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Racconti Erotici Etero

RedRose

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Era stato organizzato un party di benvenuto, per gli studenti stranieri, nel College Park. All’ingresso, un lungo striscione verde, FAILTE go EIREANN, con a destra un trifoglio, a sinistra un’arpa.

Mi fermai a testa in su. Riuscivo solo a capire che era qualcosa che aveva a vedere con l’Irlanda, a causa di quell’EIRE.

Una voce, alle mie spalle, calda, vellutata, carezzevole, gradevole, spiegò: ‘Vuol dire, Benvenuti in Irlanda. I simboli sono lo shamrock, il trifoglio, e l’arpa dei Celti, i nostri emblemi nazionali. E’ un saluto in gaelico, o goidelico, un po’ come Dia is muire dhuit. Tu sei Italiano, vero? Hai il tuo tricolore sul braccio del giubbotto, molto simile al nostro. Il rosso italiano, però, &egrave acceso, ardente.’

Era una giovane donna, da mozzarti il fiato. Un petto e un sedere che Hollywood non aveva mai potuto vantare, capelli rosso fuoco, lunghissimi, occhi del verde profondo dei prati d’Irlanda, una carnagione nivea, appena tendente al rosa, con piccole efelidi che ti chiedevano di essere baciate, meglio sfiorate con la lingua.

‘Si, sono Italiano.’

Fu tutto quello che riuscii a sillabare, confuso, abbagliato.

Mi tese la mano.

‘Rose Parnell. Ho studiato, a Perugia, la vostra lingua e letteratura europea. Ora, al Trinity, ho l’incarico di insegnare Storia d’Europa. Sei qui per studio?’

Strinsi la mano, che trattenne tra le sue, guardandomi sorridente.

‘Sono al Trinity per un anno, per studiare l’Inglese. In Italia frequento Scienze politiche. Mi chiamo Vittorio Martini. Per gli amici, Vit.’

‘Vuoi fare il diplomatico?’

‘Preferirei il giornalista.’

‘Ottima idea. Stai andando alla festa?’

‘Si.’

‘Bene, Vit, possiamo andarci insieme. Così farò anche pratica d’italiano.’

‘Non credo ne abbia bisogno.’

‘E’ sempre bene to brush up una lingua straniera. Andiamo?’

Ci avviammo verso il parco. Il suo incedere era flessuoso, felino. Metteva i piedi uno dinanzi all’altro, con una movenza particolare che mi richiamò alla mente il modo di camminare delle pantere: guardingo, silenzioso.

Indossava un vestito di cotone, molto semplice, a piccoli fiori rossi tra foglie verdi. Una cintura rossa, di pelle, in vita, del colore delle scarpe sportive che calzava, e della piccola sacca attaccata alla spalla. Seno rigoglioso, che s’intravedeva abbondantemente, dalla generosa scollatura. Candido, sicuramente sodo, perché non c’era indizio di reggipetto, e non sobbalzava al camminare. Fianchi pieni, natiche rotonde, salde, chiaramente disegnate sotto l’abito.

La squadravo, compiaciuto, e lei se n’accorse. Era veramente un tocco di… professoressa, di quelle che, a Roma, strappano entusiasti ed elettrizzati ‘a bbona!’, non sempre pronunciati sottovoce.

Si rivolse a me con un sorriso disarmante.

‘Cosa stai guardando? Cosa pensi?’

‘Penso che se lei non fosse un’insegnante, l’inviterei a cena.’

L’avevo detto abbastanza in fretta, buttata là.’

Si fermò un istante, e poggiò la sua mano, affusolata, curatissima, sul mio braccio.

‘Perché, credi che le insegnanti, come mi chiami tu, non mangiano?’

‘Si, ma non vanno a cena con gli studenti.’

‘Questo non mi risulta.’

‘Allora… verrebbe a cena con me?’

‘Certo, non vedo perché no. Ci mettiamo d’accordo per dopo la festa. Va bene? ‘

Riprese a camminare.

Non potevo credere che un pezzo di donna del genere, avrebbe accettato un invito a cena da me, e con tanta naturalezza. Mi fissò con i suoi occhi di smeraldo.

‘A che punto sei dei tuoi studi, in Italia?’

‘Ultimo anno.’

Quanti anni hai, allora?’

‘Ventidue, quasi. Sono andato a scuola prima dei sei anni ed ho saltato l’ultima classe delle elementari.’

‘Che media hai?’

‘Abbastanza buona.’

‘in altre parole?’

‘Oltre ventinove.’

Si fermò un momento, scrutandomi intensamente, poi seguitò a camminare.

‘Allora, sei un secchione!’

‘Io non mi definirei così. Studio, logicamente, ma pratico anche sport: tennis, nuoto, basket.’

‘Vai in discoteca?’

‘Pochissimo.’

‘Hai una ragazza fissa?’

‘No, qualche compagna di scuola. Niente di sentimentale.’

‘Lo sai quanti anni ho io?’

Ne calai qualcuno, sicuro di farle piacere.

‘Ventiquattro.’

‘Li avevo dodici anni fa.’

‘Non ci credo.’

‘Vuoi vedere i documenti?’

‘Chi mi assicura che non siano alterati?’

‘Perché, poi?’

‘Un’insegnante troppo giovane potrebbe temere di apparire non sufficientemente autorevole.’

‘So che dimostro qualche anno meno della mia effettiva età, ma oggi compio trentasei anni. In quanto ad autorevolezza, ne ho quanto ne basta.’

‘Auguri.’

‘In Irlanda, con gli auguri si dà un bacio. Kiss me boy.’

La baciai sulla guancia.

‘Non sul volto. Lips.’

E porse le labbra.

Eravamo giunti vicino al palco dove si esibiva un gruppo, che si era ben piazzato al Guiness International jazz Festival, di Cork. Rose fu salutata da molti, insegnanti e studenti. A tutti mi presentava come il suo giovane amico italiano. Dall’orchestra comunicarono che, in onore di Miss Rose Parnell, avrebbero suonato The Rose of Tralee, una famosa canzone irlandese, anche per ricordare che la destinataria di tale omaggio era una delle ‘Miss Rose of Tralee’, eletta con una indimenticabile standing ovation.

Rose mi sussurrò all’orecchio che mi avrebbe spiegato tutto.

Sedemmo ad un tavolino. Le chiesi cosa potevo portarle dal banco mescita.

‘Guiness, of course, darling.’

Tornai con due pinte di birra scura e cremosa.

Rose alzò il boccale.

‘Al mio giovane amico italiano.’

‘All’incantevole insegnante irlandese.’

Bevve un lungo sorso, poi mi tese il boccale.

‘Dobbiamo scambiarceli, é segno d’amicizia, e statuisce che non ci sono né ci saranno segreti, tra noi. No secret, between us.’

Presi il suo bicchiere e le diedi il mio.

Si avvicinò a me.

