‘… Domination’s the name of the game
In bed or in life
They’re both just the same
Except in one you’re fulfilled
At the end of the day…’
La musica dei Depeche Mode prende rapidamente possesso delle quattro mura del mio salotto, oggi insolitamente tranquillo e silenzioso. Adoro le domeniche piovose: rappresentano un’eccellente scusa per starmene in casa da sola, in santa pace.
Un primo piano di Vincent Cassel fa capolino dalle pagine del numero di GQ che ho cominciato a sfogliare poco fa. Continuo a domandarmi come mai quest’uomo risulti così tremendamente sexy ai miei occhi: è obiettivamente bruttino, magrissimo, con un naso enorme e gli occhi dal taglio totalmente asimmetrico. Sorrido pensando che se Monica Bellucci lo ha sposato, Mr. Cassel avrà indubbiamente qualche ottima dote più o meno nascosta… peccato sapere di non poterlo appurare mai.
Vado oltre: l’immancabile rubrica con i consigli (assurdi) per far godere una donna, l’elenco dei locali più fighi del mese, l’oroscopo… Basta, non ne posso più.
Getto la rivista sul tappeto di fronte a me, sprofondo nella mia coperta di pile stando accoccolata su un fianco in posizione quasi fetale e, ad occhi chiusi, canticchio le canzoni che provengono dalle casse del mio stereo.
Odio le stronzate new age, ma mi fa stare bene questa posizione, è come se riuscissi ad entrare dentro di me, a guardarmi ed ascoltarmi come mai riesco a fare, sempre occupata tra lavoro, amici, famiglia ed impegni di ogni genere.
Mi piace questo cd… o forse no. Mah, è presto per dirlo e comunque non importa: è suo.
Me lo ha regalato l’ultima volta che ci siamo visti, un paio di settimane fa. Morivo dalla voglia di ascoltarlo, ma ho dovuto aspettare che si creasse la situazione giusta, come lui mi aveva ordinato. Forse aveva ragione: ascoltarlo in macchina mentre andavo in ufficio non sarebbe stata la stessa cosa… ‘forse’. Se fosse stato qui mi avrebbe subito corretta, già lo sento: ‘Cucciola, io SICURAMENTE ho ragione!’ e io gli avrei chiesto scusa ed avrei riformulato la frase in maniera corretta, aspettando solo di vederlo sorridermi ancora una volta. Già… ma lui qui con me adesso non c’è e tutto ciò che posso fare per sentirlo vicino è comportarmi come lui mi ha chiesto. Può sembrare stupido e forse anche un poco incomprensibile, lo so: alla fine potrei essermene stata in giro tutto il giorno con le mie amiche per poi domani dirgli: ‘certo tesoro mio, ho fatto come mi avevi detto’. Però io non lo sto facendo solo per lui, lo sto facendo soprattutto per me stessa, sperando che ovunque lui si trovi in questo momento e con chiunque stia parlando o facendo chissà che altro, lui stia pensando alla sua cucciola obbediente.
Mi sporgo dal divano fino quasi a cadere per prendere la custodia del cd che ho lasciato per terra e la osservo di nuovo. Sulla copertina è disegnata una splendida ragazza completamente nuda, con i polsi e le caviglie incatenati ad una parete di pietra; è avvolta in una fiamma dalle sfumature violacee, ma sul suo viso non c’è traccia di paura o di dolore, è sorridente, è sensuale. Giro la custodia, ma non trovo la lista delle canzoni. Mi conosce fin troppo bene, sa quanto io sia curiosa, sa che per me riuscire ad ascoltare con pazienza ogni traccia dalla prima all’ultima senza aver fatto prima un rapido zapping è uno sforzo notevole… e sa che lo avrei fatto. Non ha lasciato nulla al caso, l’ordine della play list lo ha studiato con attenzione. Il pensiero del tempo che mi ha dedicato mi scalda il cuore.
Alcune canzoni le conosco, altre le sento per la prima volta. Vorrei sapere cosa devo cercare, ma lui non ha voluto dirmelo. Non è facile afferrare il significato dei testi, tutti in inglese, e le melodie spaziano su quasi tutti i generi musicali esistenti: sono confusa.
La quinta traccia finisce con le note secche ed armoniose di un assolo di chitarra acustica; è uno strumento che adoro, ma non gliel’ho mai detto… credo…
Sesta traccia. Di nuovo una chitarra, elettrica stavolta. Riconoscere il pezzo è un attimo, sentirmi mancare il fiato, ancora meno.
