscivo a pensare senza uno stilo di libidine a quelle tettine così invitanti.
Il pomeriggio diventò una sorta di mordi e fuggi con mia madre. Lei non si azzardò a cercarmi il sesso, io, però, non rinunciai a rapide incursioni nelle sue femminilità.
Poco prima di ritirarci nei nostri letti, Giada, sottovoce, mi chiese di restare alcuni minuti con lei, poi, a voce alta: ‘Marco, prima di addormentarmi, me la leggi quella favola di cui mi hai parlato?’
‘Quale favola?’, chiese curiosa mamma.
Giada fu pronta a rispondere: ‘La fidanzata dello scheletro, mamma. Ha detto che fa venire i brividi’.
‘Ed una lettura da fare prima di dormire?’.
‘A me piacciono i brividi, vero Marco? Così esorcizzo la paura del buio’.
‘Mah’, commentò mamma.’Fate pure. Magari mi addormenterò prima che tu venga’.
Mi sentivo come l’asino di Buridano. Bramoso di seguire mamma e il letto di delizie che ci attendeva e insieme il timore di mia sorella. Forse, inconsciamente, il desiderio di esplorare quelle effervescenti tette.
Così mamma se ne andò. Giada sistemò il divano come lettino e, mentre io mi accomodai su una sponda, lei cominciò a spogliarsi per indossare il pigiama. Lo fece così lentamente che non potei non ammirarla in tutto il suo splendore. Era una lussuria. Il pube appena velato dalla peluria, lasciava intravedere un sesso perfetto nella levigatezza delle sue labbra.
‘Allora, me la leggi la fiaba?’, disse sorniona.
‘Non ho parole. E ora che dovrei fare? Giada, non capisco cosa vuoi’.
‘Non ti piace accarezzarmele, le tette? A me tanto. E ho sentito’ e indirizzò lo sguardo sulla mia patta ‘che sono piaciute tanto anche a te. Su vieni, accarezzami e baciale. Fa come un ragazzo che desidera la sua ragazza’.
E, poi, mia madre parlava che non dovevo eccitarmi troppe volte in una giornata. Giuro che non volevo toccarla. Lei slacciò i due bottoni e i bordi della casacca si schiusero, lasciando intravedere il fulgido incavo del seno.
‘Vieni’, disse con un sospiro, con gli occhi che le ardevano dal desiderio. E, prese le mie mani, le portò al seno, che sbocciò così nell’incavo delle stesse. Sembrava d’avorio nella sua bianchezza con le cime spennellate di rosa. Ero abbacinato. Cominciai lentamente ad accarezzarlo, a plasmarlo, a pizzicarlo. Lei mi circondò il collo e mi tirò a sé, sul suo petto. Non potei fare a meno di ricamarlo con i miei baci, a suggere quei capezzoli rosa come un’ape fa con la corolla di un fiore, finché la sentii gemere. E, allora, ricordai mamma.
‘Basta, Giada, basta così . Non è bene andare avanti più di così’.
‘Per ora, Marco, per ora. Buonanotte, maschione e sogni d’oro come li farò io’.
Quando raggiunsi mamma nel letto, lei dormiva serenamente. Eccitato da quanto era accaduto, con lei che si esponeva così invitante al mio sguardo, scivolai dietro di lei, raccolta quasi in forma fetale, come la notte precedente. E come allora l’accarezzai nel sesso, quindi senza indugio dolcemente la penetrai. Come al solito raccolsi il suo ansimare quasi silente, il suo sussultare, i suoi gemiti sommessi, finché la riempii del mio seme. Stretto al suo seno, mi addormentai.
Quando mi risvegliai, mia madre osservò quanto aveva deciso. Abbracci, carezze, baci, toccamenti sia che nel letto che nel bagno, ma niente eiaculazione. Una nuova donna, ormai però, cominciava ad inserirsi nella nostra storia: Giada. Mentre mamma si sistemava, lei pur se per pochi minuti mi si appiccicò addosso e non potei fare a meno di desiderare trafugare quelle sue rotondità vellutate, che lei, ovviamente, ritenne di avermi forse costretto a fare. Non era così.
Mamma non tornava per pranzo generalmente, perché così prendeva lo straordinario e anche perché il posto di lavoro era molto lontano da casa. Quindi, l’intero pomeriggio restavamo insieme soli.
Se lei usciva prima da scuola, veniva da me ad aspettarmi, diversamente, mi recavo io a raggiungerla. Quel giorno era felice e più ancora, quando tornammo a casa. Certamente aveva in mente tutto un programma. Io, quando camminavamo insieme, era come se glielo leggessi mentre mi rapiva con lo sguardo.
Pranzammo quel che mamma ci aveva lasciato, poi ci saremmo dovuto dedicare a svolgere i compiti. Le avvisaglie si erano avute già quando siamo entrati in casa. Sistemato lo zaino corse ad abbracciarmi. ‘Non mi baci?’, mi disse. ‘Così, però, come due fidanzati’, e schiuse le sue labbra sulle mie. Si vedeva che non aveva mai baciato, ma erano così fresche e acerbe quelle labbra che diventavano più eccitanti ancora. Mi cercò con la lingua pur se impacciata. Ma in breve le insegnai. E, questa volta non ci fu più bisogno della sua incitazione a palpeggiarle il seno. Ero così desideroso di farlo.
