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Malinconia

By 1 Settembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi piace osservare. Gioco ad immaginare dove corre la gente la mattina, o dove sfreccia a tutta velocità con la macchina sull’autostrada. Osservo i volti delle persone intente a leggere il giornale sorseggiando il caffè li scruto assorti a canticchiare la musica che gli rimbalza nelle cuffie, mentre la metropolitana ci culla conducendoci al lavoro. Li guardo al ristorante ipotizzando i rapporti con i commensali e provando ad immaginare il contenuto dei loro discorsi. Mi piace guardare una ragazza che ammicca civettuola e, di rimbalzo, lo sguardo inebetito dell’oggetto del suo interesse; seguo dallo specchietto retrovisore le espressioni mutevoli del tizio al cellulare, della mamma che rimprovera il figlio, dei bambini festanti il primo giorno di scuola. Guardo la gente chiedendomi quali e quante storie si celano dietro i loro volti. Chiedendomi quanti di loro recitano in una vita che non gli appartiene più e quanti, invece, ne sono protagonisti assoluti. Quanti sono davvero felici e quanti sorridono con la morte nel cuore. Gioisco quando incontro lo sguardo di qualcuno, quando ricevo un cenno di saluto, un sorriso regalato.
Ciò però che amo davvero &egrave guardare gli innamorati. Non importa di che età o in che contesto. Gli amanti sono diversi da tutti. Sono soli in mezzo ad uno stadio, risplendono nel buio, non sentono il freddo, la stanchezza o la noia. Ogni minuto non &egrave uguale al precedente e, per loro, il tempo corre sempre troppo in fretta quando sono insieme. Lo sguardo degli innamorati &egrave dolce anche quando gli occhi si velano per un addio. Sembrano avvolti in un’aurea di magia solo a loro accessibile. I loro occhi brillano, il sorriso &egrave caldo, profumato. I baci, anche i più innocenti, sono regali al cuore.
Stamattina mi sono imbattuta in una semplice coppia di ragazzi innamorati. Abbracciati, sembravano farsi forza l’uno con l’altro, spalleggiarsi per affrontare la vita o forse solo la prova che li aspettava. Li ho osservati stringersi le mani, carezzarsi i capelli e baciarsi. Ho colto due dolcissime lacrime negli occhi verdi di lei, quando il centro della sua vita &egrave salito in macchina. Chissà per dove, per quanto. Forse per sempre.
E’ bastato un attimo e mi sono trovata, come per incanto o per un malefico scherzo del destino, al centro di quel momento. Pietrificata li osservavo, rivivendo lo stesso dolore. In fondo le storie d’amore non sono mai tanto diverse le une dalle altre: stesso copione, stessi protagonisti, spesso stesso finale. E’ solo questione di tempo. Tutto finisce, no?
Mi sono sentita sola di nuovo. Sono rimasta ad osservare la ragazzina seguire con lo sguardo umido l’immagine del suo amore dileguarsi all’orizzonte e sapevo che nemmeno il caldo di questo fine agosto l’avrebbe mai scaldata. Osservavo il suo lento camminare verso nessuna destinazione, mentre un leggero movimento della testa tradiva la domanda che la sua mente formulava”perché?’, sapendo bene, anche questa volta, che non ci sarebbe stata risposta. Non c’&egrave motivo perché un amore debba finire. Troviamo mille motivi, mille ragioni logiche, pratiche, giuste, razionali. Eppure fatichiamo ad accettarne la fine: avrei potuto, sarei riuscita, avrei dovuto’.
Lentamente sono arrivata fino in ufficio. Ho faticato con il mazzo di chiavi che non apriva la porta, ma forse ero io ad avere la testa altrove. Un mese di ferie fa bene e male allo stesso tempo. Distoglie dalla propria vita così tanto che rientrarci fa male come infilare di nuovo le scarpe dopo aver tanto calzato i sandali. Il primo giorno di lavoro, poi, &egrave un trauma reale.
Per fortuna sono sola. Posso seguire i miei tempi, i miei ritmi.
Scarico la posta accumulatasi in un mese di assenza, controllo, stupidamente, che il mio portatile contenga tutti i miei segreti, gelosamente custoditi: i miei racconti, la mia musica, le mie immagini.
Rileggo ciò che fa male, riguardo le foto che non dovrei più guardare, ma che non sono riuscita a cancellare. E poi’a cosa sarebbe servito. Cancellare cosa? Un amore? Il suo ricordo non si cancella mai. Si sbiadisce forse, anche se non sono nemmeno sicura di quello.
In tutto questo tempo sono solo riuscita ad affrontarne la fine, a parlarne, a scrivere. Ho imparato a vivere senza, a respirare anche quando sembrava che l’ossigeno per me fosse lui, quando l’unica fonte di felicità derivasse da una telefonata, da una parola o da poche righe su uno schermo bianco. Mi sono riappropriata della mia vita, ma non sono stata capace di cancellarlo.