‘Mi auguro di poterti raccontare le nostre abitudini, e la storia, del mio paese. Spero di farti visitare molti luoghi. Soprattutto Cork, la mia città, per gli Irlandesi Corcaigh. Ti farò conoscere i nostri scrittori, i nostri poeti. Yeats:

In a field by the river my love and I did stand…

I nostri limericks:

The limerick’s an art form complex

whose contents run chiefly sex…

Ti annoio?’

‘Tutt’altro, e sono incantato dal suo modo di narrare.’

Avevamo finito le birre.

‘Ne vuole ancora?’

‘No, grazie. Ma devi darmi del tu, altrimenti mi fai sentire una vecchia zitella insegnante.’

‘Ci proverò. Proviamo subito. Scusa, sei di Cork, ma vivi a Dublino?’

‘Si, a Baile A’tha Cliath. Questo é il vero nome di Dublino. Abito in un grazioso appartamento, di fronte al Phoenix Park, non distante dal Monumento a Wellington.’

‘Con i tuoi?’

‘No, totalmente sola, con una chairlady che viene a rassettare la casa, e a tenermi fornito il frigo. I miei sono a Cork.’

‘Per la cena di questa sera, avrei pensato di andare da Ernie’s, che ne dici?’

‘Non vorrei andarvi.’

‘Scegli tu il ristorante, allora.’

‘Non gradisco andare al ristorante.’

‘Mi avevi detto…’

‘Ho detto, e confermo, che accetto, e sono contenta, di cenare con te, ma non in ristorante. Ho una casa, e in cucina me la cavo benino. O temi che ti voglia avvelenare?’

‘Cenare a casa tua?’

‘Cosa ci trovi di strano? Non siamo in Italia, dove un invito a cena, in casa, comporta lunghi, complessi, e spesso ipocriti, giri di parole e preparativi. Da me non attenderti esibizione di posate d’argento, preziosa cristalleria, tovagliato lussuoso. In ogni caso, spero di non deluderti.’

‘Scusa, ma mi sento alquanto frastornato. Tutto é così distante dalle abitudini della mia terra, dal consueto modo di comportarmi. Do il tu ad una professoressa, molto bella e attraente. La invito a cena, e lei accetta, poi mi dice che la cena sarà a casa sua. Beviamo insieme una Guiness, mi passa il suo boccale perché tra noi non devono esserci segreti, la guardo e mi sembra di sognare, vengo a sapere che é stata Miss Rose of Tralee, e mi accorgo che é più bella di quanto avevo notato in un primo momento. Come faccio a non essere confuso?’

‘I see. Well, Vit, credo sia tempo di avviarci verso casa.’

Mi guardò. Assentii col capo. Ci alzammo. Fece un gesto di saluto, in giro, con un allegro see monday morning, a lunedì, e un largo, splendido sorriso.

‘Andiamo, Vit, siamo liberi fino a lunedì. Anche tu, vero? Dove abiti?’

‘Presso una famiglia, B&B, non distante dal College.’

Ci dirigemmo verso l’uscita, con quel suo particolare modo di camminare. Un armonioso e incantevole lieve ancheggiare. Sprizzava sex appeal da ogni poro. La lunga capigliatura, appena sollevata dal leggero vento del tramonto, lasciava una scia fiammeggiante nell’aria. Mi venne istintivo di allungare la mano, lasciar scorrere quei morbidi fili tra le dita. Mi guardò sorridendo. Sussurrai, a bassissima voce, un verso, non ricordo di chi. Mi chiese: ‘Cosa bisbigli?’

‘Smooth as silk. Morbidi come seta.’

‘Grazie, sei galante. Ancora pochi passi, e saremo alla rimessa dello Stock Exchange, dove, grazie a mio zio, il Presidente, ho il privilegio di poter parcheggiare la mia piccola vecchia auto, un ricordo dell’Italia. Come puoi notare, anche noi abbiamo i nostri favoritismi.’

Era una Fiat 500, vecchio modello, tenuta benissimo. Sembrava appena uscita dalla fabbrica. Aprì lo sportello, mise la borsa sul sedile posteriore, e si sistemò, mollemente, al posto di guida. Alzò le gambe, pigramente, lasciando che il vestito le scivolasse fin quasi in grembo, e le infilò in auto, separatamente, una per volta, con studiata lentezza. Mi guardava negli occhi, offrendo l’incantevole spettacolo del suo marmoreo candore provocante, delle sue forme perfette esaltate dalla trasparenza invitante del collant. Riunì le gambe, senza abbassare il vestito. Aprì l’altro sportello.

‘Sali.’

Ebbi un momento d’indecisione. Dall’auto si diffondeva una sinfonia inebriante, che m’avvolgeva eccitandomi. Saliva dai colori e dal profumo. Il rosso dei capelli, il vermiglio delle labbra, il verde splendente degli occhi, il candore delle braccia, delle spalle, del seno che prorompeva dalla scollatura, le mille efelidi scure, le lunghe gambe appena velate… Il profumo di quel corpo mi avviluppava, mi stordiva…

La voce di Rose mi richiamò alla realtà:

‘Vit, sali?’

Entrai in auto, e chiusi lo sportello.

Mi fissò.

‘Hai un aspetto strano, boy, qualcosa non va? Mi sei sembrato esitante. Su che?’

‘In effetti, pensavo che ti sto procurando un sacco di fastidio. Non pensavo che tu dovessi preparare la cena, mettere sottosopra la casa, e in più, proprio a causa di ciò, potrai parlare poco con me.’

‘You’re wholly wrong, darling. Hai completamente torto, caro. Sono felice di averti a cena. Wait and see.’

Uscì dalla rimessa, e s’avviò lentamente lungo il Liffey. Allungò la mano e mi carezzo il volto.

‘Spero ti piaccia la cucina irlandese. Avremo le nostre ostriche, il Dublin lawyer, che non é un avvocato, ma l’astice alla crema e whisky, e hot apple pie with ice cream, italian white wine. Irish coffee… ‘

Mormorò qualcosa che non compresi bene, mi sembrò che dicesse: ‘then, we will see… Poi vedremo…’

Eravamo al Phoenix Park, sulla Infirmary Road. Si fermò dinanzi una serranda, spinse un pulsante, entrò.

‘Here we are, Vit. Siamo a casa.’

Parcheggiò dov’era scritto, sul muro, RP. Scendemmo, chiuse l’auto. Si diresse ad una porta di metallo bianco, l’aprì, ci trovammo di fronte all’ascensore, vi entrammo.

‘Top floor, close to paradise.’

Spinse il bottone.

L’appartamento non era molto grande, ma comodo e tranquillo. Arredato con gusto. Con una bella vista sul parco. Le ombre della sera avanzavano rapide. Rose accese una luce, tenue, sapientemente diffusa, che dava una particolare intimità all’ambiente.

‘Vuoi un drink?’

‘No, grazie. E’ molto bello, qui.’

‘Grazie. Vado a mettermi in libertà, di fronte alla mia camera c’é il washroom, con delle towels. Togliti il giubbotto. Accomodati. Io torno tra qualche minuto.’