‘Che cosa hai per domani?’, chiesi, mettendomi alle sue spalle. Lei prese lo zaino, tirò fuori il diario e cominciò ad elencare i compiti. Poi, lo posò sul tavolo e fissandomi maliziosamente: ‘Dobbiamo proprio subito? Ho tanta voglia di te e tu? Non mi vuoi insegnare come si fa a far godere una donna?’.
Mi tremò il cuore. Avevo paura e desiderio insieme. Lei mi si accostò e mi si strinse addosso. Si era tolte le colorate calze di lana che le fasciavano le belle, sottili gambe, e il maglione: era solo in camicetta e gonna. Aveva le guance macchiate di rosso. Mia guardava con gli occhi castani carichi di voglia.
Contraccambiai quel suo sguardo. Gettai alle ortiche ogni remora. Il mio sesso già lievitava e la voglia di esplorarla più di quanto aveva fatto mi incalzava. Mi mossi verso il divano e mi sedetti.
‘Vieni, piccola ninfetta, vieni qui’.
Scivolò leggera verso di me e mi si accomodò sulle gambe.
‘Sei così eccitata che si vedono i capezzoli sotto la camicetta. Non porti il reggiseno?’.
‘Certo che lo porto. Non l’ho messo per te. Per rendermi più eccitante’.
‘Vediamo, vediamo’, e le passai la mano sopra il seno. La sentii vibrare come per il passaggio di una scossa elettrica. Il fiato quasi sospeso. ‘Sono intriganti, queste tette’. E strusciai la punta dell’indice su quella cima turgida che spingeva il tessuto, che si fece più teso. Poi, strinsi quei capezzoli nascosti tra le dita e cominciai delicatamente a sfregarli. Lei chiuse gli occhi, assaporando i leggeri brividi di piacere che la increspavano. Dalla camicetta lasciai la mano scivolare lentamente fino a ricadere sulla sua coscia nuda. Gambe da gazzella snelle e tornite, che profumavano di erotica acerbità. Con la mano sinistra con cui la cingevo per il fianco scivolai sotto la camicetta risalendo verso il seno sinistro, che artigliai compulsandolo e fregando il capezzolo, facendola trasalire, con la mano destra risalii accarezzando in su e in giù ora la coscia destra, ora la sinistra, fino a lambire l’orlo dello slip. Lei aspettava languida, abbandonata alla culla delle sensazioni che si irradiavano dagli stimoli delle mie carezze.. Col capo si abbandonò sulla mia spalla, le palpebre reclinate. Risalii oltre le mutandine, accarezzandole il ventre sulla pelle nuda, poi ridiscesi verso l’inguine e raccolsi prima uno, poi l’altro gluteo sotto il tessuto di cotone. Sodo e vellutato, piccolo e tondo mi colmò la mano di aghi di desiderio. Ora, volevo incontrare la sua natura pubescente. Risalii nuovamente con la mano verso l’elastico delle mutandine e le tirai giù giù, fino a sfilarle dalle gambe. Riappoggiai la mano sulla coscia destra, per risalire tutto il declivio morbido fino a incontrare una delle rive rigonfie del sesso. Sotto le mie dita che si agitavano sul suo piccolo seno, avvertii il cuore accelerare i suoi battiti. Lei si portò la sua mano sulla mia che custodiva la mammella, sulla camicetta, stringendola e pigiandola forte. E tremò intensamente quando l’altra mia mano le raccolse il sesso, trovando lungo il suo corso la fragolina del suo piacere. E cominciai, col dito bagnato dai suoi cospicui umori, delicatamente a masturbarla. Cominciò a stringersi sempre di più a me sopraffatta dal piacere e a gemere con flebili lamenti. E era così intensa la voluttà che ebbe quasi subito l’orgasmo. La sentii venire, deliziato ed eccitato, nella mia mano, che continuò imperterrito il supplizio, fino a quando non la risentii venire ancora. Le cercai la bocca con la mia con ingordigia, poi, mi alzai, tenendola sollevata in braccio e indirizzandomi verso la camera mia e di mia madre. Lì la adagiai sul letto e la denudai completamente, quindi mi spogliai sotto i sogni occhi che mi guardavano trasognata. Postomi in piedi al suo capezzale la invitai a prendere il mio sesso.
‘Su, avanti, prendilo e fai quello che ti piace. Vuoi tenerlo in mano?’.
Mi fece cenno di sì col capo, si girò su un fianco e, trepidante, cinse per l’asta del mio membro.
‘Su, che vuoi farne? Vuoi masturbarlo? Devi andare con la mano avanti e indietro: non mi farai male. Ti va?’.