Ed ogni tanto riaffiora. Come adesso.
Riaffiora il desiderio di essere di nuovo innamorata, di vivere camminando sospesa. Vorrei sentire ancora quella dolce tenaglia che trapassa il cuore, che taglia il respiro quando dall’altra parte del telefono la voce calda e rassicurante mi augurava la buona giornata. Vorrei di nuovo volare per una semplice parola, per un piccolo regalo, per la speranza di un incontro. Vorrei credere di nuovo di essere amata, di essere desiderata, attesa. Mi manca quella magnifica sensazione che solo l’amore sa dare: la vita intera sembra più sopportabile, più morbida, addolcita dall’esistenza di qualcuno che condivida i miei pensieri, i miei respiri, le mie lacrime. Mi manca persino il dolore, la sofferenza, l’assenza. Il bisogno di essere stretta. Mi manca l’idea che qualcuno si prenda cura di me, che mi dica che ora non c’&egrave più alcun problema. Mi manca sentire che ora non sono più sola.
Mi manca.
Penso alla ragazzina che vagava senza meta e ricordo come mi trascinavo io: un automa che recitava meravigliosamente la parte della donna perfettamente appagata dalla sua vita perfetta. Ricordo quanto cercassi di non piangere, mentre le lacrime riempivano spontaneamente gli occhi fino a traboccare rigando il viso. Piangevo persino mentre dormivo.
Non so cosa dire, non esiste una ricetta. Io ho solo aspettato. Non ho fatto nulla per odiarlo, per dimenticarlo, per ricominciare a vivere. Ho semplicemente aspettato che arrivasse il momento per tornare ad essere io. Sola, come sola ero quando lui, senza bussare, &egrave entrato nella mia vita. E sono rimasta sola quando un maledetto giorno di novembre ha deciso che era giunto il momento per andarsene, quasi senza salutare.
Ci sono stati giorni in cui non ho vissuto. In cui non ho mangiato, non ho respirato, non ho visto nessuno. Giorni bui, freddi, dove la solitudine mi stringeva come in una morsa. Giorni dove ho maledetto di esistere, dove ho rivissuto ogni istante di una storia unica, chiedendomi mille volte dove avessi sbagliato. Ho passato ore a fissare il vuoto, senza accorgermi del tempo che passava. Non so per quanto tempo il destino abbia giocato con me: sembrava che tutto fosse studiato per risvegliare la mia memoria mai assopita. Sciocchezze: il telegiornale che racconta della sua città, i vicini di casa che ci vanno in vacanza, un concerto che si tiene proprio nel teatro greco, la pasta di mandorle, l’isola di Malta e mille altri riferimenti noti a noi soli. E’ stato come vivere con un verme dentro che si divorava ogni tentativo, seppur vano, di reagire.
Come farà quella bambina? Sola con il suo infinito dolore. Così grande da non riuscire nemmeno a descriverlo. Come farà a sopportare tutti coloro che le diranno che lui non la meritava? Che &egrave giovane e che si riprenderà? Come potrà far loro capire che non esiste nessuno come lui? Ci sarà mai qualcuno che la ascolterà, che piangerà con lei, che asciugherà le sue lacrime aspettando solo che un timido sorriso torni ad illuminarle il viso? Ci sarà qualcuno che non la riempirà di consigli, ma che saprà abbracciarla mentre il suo corpo esile, sconquassato dai singhiozzi sembrerà abbandonarsi senza forze?
Scorro velocemente i messaggi di posta nella casella piena. Pubblicità indesiderata, amici che domandano quando rientrerò, lettori che chiedono informazioni sulle storie che scrivo (fantasia o realtà?) e poi un messaggio su tutti lampeggia come non mai.
Proprio oggi, proprio ora.
Non sono mai riuscita a cancellarlo, non l’ha fatto nemmeno lui. Ogni tanto un piccolo segnale di presenza risvegliava il mio sonno apparente. Ma oggi brilla come una stella in un cielo nero.
Nulla di particolare. Un saluto, un storiella divertente in allegato, ma leggere quel nome, sapere che ha pensato a me ancora riesce a colpirmi come, forse, non dovrebbe.
Accendo Messenger. So di trovarlo. Conto fine a dieci. MI contatta”bentornata’.
Mai come oggi dovresti esserci. Non vorrei che mi parlassi, non vorrei che ci fossi, non vorrei dirti ciò che non devo, che forse non vorresti sentire. Speriamo di conversare amabilmente delle nostre vite che mesi fa si sono divise, seguendo percorsi diversi. Speriamo mi racconti dei suoi nuovi amori ed io dei miei. Speriamo di parlare delle vacanze appena concluse, del lavoro, del tempo così diverso tra qui e laggiù. Speriamo che non mi chieda”ciò che non saprei negargli’non ora.
