Skip to main content
Racconti erotici sull'Incesto

La sorgente

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Troppo spesso non affrontiamo serenamente un problema.

Dipende dal problema, dalle preoccupazioni, dai timori.

Il problema si può trasformare in dramma, e allora c’&egrave poco da sperare nella calma che, invece, sarebbe necessaria, indispensabile. L’ansia s’impadronisce di noi, cadiamo preda della sfiducia, ci sentiamo perduti.

Nulla e nessuno potrà salvarci.

I progressi della tecnica e della scienza non saranno in grado di farci uscire dal nostro labirinto, dalla spirale che ci attanaglia sempre più.

Si pensa a tutto, meno a quello che &egrave ragionevole e giusto.

Isolarci.

Oppure, farla finita. Tanto ‘finiti’ lo siamo.

O meglio, non siamo mai incominciati.

Il sipario &egrave calato definitivamente.

Più esattamente: non si &egrave mai alzato.

^^^

Ecco, il dramma di Cesare era proprio questo: non si &egrave mai alzato!

I racconti degli amici, dei compagni, le letture, lo stesso studio delle scienze, l’anatomia, i piccoli principi della fisiologia umana studiati in classe, dicevano degli impulsi sessuali, dei desideri, delle attese, degli appagamenti.

Lui s’era sempre appartato.

All’epoca del ‘chi ce l’ha più grosso’ aveva ascoltato le varie misure, più immaginarie e sperate che reali, sia di quando era floscio che quando era eretto.

Erezione, orgoglio del maschio, vanto degli adolescenti.

Ognuno aumentava sempre più il numero di ‘quante se ne doveva fare’, prima metterlo a tacere.

E, pur non ammettendolo, erano per lo più interventi ‘in solitaria’ che non veri e propri rapporti con l’altro sesso.

Poi c’erano le costruzioni fantasiose, di Tizia ‘ma non vi dico il nome perché sono un gentiluomo- che lavorava di bocca come una dea (ma chi glielo aveva detto che le dee erano dedite alla fellatio?), o di Caia -anch’essa innominata- che aveva certe manine’.

Senza parlare delle fantasie più sbrigliate che inventavano amplessi sognati, con giovani o mature compiacenti. Mai che fossero andati con una professionista del sesso!

Ormai erano anni che Cesare si tormentava. Lui sentiva l’attrazione per l’altro sesso, e percepiva le sane pulsioni della sua età, ormai matura per incontrare la femmina, ma’ niente, il suo era sempre irrimediabilmente inerte.

Lo aveva misurato e rimisurato, ovviamente in stato di riposo, e aveva constatato che non era più corto di quanto millantavano gli altri. Si, ma perché non si ergeva?

Monica, la bella bionda del secondo banco, che stava preparandosi, spesso con lui, alla maturità, gli aveva dimostrato una particolare simpatia. Era bello baciarsi, era anche delizioso carezzarsi. Lui rabbrividiva quando sentiva il vellutato dei piccoli seni, l’incresparsi dei riccioli del pube, quando la frugava curioso e interessato, e si beava al respirare affannoso della ragazza, al mugolare dolce, ai palpiti del piacere.

Monica gli aveva messo le sue manine delicate sulla patta; abbassata la zip, s’era intrufolata nel boxer, ed aveva avvolto il fallo inerte, stringendolo infruttuosamente.

Un breve incontro, soppiantato da più consistenti prospettive.

Decise di provare con una professionista.

Fu impacciato, indeciso, reticente.

La procace competente s’appellò alla sua esperienza, alla sua ars erotica, ma non ottenne alcun risultato. Cesare eiaculò senza raggiungere l’erezione.

La ragazza fu comprensiva, tenera, e gentile. Gli consigliò di parlarne a casa e di esaminare l’opportunità di consultare un medico.

Parlarne a casa! Con chi?

Col padre che era morto da sei anni?

Con la madre?

Come avrebbe potuto trattare tale argomento con la mamma? Con l’ancor giovane Sabrina, che aveva certamente i suoi pensieri e le sue preoccupazioni, e che, a quanto gli risultava, non era stata con nessun altro uomo dopo la scomparsa del marito?

Si, ma che c’entrava l’età e la vedovanza?

Quale importanza aveva l’essere Sabrina uno schianto di donna con certe tette e certe gambe che quelle di Monica, pur seducenti, erano solo la brutta copia?

Ma, perché non confidarsi con la mamma, la bellissima mamma, che quando moveva le natiche faceva ribollire il sangue degli astanti maschi ed amareggiare donne?

Ecco, ad essere sinceri, la femmina che più lo conturbava, lo eccitava mentalmente, pur sempre senza riflessi concreti, era proprio Sabrina. Ma quella era la mamma, e lui, certo non l’avrebbe avuta mai come femmina!

Comunque, prese il coraggio a due mani, e decise che quella sera le avrebbe parlato. Ancora non sapeva come avrebbe cominciato!

^^^

A cena le disse che ‘dopo’ aveva qualcosa da dirle, o meglio da chiederle.

‘Dopo’, andarono a sedere sul morbido divano dinanzi alla televisione.

Diversamente dalle altre volte, Sabrina non l’accese.

‘Allora, Cesare?’

‘Sono a disagio, mamma, &egrave un argomento delicato. Un problema che mi tormenta da tempo infinito.’

‘Ti tormenta?’

Lui annuì. E il suo volto passava dal pallore all’acceso.

‘Si, mamma.’

‘E perché non me ne hai mai parlato?’

‘Lo capirai.’

‘Ti prego, non farmi stare sulle spine.’

‘Mamma’ non riesco’ a’ ad andare con una donna!’

Lo disse tutto d’un fiato.