‘Mi accennò di nuovo di sì con il capo e, impugnandolo, cominciò a masturbarlo. Tuttavia, ricordavo ‘ eccome! ‘ che dovevo risparmiarmi per mia madre, e non volevo venire più volte. Per cui, quando stavo per raggiungere l’orgasmo, la fermai. Salii sul letto e mi stessi col viso il mezzo alle sue gambe. Con le dita le schiusi il sesso sommesso, poi più forte, impregnato da rughe di lascivia profonda, quindi furono piccole grida, mentre rovesciava, incalzata dagli orgasmi che si ripetevano, la testa da un lato e dall’altro e sollevando il bacino protendendolo sulla mia bocca. Stava impazzendo dal godimento. E questo mi eccitava maggiormente. Il mio pene era più gonfio della testa di una biscia pronta a colpire. E come sarei voluto entrare in quella grotta vergine facendola svenire dal piacere. Non si poteva, no, almeno fino a quando non avessi scopato come si doveva con mamma. Tuttavia, volli farle sentire il turgore della punta del mio sesso su quel vestibolo lussurioso e, inginocchiatomi tra le sue gambe, con la mano ve lo poggiai contro. Non mi aspettavo il suo grido furente. Era come invasata. Chiuse le gambe come le chele di un crostaceo sui miei fianchi, sollevandosi sul letto, per farsi penetrare. Smaniava perché la possedessi. Ebbi quasi paura della sua furia erotica.
‘Mettilo dentro, scopami, scopami, mettilo dentro: lo voglio, dammelo, lo voglio, scopami, scopami, lo voglio’, un ritornello ossessivo, urlato, furente.
‘Fermati, calmati. Non si può, non si può’. Poi, mi venne in mente, forse più spinta da questa sua smania, che da un lubrico desiderio, anche se, una volta espresso, mi eccitò al massimo.
‘Calmati, ascolta’. Lei mi guardava alienata, gli occhi febbricitanti. Una ragazzina così libidinosa: non l’avrei immaginato mai. ‘Calmati. Tu hai visto qualche film porno. Sai del coito anale. Dà un piacere analogo a quello vaginale: non è la stessa cosa, ma si prova ugualmente un piacere intenso. Ti posso accontentare solo così per ora. Devo lubrificare molto quel buchimo che in te sicuramente è più stretto. Forse ti farà un po’ male. Aspersa per come si deve, ritengo di no. Se dovessi provare dolore mi avvertiresti e non insisterei. Allora, vuoi provare: calmerà questa smania erotica tua e che mi ha contagiato’.
‘Lo voglio, sì, lo voglio, prendimi il culo, scopami. Ho voglia di sentirmi il tuo cazzo dentro. Scopami il culo’.
Ora con gli umori abbondanti del suo sesso, ora con l’aiuto della mia saliva, cominciai a penetrale lo sfintere con un dito, poi tentai di forzarlo con la punta di due. Intanto con la lingua continuai a masturbarle il sesso. Mi artigliava perché la prendessi subito. Invece, aspettai che il suo ano fosse un po’ dilatato e, penetrandola con il dito e masturbandola con la lingua, accrebbi tanto il suo godimento da estasiarla. Quando lo ritenni opportuno, poggiai il glande sullo sfintere e pian piano lo lasciai scivolare dentro. La sentii svenire tra le mie braccia, non dal dolore, ma dal piacere. Si dimenava con una menade, urlava parole sconnesse, che mi eccitarono talmente da quasi violentarla in quelle mucose tanto cominciai a muovermi dentro di lei velocemente. Il suo ano, sembrava anatomicamente fatto per essere violato. Mi ritrovai a fotterla nel culo con le dita contratte spasmodicamente sui piccoli seni, ruggendo, mentre venivo in quelle segrete mucose. Mi accasciai su di lei, le mani sempre contratte sui seni. Per alcuni minuti la sentii sussultare sotto di me come percorsa ogni tanto da piccole scosse elettriche. Assaporava il riflusso dei marosi di un godimento estremo, che l’aveva fatta gridare istericamente. Mi mossi e risalii con la bocca sui suoi piccoli seni morbidi ed eburnei, i capezzoli ancora irti dall’eccitazione trascorsa. Poi, la voce calda, sommessa, parlò: ‘Ti amo, fratello. Ero sicura che mi avresti fatto godere da impazzire. Ho goduto da sentirmi svenire. Vi ho visti, stamattina, prima che ve ne accorgeste e ho sentito come mugolava mamma dal godimento. Tu dici che non scopi con lei, ma vi torcevate come animali in calore. Ora capisco: ho toccato vertici sconosciuti di godimento con te. Voglio che mi insegni tutto sul piacere, come averlo e darlo a te. Voglio essere tua, sverginata. Se il piacere che mi hai dato prendendomi il culo è stato grande, quanto dev’essere quello scaturito dalla mia vagina. Perché non mi hai voluto scopare?’.
‘Perché se fossi rimasti incinta sarebbe stata la fine di tutta la famiglia, poi, perché sei mia sorella e, infine, perché, se mamma se ne accorgesse, la ferirei a morte’.
‘Perché non vorresti fare più l’amore con me? E, poi, sorella per metà: i padri sono diversi. Mamma, mamma: non l’ha data pure lei a quattordici anni. Figurati. Solo un anno in più di me! Non lo faremmo sapere. Lei di giorno quasi sempre non c’è: ci ameremo come abbiamo fatto oggi. Non sono mica gelosa di lei. Se fosse con un’altra ragazza ti ucciderei, ma se lo fai con mamma no. No, davvero, non sono gelosa. Adoro mamma e, se fossi un ragazzo, come farei a non desiderarla: è bella e sensuale da infarto. Perché non scopi con lei?’.
