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Racconti Erotici

La mia amica Silvia

By 9 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Tra le lampadine gialle e rosa dello specchio del bagno intravidi Silvia che stava dando gli ultimi colpi di spazzola e spruzzi di fissante alla montagna di capelli rossi. Da oltre mezz’ora eravamo rinchiuse nel bagno del piano notte intente a imbellettarci. Oramai del tutto vestita mi concentrai con impegno meticoloso sulla sfumatura del mio ombretto celeste, ma il rumore del cellophane di una confezione nuova di calze, che la mia amica stava aprendo, dirottò la mia attenzione. Fissai l’occhio già truccato tra le righe d’umidità dello specchio appannato cercando di non perdermi neanche un istante dello zelo col quale Silvia stava contornando le sue nudità. Mi voltai di scatto mentre dalla sala da pranzo giungevano musica di sottofondo e voci in lontananza che ci reclamavano in fretta. Silvia, in completo nero intimo, era alla prese con i gancetti di un reggicalze dove con leggiadra disinvoltura stava appuntando un paio di calze nere. ‘Come mi trovi?’ Disse puntando il tacco a spillo tra gli interstizi della ceramica del pavimento e girando su sé stessa.

‘Che dici, posso avere qualche chance? Oppure mi devo rassegnare a passare una notte in bianco?’ Era stupenda, nonostante i quarant’anni neanche un filo di grasso o qualche striatura di cellulite. Il sedere tondo ben modellato riempiva nella giusta misura un paio di mutandine vertiginose..

‘Sai,’ riprese quasi pensosa, ‘di questo periodo il mercato offre poco e niente e la concorrenza è sempre più agguerrita!’ La guardai allibita, ma, di spalle, non si accorse del mio stupore. Rimase ancora un attimo nella posizione, finché, soddisfatta dell’effetto, si avvicinò stringendomi forte le spalle. ‘Se tu fossi un maschio mi lasceresti uscire da questa stanza così intatta?’ Mi guardò fissa attraverso lo specchio, rallentando le ultime parole in modo da non sgualcire il contorno del rossetto marcato più scuro. Era la prima volta che una donna mi stringeva in quel modo, avvertii un fremito tra il disagio e la piacevolezza di essere protetta. Tra noi non c’erano mai state ambiguità del genere e Silvia con quel gesto stava semplicemente chiedendo gratificazioni che forse nessun maschio era riuscito a trasmetterle. Silvia era così, la compravi veramente con poco, bastava una minima attenzione e te la ritrovavi ai piedi. Pronta per essere gratificata. Lasciò la presa immediatamente chiedendomi ancora di guardarla e di esprimere un giudizio, ma ottenne solamente una sensazione leggermente accennata di rossore sotto le mie guance di fard appena messo. ‘Ti prego.’ Riprese ironica e infilandosi un vestito di seta nero svasato. ‘Almeno lasciami le calze intatte! Sai, non sopporto le smagliature e poi mi sono costate un occhio della testa.’ ‘Smettila di giocare!’ Abbozzai una risposta cercando di porre fine alla commedia. ‘Ci stanno reclamando da un quarto d’ora e ancora sono in questi condizioni pietose.’ Inebetita tentai di concentrarmi sull’altro occhio ancora non truccato. Ancora una volta Silvia aveva avuto la capacità di trascinarmi in un mondo totalmente sconosciuto facendomi sentire inevitabilmente un piccolo essere insignificante e sprovveduto. Rividi il suo reggicalze, i gancetti, i fiocchetti, i volant del reggiseno, il rosso fuoco delle labbra. Due femmine in cerca di auto gratificazione e tanti maschi in sala da pranzo buoni veramente a nulla.

“Sei stupenda” Le dissi, guardandola attraverso lo specchio. “In questo momento vorrei essere altro: un uomo che ti reclama o una donna esattamente come te” Dissi pensando ai miei banali collant color carne e alla mia gonnellina bianca a pieghe corta adatta più ad una quindicenne in una festa tra compagni di scuola. Silvia rimase sorpresa, ma continuò il gioco, appoggiata alla porta del bagno scostò i lembi del vestito tirando avanti la coscia. Le stringhe del reggicalze nero mi colpirono l’occhio e l’anima. “E se fossi semplicemente tu?” Mi disse facendosi seria. “Dai Silvia è tardi!” Cercai ancora un barlume di decenza. Ma la sua mano era ormai tra le mie gambe. Mi sentii immediatamente invasa di calore. E grata per l’effetto cercai di ricambiare la cortesia. Strinse la mia gamba tra le sue cosce vellutate. E chissà da quale film me ne uscii con un puttana caldo e suadente. Afferrai le stringhe del reggicalze ed il piacere non tardò a soddisfarla senza alcuno sforzo. Era passato un attimo e non di più. Ci rialzammo immediatamente. “Cosa ci costringono a fare!” disse cercando una scusa. Per dire il vero, non era stato così male, pensai, mentre la guardavo scendere le scale, rivendicava il suo essere donna lontana mille miglia da qualsiasi pregiudizio, sicura com’era di essere causa dell’unico e solo effetto che voleva a tutti i costi provocare. La guardai meglio dalla cascata morbida di capelli fino alla punta del tacco, effettivamente nessun uomo o donna che sia poteva resisterle. Notai le pieghette delle calze all’altezza della caviglia, risi di me e della mia ingenuità, non avrei mai sopportato indossare un paio di collant con simili difetti! In fin dei conti non avevo mai indossato un reggicalze, anzi fino a quel momento lo consideravo un indumento da bambole ammaliatrici bionde platino viste in qualche film di spionaggio americano lontane anni luce dalla mia vita e dal mio modo di pensare. Ma Silvia non era lontana e scendendo i gradini sentii chiaramente un altro pezzo delle mie fragili difese cadere rovinosamente sul legno della scala a chiocciola. Ero gelosa.

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