Rimasi solo. Entrai nel bagno, pieno di specchi luccicanti e fornito di quanto può necessitare. Tolsi il giubbotto e la Lacoste. Feci scorrere acqua sui capelli corti, sul collo, sulle braccia. M’asciugai vigorosamente, rimisi la maglietta. Uscii nella living room, dov’era, in un angolo, un attaccapanni, e vi appesi il giubbotto.

Rose venne fuori della sua camera, e rapidamente entrò nel bagno. Ebbi la sensazione che fosse nuda. Dopo poco, fece il percorso inverso, più lentamente. Si, era nuda.

Quando tornò, indossava una vestaglia che s’incrociava sul fianco, morbide scarpine da riposo, e aveva raccolto i magnifici capelli in una lunga ‘coda’. Non era truccata, le labbra erano naturalmente rosso corallo. Una splendida donna, non le avresti dato più di venticinque anni.

Andò verso la piccola e civettuola cucina.

‘Vieni, Vit, non startene li.’

La raggiunsi. Sulla vestaglia, aveva messo un grembiulino verde, come i suoi occhi.

‘Siedi su quello sgabello, di fronte a me.’

Muovendosi, la vestaglia s’apriva abbondantemente, specie quando si chinava, e ancor meglio quando s’accoccolava. Era evidente che quell’abito era l’unica cosa che indossava.

Preparava tutto, abilmente e celermente.

‘Mangiamo a quel tavolino. D’accordo?’

Non attese risposta, s’avvicinò al muro, abbassò una ribalta, e l’apparecchiò per la cena, con una bella candelina rossa nel mezzo. Un piccolo spot l’illuminava dall’alto.

‘Ti dispiace, Vit, se siedo accanto a te? Non mi piace, quando mangio, avere qualcuno di fronte. E’ una specie di mania.’

Accostò due sedie al tavolo ribaltabile.

Non passò molto, e tutto fu pronto.

Versò due aperitivi. Molto soft, disse, e mi porse un bicchiere. Bevemmo, brindando. Sedemmo ai nostri posti, col carrello, fornito di tutto quanto aveva allestito, alla destra di Rose.

Aveva tolto il grembiulino. La vestaglia lasciava scoperte le gambe, le cosce, nascondeva parzialmente il seno prepotente.

Prese una delle ostriche che aveva già preparato, e la portò alle mie labbra, sporgendosi verso me, con le bellissime tette sotto il mio naso. Me ne dette un’altra.

‘Ti piacciono, Vit?’

‘Da morire, incantevoli.’

Sorrise maliziosa e fece un timido tentativo di coprirsi.

Mi allungai verso il carrello e, per sorreggermi, posi la mano sul candore della sua coscia. Una pelle vellutata, come una pesca matura. Non si mosse.

‘Scusa, Rose, mi serviva il sale. Potevo chiederlo a te, senza passarti davanti. Vuoi che lo do a te, per rimetterlo a posto?’

‘Ormai sai la strada.’

Appoggiai di nuovo la mano sulla sua coscia, molto più su, e indugiai col capo sul suo petto.

L’eccitazione mi toglieva il respiro, sentivo la gola serrata.

Il dessert fu delizioso. Cercavo ogni pretesto per sfiorarla, sempre più arditamente.

‘Vit, l’irish coffee lo prendiamo di là, sul divano. Precedimi, lo porto subito.’

Andai a sedere sul divano. Mi muovevo a disagio. Non riuscivo a nascondere l’evidenza della mia eccitazione.

Rose entrò, con un vassoio sul quale erano due bicchieri. Il suo volto era disteso, particolarmente raggiante. Mise tutto sul tavolino, dinanzi al divano, e sedette vicinissima a me. Sentivo la sua coscia, premuta alla mia, muoversi piano, trasmettermi il suo calore, infiammandomi ancor più. Si chinò per prendere il bicchiere, me lo porse. Io avevo le mani in grembo, e con una presi il bicchiere. Lei, quasi a sostituirla, mise la sua su quella che era rimasta a mascherare il mio stato. Strinse le sue dita, guardandomi.

‘Beviamo, Vit.’

Vuotò il bicchiere, mi sfiorò il viso con le labbra.

Quando ebbi bevuto, mise nuovamente i bicchieri sul vassoio. Si alzò, s’avviò verso la sua camera.

Dopo un po’, mi giunse la sua voce.

‘Vit, vieni, per favore. Vit, come in, please.’

Andai nella sua camera.

Nella penombra, nel fascio di luce del lume del comodino, sul lenzuolo celeste, distesa su un fianco, Rose mi guardava, appena vestita dei suoi capelli di fuoco, sorreggendosi su un braccio. Mi fermai di colpo.

‘You’re like Paolina Borghese.’

Mi sorrise incantevolmente.

Candida, seno turgido, marmoreo, ricamato da mille venuzze azzurre, punteggiato d’efelidi dorate, capezzoli eretti, e con un triangolo fiammeggiante, splendente, ardente, dove le gambe si univano.

Mi accostai ai piedi dell’ampio letto. Allungai la mano, carezzandole un piede, mi chinai a baciarlo. Rose alzò la gamba e mise l’alluce tra le mie labbra.

‘C’é un limerick, Vit, che dice:

There was a young maiden named Rose

With erogeneous zones in her toes.’

C’era una ragazza, di nome Rosa con una zona erogena nel suo alluce’

Succhiai piano, continuando a carezzarla.

‘Quelle zone sono anche altrove?’

‘Discover them, your tongue will lead you. ‘Scoprile, la lingua ti guiderà- Prima di tutto, spogliati, non restare così.’

‘Si, ma…’

‘I know what you mean, I know. I want you here, close to me… naked, like me.’

Mi svestii in un baleno, lasciando tutto a terra, dov’ero. Cominciai a baciarla, dalla punta del piede, lambendola dolcemente con la punta della lingua, soffermandomi quando la sentivo fremere. Si voltò, lentamente, sul dorso, con le mani sotto la nuca, divaricò appena le gambe, e quando sfiorai il serico e vellutato prato ramato che sbocciava dov’esse si congiungevano, la sentii sussultare, percepii l’inturgidirsi della carne, l’incresparsi dei deliziosi riccioli di fiamma. La sua mano mi carezzò la testa, stringendola a sé, accogliendola in quel meraviglioso angolo di delizie.

‘Yes… yes… there, honey, down there… more, darling, more…’

Il suo grembo sobbalzava convulsamente, le gambe stringevano sempre più la mia testa, inarcava il bacino, respirava affannosamente. Con una mano le strinsi una mammella, titillando freneticamente il capezzolo.

Un suono roco, lungo, un gemito soffocato, usciva dalle labbra dischiuse,

‘Here I am! Vit, love… Here I am… I’m coming… now… now…’

Un ultimo sussulto, e giacque, sfinita, con le sottili dita tra i miei capelli.