‘Perché non vuole, perché è peccato secondo lei. Ecco perché non deve sapere quanto è successo: ne morrebbe. Sai, non ho mai pensato a te sessualmente, ma ora: sei una strega, uno scrigno di libidine. Spudorata e disinibita. Sprizzi erotismo da ogni poro. Questi seni sono afrodisiaci peggio di filtri d’amore. Fanno perdere il senno. Siete totalmente diverse tu e mamma, ma complementari. Nemmeno nel più torbido dei sogni avrei immaginato le mie donne più amate e consanguinee mie, tutte mie, spasimanti di voglia del figlio e fratello. Da quanto ho stretto i tuoi seni tra le mani, ho realizzato che non avrei mai sopportato che un altro li custodisse al posto mio. Io, io solo mi debbo beare di queste piccole cuspidi voluttuose. Le voglio ancora tra le mie mani e le mie labbra’. E così mi rovesciai avido su quelle morbide, ammalianti colline, impastandole e tormentandole, mordicchiandone le rosate cime e tornare a sentirla singhiozzare dal godimento. Ripresi a cercarle il sesso che spicciava il miele verginale di orgasmi ripetuti.
‘Succhialo’, la invitai a fare, mentre teneva l’asta del mio sesso in pugno. ‘Succhialo, dammi il gaudio della tua bocca, sorellina. Su, succhialo’.
Non se lo fece ripetere. Se lo portò in bocca e, senza nemmeno masturbarmi, cominciò a ciucciare. Ero così deliziato che di lì a poco il flusso del mio sperma cominciò a risalire. Ero bramoso di venire e nella sua bocca, ma dovevo risparmiarmi per la notte, dovevo e così, di colpo, mi tirai fuori da quelle labbra assassine con suo stupore e rincrescimento, tanto da tentare, ghermendomi per i testicoli, di riprendere il membro.
‘Un altro momento, Giada, sarà per un altro momento. Ho la testa vuota. Come farò ora a studiare? Rivestiti, piccola ninfa, ricomponiamoci e mettiamoci a studiare. Era da più di un’ora che ci dilettavamo in studi oltremodo licenziosi.
La sera quando ci siamo messi sul divano tutti e tre a guardare una trasmissione televisiva con me in mezzo, fui io a prendere il plaid e a stenderlo sulle gambe di tutte e tre. Mamma pensò che coprissi Giada per non insospettirla. Mia sorella capì solo quando la mia mano andò a girovagare sulla sua coscia alla ricerca del suo inguine. Mi lanciò uno sguardo brigante e l’accompagnò sulla sua passera. Su fronti opposte, mi deliziavo col sesso di entrambe mentre le masturbavo.
Quando ci lasciammo per coricarci, le mie mani erano intrise dell’odore penetrante della loro intimità. Riuscii a trovare il modo, dando la buonanotte a Giada, di strizzarle i capezzoli lussuriosi. Mi lanciò uno sguardo assassino. Nelle vene di quella ragazzina scorrevano fiumi di libidine.
Con mamma cominciammo i nostri giochi amorosi con intrecci funambolici dei nostri corpi, fino a quando venni nella sua bocca meravigliosa. Poi, al solito, lei si addormentò in quella posizione in cui potevo prenderla con il maggiore diletto possibile. Mi venne il sospetto che mamma fosse vigliacca. Che, in fondo, rimaneva sveglia dandomi a vedere che dormiva per permettere a me di appagarmi senza sentirsi in colpa lei, perché, formalmente era incosciente. Allora volli verificare questo mio dubbio. Invece di penetrarla, cominciai a fare scorrere il mio glande sulla sua vulva in modo esasperato, mentre con il dito le titillavo il clitoride. Sentivo nettamente il suo sesso contrarsi dal piacere, lo sentivo dilatarsi sotto il mio dito, annegato dai suoi secreti. Implorava di essere penetrata. Io, invece, ne lasciavo scivolare solo la punta e poi continuavo a farlo scorrere nella fessura. Mia madre cominciò ad agitarsi vivamente, oltre a gemere. Cominciò a scalciare, cacciando via lenzuola e coperta e stendendosi completamente bocconi, le gambe distese a squadra. Mi accomodai allora tra di esse e continuai ad agire come prima. Strofinavo il mio membro sul suo sesso, con la sua punta sfregavo sul clitoride, ridiscendevo, mimavo nel penetrarla, per ricominciare lo stesso tragitto. Si lamentava, una mano aggrappata al cuscino, l’altra contratta al bordo del materasso. Godeva e nello stesso fremeva perché la scopassi. La dovevo esasperare, finché aprisse le meravigliose orbite dei suoi occhi ed implorasse di farlo. Non voleva cedere. Mi tirai indietro per vedere cosa avrebbe fatto. Era gravida di desiderio. Sicuro. Ormai era abituata che, dopo le nostri varie effusioni erotiche, mentre fingeva di dormire, la penetravo. Aspettava la stessa cosa. Solo che avevo scoperto il suo gioco e se voleva il mio cazzo, se lo doveva guadagnare. Stavo disteso a rimuginare, ma con i testicoli che mi scottavano dalla voglia di lei, che si girò di scatto verso di me, come se avesse bisogno di accucciarsi, e mi si buttò addosso per tre quarti, la sua fica sopra il mio sesso: bastava solo che lo indirizzarsi per penetrarla. Invece, nulla. Cominciai a ripetere l’esercizio di prima. Il suo sesso pulsava nelle mie dita, quando lo accarezzavo e scottava sulla punta del mio glande. Si agitò scompostamente, sbattendo la testa a destra e a manca, finché si abbandonò, supina, le gambe oscenamente spalancate, il sesso esposto, implorante. L’invito a scoparla era violento. Mi inginocchiai tra le sue gambe e le sollevai riponendole sulle mie cosce, riappoggiando il mio pene sul solco del suo sesso, facendolo scorre lungo il solco, pigiando sul clitoride e penetrandola solo con la sommità di esso. Si agitava e sospirava. Finì col protendere il pube. Mi trovai a sorridere. Era fetente. Era quasi impossibile che non fosse sveglia, tranne che non fosse sotto l’effetto di sonniferi. Ero quasi certo che volesse essere scopata senza esporsi, tranne che col sesso così insolente nel suo desiderio. Che schiumava smanioso, bagnando il lenzuolo sottostante. Io non recedevo. Volevo che lei dicesse ‘scopami’, che partecipasse coscientemente all’amplesso carnale. Giocai allo scoperto. Mi distesi su di lei, il mio sesso disteso sopra il suo pube, gonfio all’inverosimile, e cominciai a mordicchiarle i capezzoli, duri come corbezzoli, mentre strofinavo il mio ventre sul suo.
