Che genere di vita conducano le altre famiglie a me non può fregare di meno.
A mala pena mi interessa come viviamo nella nostra famiglia.
In sostanza, abbastanza bene.
No, benissimo.
Potrei definirlo un clima di piena libertà tenuta d’occhio. Ognuno era libero di fare ciò che credeva sempre che non uscisse dai limiti e dagli schemi che, più o meno tacitamente, erano stabiliti.
Che di quando in quando dessi una bella pacca sul sedere di Mariuccia, la prosperosa colf, o che le strizzassi distrattamente le tette, era tollerato. E sono certo che i ‘capi’, i genitori, seppero e lasciarono correre quando, forse proprio su loro suggerimento, la predetta Mariuccia mi trascinò nella sua camera e m’insegnò il più bel pezzo dello spartito della vita: la trombata!
A me, però, piaceva Rosalinda.
Non aveva la stessa dimensione antero-posteriore di Mariuccia, ma era certamente più graziosa e attraente. Un personalino da fiaba, tettine da sogno, culetto fantastico.
Veramente anche la genitora era tutt’altro che male, ma, forse, significava volare troppo in alto e potevo bruciarmi le ali solo a pensarlo. Il refugium Mariuccia funzionava, ma l’arrapata per Rosalinda, e non solo per lei, restava.
Mummy, la mamma, che chiamavo mum, era un gran bel tocco di donna. Con le cose giuste al posto giusto, e una eleganza spontanea, innata. Era una charmeuse: grande fascino e irresistibile attrazione. A me, almeno, faceva quell’effetto. Da sempre. Ora, alla vigilia del primo anno d’università, me lo faceva tirare più che mai, con sommo diletto del parafulmine Mariuccia. Sapevo bene che certi pensieri non li avrei dovuto fare, ma sta di fatto che quando io la vedevo, specie in deshabillé, lui non riusciva a stare al posto suo.
Mum era stata una alunna modello, massimo dei voti alla maturità, inizio del primo anno di giurisprudenza, ma aveva subito incontrato il mio daddy, si era sposata e l’università era finita lì.
Ora, di quando in quando, andava a studio, da papà, a tenergli l’archivio in regola, diceva, ma faceva mille piccole cose che sottraeva sorridendo alle segretarie.
Pa’ aveva il doppio dell’età della moglie, all’epoca delle nozze, ma anche ora porta benissimo i suoi anni, e seguita ad essere uno dei più affermati civilisti della città.
Ora si comprende perché io sia iscritto a giurisprudenza.
La splendida Rosalinda, con volto da sognatrice e carattere fortemente passionale, ho studicchiato, non ha perduto un anno, ma ha decisamente declinato il suggerimento di proseguire all’università.
Specie quando mamma andava a studio, trascorrevamo ore ed ore insieme. Mi coccolava come una mammina, diceva lei, anche se aveva solo venti mesi meno di me, e doveva avere una strana idea delle mammine, perché le nostre mani si scambiavano sempre più sensuali carezza, i nostri baci erano tutt’altro che casti, e finivamo sempre col mio pisellone duro come una pietra e la sua michetta agitata e brodolosa.
Questo quando io avevo diciotto anni e lei quasi venti.
Eravamo sempre arrapatissimi.
Lei rimaneva affascinata dal mio obelisco, poi si chinava e lo baciava, ne introduceva solo un po’ tra le sue labbra, lo lambiva con la lingua e poi, proprio sul più bello, si ritraeva.
Quando ero io con la testa tra le sue gambe, non faceva altro che raccomandarmi, di non intrufolare troppo la lingua tra le sue piccole labbra, ma solo di lambirle, e soprattutto titillarle, sempre con la lingua, il suo piccolo roseo clitoride. Perché Rosalinda era una ‘clitoridea’, bastava stuzzicarlo un po’ e veniva da matta.
Io più volte ho insistito per infilarglielo dentro, ma lei si è sempre rifiutata, sia pure con dolcezza e moltissima carezze, dicendo che voleva restare vergine fino al matrimonio.