‘Come?’

‘Non mi riesce.’

‘Non ti piacciono le donne?’

Sabrina era sgomenta. Suo figlio, forse, le stava confessando d’essere gay!

‘No, mamma, mi piacciono, e molto.’

La donna tirò un sospiro di sollievo.

‘Ti prego, tesoro, spiegati meglio.’

‘E’ facile, mamma. Il mio &egrave un problema meccanico. Io mi eccito solo con la mente, non c’é corrispondenza col resto.’

‘Ma ci hai provato?’

‘Si.’

‘Per favore, spiegati meglio.’

‘Mamma &egrave difficile dirlo a te, sei una donna.’

‘Per te, Cesarino, sono la mamma.’

‘Si, ma”

‘Niente ma. Vuoi che ti aiuti?’

‘Si, per favore.’

‘Hai paura?’

‘No.’

‘Ti vergogni?’

‘No.’

Sabrina credette di capire.

‘Ma, il tuo sesso raggiunge la possibilità di, come dire, fare l’amore?’

Lui avvampò.

‘E’ questo, mamma, resta inerte.’

La donna rimase pensosa per qualche secondo.

‘Nessuna preoccupazione, tesoro, domani andiamo dal medico.’

^^^

Anamnesi familiare e personale, visita obiettiva e accertamenti vari, esclusero anomalie anatomiche o funzionali. L’irrorazione dei corpi cavernosi, accertata con l’apposito mezzo di contrasto, assicurò la pervietà dei vasi. I riflessi erano ottimi.

Il medico, andrologo e neurologo, esaminati i referti, ebbe una lunga conversazione a quattr’occhi con Cesare, e a conclusione di tutto, gli disse che non c’era nulla di organico.

Volle, però, incontrare Sabrina.

Cominciò con lo spiegare il meccanismo dell’erettibilità, ma era solo un mezzo per affrontare l’argomento.

‘Vede, signora, suo figlio sta bene, salvo l’inconveniente per cui siete da me. Cominciamo ad esaminare il meccanismo che in Cesare s’inceppa.

L’erezione si ha per la vasodilatazione provocata dal rilassamento dei vasi arteriosi e dei muscoli lisci dei corpi cavernosi del pene, che si inturgidiscono di sangue, e viene mantenuta dalla contrazione delle vene drenanti che impediscono il deflusso del sangue stesso.

Il ‘comando’ che la regola parte dal sistema limbico, nel cervello, attraversa le vie nervose del midollo spinale e giunge all’area dei genitali. Questo sistema &egrave un insieme funzionale di zone del cervello che regola anche gli impulsi e i comportamenti emotivi.

E’ stato accertato, come le dicevo, che anatomicamente tutto e in regola. Solo che quel tale ‘comando’, anche se parte, non viene eseguito, e non certo per questioni organiche.

Quindi si tratta di una disfunzione meramente psicogena.

Potrei anche prescrivere qualche farmaco a base di apomorfina o sildenafil, ma preferisco aspettare.

Qualche collega potrebbe suggerire delle sedute di analisi per identificare il ‘blocco’ che impedisce a Cesare l’erezione del pene, ma la ritengo una cosa lunga, dispendiosa, e non indispensabile.’

Sabrina lo seguiva attentamente, con ansia.

‘Allora, professore?’

‘E’ possibile identificare questo benedetto ‘blocco’ osservandolo bene, continuamente, e nessuno meglio di lei può farlo.

Vede, ‘blocco emozionale’ &egrave anche quello che determina la paura degli esami. Le cause che provocano tali blocchi possono essere moltissime, le più frequenti sono ‘infelici esperienze’, ‘complessi di inferiorità’ e in campo sessuale i ‘sentimenti di colpa’.

Quello che le chiedo &egrave di stargli molto vicino, affettuosamente, e se nota qualcosa di interessante di riferirmelo.

Sono certo che Cesare uscirà, uscirete tutti, da questo non piacevole tunnel.’

Sabrina annuì, assicurò la sua massima cura. Ringraziò, raggiunse Cesare in anticamera e uscirono dallo studio del medico.

Quando furono in auto, Cesare chiese alla madre ciò che il medico le avesse detto.

Lei assunse un atteggiamento quasi allegro.

‘Che per fortuna sei sano come un pesce, e che si tratta di cosa abbastanza comune (mentì pietosamente) e certamente passeggera. Ci vuole buona volontà da parte di tutti.’

‘Di tutti?’

‘Certo, tutti devono concorrere a favorire quella che, anche se impropriamente, possiamo dire la guarigione.’

Cesare alzò le spalle.

‘Dove andiamo, ma’?’

‘A che punto sei con la preparazione per la maturità?’

‘Molto bene’ ma adesso non me la sento proprio di mettermi subito a studiare.’

‘E’ quello che penso anche io. Visto che il tempo &egrave bello, che ne diresti di andare a mangiare pesce fresco al mare?’

‘Per me va benissimo.’

Sabrina s’avviò all’autostrada per l’aeroporto, poi avrebbe imboccata quella per Civitavecchia e sarebbe uscita al casello per Fregene. C’era un grazioso ristorante, rinomato, appunto, per la genuinità e la freschezza dei prodotti ittici.

Cesare sembrava assorto nei suoi pensieri, ogni tanto guardava la madre, e cercava di trarre rassicurazione dall’espressione del volto di lei.

Sabrina aveva deciso di apparire sempre serena e fiduciosa.

Il suo viso perfetto sembrava quasi allegro.