Cerchiamo da tempo di fare gli amici. A volte ci riusciamo, altre volte no.
Ci sono momenti in cui riaffiora la gelosia, un bene troppo grande, una preoccupazione troppo evidente perché ci si possa qualificare come amici.
Riaffiora un amore diverso da prima. Un senso di appartenenza mai svanito. Riaffiora il desidero, investendoci con tutta la sua forza incredibile, come se il tempo non fosse mai trascorso. Quasi come se i mesi di silenzio, di dolore, di sofferenza non avessero minimamente scalfito il nostro legame.
Abbiamo seguito le strade che il destino ci ha riservato, ma una parte di noi non &egrave cambiata. Abbiamo perso tutto ciò che di negativo ha minato il nostro rapporto: l’ansia, la routine, i doveri, gli obblighi cui non riuscivamo ad ottemperare. Ma siamo sempre noi.
Leggo ciò che vorrei e non vorrei leggere. Quelle parole che fanno bene e male nello stesso modo, allo stesso tempo. Leggo di quanto ci tiene a me, leggo che solo la lontananza ci ha impedito di essere ancora uniti, leggo che se solo fossi stata più raggiungibile non avrebbe mai rinunciato a me, leggo che mi desidera come una volta, leggo la richiesta di una foto. Voglio vederti come sei ora. Voglio ammirare ancora i tuoi seni. Voglio immaginare di stringerli ancora, di assaporarne il calore, di affondare il mio viso
Tra le tue mammelle morbide e profumate. Voglio pensare di leccarti ancora, di bere il tuo piacere, di frugare dentro di te. Voglio pensare di essere con te, nel nostro letto bianco, disfatto appena dopo aver chiuso la porta. Voglio poter pensare di chiudere ancora tutto fuori, essere solo noi, come una volta.
Fisso quella sequenza di parole che riempiono lo schermo. So bene cosa farò, anche se la ragione tenta di frenare la mia corsa verso tutto ciò che di sbagliato esiste tra di noi.
E’ come precipitare senza paracadute. Giù in caduta libera, senza nemmeno preoccuparmi di dove atterrerò, né di come sarò all’arrivo. Quante ossa avrò rotte, come mi risolleverò, cosa rimarrà di tutto ciò che sono riuscita a racimolare fino ad oggi?
Noi due non cambieremo mai. C’&egrave un filo sottile tra noi, invisibile, apparentemente fragile, ma forte come l’acciaio. Un legame che supera il tempo, la distanza, il dolore ed il silenzio. Un legame che &egrave sopravvissuto persino alla fine dell’amore, alimentato dalla passione che tra noi non svanisce.
La digitale &egrave già sul tavolo. Mi spoglio lentamente. La pelle abbronzata e lucida contrasta con i seni bianchissimi. La luce rossa dell’autoscatto lampeggia. L’obiettivo inquadra il mio viso, illuminato da una luce che già conosco, ma che credevo spenta per sempre. Le mani sostengono i seni, offrendoli alla vista di un immaginario spettatore. Un attimo ed il flash immortala il mio sorriso, il mio desiderio, la mia voglia incredibile di essere sua di nuovo.
Pochi secondi ed entrambi siamo davanti alla stessa immagine. Il suo desiderio esplode poderoso, irruento, incontrollabile. Ora squilla anche il telefono. Non sento la sua voce da tanto di quel tempo che non so nemmeno se la ricorderò. Che stupidità. Non ho dimenticato nulla, nemmeno il numero del cellulare, come potrei non rammentare la sua voce?
E’ un attimo. La sua voce roca rimbomba appena nel bagno dove si &egrave rifugiato per essere solo. Come quando fuggivamo da tutti, legati da un telefono a migliaia di chilometri di distanza.
Toccati amore mio. Pensa di avermi davanti a te, pensa di sfiorarmi il viso con il tuo sesso. Posalo sulle mie labbra, lascia che assaggi la prima goccia della tua dolcezza, della tua passione. Spingimelo tra le labbra. Gusta il calore del mio respiro, la morbidezza delle mie labbra. Entra dentro di me, fino alla gola. Afferra la mia nuca e spingi dentro con tutta la forza che hai. Senti la mia lingua scivolare su di te, scorrere lungo il tuo desiderio. Lasciati amare di nuovo.
Il suo grido, il suo respiro affannoso che torna lentamente alla normalità, il calore tra le gambe, i miei seni induriti dal desiderio. Ti voglio sempre, ti vorrò per sempre.
Mi lecco le labbra come per gustare un immaginario sapore, una dolcezza che non scorderò mai più. Verrò da te prima o poi. Non gli credo, non posso, farebbe troppo male. E’ bello che lo pensi, che me lo dica e che, ogni tanto, si riesca ancora ad essere noi’noi soli’nonostante tutto.

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