Lo accoglieva vogliosa e volonterosa, tra le sue meravigliose chiappe, proprio vicino al suo buchetto fremente, e intanto le tormentavo il clitoride, ma di farmi entrare non se ne parlava. Solo (sempre ‘solo’) qualche millimetro di glande, in quel buchetto, quel tanto per farmi giungere a una liberatoria eiaculazione, che le piaceva sentire, adorava quel lento e caldo rivolo tra le sue natiche, ma con un fazzoletto od altro si tappava il davanti, sempre per i suoi timori.
Ma come, ai nostri tempi, una giovane come lei, che pomiciava di brutto col fratello, si fermava, poi, sul più bello, in nome d’una inconcepibile integrità anatomica?
Ero talmente furioso ed eccitato che decisi di approfondire il problema.
Dissi a mum che l’avrei accompagnata allo studio, con la sua piccola utilitaria che poi avrei usato per andare al tennis.
Eravamo in auto, mum aveva voluto guidare lei.
La guardavo, come sempre bellissima, con le tette ben in evidenza e le cosce semiscoperte, perché non aveva proprio curato di tirare giù la gonna. Un bocconcino delizioso.
‘Mum, tu, al matrimonio, sei arrivata vergine?’
La strada era libera, ma frenò di colpo, e poi riprese subito l’andatura normale. Anche il volto, che era arrossito deliziosamente, andò riacquistando il colorito naturale. Il tono della voce era alquanto duro.
‘Si, ero vergine, perché così dovevo essere per i miei principi religiosi e morali. E, se ti interessa, non ho conosciuto altro uomo che tuo padre. Contento?’
‘Soddisfattissimo.’
‘Perché questa domanda del cavolo?’
‘Niente, stavo pensando alle ragazze moderne, e”
Lasciai cadere il discorso. Arrivammo a studio. Scendemmo, mi dette le chiavi dell’auto, Mi sembrò che il suo solito bacio fosse un po’ diverso dalle altre volte.
Come?
Non lo so.
^^^
Dal giorno in cui feci quella domanda a mum, è trascorso circa un anno. Vorticosamente.
Non so perché, ma quel particolare di mum mi aveva eccitato, pensavo sempre più al suo sesso, e le sue tette e il suo bel sedere, mi apparivano in diversa luce. Non era mum che guardavo, ma una bella e stimolante femmina che, devo confessarlo, mi sarei fatta subito.
Rosalinda aveva incontrato il suo uomo, un simpatico e baldo pilota militare, ufficiale, l’aveva sposato, ed ora, da poco più di un mese era andata ad abitare a Torino, sede del marito.
Inutile dire che, anche durante il suo breve periodo di fidanzamento, le nostre limonate erano proseguite, e con maggior intensità, senza, prò, mai varcare la’ cortina.
Eravamo a questo punto quando giunse la telefonata di Rosalinda.
‘Riccardo, mio marito, deve andare per due settimane in USA, a Camp Morsy, in ritiro tattico.’
Mamma le disse di venire a Roma a trascorrere con noi quei giorni, Rosalinda rispose che lo avrebbe fatto con molto piacere, ma aveva ancora dei piccoli lavori in casa, con gli operai, e chiedeva se io fossi disposto ad andare da lei, a farle compagnia.
Mum mi passò il telefono. Rosalinda mi ripeté la proposta ed io reprimendo ipocritamente l’entusiasmo che mi invadeva, le dissi che l’indomani sarei giunto con l’aereo. Mi riservavo di farle conoscere l’ora.
Quando riattaccai, mum mi guardò con aria strana, tra la complicità, il rimprovero, la gelosia.
‘Cosicché, ti sacrifichi per la sorellina. Vero Carlo?’
Il suo sorriso era ambiguo.
E così partii per Torino dove all’aeroporto di Caselle trovai una splendida Rosalinda, più ‘bona’ che mai.
L’incontro fu esuberante, e la gente si voltava a guardare quei due che si baciavano con irrefrenabile trasporto e si avviavano, a braccetto e trascinando il bagaglio, verso l’auto, al parcheggio.
L’accoglienza fece lampeggiare in me un’idea che veramente era fantastica’ vuoi vedere’?