‘E’ stato magnifico, Vit, better than a screw, you’re really a perfect latin lover. Mi sembra di morire dal piacere. A womb can lead to the tomb, ma é un delizioso morire. Vieni accanto a me.’

Strisciai sul letto, carezzandola col mio corpo, succhiandole dolcemente il seno. Le giacqui a lato, visibilmente eccitato.

Rose si poggiò su un braccio, e mi guardò a lungo. Prese teneramente il mio sesso.

‘What a wonderful flower per il mio vaso. What a delicious gold sceptre. I want melt it nel mio crogiolo. I’m fond of it. The long capezzolo che voglio mungere.’

Salì lentamente su me, a cavallo, sorreggendosi sulle ginocchia.

‘Do you like my teats, Vit? Suck them…’

Con dolci movimenti, accostò il suo pube al mio, e mi accolse in sé, lentamente, con consumata abilità, iniziando un voluttuoso ondeggiare, una inebriante e languida cavalcata, canticchiando lascivamente, ad occhi socchiusi.

‘There was a young lady of Riga,

who smiled as she rode on a tiger…’

Seguitò a muoversi ritmicamente.

‘You are my tiger, Vit…’

Sentivo il suo grembo avvolgermi il sesso, sempre più vigorosamente, come un gagliardo e delizioso succhiare, in un crescendo meraviglioso e ossessionante… svuotante…

Rose, con la testa leggermente riversa indietro, e i capelli fiammeggianti squassati dalla sua frenetica cavalcata, seguitava la sua nenia.

‘I think someone’s coming…’

Un grido strozzato le sfuggì dalle labbra.

‘It’is me!’

Si rovesciò su me. Mi sussurrò all’orecchio.

‘I know sex isn’t love, but it’s such an attractive fac…simile!’

‘Per favore, Rose, parlami in italiano, non capisco tutto.’

‘Io, invece, ti’ comprendo interamente. Ed é bello.’

Era sdraiata su me, col seno rigoglioso sul mio petto. Contatto inebriante. Le sfioravo la schiena, lentamente, scendevo giù, alle natiche, salde e vellutate, mi attardavo a passare le mie dita, curiose e golose, tra quelle bianche colline della felicità, le sentivo contrarsi, quasi a voler imprigionare la mano, per prolungare la carezza.

‘May buttocks. In Italia si dice chiappe, vero?’

‘Natiche é più corretto.’

‘Chiappe, però, rende meglio l’idea, ha in sé qualcosa di sensuale.’

‘O d’erotico.’

‘E’ vero, d’erotico. Soprattutto d’eccitante. Sono termini che palesano chiaramente un proposito, un augurio, una speranza. Tu non usi mai espressioni che spesso sono considerate volgari, solo perché fanno parte del linguaggio del popolino? Parole che alcuni dizionari inglesi classificano vulg ed anche taboo, ma che non possono ignorare perché fanno parte del current english? C’é dell’ipocrisia in ciò. ‘Che sedere’ e ‘che culo’, what an ass, non sono la stessa cosa. La prima é una constatazione, l’altra un desiderio. Dimmi la verità, quanto incontri una ragazza tutta curve, del tipo pin-up, pensi ‘che bella donna’ o ‘che fica’?’

Seguitai a carezzarla, sorridendo, senza rispondere.

‘Vit. Lascia la pensione dove sei. Vieni a vivere qui. Fino a quando vorrai, fin quando non ti annoierai di me. Non avrai solamente B&B, bed and breakfast, ma FB, full board, e, if you like, se vuoi, anche qualche altra cosa. Ti piace come cucino?’

‘Moltissimo.’

‘E come faccio il resto?’

‘Molto di più.’

‘Verrai a stare qui?’

‘Lo vuoi veramente?’

‘Si, anche se mi spaventa il pensiero che sex, per me, diverrà certamente love. Vit, se seguiti a carezzarmi così, non resisto.’

Mi baciò appassionatamente.

‘Sai come chiamiamo, qui, un bel culo?’

‘No.’

‘Il mio é bello?’

‘Avvincente, allettante, attraente, invitante.’

‘E’ il colle della vittoria. L’ultima conquista, dove si pianta la bandiera. Vi pianterai la tua? your flag, Vit?’

Si mise supina.

‘No, se seguiterai a stare così.’

‘Vit.’

‘Si.’

‘Ti giuro che sarà la prima e unica bandiera, la tua. Allorché verrà il momento. Adesso, ti desidero ancora. Are you ready? Vuoi?’

‘Rose Parnell, mi fai impazzire. Temo che se verrò a stare con te, lo studio va a farsi benedire.’

‘Non dimenticare la mia professione. Ti preparerò la colazione, al mattino, andremo insieme all’università, dove ognuno attenderà al proprio lavoro, consumeremo insieme il lunch. All’ora del t&egrave, torneremo a casa. A studiare, a preparare la lezione, a correggere gli elaborati. Poi il diner e, finalmente, mi terrai tra le tue braccia. Adesso, embrace me, Vit, ti prego.’

E mi attrasse su di sé. Inarcò il bacino, condusse il mio rinvigorito fallo alla sua palpitante vagina, lo fece sparire in sé con deliziosi movimenti peristaltici che mi facevano impazzire di piacere. Quando sentì che stavo per irrorarla col mio caldo seme, s’abbandonò a uno sfrenato orgasmo’ ad un altro ancora’. un altro’

Dopo, mise la testa sul mio cuore, fasciandomi coi suoi splendidi capelli.

‘Rose, cosa diranno professori e studenti, vedendoci sempre insieme?’

‘I buoni ne gioiranno, i cattivi creperanno perché la vecchia Rose va a letto con un magnifico ragazzo.’

S’addormentò così.

L’indomani, domenica, disdissi la pensione, consegnai l’importo di un mese, e mi trasferii da Rose.

Cominciò un periodo in cui spesso mi sorpresi a meditare sul ‘dopo’.

Rose era incantevole, sotto tutti gli aspetti. Premure di madre, amore d’adolescente, passione voluttuosa d’amante, comprensione di una cara amica, cura dei miei studi d’insegnante.

Quando, finiti i nostri impegni, restavamo in casa, canticchiava vecchie e nuove canzoni, o i suoi limericks, gironzolando provocantemente nuda, fingendosi indaffarata se volevo abbracciarla, ma golosamente pronta a farlo dovunque, e in qualunque modo.

Era questo che mi preoccupava. Vivevo un’esperienza coniugale, senza le tensioni, le incomprensioni, gli scontri, gli attriti, del matrimonio. Mi spaventava ammettere che mi sentivo pienamente a mio agio con una donna che aveva molti anni più di me. Ci stavo bene dovunque, al cine, in gita, con i suoi conoscenti, a letto. Non avevo preso alcuna precauzione, nei nostri rapporti. Quando glielo dissi, sorrise teneramente.