Il figlio ne stava apprezzando i lineamenti delicati, il taglio degli occhi, le labbra perfette, la gola liscia e alabastrina. In effetti era bella la mamma. Bellissima. Sembrava una giovinetta. Guidava con calma, eretta sul busto, col seno ben evidente, e poi il ventre piatto e le cosce che s’intravedevano ben tornite, nella gonna, come le snelle gambe che si muovevano, alla bisogna, per comandare i pedali.

Una gran bella donna.

Lui ne ricordava vagamente le fattezze quando, piccolissimo, andava nel suo letto, al mattino, stava un po’ tra i genitori e poi lei si alzava, toglieva la camicia da notte e s’avviava al bagno. Quelle splendide tette con la rossa ciliegina, e tutti quei capelli in mezzo alle gambe erano confusi, nella sua mente, nebulosi.

Ci fu, poi, quella volta che dormì proprio con loro, fin dalla sera, perché era terrorizzato dai tuoni, e dal bagliore dei lampi che filtrava attraverso le persiane.

Sentì la voce del papà.

‘Che fa, dorme Cesarino?’

‘Si, dorme.’

‘Vieni.’

La mamma scoprì il marito.

Lui era già nudo, e il ‘pipì’ s’ergeva dalla foresta del suo pube come il più grosso albero del bosco. Sabrina tolse la camicia, gli si mise a cavallo, e fece entrare nella sua pancia quel voluminoso palo, dimenandosi poi, e mugolando, fino a buttarsi su di lui palpitante e sudata.

Cesarino seguì tutto, con gli occhi socchiusi.

Anche lui aveva, tra le gambe implumi, un arboscello che svettava prepotente. Poi s’afflosciò. E da allora non tornò mai più a innalzarsi.

Quando mamma Sabrina s’addormentò, si abbracciò a lei e con le labbra cercò la dolce ciliegina della tetta.

Ecco, avrebbe voluto vedere se quella ciliegia era come allora.

Forse si, perché né il reggiseno né il vestito, la facevano scomparire del tutto.

Fregene.

Mare calmo, acqua abbastanza limpida, invitante.

Spiaggia deserta, solo un ombrellone.

Clima verso il caldo.

Mancava poco a mezzogiorno.

Lasciarono l’auto dinanzi al ristorante, entrarono.

Il proprietario conosceva Sabrina da quando, bambina, vi andava coi genitori. Poi l’aveva accolta col marito, ora lei era sempre e solamente in compagnia del figlio.

S’era fatto grande, Cesare, un bel giovanotto, dall’aria un po’ triste.

Premurosissimo verso la madre, si preoccupava di tutto.

Se non l’avesse saputo, Romolo, il padrone, non avrebbe mai detto che quello schianto di pupa era la madre di quel ragazzone, l’avrebbe ritenuta una ‘buongustaia’ che si faceva golosamente un uomo di dieci anni più giovane di lei.

Andò loro incontro.

‘Buon giorno dottoressa, come mai da queste parti, in un giorno feriale?’

‘Buon giorno, Romolo. Una breve fuga dal caos della capitale. E, se possibile, anche un pranzetto di quelli che sa preparare sua moglie.

Infatti era la ‘sora Ersilia’ a presiedere la cucina e, quando non c’era molta gente, come quel giorno, era lei a preparare piatti caserecci, senza menù.

‘Che fate, in attesa dell’ora giusta, prendete un po’ di sole? Non c’&egrave quasi nessuno, sulla spiaggia, e quell’unico ombrellone &egrave il mio. Andate a godervi sole e mare, vi porto un aperitivo.’

Sabrina guardò Cesare che, con l’espressione del volto, le disse di essere indifferente.

‘Cesare, per favore, va a prendere la sacca che &egrave nel portabagagli. C’&egrave un mio costume e un telo.’

Il ragazzo prese le chiavi che la mamma gli porgeva e s’avviò verso l’auto.

Sabrina si rivolse a Romolo.

‘Dove posso cambiarmi?’

‘La numero uno &egrave aperta e pulita, e la chiave &egrave nella toppa.’

‘Grazie.’

Cesare era tornato con la sacca.

‘Perché non chiedi a Romolo se ha un costume per te?’

‘No, grazie, preferisco rimanere così, all’ombra dell’ombrellone. Toglierò solo le scarpe per evitare che si riempiano di sabbia.’

Andò a sedere sulla sedia con fondo e spalliera di tela, di quelle che chiamano ‘regista’, e guardava intorno, la sabbia, il mare, le cabine, l’edificio del ristorante, senza veder nulla.

Tornava alle parole del medico, della madre: tutto in regola, dal punto di vista anatomico, e presto quel non indifferente ‘inconveniente’, come era stato definito il tormento che lo angosciava, sarebbe stato solo un ricordo. Gli avevano indicato un piccolo puntino luminoso nel futuro, mentre il presente era oscurità totale.

Era così intento a rimuginare, che notò Ornella solo quando gli fu vicina, in un due pezzi veramente mozzafiato.

Gli sorrise, andò a distendersi sulla sdraio che aveva coperta col telo portato da casa.

Cesare la carezzava cogli occhi, si soffermava a contemplarne i minimi particolari, a snebbiare il ricordo della mamma che si toglieva la camicia prima di impalarsi su quel maledetto ‘coso’ paterno.

Socchiudendo gli occhi, immaginava di vederla senza costume da bagno, come la Maya denuda.

No, molto più bella e coi capelli d’oro antico.

Anche il suo tosone doveva essere dello stesso colore.

No, certamente più scuro.

Chissà se era morbido come seta o deliziosamente crespo.

Sabrina, da sotto gli occhiali scuri, seguiva l’attento esame del figlio, e cercava d’interpretare i quasi impercettibili mutamenti di espressione che si alternavano sul suo volto, mentre con le mani carezzava i braccioli della sedia.