‘Ti voglio, ti voglio, ora e sempre, ogni notte della mia vita. Dimmi che vuoi che ti scopi, che lo brami, dimmi che vuoi il mio cazzo’. Mi scaturì dall’anima la parola ‘cazzo’. Non l’avevo mai usata con lei. ‘Dimmi che ti piace il mio cazzo, dimmelo, dimmelo: fottimi, Marco, fottimi, voglio il cazzo’.
Non cedeva. Gemeva, sussultava, ma non cedeva. Mi inginocchiai nuovamente tra le sue gambe tenendo il mio membro contro quella fessura gocciolante, strofinandolo e aspettai. Poi, avvenne tutto a rallentatore. Avvertii le sue gambe sollevarsi a poco a poco, scivolare sui miei fianchi a cingermi. Poi, nel chiarore della notte accarezzata dalla luce della lucciola, i suoi occhi si aprirono. Mi fissò appassionata e mi sussurrò con la voce soffocata: ‘Fottimi, Marco, fottimi, voglio il tuo cazzo. Lo voglio, lo bramo. Mi piace il tuo cazzo: scopami, presto. scopami, non ne posso più’. La guardai raggiante. Aveva ceduto. Aveva ripudiato per amore, per la passione il senso del proibito, del peccato, e voleva fare l’amore con me. Mi gettai a soffocarla di baci. Ma lei agognava solo essere penetrata, tentava perciò di brancicare il mio grembo. Ora era solo una donna che da tanto tempo non sentivo il membro di un uomo nel suo grembo e ora che lo aveva a portata di mano la voglia si era fatta disperata. Lo facevo apposta a non penetrarla. Mi eccitava sentirle dire di essere posseduta.
‘Mi hai fatto penare. E ora pregami che vuoi che ti fotta, pregami. Mi devi convincere’.
‘Fottimi, Marco, fottimi, fa presto, sto impazzendo, non resisto. Sì, sono stata una vigliacca. Mi piace il cazzo, mi piace, fottimi, Marco, fottimi’.
Accostai il pene su quella feritoia anelante e sprofondai dentro di essa. Fu risucchiato come dal gorgo di un abisso. Una sorta di vorace fiore carnivoro che inghiotte la preda. Non ci sono parole ad esprimere la sensazione che provai quella prima volta. Una sorta di nascita, un vedere una luce abbagliante dopo una discesa vorticosa in una galleria buia. Un’esplosione di luci. Le tempie mi si assordarono. Non era solo piacere quel che provavo, ma qualcosa che andava al di là del limite di ogni godimento, il gusto parossistico del proibito, forse il sapore paradisiaco dell’incesto. Una donna e una madre, la passione e l’amore filiale, un miscuglio che esplodeva con una fiamma di voluttà impossibile da descrivere. Sicuramente se non ci si fosse posto limiti di moderazione, i sensi così perennemente accesi, si sarebbe potuti morire di consunzione. Sarei potuto rimanere all’infinito nella fica di mamma, rinnovando in perpetuo il flusso delle mie gonadi. E lei? Come descrivere l’espressione del suo viso, le sue emozioni, il suo tremare, i suoi spasimi, i gorgoglii di un’ebbrezza dei sensi che la soffocava. Vidi i suoi occhi rovesciarsi, lei sbiancare nel volto, precipitare in un abisso di voluttà, rantolare come sulla soglia della morte. Forse, inconsciamente, era questa la paura del peccato. Quella di toccare le porte di un piacere che, nella sua intollerabilità, uccideva.