‘That’s up to me. Devo pensarci io, darling, tu devi solo amarmi. Si, voglio fare sesso, e spesso, anche perché adesso ti amo, infinitamente, ed é più bello. Non temere, però, quando deciderai di andar via, ti sorriderò ringraziandoti per la felicità che m’hai donato, e lascerò la mia porta sempre aperta, per te, usque ad mortem. Non importa cosa farai, o con chi starai.’

Cosa potevo fare, in una situazione del genere? Vitto, alloggio, uno sballo di femmina che ti portava all’acme della voluttà, un prezioso aiuto nello studio, una deliziosa guida che ti scarrozzava in quell’incantevole paese, e la sera, tra le tue braccia, tra una carezza e l’altra, ti parlava della sua terra, e con le piccole unghie t’incideva leggermente la pelle, con i vecchi caratteri dell’ogam.

Ancora madida e ansante, per una delle sue frenetiche cavalcate, mi lambì il volto, golosa, e mi sussurrò:

‘Domani sera lo faremo a Killarney, al Lake Hotel, dopo una romantica passeggiata sul waterbus. Sarà bellissimo, Vit.’

Era già trascorsa qualche settimana, di questa vita.

Un sabato mattina, contrariamente al solito, non mi svegliò con le sue sapienti carezze, con le sue tette che si strofinavano sulla mia schiena, con i suoi rossi capelli sul mio volto, sulle mie labbra.

Si alzò silenziosamente e iniziò a preparare la colazione, girando per casa completamente nuda, scalza.

Immobile, con un occhio socchiuso, seguivo, attraverso la porta aperta, il suo muoversi leggero e armonioso, ne scrutavo ogni movenza. Rientrò nella camera e si avvicinò al letto. Finsi di dormire. Sorridendo, sorniona e maliziosa, s’accostò al bordo del letto, dov’era il mio volto, e con la serica foresta del suo pube, cominciò a titillarmi le narici. D’un tratto, sempre ad occhi chiusi, l’addentai teneramente.

‘Vit, sei un leone, lo sapevo. Vieni a colazione. Poi andremo fuori per una gita.’

Mi tirò fuori dal letto, scherzando, senza che potessi infilare neppure i pantaloni del pigiama, mi condusse vicino al tavolo dov’era pronto quanto aveva preparato.

‘Farò colazione sulle tue gambe, Vit… ma tu… sta buono, non sfoderare i tuoi artigli.’

Sedette sulle mie gambe nude, con la massima naturalezza, ma non saprei dire quanto fosse disinvolto e disinteressato il suo muoversi per prendere e porgermi questo e quello. Le conseguenze non tardarono a manifestarsi. Mi fissò, con burbera e falsa severità.

‘Vit, keep still. Sta buono… Conservalo… per il momento giusto. Sto solo mostrandoti la merce. I’m just baring ….’

‘Non potrei averne un assaggio, adesso? A taste?’

‘Questa sera avrai ciò che vorrai, quanto ne vorrai, e potrai scegliere quello che più desideri, che più ti piace. What you like best. … Non fare così… Lo sai che… Oh, my God… sei… my God… che delizia, yes… si… si…’

Vi si impalò, impaziente, contraendo la sua deliziosa vagina ogni volta che le stringevo I capezzoli, le brancicavo le sue belle tette sode. E quel sembrare indecisa, quel dire di voler attendere la sera si convertì in un avido e goloso possedermi fino ad arrestarsi esausta per il suo ripetuto e prolungato godimento.

Poi mi baciò a lungo, con le sue labbra attaccate alle mie come una ventosa.

‘Devo andare a vestirmi. Preparati.’

Quando salimmo in auto, prese dalla sua sacca una bandierina con i colori italiani e, nel bel mezzo del bianco, una ‘V’.

‘Cosa é, questa, Rose?’

‘Una bandiera, of course. Una bandiera italiana.’

‘Vedo, ma quella ‘V’?’

”V’ for Victory, la stessa ‘V’ di Vit.’

‘Vittoria di chi?’

‘La storia insegna che spesso gli occupati sono i veri vincitori.’

‘ Non capisco.’

‘Capirai.’

Uscì dalla città, imboccò la strada dove un cartello indicava ‘E20’.

‘Dove andiamo?’

‘Luimneach.’

‘Che razza di posto é?’

‘E’ il nome irlandese di Limerick.’

‘Il luogo originario dei tuoi innumerevoli versetti.’

‘Più o meno. Non é un posto bellissimo, ma a me piace. Sono sicura che piacerà anche a te esserci stato. E’ sullo Shannon, e furono i Celti a stabilirvisi per primi. Comprende tre zone: Englishtown, su un isolotto, Irishtown e Newton Pery. Ci sono dintorni attraenti. Adare, caratteristico villaggio irlandese. Il Castello di Bunratty, dove, al Folk Park, é stato ricostruito un vecchio borgo. Lough Gur, il piccolo lago, con interessanti reperti archeologici. Questa sera, ceneremo da un tuo connazionale, al Papa Gino’s Pizza Parlour, e poi, prima di ritirarci nel grazioso Clifton Guest House, ascolteremo musica tradizionale da Nancy Burkes.’

La gita fu molto piacevole, i luoghi belli e interessanti. Lo snack di mezzogiorno e la birra locale, offrirono un tocco particolare.

Rose fu, come sempre, il seducente mix che conoscevo. Capelli rossi e occhi verdi, pelle alabastrina e labbra vermiglie; a volte incantata e a volte sorniona; pudica come le educande d’un tempo e provocante come una cocotte; dolce come una gattina in amore e graffiante come tigre gelosa; adescante lusingatrice o del tutto indifferente; voluttuosamente passionale… Questo non aveva alcuna contrapposizione.

Eravamo sul balcone della comoda camera del Clifton. Il fiume partito dal Cavan, scorreva verso il grande aeroporto, per proseguire fino all’Oceano. Cingevo il fianco di Rose, che sentivo piacevolmente stretta a me. Le dita salivano all’attaccatura del seno, pregustandone il dolce calore, l’ebbrezza di poterne lambire le piccole vene blu, le macchioline dorate delle efelidi. Sul suo comodino era la bandierina con la ‘V’. Mi sussurrò all’orecchio:

‘…by the river my love and I did stand … &egrave Yeats, amore.’

Senza dire nulla si sciolse da me, entrò nella camera. Al buio, si spogliò e si sdraiò sul letto, sul fianco, voltata verso il raggio della luna che, entrando dal balcone, la fasciava d’argento.

‘Vit.’

Mi tese la mano, invitandomi.

Entrai, chiusi il balcone, mi svestii e mi coricai alle sue spalle.