Chissà cosa pensava Cesarino, e perché la guardava così.

Cercò di rompere il silenzio, che faceva risaltare maggiormente il tenue rumore dell’onda che s’infrangeva a riva.

‘Che dici, Cesare, posso ancora andare con questo costume o non &egrave adatto alla mia età?’

Il ragazzo ebbe come un soprassalto.

‘In che senso?’

‘Voglio intendere che non so se sia conveniente per una mamma matusa.’

‘Non scherzare, stai benissimo. Ma che matusa se sembri una ragazza in cerca di”

Stava per dire ‘marito’, ma si fermò in tempo. Non toccava mai quell’argomento, con la madre, non ricordava mai il padre, l’omone dal grosso palo sacrilego e profanatorio.

Ma perché sacrilegio, profanazione, non era quello che facevano un maschio e una femmina e quindi moglie e marito? Non era quello che lui avrebbe tanto voluto fare e che, maledetta sorte, non gli riusciva?

Ah! Avesse potuto farlo con la femmina che stava su quella sdraio!

Questo pensiero gli folgorò la mente, lo sconvolse.

Già, Sabrina lo metteva in subbuglio, gli confondeva le idee.

Doveva scacciare quel pensiero, che lo metteva in crisi!

E lo faceva da quella stramaledetta notte.

Lo bloccava.

Avrebbe voluto essere lui al posto del padre!

Ma non doveva nemmeno fantasticarlo!

Doveva scacciare tale chimera, ucciderla!

Sembrava in preda a un incubo, il suo volto esprimeva spavento, terrore.

Sabrina si mise a sedere, si alzò, gli andò vicina.

‘Cesare, che hai? Come ti senti?’

Gli carezzò il volto.

Il suo pube era all’altezza degli occhi del ragazzo.

Lui ne sentiva il profumo. Che fu come un balsamo che lo riportò alla realtà.

‘Niente, mamma, niente, sto bene.’

L’afferrò per i fianchi e nascose il volto rigato di lacrime nel grembo della madre.

‘Cosa c’&egrave, bambino mio. Cosa c’&egrave?’

Deglutì, si schiarì la voce, asciugò gli occhi col dorso della mano.

‘Sto bene, mamma, grazie.’

Dalla porta del ristorante, Romolo disse che tra cinque minuti si sarebbe andati in tavola.

^^^

Quando si proietta un’immagine, a volte, essa appare inizialmente confusa, sfocata, poi, automaticamente o manualmente, si aggiusta in modo che risulti nitida, sempre più nitida, ma senza andare oltre, altrimenti ritorna la scarsa lucidità.

Cesare cercava di essere come sempre, anzi ancora più spontaneo, ma qualcosa gli turbinava nella mente.

Immagini sfocate, appunto, che improvvisamente divenivano nitide per ripiombare subito nell’evanescenza. Si dissolvevano, tornavano limpide, si sfuocavano nuovamente. Incessantemente.

Il contatto col grembo materno aveva fatto scattare qualcosa in lui.

Un contatto da sempre inconsciamente desiderato.

Avrebbe voluto essere cullato dalla sua mamma, poggiare la testa su quel seno sodo ed accogliente e’

Qui tornava la nebbia.

Sabrina guardava il figlio, cercava di leggere, attraverso gli occhi, cosa stesse pensando. Perché, malgrado ogni sforzo per apparire disinvolto, era evidente che Cesare era tormentato da qualche intimo pensiero.

Forse era sempre lo stesso.

Ma l’aveva commossa quel sentire il volto del suo bambino, rigato dal pianto, rifugiarsi nel suo grembo, quello che lo aveva concepito, fatto sbocciare, dato alla luce.

Gli argomenti della loro conversazione apparentemente naturale, erano i più fatui, non si accennò assolutamente alla visita medica, neppure quando erano sulla via del ritorno. Si parlò degli esami, della facoltà da scegliere, del fatto che Cesare era, ormai, un neo maggiorenne, ma che per la mamma restava sempre il suo bambino.

Gli carezzò teneramente il volto.

Lui le posò la mano sulla gamba, in alto, quasi all’inguine, e la tenne così, a lungo.

Erano di nuovo a casa.

Ognuno nella propria camera.

‘Penso di fare una doccia, c’&egrave sempre un po’ di sabbia dopo essere stati al mare.’

Cesare andò a rinfrescarsi superficialmente, indossò un paio di pantaloncini avana e una T-shirt bianca.

La mamma passò dinanzi alla sua porta, diretta al bagno.

Era in accappatoio.

Sotto, logicamente, era nuda ‘pensò Cesare- meno vestita di com’era sulla spiaggia. Il mio volto non poggerebbe sulla stoffa, ma direttamente sull’oro che impreziosisce il suo scrigno.

Il ragazzo seguì l’impulso di andare ad origliare dietro la porta del bagno, dov’era entrata Sabrina.

Non si sentiva nulla, nemmeno lo scroscio della doccia.

Si abbassò, spiò attraverso la serratura.

Sentì il cuore balzargli in gola.

La donna gli mostrava le spalle, ma anche tutto il resto, la meravigliosa curva delle natiche e il piccolo ciuffo che s’intravedeva tra le gambe. Per non cadere si sorresse alla maniglia, Sabrina si voltò, guardò, poi andò a mettersi sotto l’acqua che incominciò a carezzarla.

La mano del ragazzo scesa alla patta.

Sentiva delle pulsioni, degli stimoli, ma non gli sembrò che la situazione fosse dissimile da quella di sempre.

Qualcosa, però, si muoveva nel cervello.

Era come la lotta per superare un ostacolo, per rimuoverlo, per cercare di aprire una chiusa che impediva all’impeto del torrente di scorrere nel suo letto naturale.