Non dovetti attendere troppo perché, una volta in auto, Rosalinda, appena seduta al volante, mi abbracciò di nuovo e questa volta il bacio fu un chiaro messaggio: ‘assaggia queste labbra, mentre le altre ti attendono’, e la carezza al pisellone confermò tutto.
Quando fummo a casa non vidi lavori da fare né traccia della presenza di operai.
Lo dissi a Rosalinda.
‘Sei tu l’operaio, Carletto, e di lavoro ne avrai.’
Non volle perdere tempo, mi condusse nella camera da letto, e cominciò a spogliarmi. Alternava: via un indumento da me, via uno da lei.
In men che non si dica eravamo tutti e due nudi.
Guardò estatica la mia possente erezione e vi balzò sopra, senza parlare, facendosi bravamente penetrare. Non aveva bisogno di preliminari. Mi sussurrò che erano anni che attendeva quel momento.
Rovesciò la testa, sospirando profondamente, aggrappata a me.
Finalmente ero in lei, nella mia incantevole Rosalinda, e l’accoglienza del mio fallo fu entusiasta, inebriante. Si dimenava incantevolmente e sentivo il suo clitoride strusciare su me. Si contrasse, fu travolta da un voluttuoso orgasmo che la rilassò per qualche istante, ma poi riprese ad alzarsi e abbassarsi, sempre appesa al mio collo, con le mani che le artigliavano le natiche, le dita che perlustravano il perineo, titillavano il buchetto irrequieto. E giungemmo insieme alla meravigliosa conclusione che fuse insieme le essenze del nostro piacere.
Mi guardò con nari frementi ed occhi lampeggianti.
‘Vieni, fratellino, ricordi quando mi volevi e ti dicevo di non potere? Ora ti voglio fino a ridurti a zero.’ Si sdraiò sul letto, dischiuse le gambe, le alzò, mostrandomi il suo sesso palpitante.
‘Vieni, entra in me, più che puoi, ma non farmi male.’
Cominciai a penetrarla, lentamente.
‘Ecco, Carletto, sei bravissimo’ così’ così’ dio come sei bravo, com’è bello, sei meravigliosamente immenso’ così, amore, così’ sto venendo nuovamente’ godo’ godoooo. Godoooooooooo!’
Fu quasi un urlo, ed attese con avidità d’essere invasa di calore.
Volle che l’abbracciassi, stringendola a me, col suo delizioso culetto sul mio grembo e il mio rifiorente fallo tra le sue sode e stuzzicanti natiche.
Sentivo che era rilassata, abbandonata.
Le carezzavo le tette, tra le gambe, tra i riccioletti che l’ornavano.
E si assopì, col respiro che sembrava il dolce far le fusa d’una ammaliante micetta.
^^^
Quando Rosalinda uscì dal suo breve sonno, sembrava leggermente confusa, sorpresa di risvegliarsi tra le mie braccia.
Glielo dissi,
‘Si, Carletto, sono ubriaca, stordita, ebbra. Ebbra di te. Tu non sai da quanto tempo desideravo dissetarmi alla tua fonte, di naufragare in questo delizioso mare, di stare così, con te.’
Poi decidemmo che era ora di alzarsi.
Prima di andare alla doccia, si chinò su me, le baciai le tettine, ciucciai i capezzoli.
‘Ti ho serbato una sorpresa, Carlo, spero la gradirai.’
‘Quale?’
‘Se te lo dico, che sorpresa è?’
Mi dette un buffetto e sparì.
Mi levai, presi la mia roba e andai nella camera che mi era stata ufficialmente assegnata e mostrata mentre mi trascinava nella sua.
Decidemmo di andare a cena fuori.
Un ristorantino in collina, di quelli che servono la cena da loro preparata, dopo averti cordialmente accolto con l’aperitivo della casa.
Rosalinda li conosceva, perché la proprietaria le venne incontro e la salutò. Chiese notizie del colonnello. Rosalinda mi presentò.
‘Mi fratello Carlo.’
I soliti convenevoli di rito e poi al tavolo.