S’accostò a me. Sentii che le sue natiche mi cercavano, mi stimolavano, mi eccitavano. Era sulle mie ginocchia. Percepii il pulsare smanioso di quel buchetto caldo umido, insolitamente scivoloso, lubrificato, che premeva continuamente sul mio sesso, con movimenti precisi e decisi, sempre più insistenti, finché non riuscì, pian piano, ad iniziare a farsi penetrare. Sentivo che deglutiva ritmicamente, come se in tal modo le fosse più agevole realizzare il suo progetto, mentre mi accoglieva in sé, più profondamente, voracemente, con vittoriosa esultanza. Mi prese una mano e se la portò tra le gambe. Le divaricò appena, conducendo le mie dita dove la sua piccola protuberanza pulsava impazzita…

Non avevo mai avuto un’esperienza del genere. Neppure Rose. Ne fummo travolti selvaggiamente, sconvolti furiosamente. Era come una forsennata corsa sulle montagne russe. Su, sempre più su, lentamente, e poi il tuffarsi in un’incontrollabile ebbrezza che mozzava il fiato. La morsi sulle spalle.

‘Si, Vit, mordi, forte, penetra la mia carne anche con i tuoi denti, a sangue, voglio che rimanga il segno di questi momenti, per sempre. Mordimi, Vit, forte. Oh, God… God… what a splendour… what an exciting thing…’

Sembrava non volersi più staccare da me. Mi trascinò con sé quando allungò la mano per prendere la bandierina.

”V’ for Victory, ‘V’ for Vit, for ever and ever…’

S’addormentò mentre le mie dita le artigliavano il seno, frugavano tra le fiamme che ardevano tra sue gambe.

Non durò a lungo, il suo riposo, ed anche il mio. Mi sussurrò, vezzosa, che tra le parti del suo corpo s’erano scatenate gelosie, competizioni. Una zona era gelosa dell’altra, e vantava d’essere più deliziosa dell’altra, di saper offrire più voluttà.

‘Placa queste gelosie, Vit, ti prego, annulla le rivalità.’

Mi sentivo preso in una spirale senza fine, ma affascinante, inebriante, esaltante. Scoprivo sensazioni nuove, mai immaginate, in una continua ricerca di emozioni e sentimenti sconosciuti. Era un incessante risalire alle origini, al semplice, per poi sperimentare successive e sempre più sofisticate e complesse raffinatezze. Rose, così dolce nei suoi modi, e così tenera nei miei confronti, aveva qualcosa di primitivo, di spontaneo, impulsivo, selvaggio.

Sulla spiaggia deserta di Dingle, uscì improvvisamente dalle alte rocce, e corse verso l’onda che si smorzava sulla riva. Nuda, coi capelli al vento, le braccia tese in avanti. Si bagnò nell’acqua, uscì dal mare, si gettò sulla rena biancastra.

‘Vieni, Vit, facciamolo qui, subito, avvolti dalla natura, acqua, terra, cielo, e poi andremo in una di quelle grotte, lassù, e lo faremo ancora.’

‘Rose, potrebbero vederci.’

‘Vieni, Vit.’

A Monasterboice, la notte avvolgeva col suo manto impenetrabile le innumerevoli lapidi circostanti, Il silenzio era profondo, quasi palpabile. Eravamo soli, ai piedi d’una croce celtica monumentale, di pietra.

‘The darkeness drops again…, le ombre cadono ancora, dice Yeats, e fasciano il cerchio che attraversa i bracci della croce, unendo immagini druidiche e cristiane. Sole e croce, simboli di forza e di vita. Forza e vita che esplodono mirabilmente nell’estrema manifestazione dell’amore.’

S’adagiò sulla terra nuda, m’attirò a sé, in sé. Gemendo a lungo, fino ad un grido liberatorio che attraversò l’aria, mentre suonavano le campane del Monastero.

‘E’ per noi, Vit, per esaltare l’inno che abbiamo innalzato alla vita.’

Mi condusse a visitare il Giant’s Causeway, dove migliaia di colonne di basalto emergono dal mare. Sono li da sessanta milioni di anni. Poco distante &egrave la Camel Rock, piccola isola emergente nella baia di Portnaboe. Mi prese per mano, mi condusse dove più aspra era la natura.

‘Attento a non bagnarti i piedi, Vit. E’ come un sentiero di pietra, vedi? Lo ha costruito Finn Mac Cool, per raggiungere la sua amata. E si congiungevano sul nudo basalto, incuranti del duro della pietra. Così…’

E volle sentirmi su lei, in lei.

Poi, affermò che anche Finn, amava sentirsi schiacciato sui macigni, e si sbizzarrì in una delle sue irresistibili lussuriose cavalcate.

Questi impulsi primordiali, esaltazioni rituali della natura, della vita, si trasfiguravano, poi, in lascive mollezze tra lenzuola colorate, ricamate, profumate, e raffinatezze voluttuose, al limite della dissolutezza.

Accendeva tutte le luci.

‘Voglio cogliere il tuo piacere nel tuo volto, Vit, e godere per la voluttà che so procurarti.’

Lasciava la camera nel buio più profondo.

‘Voglio ascoltare il tuo respiro, Vit, leggerti con le mie dita, riconoscerti così, in ogni particolare.’

A volte, nel silenzio della casa, specie dopo aver fatto l’amore, mi parlava della sua terra, della sua gente. Discinti, sul letto, col seno marmoreo sul mio petto, il mento poggiato sulla mano. O sul divano, Mi parlava della sua musica preferita, di John Field. Oppure, mentre ero seduto sul divano del soggiorno, sedeva sulle mie ginocchia, mi carezzava dolcemente e mi raccontava l’Ostaggio, di Brendan Behan, o La professione della signora Warren, di Shaw, con considerazioni e commenti che mettevano in risalto la sua profonda competenza e la sua vocazione di docente.

‘Quando ho studiato Joyce, Vit, ho capito che anch’io sono trasportata da quello che si definisce Stream of Consciousness. I miei pensieri, i miei sentimenti, fluiscono ancor prima che io riesca, consapevolmente, ad organizzarli mentalmente. Non puoi immaginare quante volte io mi sia sorpresa ad aspettare Godot, come Vladimir ed Estragon, di Samuel Becket che, come sai, fu molto amico di Joyce.’

Ero incantato dal suo modo di esporre: perfetta proprietà di linguaggio, eleganza nei modi e nei toni.

Con tenerezza commovente, mi disse che dovevamo farci una fotografia, insieme. Perché anch’io potessi conservarla come un innocente ricordo della mia permanenza a Dublino, l’avremmo fatta dinanzi al Trinity College. Tutti gli studenti stranieri avevano un souvenir del genere.

Questo suo tratto gentile, aggraziato, signorile, delicato, mal si conciliava, però, con certe inattese e improvvise manifestazioni.

Ero sotto la doccia. Vi entrò anche lei, e cominciò a passarmi, lasciva, eccitata ed eccitante, la mano per tutto il corpo. Aderì a me come una ventosa, scese con la mano ai miei genitali, armeggiò per stimolarli, vi riuscì facilmente, come sempre. Brandì il mio sesso eretto, gorgogliandomi all’orecchio:

‘What a lovely screwdriver. Conosco dove ne fanno riproduzioni al naturale, in una materia plastica che ha la stessa consistenza di questo, …’

E lo strinse fortemente.