La sorgente era li, lo sentiva, ma gorgogliava su sé stessa, non riuscendo ad avviarsi, lenta o travolgente, alla foce naturale.

Ci sarebbe voluta una ‘mina’ per consentirle di dar sfogo alla sua potenza soffocata.

Cesare tornò nella sua camera.

Di una cosa si stava rendendo conto.

Il suo problema, forse, non aveva più l’incognita che lo aveva sempre terrorizzato. E se si riesce ad identificare il termine ignoto, non &egrave poi difficile giungere alla soluzione.

Doveva procedere per tentativi.

Assumiamo S come valore incognito e procediamo. Dobbiamo ottenerne la validazione, cio&egrave la prova dell’esattezza dell’asserzione.

Si, ma come fare a dire alla madre che la si voleva vedere nuda, accertare se il carezzarla, baciarla, titillarla, poteva condurre alla rimozione del famoso ‘blocco’?

Bisognava essere cauti, per non rischiare possibili e comprensibili reazioni. Irrimediabili.

Un altro pensiero gli sfiorava la mente.

Anche la mamma, a quanto sapeva, non era stata con nessun altro uomo domo la morte del marito.

Che avesse un ‘blocco’ anche lei?

Che il suo fosse un male ereditario?

Sabrina, intanto, era uscita dal bagno, sempre in accappatoio, passando dinanzi alla porta del figlio si affacciò, sorridente.

‘Come va, Cesarino? Tutto bene?’

‘Tutto bene, grazie.’

Era convinto che dalla scollatura dell’accappatoio s’erano viste benissimo le splendide tette materne, quelle con la ciliegina.

Era all’affannosa ricerca di come rendersi conto dell’eventuale esistenza di quello che ormai aveva definito il ‘blocco’ della madre, e di accertare se la madre fosse la causa del suo.

Arzigogolava espedienti più o meno fantasiosi.

Finì che doveva provarne uno, anche se non era certo dell’esito.

Poteva benissimo lamentare un certo disturbo, interamente inventato, ma non era detto che la madre avrebbe reagito nel senso da lui ipotizzato.

Non perse tempo.

Andò dalla mamma.

Era seduta alla toilette, ancora in accappatoio, e spazzolava i capelli.

Lo vide dallo specchio.

‘Cosa c’&egrave?’

‘Mamma, lamento un piccolo disturbo, ma mi trovo a disagio, con te. Non so se a causa delle visite mediche e degli accertamenti.’

‘Di cosa si tratta?’

Sabrina s’era voltata, e questa volta l’accappatoio era veramente semiaperto, con tette in vista.

‘Beh’ veramente’ non so come dirtelo.’

‘Ma se non lo dici alla tua mamma”

‘Ecco, vedi, alla base del glande provo un forte bruciore, nel solco balanico, e mi dà fastidio anche se lo tocca il prepuzio.’

Sabrina non si meravigliò della proprietà del linguaggio di Cesare, perché con tutte quelle frequentazioni mediche erano più che edotti nella nomenclatura dei genitali maschili.

‘Vieni qui, fammi vedere.’

‘Ma”

‘Dai, sciocchino.’

Si avvicinò. Sabrina abbassò pantaloncini e boxer.

Il pene del suo figliolo era di rispettabili dimensioni, anche se in stato di perfetta quiete.

Lo prese, delicatamente abbassò il prepuzio, e si chinò ad esaminare la parte che Cesare aveva detta dolente.

Le sembrava del tutto regolare, nessun segno di arrossamento.

Passò delicatamente il dito intorno al solco, alzò e riabbassò il prepuzio, forse più del necessario, ma stava inavvertitamente uscendo dal ruolo di madre per entrare in quello di femmina, giovane e sana, con troppo lunga astinenza sessuale.

Cesare seguiva attentamente quella manovra, e non gli dispiaceva.

Il glande s’era impercettibilmente inturgidito, ed era divenuto più violaceo del solito.

‘Aspetta, che ti metto una pomatina disinfettante.’

Era un modo per seguitare a carezzare quel coso, attraente anche nella non rigidità. Avvertiva, sopiti ma non spenti, naturali desideri. Qualcosa si stava agitando in lei, inaspettatamente e, per di più, col sesso di suo figlio.

Il suo volto era serio, teso.

Prese da un cassettino laterale un tubetto, ne svitò il tappo, fece uscire un po’ della pomata che mise sull’indice destro.

Con due dita della sinistra abbassò il prepuzio, e cominciò a spalmare con quella crema il solco, che era in più che perfette condizioni.

Avvolse il fallo con tutta la mano.

Sentiva il pulsare delle vene. Anche se parzialmente, molto limitatamente, il sangue affluiva. Il blocco non aveva ceduto, ma certo c’era qualche infiltrazione. Si notava una parvenza di parziale tumescenza.

Non sapeva se seguitare o smettere.

L’espressione di Cesare era di piacere, la guardava fisso, senza parlare.

Decise di smettere.

‘Per ora credo possa bastare, Cesarino, rivestiti.’

Quel ‘per ora’ rimbombava nelle orecchie del ragazzo.

‘Per ora’, e poi?

Lui rimase di fronte alla madre, frugandola cogli occhi nella scollatura dell’accappatoio.

Sabrina se ne era accorta. Non si mosse.

Dunque, Cesare, la guardava, e in un certo modo.

Inoltre, non era rimasto inerte ai suoi toccamenti.

Che c’entrasse lei con quel famoso ‘blocco’ che li stava facendo impazzire?

Anche lei non era stata indifferente a quel contatto.

Cosa stava capitando loro?