‘Sweet child o’ mine’, Guns ‘n’ Roses. Due mesi fa. E’ la mia autoradio che ce la regala. Sto cantando, nervosa: ‘… sweet love o’ mine…’. Guidare con le sue mani che forzano la labile resistenza delle mie cosce non è facile; guidare con la sua pinza per la prima volta a mordere il mio sesso lo è ancora meno; guidare con il cuore che batte a mille e la mente paralizzata è praticamente impossibile.
Dolce liberazione girare la chiave e spegnere il motore, una doccia gelata e bollente insieme le sue prime parole. La voce è ferma e decisa, cattiva quasi: voltati, inginocchiati, abbassa la testa, fatti guardare.
E’ la prima volta che lo sento così. Ho paura, paura di non farcela. Nonostante sia ancora mezza vestita mi sento nuda come mai lo sono stata in vita mia. La gonna è raggomitolata sui fianchi, il mio perizoma è finito chissà dove. Ho il respiro affannoso, vorrei sparire dalla faccia della terra.
Non voglio che mi guardi, non così. Immagino i miei difetti ingigantiti di cento volte sotto il suo sguardo così attento e così vicino. Serro le palpebre, come quando da piccola credevo che le cose che non riuscivo a vedere semplicemente non potessero esistere.
Le sue mani sono ovunque, le sue dita mi entrano dentro: ma non è sesso, non mi sta masturbando. Sta facendosi padrone di quell’ultima parte di me stessa che ancora non gli era appartenuta del tutto, sta studiando il mio corpo per poi mettere in atto la sua prossima mossa. Mi sento un animale ad una mostra di bestiame. L’umiliazione di quel momento è per me totalmente nuova, assolutamente spiazzante.
Piango, mugolando lo imploro di lasciarmi andare; mi zittisce con una sculacciata che rimbomba per tutto l’angusto abitacolo che ci ospita. La mia pelle brucia, la mia mente urla, ma dalle mie labbra non esce un fiato, mentre continua a picchiarmi sempre nel medesimo punto e io mi sento morire di piacere.
‘Where do we go? Where do we go now?’
La musica va avanti, incredibilmente lenta rispetto alla vorticosa intensità dei miei ricordi. Stringo tra i denti un lembo della mia coperta di pile, una morsa bollente prende possesso del mio stomaco. Cerco il suo collare intorno alla mia gola, ho bisogno di sentire che qualcosa di quei momenti è concretamente vicino a me.
Vorrei tornare su quella macchina, vorrei sentire di nuovo le sue mani addosso… Mi manca, mi manca terribilmente.
Prendo coscienza del gioco che mi sta sfuggendo di mano, mi obbligo ad accettare che quella che era nata come una divertente sfida tra di noi sta inevitabilmente trasformandosi in un bisogno di appagamento non solamente fisico.
Chiudo gli occhi, lo cerco dentro di me, le dita serrate tra la gola e il collare… è un po’ come se lui mi stesse attirando a sé.
Perdo completamente la cognizione del tempo e del dolore. I secondi e le mezzore si confondono, le pinze con le quali lui tortura e deforma la mia pelle riescono soltanto a darmi piacere.
Entra ed esce dal mio corpo con una rudezza che mi lascia senza fiato e completamente priva di qualsiasi coscienza di me stessa, divento sabbia sotto le sue mani, i miei umori non sono più frutti di piacere, ma escrementi di una me stessa che non ha diritto di esistere in quel momento.
Godere della negazione del proprio diritto al piacere stesso, ridurre gli orizzonti di un universo all’esistenza di una persona che sa coccolarti con il dolore, che sa renderti speciale annullandoti.
Lo squillo del telefono mi riporta bruscamente alla realtà. Cerco di fare mente locale per distinguere il tipo di suoneria e mi accorgo che è quella che ho assegnato alle chiamate ‘anonime’. Il display mi conferma che si tratta di un ‘numero privato’ non meglio identificato; incrocio tutte le dita che ho a disposizione e rispondo, incurante del volume della musica effettivamente un po’ troppo alto.
‘Ehm… pronto?’
Merda, la vocetta tremolante potevo anche risparmiarmela. Il cuore batte così forte che mi sembra di non riuscire a respirare.
‘Buonasera, cucciola’
Dio, non può essere vero. Oggi… oggi è domenica… non… sua moglie… cazzo…
‘Ciao amore!!! Che bello!!! Io… ma… come hai fatto?’
‘Non ho molto tempo… stai ascoltando il cd, vero?’
‘Sì amore’
‘Hai fatto come ti avevo detto?’
‘Sì, sono stata brava, davvero’
Una carezza, solo una carezza vorrei…
‘Hai il collare?’
Sento le sue mani stringermi il collo.
‘Certamente’
‘E la molletta?’