‘…ti condurrò la. Te lo farò arrivare alle dimensioni di adesso, ti prenderanno lo stampo. Ne ordinerò alcune copie. Per quando non sarai più con me. Sembra che con alcuni accorgimenti tecnici lo rendano quasi…vivo.’

La cosa non m’entusiasmò. La guardai perplesso. Non mi dette il tempo di riflettere, lo aveva inghiottito tra le sue gambe.

‘Non sarà come questo, Vit, certo, le riproduzioni non raggiungono mai la perfezione degli originali. Specie in questo caso. Ma spero in qualche accettabile screw.’

Mentre mi vestivo, riflettevo sull’accaduto. Aveva ragione colui che affermava, ma non ricordo chi, che in ogni femmina c’é sempre un po’ di puttana. Poi, pensandoci meglio, conclusi che chiamare in causa le meretrici era del tutto fuori luogo. Con loro si voleva solo cercare il modo di appagare il proprio appetito sessuale, al meglio. Del resto, quando non si possono avere le ostriche, spesso ci si contenta delle cozze. Anche a me sarebbe piaciuto di poter disporre, per il dopo Irlanda, di una copia conforme della calda e inebriante cosa di Rose. Era insuperabile.

Quando realizzò il suo proposito, lo osservai attentamente, e mi conobbi sotto angolazioni a me ignote.

Le chiesi del perché di tante copie. Sorrise senza rispondere.

In un anno, mi fece conoscere tutta l’Irlanda, e soprattutto tutta se stessa, in ogni dettaglio, statico e dinamico. Il kamasutra, per noi, era solo un incompleto manualetto per dilettanti.

Rose, invece di sopire la sua vitalità, la sua sensibilità erotica, col frequente soddisfacimento della propria sessualità, reagiva in modo abnorme ad ogni mia manifestazione amorosa.

Se in auto le carezzavo le gambe, si abbandonava come se fosse tra le mie braccia. Alla gara di tango, all’Old Time Club, mi chiese di smettere, perché stava per avere un orgasmo. Mi confidò che ne aveva parlato anche con una sessuologa, sua amica, ma tutto era stato trovato in regola. L’amica aveva detto che, forse, stava attraversando un periodo particolare.

‘Da quando sto con te, Vit, sono sempre fully aroused, arrapata.’

La guardai di scatto.

‘Si dice così, vero?’

‘Se vuoi.’

‘Ma bramo spasmodicamente solo te. Gli altri non mi fanno effetto. Mi piacerebbe sentirti in me in ogni momento, anche quando faccio lezione.’

Sorrisi divertito.

‘Rose, come riusciresti a far lezione? Tu manifesti con molta evidenza il tuo godimento.’

‘E’ vero, hai ragione.’

Scosse la testa sconsolata.

‘Vit, adesso siamo in auto, e se volti e vai in quel sentiero, nessuno potrà vederci, o sentirmi. Sento che sarà a wonderful countryfuck, una spettacolosa scopata agreste.’

Tornato a casa, ebbi il sentore che qualcosa era cambiato nell’arredamento, era diverso dal solito.

Entrai nella camera da letto. La novità era lì. Nella spalliera del letto d’ottone era stato inserito un grande, luminosissimo, specchio. Rimasi a guardarlo a bocca aperta. Rose era accanto a me.

‘E’ bellissimo, Vit, vero? Copre solo la parte centrale, come un arazzo, lasciando libero il resto. Sarà il nostro Gobelin vivente. Ci rappresenterà in ogni momento del nostro riposo, soprattutto del nostro amore. Perché stai zitto, non dici nulla? Non ti piace?’

‘Se piace a te.’

‘Pensa, Vit, non ho idea di come io sia quando faccio l’amore. Adesso lo saprò. Mi guarderò allo specchio, I’ll look at me, mentre sarò la tua Walchiria, your Valkyrie. Inebriata dalla maestosità di Wagner, ti cavalcherò, I’ll ride you, portandoti nel più alto dei paradisi, quello del rapimento dei sensi. And I’ll enjoy more and more. E godrò sempre più.’

A mano a mano che parlava, s’eccitava. In un attimo fu nuda, e con dita impazienti mi spogliava.

‘I want test it jus now! Voglio collaudarlo immediatamente!’

E non s’accontentò d’una sola dimostrazione.

Avevo superato brillantemente le prove finali, all’Università. Grazie alla meticolosa preparazione curata da Rose, ottenni la lode della commissione. Si avvicinava il momento del ritorno.

A metà corso avevo fatto una capatina a Roma, solo tre giorni.

E’ più preciso dire che abbiamo passato alcuni giorni a Roma.

Non fu facile convincere Rose che la notte dovevo trascorrerla a casa, con la famiglia. La mattina, però, dovevo raggiungerla presto, per fare colazione con lei, a letto…

Rose non aveva mai accennato a quando sarei rientrato a Roma. Era tranquilla, serena. Gironzolava per casa, nuda come al solito, canticchiando i suoi infiniti limericks. Mancavano pochissimi giorni a quella data.

Venne a sedere sulle mie ginocchia. Mi baciò lungamente, tenendomi il volto tra le sue dita deliziose.

‘Vit, ho avuto l’incarico di insegnare all’Università di Roma, come visiting professor. Un anno, rinnovabile. L’Ambasciata d’Irlanda, dove l’addetta culturale é una mia cara amica, mi ha trovato un piccolo appartamento, completamente arredato. Partiremo sabato prossimo.’

Aveva parlato sottovoce, tra una carezza e l’altra, con la massima naturalezza, quasi fosse notizia di nessuna importanza.

‘Non devi preoccuparti, Vit, sei liberissimo, se vuoi, di non incontrarmi più. Sarà la più crudele condanna che io possa avere, ma comprendo benissimo che nel tuo ambiente io sono una matusa. Dimmi solamente, se puoi, che mi hai voluto un po’ di bene. Dimmelo, anche se non é vero.’

Aveva gli occhi lucidi.

La strinsi a me, cullandola dolcemente, carezzandola.

‘Ti voglio bene, Rose, ma, soprattutto, ti amo. Tu lo sai. Non é solo sesso, anche se é stato quello il fattore stimolante iniziale.’

Cercai di sorridere.

‘Chi avrebbe potuto sperare di andare a letto con una bbona come te. Neanche in sogno. Poi, ho sentito che ci univa sempre più qualcosa che, pur lasciando al sesso un posto prevalente, diveniva sempre più amore, affetto, tenerezza, dolcezza. Ti voglio bene, infinitamente. Ti amo, ardentemente, appassionatamente. Ti desidero, ti bramo, avidamente. Adesso. Subito.’

Non so come andrà a finire, intanto Rose ed io viviamo insieme, a Roma.