‘Grazie, ma’. Spero che quel fastidio mi passi presto. Che dici, ci vorrà dell’altra pomata?’

‘Vedremo. Adesso mi vesto, preparo un po’ di cena. Che dici, dopo, di andare al cine?’

‘A vedere cosa?’

‘Non so, scegli tu.’

^^^

Al Cine Club si proiettava il remake d’una vecchia pellicola, interpretata da Lea Massari, Le souffle au coeur, il soffio al cuore, Cesare l’inserì in una terna che propose alla madre.

Sabrina gli chiese se sapesse più o meno la trama del film, e lui asserì che ne aveva sentito parlare, in occasione di un dibattito sul cinema del passato, senza ricordare, però, né contenuti né giudizi. Allora non era interessato al cinema serio, doveva essere stato quando era ancora alle elementari e aveva una maestra che tutti ritenevano alquanto strana. Del resto, coinvolgere ragazzini di quell’età in un cine-forum era per lo meno fuori del comune.

La sala di proiezione non era molto lontana, potevano andarci a piedi.

La serata calda consigliò vestiti leggeri, ma Cesare suggerì alla madre di portare qualcosa da indossare qualora, nel cine, l’aria condizionata mantenesse una temperatura troppo bassa.

Era una vecchia sala, già dopolavoristica, in un certo senso ammodernata, e intorno alla platea avevano ricavato una specie di palchi, con le pareti separatrici alte meno di due metri, dove si poteva mettere la poltroncina come si voleva, sempre che l’affollamento lo avesse permesso.

Per non stare a stretto contatto di gomiti con qualche vicino dal’ profumo troppo evidente, scelsero uno di quei palchetti, quasi di fronte allo schermo.

Ci sarebbe da domandarsi se la proposta di Cesare e la scelta di Sabrina fossero proprio fortuite, perché, guarda caso, si trattava del rapporto tra madre sola e il figlio adolescente, affetto, appunto, da quella particolare cardiopatia. Avvenimenti e circostanze trascinavano i due ad un amplesso, che era anche il primo del ragazzo.

Cesare avvicinò la sua poltroncina a quella della madre e poggiò il braccio sulla spalliera di lei. Aprì la mano e gliela mise sulla spalla, sentendo il vellutato e il calore della pelle.

Si spense la luce, le solite presentazioni e poi, preceduto da ringraziamenti ai realizzatori del re-make, iniziò il film.

La mano scese all’ascella, le dita cercarono timidamente l’attaccatura del seno, la carezzarono, si spinsero oltre, le dita palpeggiavano timorosamente, sempre pronte a ritirarsi precipitosamente.

Sabrina guardava fissamente lo schermo, non sapeva se e come reagire. Del resto quella mano non la infastidiva, tutt’altro. Forse solo come risposta naturale a un qualunque contatto esterno, sentì i capezzoli ingrossarsi e sporgere, strofinare la stoffa della blusa. Uno struscio piacevole con non sgradevoli riflessi sulla muscolatura del grembo interno. Sensazione quasi dimenticata.

Il desiderio di sentire delle dita che le titillassero i capezzoli, la portò ad avvicinarsi a Cesare, per consentirgli di allungare ancor più la mano.

Movimento spontaneo, non deliberato, ma ebbe l’effetto auspicato.

Ora il capezzolo era stretto e lasciato, ritmicamente, in una successione ininterrotta di piccoli pizzichi. E anche le sue gambe cominciarono a dischiudersi e serrarsi, nervosamente.

Fu spontaneo appoggiargli la mano sulla gamba, molto in alto.

Sullo schermo si susseguivano le inquadrature, per lei senza senso.

Cesare si sentiva invaso da sconosciuti ed incalzanti impulsi.

Una strana imprudenza stava subentrando alla sua consueta cautela.

Quando si accese la luce, Sabrina pose sulle gambe la leggera giacchetta che aveva portato, lui si scostò alquanto, ma non lasciò del tutto la presa.

Tornò il buio.

Commendatrix obscuritas, oscurità protettrice.

L’altra mano di Cesare azzardò ad adagiarsi sulla coscia della donna, che fu pronta a ricoprirla con la giacchetta, e si spostò leggermente, per accoglierla meglio laddove le gambe si congiungevano.

Vestito leggero, perizoma inconsistente, morbidi riccioli del tutto riconoscibili al tatto.

Le dita di Sabrina sfiorarono la patta di Cesare, ebbero la sensazione di un leggero movimento. Insistettero, delicatamente. Si, non si sbagliava.

Quando, sia pure con molte evanescenze e controluce, si comprese bene cosa facessero, nel film, madre e figlio, la mano della donna afferrò i fallo semiflaccido di Cesare e quella di lui artigliò le grandi labbra, con prepotenza.

Alla parola ‘fine’ si rialzarono, insieme, e senza guardarsi in faccia, in silenzio, s’avviarono all’uscita.

Lui la prese sotto braccio, lei posò la sua mano su quella di lui, rientrarono a casa.

Nel tinello.

‘Ho sete, Cesare, prenderesti dell’aranciata, nel frigo?’

Sedette sul divano.

Dopo poco lui rientrò con due bicchieri pieni del liquido arancione. Ne porse uno alla madre.

Le fu accanto.

Con aria molto seria, e senza guardarlo, lei gli disse che aveva la sensazione che il fastidio da lui lamentato fosse attenuato.

Cesare assentì.

‘Forse, Cesare, &egrave bene mettere un altro po’ di pomata. Stenditi sul letto, indossa i pantaloncini del pigiama, la vado a prendere, ti raggiungo subito.’

Cesare andò nella sua camera, si svestì, infilò i pantaloncini, si mise sul letto.