Io, per la verità, avevo un certo appetito. Rosalinda sembrava trasognata, piacevolmente pensierosa, e ogni tanto il suo volto esprimeva qualcosa di ciò che le passava per la mente. Ora un sorrisetto malizioso, ora il rapido mordersi del labbro inferiore. Ad un certo punto posò la sua mano sulla mia e me la strinse.
‘Non hai fame, Rosalinda?’
Mi guardò fissamente.
‘Tanta, tesoro. Di te!’
‘Io ancora di più, ma assaggia quello che hai nel piatto. Tra l’altro è bene mantenersi in forze.’
‘Allora mangia tanto, amore mio, perché la mia felicità dipende da te.’
Anche il vinello era invitante, ma non ne abusammo.
Dopo cena ci sarebbe stata un po’ di musica, ma dopo il primo pezzo, egregiamente eseguito al piano da uno zazzeruto giovane, Rosalinda chiese di tornare a casa. Sembrava impaziente, e in un certo senso lo ero anche io.
Quando fummo di nuovo nella sua camera da letto, le dissi che andavo a prendere il pigiama.
‘Che te ne fai?’
Sorrisi e la baciai.
Mi disse di spogliarmi e di attenderla, ma senza andare a letto.
Quando fui in tenuta adamitica, sedetti sulla poltroncina.
Rosalinda apparve, splendente, come se avesse una nuova e più bella luce negli occhi, e la sua pelle avesse acquistato riflessi di porcellana.
Si avvicinò al letto, mi tese la mano.
‘Vieni.’
Quando le fui vicino si voltò, il mio battagliero fallo andò subito a infilarsi tra quelle spettacolari natiche.
Il glande trovò subito il suo buchetto, palpitante e stranamente bagnato. No, era umido, scivoloso.
Rosalinda con un’espressione seducente nel volto incantato, si volto appena.
‘Questo è solo per te, Carletto, è tuo da sempre e sarà solo tuo per sempre. Conosce già il tuo desiderio, i tuoi fremiti, ed io fin da allora ho deciso che se tu avessi voluto saresti stato il primo e l’unico a possedermi e a farmi godere attraverso tale strada. Vuoi?’
I miei movimenti furono la più efficace risposta.
Si chinò un poco, spinse. Sentii una certa resistenza. Seguitai a spingere dolcemente.
Ero eccitatissimo.
‘Ma sei lubrificata, sorellina.’
‘Ho provveduto a tutto.. spingi ancora’ piano’ ecco’.ahi! no, non ti fermare, sento che entra, è bello, sì, lì puoi metterlo dentro tutto, non c’è l’utero che ne limita il dono’ spingi ancora’ sento che i testicoli battono il mio sedere’ sei dentro tutto’ com’é bello’dai”
Carezze alle tette e al clitoride accompagnarono il lungo meraviglioso stantuffare del mio infuocato pistone.
Rosalinda venne poco dopo, ma seguitò a muoversi, fin quando sentendosi invasa dal mio seme, non mi strinse in lei, spremendomi.
Non ricordo quanto rimanemmo così, attaccati. Ma fu solo perché altre analoghe attività ci attendevano che decidemmo di guadagnare il letto.
Quindici giorni di Bengodi, Paese della cuccagna, innumerevoli incredibili battaglie erotiche che ci sfinivano e attese che rapidamente ci ricaricavano.
Ci lasciammo al mattino.
La sera sarebbe tornato il marito.
Lei, ancor prima d’uscire di casa, indossò nello slip un consistente tampone perché, mi sussurrò, voleva restare col mio ricordo il più a lungo possibile.
Ci ripromettemmo altri incontri del genere, non appena possibile.
^^^
A Fiumicino trovai mum ad attendermi. Inaspettata.
Fu molto espansiva, e mi guardava con aria indagatrice.
Mentre eravamo sulla strada di casa, in auto, mi accorsi che aveva una espressione e un comportamento particolarmente sexy. Sembrava ringiovanita. Dalla scollatura della camicetta, dimenticata in parte sbottonata, mi rivelò, per la prima volta, che non portava reggipetto e le tette erano ancora ben sostenute. Appetitose.
Guardai le gambe.
Magnifiche.
Giungemmo a casa.