Solo in quel momento riporto l’attenzione tra le mie cosce: è più di mezz’ora che tengo la sua pinza arpionata alle labbra del mio sesso, come quel giorno… ne ho perso completamente cognizione, troppo intensa la fusione tra ricordo e realtà, tra voglia insoddisfatta ed eccitazione… Forzo la molla metallica ed apro la sua molletta, soffocando un gemito di dolore causato dal sangue che ha ripreso a circolare e che mi brucia dentro.
‘Io… la pinza… l’ho messa… da un po’… è che… non mi ricordavo…’
Sorride.
‘Allora non ti fa tanto male… brava cucciola, stai diventando brava… ‘
‘Io… mi manchi’, lo sussurro appena, come se me ne vergognassi.
‘Lo so tesoro, lo so… sei adorabile, piccola. Ascolta, devo scappare. Continua a comportarti bene come stai facendo. Sono orgoglioso di te. Ricorda: ascolta il cd fino in fondo, va bene? Ci sentiamo domani. Cucciola non sei da sola, ci sono io lì con te, ricordatelo’
Maledizione, di già?
‘Me lo ricordo amore. Io… ti voglio bene. A domani’
Clic.
E’ una bugia, Ti ho mentito. Non è vero che ti voglio bene. Io ti amo, ma non te lo dirò mai. Forse.
‘… it’s you that I adore
you’ll always be my whore…’
La sua musica continua a marciarmi lungo la schiena, il sound degli Smashing Pumpkins è deciso come le sue parole e sensuale come le sue carezze.
‘You’ll always be my whore…’
Puttana o cucciola, schiava o principessa: non fa differenza. Essere sua mi fa sentire speciale, essere sua è speciale.
Difficile riuscire a spiegare come uno sputo in pieno viso o un colpo di frusta o un momento di forte umiliazione possano diventare simboli di un legame tanto forte: non vi è disprezzo o mancanza di affetto in quei gesti, tutt’altro. Metti la tua vita nelle mani di una persona: materialmente nulla vieterebbe a lui di ferirmi seriamente od uccidermi mentre mi tiene legata o mi immobilizza. Estrema fiducia, complicità totale. Avere la certezza che anche nei momenti più difficili, quando sei convinta di non poter resistere oltre, lui sa perfettamente quando e come fermarsi, quando accarezzarti invece di farti del male; essere sicura che anche se ti sta portando verso uno stato mentale molto simile all’incoscienza, lui è sempre e comunque attento a che nulla di male possa accaderti.
‘…you’ll be a mother to my child
and child to my heart
we must never be apart…’
Dopo qualche minuto lo stereo improvvisamente tace. Mi alzo dal divano. A piedi nudi mi dirigo verso la cucina e comincio a preparami un tè. Mi sento felice, canticchio mentre cerco tutto quello che mi serve nei vari mobiletti della dispensa.
Decido di tenere il collare ancora per un po’, mi aiuta a sentire di meno la sua mancanza… e poi mi piace che l’odore della mia pelle resti mischiato a quello del cuoio.
Gioco disegnando un cuore con il miele che faccio colare dal cucchiaino dentro la tazza piena di tè bollente.
Improvvisamente sento una musica provenire dal salotto, ma è troppo breve, non riesco a distinguere di cosa si tratti.
‘Ricorda, ascolta il cd fino in fondo’
Corro verso lo stereo, dove il display mi dice che l’ultima traccia del disco sta andando avanti da più di venti minuti. Una ghost track, evidentemente. Riporto indietro il cd di qualche secondo ed aspetto, presa tra curiosità e timore, ipnotizzata dallo scorrere dei secondi nel piccolo schermo a cristalli liquidi.
‘… And then I go and spoil it all
by saying something stupid
like :’I love you’ …’
Sorrido, mentre nuovamente la stanza si avvolge nel silenzio.
Vorrei chiamarti, non posso.
Vorrei abbracciarti, non posso.
Vorrei, vorrei, vorrei… voglio che tutto rimanga come è adesso.
Anche a costo di rovinarlo con qualcosa di estremamente stupido… come dirti che ti amo.
OST:
Master and servant (Depeche Mode)
Sweet child o’ mine (Guns ‘n’ Roses)
Ava adore (Smashing Pumpkins)
Something stupid (Frank & Nancy Sinatra)
Il racconto nasce dall'unione di alcune esperienze sessuali e relazionali che ho vissuto. Celeste esiste, ma non è quello il…
Pazzesco..sarebbe bellissimo approfondire la sua conoscenza..
Mi piace pensare sia un racconto reale..se ti andasse di parlarne scrivimi a grossgiulio@yahoo.com
Molto interessante, è realtà o finzione? Dove è ambientato?
Felice che le piaccia. Le lascio il beneficio del dubbio…