Inizialmente, i miei genitori espressero la loro assoluta disapprovazione al fatto che io frequentassi una ragazza straniera. Per loro era una che intendeva trasferirsi in Italia, alle spalle di un ingenuo. Quando seppero che avevo intenzione di convivere con lei, assunsero l’aria di chi aveva avuto una disgrazia in famiglia. Elena, mia sorella, ricercatrice all’ENEA, era rimasta cautamente e previdentemente neutrale. Non si sa mai… In ogni caso, riuscii a convincerli d’incontrare Rose, quando, come motivo ufficiale, sarebbe venuta a portarmi dei libri.

Non fu facile persuadere Rose a… portarmi, a casa, dei libri. Era convinta che avrebbe segnato l’inizio della nostra separazione. Comunque, disse che non si sarebbe mai opposta ad un mio desiderio, qualunque fosse stato. Dovevo dirle quando.

Adesso si trattava di parlarne con mamma.

‘E’ per domani pomeriggio ma’.’

‘Devo mettere festoni di benvenuto, Vittorio?’

‘Per questa volta, sarà sufficiente che tu le offra un buon t&egrave. Con volto sorridente.’

Suonò il citofono, andai a rispondere. Il portiere annunciò che Miss Parnell stava salendo. Dischiusi la porta di casa e attesi l’ascensore. Si fermò al piano, s’aprì lo scorrevole. Apparve Rose. Indossava un abito semplice ed elegante, perfettamente adatto al suo corpo, di un rosa deliziosamente intonato alla sua splendida carnagione. Capelli sciolti, fino ai fianchi, trucco leggero che fingeva di nascondere, con civetteria, le piccole efelidi, e poneva in risalto lo smeraldo sfavillante degli occhi.

Mi venne spontaneo, ammirandola:

‘What a bang!’

Sorrise maliziosamente.

‘Later, darling.’

E mi sfiorò il viso con un bacio.

L’introdussi in salotto, dove i miei l’attendevano.

La guardarono con evidente sorpresa negli occhi.

‘Rosa, questa é mia madre, Maria.’

Accennò un piccolo inchino, con la testa.

‘Sono felice di conoscerla, signora, Vittorio parla sempre di lei. Mi sono permessa di portarle delle caramelle irlandesi, Irish candies, spero che le piaceranno.’

Mamma ringraziò, assicurando di essere una golosona.

‘E questo é mio padre, Giovanni.’

‘Dottor Martini, conosco la sua fama di chirurgo, e sono lieta di incontrarla. Vittorio mi ha detto che lei fuma la pipa, e mi auguro che gradirà l’Irish blend che le ho portato. E’ la stessa miscela che fuma mio padre.’

Papà l’aveva minuziosamente… visitata con gli occhi, ed era evidente la sua incondizionata approvazione.

‘Grazie, signorina, fumerò questo tabacco con molto piacere, poiché é lei a darmelo.’

Rose gli sorrise incantevolmente.

‘La prego, dottore, mi chiami Rose. Anche lei, signora, ed anche Elena. Tu sei Elena, vero? La bellissima sorella di Vittorio. Per te, un po’ della fragranza dei nostri campi, Irish sweetness.’

Elena la ringraziò, abbracciandola.

‘A te, Vit ‘mi permettete di chiamarlo Vit? So che voi tutti lo chiamate così- questo libro.’

‘Lessi il titolo. ‘No sex, we are Enghlish”

‘Ma tu sei Irlandese, Rose.’

Mi guardò, seducente.

‘Of course, Vit.’

S’era creato un clima di cordialità, anche di simpatia. Si cominciò a parlare dell’Irlanda, di Roma, dell’attività di Rose.

‘Sono visiting professor alla Sapienza.’

Mamma la guardò, sorpresa.

‘Così giovane? Complimenti.’

Rose le sorrise, con un flautato thank you.

‘Gradisce un t&egrave, Rose, all’italiana, logicamente.’

‘Grazie, signora.’

Mamma ai alzò, e mi fece cenno di seguirla.

Chiesi permesso e le andai dietro.

Appena in cucina, mamma disse a Lena di preparare il t&egrave e i pasticcini.

‘Rose insegna all’Università?’

‘Si, mamma.’

‘Allora, &egrave più grande di te.’

‘Un po’. Ma dimmi, che ne pensi?’

‘Vit, é una donna stupenda, sta attento, si può restare, stregati.’

‘Attento? A che cosa?’

‘Ma quanti anni ha più di te?’

‘Non lo so esattamente, mamma.’

‘Vuoi vivere con lei?’

‘Stiamo bene, insieme, mamma.’

‘Sfido, con una donna del genere. Bellissima, con maniere seducenti! Vit, pensaci bene. Che carattere ha? Con te non é facile andare d’accordo. A me sembra un vulcano che nasconde un gran fuoco, ardente come i suoi capelli; un affascinante felino che cela aguzzi artigli.’

‘Più o meno, mamma. Ma non é detto che il vulcano esploda, mentre é così dolce il suo calore, ed é delizioso carezzare la pelle serica d’un felino che non caccerà mai fuori gli artigli, finché lo coccoli.’

‘Dio ti protegga, figlio mio. Torniamo in salotto.’

Stavano chiacchierando allegramente.

Rose adulò sfacciatamente il t&egrave, e mostrò di gradire i pasticcini, soprattutto quando seppe che li aveva fatti la mamma. Aveva fatto colpo. Fino al punto che mamma andò a preparare una scatola di biscotti e gliela diede, riscuotendo un affettuoso bacio sulla guancia.

‘Grazie, li mangerò con Vit.’

Allorquando si congedò, tutti l’accompagnarono alla porta, e fu un cordiale scambio di baci. Mamma l’invitò a cena, per il sabato successivo.

Io accompagnai Rose.

***

Tra noi non é cambiato nulla. Spesso, viene a prendermi al giornale, dove, dopo la laurea, sono riuscito ad entrare come praticante. Inoltre, collaboro anche ad alcuni periodici economici.

Andiamo a cena con gli amici, e sovente anche a casa dei miei.

Rose scrive articoli per una rivista irlandese, tiene conferenze, e sta completando alcune traduzioni.

Cerchiamo di stare insieme il più possibile.

‘Vit, voglio un figlio da te, prima che sia troppo tardi, prima che la gente mi consideri una nonna, e non una madre.’

‘E poi?’

‘Tu non devi preoccuparti. Lo porterò con me, quando tornerò in Irlanda. Tu lo potrai vedere quando vorrai. Lo chiamerò Victor.’

Cercai di scherzare.

‘E se sarà femmina?’

‘Victoria. Victor, or Victoria, Parnell. Suona bene.’

‘Sempre la solita egocentrica, come se il figlio fosse solamente tuo.’

‘Perché, lo vuoi anche tu?’

‘Victor P.Martini Parnell. Senti come suona bene?’

‘Cos’é P?’

‘Patrick.’

La cullai tra le braccia, canticchiando un vecchio motivo del West.

‘Rose, Rose I love you…’

‘Non perdiamo tempo, Vit, andiamo.’

Forse, so come andrà a finire. Non é detto che Victor debba giuocare da solo. Ci potranno essere Patricia, Joe, Mary….

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