Facemmo l’amore tutta la notte, con ossessione, esasperazione, come se avessimo dovuto riappropriarci di un tempo perduto, come se avessi dovuto ripercorrere tutti gli attimi dal concepimento nel suo grembo. Non mi concedette solo questo, ma anche l’altra fessura più lubrica. La possedetti a lungo, instancabile, fino a gocciare quasi sangue dai testicoli. Nessuno dei due la mattina dopo si trovò in condizione di andare lei al lavoro, io a scuola. Davvero amore e morte erano nati insieme. Non era tanto lo sfinimento di una guerra all’ultimo spermatozoo, ma lo sfibramento dei neuroni. Avevamo toccato e forse oltrepassato i confini del bene e del male e volevamo solo essere lasciati in quella culla d’infinito, oltre il tempo e lo spazio, persi nell’amore e la passione, la mano nella mano, nudi, abbagliati da un’estasi ultraterrena. Quando Giada entrò nella nostra camera, la guardammo soltanto: non eravamo in grado di proferire parola. Nudi, continuavamo a tenerci per mano, trasognati e felici, come chi ha toccato il paradiso. Anche se fosse stata l’incarnazione dell’innocenza e dell’ingenuità, Giada non avrebbe potuto non capire. Anche lei quella mattina marinò la scuola.
Quando ci riprendemmo da quello stato atarassico psichedelico, mamma si rese conto che Giada aveva visto, che le si doveva confrontare. C’era poco da spiegare.
‘Come faccio a spiegarmi con Giada? Come faccio a farle capire che non mi sento in colpa perché ho fatto l’amore con te? Che dalla società nel suo complesso il nostro è un comportamento perverso, ma che per noi è la massima perfezione dell’amore, della passione?’.
‘Mamma, non dirle niente. Resta qui a letto. E’ preferibile che parli io con lei. Poi ti chiamo. Non ti preoccupare, amor mio, tutto si metterà a posto. Ci ama troppo per lasciarsi sfuggire una parola fuori di casa. Poi, mamma, non credo che sarà rimasta traumatizzata. E’ da quando è nata che ci vede dormire insieme, che mi addormento abbarbicato al tuo seno. Parla sempre del complesso del lattante. Lascia parlare me. Poi ti chiamo’.
Giada non aveva nemmeno sistemato il divano. In pigiama, stava seduta sulla sponda del lettino. Aveva l’espressione luciferina e pensosa.
‘Come fa a scandalizzarsi di noi due che siamo sorella e fratello, ma vicini per età, se lei scopa da madre con il figlio?’; così mi accolse appena mi vide. ‘Ti potrò fare pompini, segare, leccarti le palle, fare sesso in tutte le strampalate maniere e lei dovrà tacere. Perché non ci piove, mio maschione adorato: noi faremo l’amore, quando, come e dove vogliamo. Te l’ho già detto ieri: non sono né scandalizzata, né gelosa dal fatto che scopiate. Tu, poi, mi hai mentito. No, affatto. Voglio solo dormire con voi. Tutto qui. E tu avrai il compito di soddisfarci prima me, poi lei, o tutte e due insieme. Se non ha avuto remore con te, perché dovrebbe averne con me. Non te lo avrei mai confessato, ma sono innamorata anch’io di mamma. Non, non sono lesbica: lo hai visto. Il tuo cazzo mi fa diventare scema. Mamma, però, è l’incarnazione del bello e della sensualità e io sono infervorata dal suo seno bellissimo, dal suo sesso così pieno, peccaminoso, irresistibile, provocante. Ecco, vorrei pure io accarezzarla, baciarla, sentirla più mia. Vorrei avere pure io il cazzo per possederla. Come capisco che ti fa impazzire, come io impazzisco per te’.
‘Tu vorresti far l’amore con me?’
Sobbalzammo entrambi, rimanendo imbambolati.
‘Forse sarà innaturale che una mamma faccia l’amore con il figlio, tuttavia, sono convinta che se si fosse su un’isola deserta, l’istinto della riproduzione cancellerebbe quello della civiltà e mamma e figlio tornerebbero a diventare un uomo e una donna. Che tu voglia scopare con tuo fratello, lo posso capire: chi non lo vorrebbe come amante? Solo che sono io la sua donna e non lo divido con nessuna donna, anche se è mia figlia. Certo non mi scandalizzo se fai l’amore con lui. Hai ragione: come lo farei, se è sua madre che ha fatto l’amore con lui’.
Giada, però, si era ripresa dalla stupefazione e contrattaccò.
‘Visto che hai sentito, come ti ho sentita io stamattina, quando gridavi che volevi il suo cazzo, ecco, pure io lo voglio. Anzi, l’ho già avuto, anche se in un posto meno naturale della fica. E lo rivoglio. Non credo ti piaccia, mamma, che mi faccia scopare dal primo venuto, perché, se tu mi impediresti di fare l’amore con Marco, io mi farei sbattere da chiunque a parte il fatto che se spifferassi che te la fai con tuo figlio, andresti dritta, dritta in galera. Per quanto riguarda il mio amore con te, non lo puoi mettere in discussione. Sai che ti adoro, come Marco. Non per questo, però, con lui ti sei limitata all’affetto materno, te lo sei scopato. Non chiedevo ‘ ma, se tu non lo avessi sentito, non te lo avrei mai detto ‘ altro che di essere coccolata come Marco, ma solo se tu lo senti, che ti possa accarezzare come fa Marco, se tu me lo permetti. Non siamo due donne in competizione, ma tre persone che si amano più di qualsiasi altra persona al mondo. Non so immaginarmi senza te e Marco. Tu ritenevi fosse peccato fare l’amore con lui, poi lo hai fatto e hai visto che non era né peccaminoso, né ributtante, ma hai goduto fino a perdere la ragione. Che ne sai cosa proveresti a farti accarezzare da me o a farlo tu? Perché non provare?’.
‘Giada, Giada, se io andassi a finire in carcere, tu e tuo fratello finireste ai servizi sociali o, addirittura, in affidamento. Uccideresti me, ma tu che fine faresti? E tuo fratello, che dici di amare tanto, che fine farebbe?’.
‘E, allora, cosa proponi? Che tu te lo possa godere e io resti a guardare? Non ti accorgi che siamo tutte e tre nella stessa gabbia: o giubiliamo tutti e tre o anneghiamo tutti insieme. Non sono gelosa dite. Tutt’altro. Ma voglio, ne sono perdutamente innamorata, che Marco faccia l’amore pure con me’.
‘Scusate, voi due’, interruppi io, inserendomi nella vivace diatriba. ‘Credete che io sia solo un arnese da prendere e utilizzare come un vibratore? Il mio parere non conta. Quanto ti ami, mamma, è inutile accennarlo. Non mi ero accorto della femminilità di Giada. Lei me l’ha fatto capire e amo Giada: è sensuale, mi sa regalare sensazioni uniche con la sua carnalità acerba. Siete complementari. Non ci sono vie di uscita. Via amo tutte e due in modo diverso. Tu sei in cima, mamma, poi, c’ è Giada. Come la immagini uscita dalla nostra casa, né ora così giovane, né domani, maggiorenne? E’ un pezzo di noi, che sente, immagina e vibra come noi. Fuori di qui non avrebbe spazio: sarebbe una derelitta, emarginata, come lo saremmo noi, mamma. Io le voglio un bene dell’anima, non riesco ad immaginarla fuori della nostra vita, come non lo immagini tu. Tu la adori. Guardala più con gli occhi di madre che con quelli di donna. Come puoi vederla senza di noi, di te? Sono parole vuote, da femmina e basta. Giada è piccola, si ucciderebbe per te, lei ti ama, tu sai quanto. E allora? Che cosa conta tra di noi se non l’amore senza confini che ci vogliamo e che sentiamo di tradurre col possesso sessuale. Su abbracciatevi, come lo facevate fino a ieri notte: siamo i raggi di un’unica stella e brilliamo tutte e tre insieme’. Spinsi le mie donne l’una nelle braccia dell’altra. Mamma ristette qualche attimo, poi serrò al suo petto la figlia che se la cinse fortemente e, come la ragazzina che era, proruppe in pianto. E questa fu la molla che ammollò completamente mamma, che cominciò a baciarla e a consolarla.
Per alleggerire l’aria da melodramma dissi sorridendo:
‘Una cosa desidero quando siete in casa e non deve venire a trovarci nessuno’.
‘Che cosa?’, chiesero insieme.
‘Che sotto i vestiti non portiate né reggiseno, né mutandine’.
‘Mamma, vedi? E’ un maniaco sessuale. E poi si offende se lo si considera un vibratore. Che ci vorresti fare”.
‘Cominciate a ubbidirmi, schiave e poi vedrete quello che intendo fare’.
‘Vieni di là, parliamo noi due sole’, disse mamma a Giada. E si avviarono verso la nostra camera da letto.
Ero troppo curioso di vedere, perciò sbirciai senza darlo a vedere.
‘Davvero’, chiese mamma, ‘hai questo desiderio grande di accarezzarmi?’. Conoscevo già quella nota particolare nella voce. Era vigliacca, vigliacca. Lei aveva la libidine nel sangue e le parole della figlia la intrigavano eccitandola. Mi hai visto quotidianamente nuda, perché non me lo hai chiesto prima. In altro momento lo avrei trovato naturale. Ora ha connotati diversi. Lo desideri così tanto? Non sono mai stata accarezzata da una donna. Ne hai così tanta voglia?’.
‘Si, lo desidero. Tu mi parli così e mi ecciti tanto. Hai il seno più arrapante del mondo: il mio è così piccolo e il tuo sesso pare la foresta dell’Amazzonia, tanto lussureggiante e lussuriosa’, e, senza chiedere il permesso, allungò la mano verso una delle cosce di mamma, la cui vestaglia, spalancatasi, lasciava completamente scoperto, lasciando intravedere il folto bosco del sesso. La fece scivolare raggiungendo subito l’inguine e frugandola languidamente dentro il sesso. Mamma chiuse gli occhi, piegandosi un po’ su se stessa. Solo parole, parole quelle di prima. Era invece lusingata dalla voglia di Giada, compiaciuta e arrapata. Ed ora gustava il piacere che lei le regalava. Non guardai più. Ero davvero contento. Tutto si era risolto e io aveva due amanti meravigliose. Ero il ragazzo più fortunato del mondo. Cominciai a prepararmi uno zabaione con quattro tuorli e una bella tazza di latte. Finita la colazione, preparai quella per loro. Pian piano andai a vedere. Era uno spettacolo da infarto. Entrambe nude sul letto stavano una in mezzo alle gambe dell’altra, aperte a forbice che strusciavano i loro sessi l’uno contro l’altro e gemevano come gatte in calore. Rimasi galvanizzato da quella scena. Erano l’una degna dell’altra: avevano lo stesso fuoco nel sangue. Quando vennero a trovarmi in cucina era già trascorsa l’intera mattinata: avevano le guance infiammate ed erano tutte e due vestite normalmente. Erano affamate, videro che tutto era preparato e cominciarono a mangiare a due ganasce.
‘So che immaginate quanto sono felice. Sono fiero di voi e perdutamente innamorato. Le mie donne. Che peccato che nessuno possa immaginare: sarei il ragazzo più invidiato del mondo che non vede l’ora di stare a letto con voi’.
‘Hai capito, il ragazzo’, sorrise mamma. ‘Non si pone il problema di come farà a soddisfare due donne così vogliose e invaghite. Lo dobbiamo risparmiare, Giada, se no lo faremo avvizzire e noi lo vogliamo florido e funzionale’.
‘Non vi preoccupate voi due. So come trattarvi’, e, intanto, portatomi dietro le loro spalle, le cercai sotto il maglione e la gonna: erano nude. Avevano recepito bene. Comunque, fu mamma a calmare sia i miei che i bollori di Giada. Mi amava troppo per farmi ammalare. Noi eravamo adolescenti e pensavamo che potevamo trascorrere tutto il nostro tempo con scorribande sessuali, ma la vita era anche tante altre cose, brutte e belle, ma meravigliose. Ciononostante. io mi deliziai tutto il giorno a trastullarmi con la loro intimità, prendendo, anche se per poco, nel culo mia sorella e, sia in questo che nel sesso, mia madre, eccitandole e facendole godere. Quando le toccavo di sotto, prima di prenderle, erano sempre bagnate e i capezzoli sempre turgidi. Non venni, mai, però: mi risparmiai per la sera. Eravamo un’icona tenera e fortemente erotica insieme, quando ci ritrovammo tutti e tre accomodati davanti al televisore. Non so loro quanto abbiano visto del programma che trasmettevano: io sicuramente nulla. Scorazzavo nella loro intimità e nei loro petti come un mandrillo infoiato. Mi eccitava al massimo masturbare la passera di mia sorella, perché vergine. E fu per questo che mamma, quando andammo per coricarci volle che io e Giada per quella notte stessimo da soli nel letto matrimoniale, come due sposi alla loro prima notte di nozze. Lei si sarebbe coricata nel lettino di mia sorella. Accompagnai Giada nella camera da letto, poi ritornai da mamma. Non avevo bisogno di essere riscaldato, ma sentivo il bisogno di stare un po’ con lei, prima della consumazione con Giada. La volli nuda tutta per me. La voglia di fare l’amore era tremenda, ma lei aveva la padronanza sull’istinto più di me e seppe controllarmi, però ero appagato di essere riuscito a farla gemere e regalarmi tanti orgasmi e ingurgitare tanto di quel suo miele da profumare ogni poro della mia pelle. Quando mia sorella avrebbe fatto l’amore con me, un po’ lo avrebbe pure con lei. Tornai da Giada esaltato dalla prospettiva. Avrei fatto mia una fanciulla vergine, che, tranne il giorno prima, non aveva conosciuto, non solo il cazzo, ma neanche la mano di un uomo nella sua femminilità. Ora sarebbe stata mia, ogni giorno mia. Avrei visto nel tempo i suoi seni farsi sempre più grandi e più plasmati, così come il suo sesso farsi più pieno e più tappezzato di peluria. La trovai tutta nuda, rigurgitante di desiderio, sdraiata sul letto, invitante e sensuale. Quei seni così vezzosi ed eretti erano l’incarnazione dell’erotismo. Mi tuffai in mezzo ad essi come tra i flutti di un mare d’estate e intrecciai tutti i percorsi possibili su di essi. La sfinii di pizzichi, di suzioni, di piccoli morsi, di baci. Infine naufragai sul suo sesso. La feci urlare dal piacere prima di penetrarla, mi supplicò, mi invocò perché entrassi in lei: volevo che fosse prima allo stremo del godimento. Poi, la sollevai e la invitai a impalarsi da sola. Pronta si accomodò sulle mie cosce e, artigliato il pene, lo poggiò sulla sua giovanissima fica, sprofondandovi di colpo. Se sentì dolore, se lo tenne per sé. So solo che cominciò a dimenarsi come un’invasata, mettendosi poco dopo quasi ad urlare dalla voluttà, finché con uno spasmo lacerante venni come un fiume da una diga infranta. Descrivere le ore trascorse quella notte, quante volte la presi in tutti i buchi possibili e i giochi d’amore fatti sarebbe ripetitivo. So che riuscii a fare, perché leggera, a tenerla sospesa in braccio, aggrovigliata ai miei fianchi, mentre la possedevo, e questa posizione la fece godere fino al mancamento. Mamma, però, non riusciva a riposare bene, senza il mio abbraccio, perciò nelle mattinate venne a coricarsi insieme a noi. Mi attaccai al suo seno e col mio membro nella sua fica mi addormentai.
Era la prima volta che mi ritrovavo a letto in mezzo a due meravigliose donne. Davo la precedenza sempre a mia madre, ma mia sorella era subito pronta ad aggrapparsi alle mie spalle, trafiggendomi la pelle della schiena con i puntuti capezzoli dei suoi piccoli seni. La mamma già impugnava il mio pene.
Endimione
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
ciao ruben, mi puoi scrivere a gioiliad1985[at]gmail.com ? mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze...
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?