Sabrina non si vedeva. Non ne comprendeva il motivo, era così semplice prendere il tubetto e tornare. Era ansioso di risentire quelle deliziose dita sul suo sesso.

Aveva tardato perché anche lei s’era preparata per la notte. Era in vestaglia e pantofole.

Sedette sulla sponda del letto.

Tirò giù le mutandine.

Il fallo di Cesare non era del tutto’ abbattuto.

Lo guardò, senza poter nascondere del tutto il compiacimento che le provocava quella constatazione.

Un flash goliardico e ironico le attraversò la mente: eppur si muove!

Stessa operazione iniziale della volta precedente, ma con la variante che lo impugnò subito nel centro, non con due timide dita, ed anche l’abbassamento del prepuzio fu abbastanza deciso. Non aprì neppure il tubetto della famosa pomatina, ma si abbassò ad osservarlo, vicinissima con gli occhi, ed anche con le labbra, fino a sfiorarlo, casualmente, come se fosse un accostamento involontario e fortuito. Un breve contatto, ma sufficiente per sentire che quel coso le andava crescendo in mano, rapidamente, fino a raggiungere ragguardevoli proporzioni.

Cesare guardava sbigottito, anche dalla sua selva nera, ora, s’ergeva un poderoso albero, e svettava prepotente.

Il prodigio era accaduto.

Era guarito!

Quasi.

C’era ancora quella seconda parte che lo tormentava.

La deliziosa Sabrina lo aveva guarito, ma lui sentiva che non era completamente al di fuori di quel blocco che lo aveva tormentato per anni.

E certo lo sapeva anche la donna, perché si liberò lentamente della vestaglia, così come tanti anni prima aveva fatto della camicia, si pose a cavallo di lui, come quella notte con l’altro, e lo accolse in sé, lentamente, ma completamente, fin dove la pur cedevole vagina poté contenerlo.

E, con lui che non sapeva cosa fare, cominciò una incredibile voluttuosa cavalcata, mentre gli prendeva le mani e le portava sui suoi fianchi sul suo seno.

Aveva gli occhi sbarrati, Cesare, le nari frementi, e l’accompagnava col lieve ondeggiare che la natura gli dettava.

Non avrebbe mai immaginato sensazioni simili, né che una donna sapesse così mostrare il suo piacere, darlo e riceverlo, con lunghi incalzanti gemiti, che terminarono in un grido di vittoria, mentre si gettava, affranta e voluttuosamente felice sul petto di lui.

Lo sentiva ancora duro e possente in sé, anche dopo il dirompente getto che l’aveva deliziosamente invasa.

Lo avvinghiò con le gambe, si voltò su di un fianco, sempre stringendolo bene in lei, e si voltò ancora, tirandolo su di sé.

Intrecciò le gambe sul dorso, inarcò il bacino.

Non ebbe bisogno di dirgli nulla.

Quel vigoroso inesauribile maschio era ‘nato imparato’ iniziò a stantuffarla con passione, con controllato impeto, ma lei sentiva che il glande andava sempre a bussare sul portio, come a volerlo dischiudere e penetrare anche l’utero. I muscoli della vagina erano impazziti. Si contraevano e rilassavano, mentre il ventre era travolto dai palpiti, e lei muoveva la testa qua e là, ebbra di piacere.

Un incontro straordinario, tra un essere giovane e vigoroso che aveva finalmente ‘sbloccato’ l’impedimento che fino ad allora gli aveva impedito di dimostrare la sua virilità, e una femmina, nel pieno della sua maturità, che aveva soffocato i suoi sani e fisiologici appetiti sessuali per lunghi, interminabili, tormentosi anni.

Incontro di due energie troppo a lungo represse.

L’appagamento di Sabrina, completo e totale, aveva superato ogni precedente esperienza, facendola impallidire al confronto.

Cesare era deliziosamente inesauribile, la colmava e dissetava come mai avrebbe potuto sperare.

I suoi orgasmi si susseguivano incredibilmente, non sapeva che ciò le sarebbe potuto accadere, si sentiva sprofondare sempre più nel piacere, quasi in deliquio, di naufragare meravigliosamente nel mare della voluttà.

‘Cesare’ Cesarino’ mi fai morire’ precipito nel nulla’ nel vuoto’ oddio’ oddio”

Aveva gli occhi chiusi e ansimava.

Cesare moderò l’andatura, si fermò, sempre occupandola col suo grosso, rigido e infaticabile fallo, inondandola del suo inesauribile seme.

Forse pesava, così, su lei.

Si mise di fianco, poi supino.

Quasi in preda ad una sorta di ipnosi, fu Sabrina a mettersi nuovamente su lui, ingurgitando di nuovo in sé quel gonfio irriducibile arnese. Gli giacque sul petto e si assopì, o forse seguitò a vivere quel trance meraviglioso, quel rapimento, quell’estasi.

S’addormentò decisamente, sfinita, voluttuosamente affranta.

Era la prima volta che riposava in quel modo, col ventre ancora invaso da ciò che l’aveva saziata.

Meravigliosa coltre di carne, col seno che gli premeva il petto, il pube che avvertiva l’altro pube, il fallo avvolto in una tunica vibrante che lo carezzava incessantemente.

S’addormentò anche lui, anche se non pago del tutto.

^^^

A Sabrina sembrò di stare lentamente uscendo da una nube confusa e meravigliosa. Come un aereo esce da una fitta, impenetrabile nebbia.

Era certa di aver sognato.

Cosa?

Pian piano tornava alla realtà.

Era ancora notte fonda, la camera era rischiarata dalla luce del comodino, che avevano lasciata accesa.

Dov’era?