Stranamente non c’era neppure Mariuccia. L’aveva mandata per una lunga e noiosa commissione, sarebbe rimasta fuori fino all’ora della cena.
Pa’, come al solito, era a studio.
Andai nella mia camera, a mettermi un po’ in libertà, lei nella sua.
Dopo un po’ sentii chiamarmi.
‘Carlo?’
‘Si?’
‘Vieni qui, per favore.’
‘Sono un po’ spogliato.’
‘Va bene come ti trovi.’
Andai nella sua camera. Indossava la vestaglia, non allacciata, e sotto era completamente nulla, il nero del suo pube e la prosperosità delle tette occhieggiavano provocanti.
Sedette sulla poltroncina della toletta.
Mi indicò lo sgabello di fronte a lei.
Ero molto impacciato perché i boxer non riuscivano a contenere la mia improvvisa e incontenibile erezione.
‘Cos’è, ma’?’
Uno sguardo che non le avevo visto mai.
‘Ora che tua sorella non ha più la verginità da difendere, avete fatto l’amore?’
Mi sembrò d’essere colpito da una mazzata.
Farfugliai.
‘Veramente”
‘Veramente è per questo che ti ha fatto andare’ Allora?’
La guardai, senza rispondere.
‘Ma mamma”
‘So tutto Carlo, tutto, e da sempre.’
Non era aspra, anzi carezzevole.
Si alzò e si mise di fronte a me. Il suo pube scuro era all’altezza del mio naso.
Lasciò cadere la vestaglia, si avvicinò ancora di più. Prese la mia testa e la fece poggiare tra le sue gambe che lentamente dischiuse.
Il sapore che incontrò la mia lingua rivelò la sua eccitazione.
Pur sorpreso per quell’imprevisto gesto, compresi che un altro sogno della mia vita stava realizzandosi. Le mie mani avevano afferrate le natiche di mum, la mia lingua s’era intrufolata in lei, e lei si dimenava accogliendola, quasi ad indicarle il percorso. Il suo lungo clitoride (altro che quello di Rosalinda) palpitava quando le mie labbra lo suggevano, e lei ancheggiava sempre più, col respiro che diveniva affannoso, un lungo gemito che le sortiva dalle labbra, e le mani che serravano a sé la mia testa.
Poi fu scossa da un lungo tremito, emise un grido soffocato, dapprima mi strinse spasmodicamente poi si distaccò e cadde sul letto, riversa.
Mi tese la mano, senza parlare.
Mi avvicinai a lei. Mi prese la mano, mi attirò a sé.
Spalancò le gambe, prese il glande e lo portò all’ingresso della sua incandescente vagina.
In effetti, mi sembrava di vivere una favola, in una specie di dormiveglia, ma stavo entrando in quel delizioso angolo di paradiso, che sembrava succhiarmi, mi attraeva in sé, avido, goloso.
Ma’ aveva gli occhi socchiusi, ansimava, il suo grembo era in tumulto.
Era difficile stabilire se ero io a possedere lei o me.
No, ci possedevamo reciprocamente, senza furia, ma con ben calcolato impeto. Sentivo che c’era una specie di gara: lei a far godere me, io a far godere lei.
Vinsi.
L’orgasmo s’impossessò di lei, la travolse, la squassò.
Si dimenava, mugolava, diceva parole sconnesse’
‘Carlo’ Carlo’ chi me lo poteva mai dire che avrei goduto con te’ che avrei provato un tale piacere, una simile voluttà’ Io, che credevo di essere al sicuro di ogni tentazione, dietro la mia cortina”
E s’agitava, godendo da matta.
”.ma si’ è bellissimo’ o dio cosa mi sono persa per tanto tempo”
Quando m’abbattei su lei, invadendola col mio liquido ardente, mi strinse, mi baciò, m’accarezzo, Mi serrò in lei.
Tentò d’avvolgersi nel lenzuolo, nella leggera coperta sgualcita dal nostro ardore. Si riversò sul cuscino.
Aveva un volto bellissimo, estatico, incantevole.
E non fu quella l’unica volta che ebbi la felicità di contemplarlo così.
^^^ ^^^ ^^^
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…