Bocconi su qualcosa di piacevole, e con una incantevole sensazione tra le gambe.

Tra le gambe!

Si riscosse, si alzò sui gomiti.

Giaceva su Cesare!

E lui dormiva, beato, supino, con un’espressione paradisiaca sul volto.

Andava ricordando tutto.

Riemergeva dal delirio dei sensi.

Si, risentiva nelle orecchie la sua voce rocca e affannata che, mentre precipitava nel vortice della voluttà, sussurrava Cesare’ Cesarino’

Si, lei, godendo languidamente, invocava il figlio che le aveva riempito il sesso. Meravigliosa invasione!

Oddio, s’era accoppiata con suo figlio.

Ora la mente andava schiarendosi.

Era stata lei a provocarlo.

Ma come le era potuto balenare in mente di ‘ispezionare’ il pene del figlio!

Cercò, ipocritamente, una giustificazione: era malato, Cesare, aveva una disfunzione erettile che da criptogenetica era divenuta psicogena.

Lei, però, aveva percepito che qualcosa accadeva sotto le sue dita.

E accadeva anche a lei: il suo grembo palpitava, la sua vagina, dopo tempo immemorabile, stillava i suoi umori, si contraeva.

Benedetta inventata balanite!

Aveva capito che la rimozione del ‘blocco’ era lei.

Non sapeva, però, come lei avesse potuto causarlo.

Nello stesso tempo, dopo essere rimasta quasi del tutto insensibile alle attenzioni di infiniti uomini, aveva compreso che era scritto nelle stelle che solo il frutto di sé stessa l’avrebbe potuta saziare. Una specie di cannibalismo traslato: cibarsi, sfamarsi, della propria carne.

Più tornava con la mente all’accaduto, più era dibattuta tra la meravigliosa voluttà vissuta e lo sgomento per quanto era successo.

Si abbarbicava sempre più all’ottenuto ‘sblocco’.

Voleva perfino convincersi che, in un certo senso, s’era sacrificata a tale scopo, superando tabù, veti, proibizioni, sfidando condanne morali, religiose’

Però, finiva col concludere, com’&egrave stato bello! Non ne poteva più di quella interminabile castità!

Un’altra angoscia andava invadendola: non avrebbe più provato quelle emozioni, non avrebbe più rinnovato quegli orgasmi, sarebbe precipitata nuovamente in una ancor più crudele e tormentosa vedovanza.

Il suo vedovo sesso (vedovo sito, avrebbe detto Dante) sarebbe rimasto tale, per sempre.

Intanto, non lo era adesso, perché anche nel sonno Cesare tornava ad ostentare la dimostrazione della sua poderosa virilità.

Lei lo sentiva, e come!

E, pur beandosene, si doleva per la prevedibile imminente perdita.

Cesare dormiva.

Movendosi con felina cautela, impercettibilmente, s’acconciò in modo di sentirlo ancora in lei. Rimase quasi ferma. Il suo ventre sembrava immobile, ma la vagina andava contraendosi, sommando alle pulsioni della natura, la sapienza della femmina passionale. Era come un lungo e lento mungere, che raggiunse preso il suo orgasmo e il naturale epilogo mascolino.

Ad un certo momento lui le afferrò le natiche, e lei s’abbandonò a quella che, era certa, sarebbe stata la sua ultima galoppata erotica.

Quando s’acquietò, e cercò ancora una discolpa, finì col pensare, cinicamente, che tanto il tabù era stato violato, e qualora ci fosse stato peccato non era il numero a influire sull’importanza.

Cominciava a filtrare la luce dalle persiane.

Sabrina smontò da cavallo, restò col capo sulla spalla di Cesare, la gamba sul sesso di lui.

Doveva fargli un certo discorsetto.

Cercava come cominciare.

Lui era in silenzio, anche perché sentiva un certo disagio a chiamarla mamma.

Gli carezzò il volto.

‘Visto, Cesarino, che sei guarito? Perfettamente?

Ricordi quando venivi dalla mamma a mostrarle il ditino con la ‘bua’? E mamma lo baciava, e prendeva in braccio il suo bambino, lo cullava, lo consolava, e lui, d’improvviso, guariva?

Anche adesso la tua mamma ti ha guarito.

Vedrai, quando andrai con la tua ragazza, con le altre donne, del tuo passato disturbo non ti rimarrà neppure il ricordo”

Cesare alzò la testa, la guardò allarmato.

‘Ma io non voglio andare con nessun’altra donna, voglio te. E’ da sempre che ti voglio.’

‘Come, ‘da sempre’!’

‘Si, da quando ho visto te che ti toglievi la camicia, montavi su tuo marito e ricevevi il suo grosso coso tra le tue gambe, e ti dimenavi’ ti dimenavi.. ed io da allora ho capito che non desideravo nessuna femmina che non fossi tu.’

Sabrina era attonita. Poi, finalmente rendendosi conto dal dramma del bambino, dell’adolescente, del giovane, fu invasa da una insolita ma profonda tenerezza. Lo strinse al suo cuore.

‘Bambino mio, Cesarino mio, tesoro mio, non sapevo di averti fatto tanto male. L’unica cosa che allevia un po’ il dolore per ciò che ti ho causato e l’essere stata capace a rimuovere da te questo macigno che ti ha tanto lungamente oppresso.

E dire che tu, alla mia colpa, pur se inconscia e ignorata, hai risposto donandomi sensazioni di paradiso’

La guardò con una luce di gioia negli occhi.

‘Non ti ho offesa mamma?’

‘Mi hai deliziata, tesoro.’

‘Davvero?’

‘Infinitamente.’

‘Mi vorrai ancora?’

‘Sempre!’

^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply