Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Tre fra la follia

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Se non ricordo male &egrave stato Shakespeare a parlare del palcoscenico della vita, con pochi protagonisti e molti figuranti e comparse.

Tutti entrano dalla comune e tutti escono allo stesso modo, senza eccezioni.

Qualcuno parla: pensiero; altri si muovono: azione; i più restano muti e immobili.

Si ascolta poco, ma si applaude molto e spesso, senza saperne il perché.

Si ama, si trama.

Si pretendono quelli che si proclamano i propri diritti; non si rispettano i diritti degli altri: ciò che &egrave mio &egrave mio, ed &egrave anche mio ciò che &egrave degli altri!

Per salvare tutti, uno che si dice ‘figlio di dio’ si &egrave fatto uccidere. Lui &egrave morto, e non &egrave successo nulla in tema di redenzione. Per fortuna che poi &egrave risorto: lui.

Su questo ‘palcoscenico della vita’ ci siamo anche noi: Mary, Camilla, mia figlia, Teo, suo marito, ma nessuno si accorge di noi.

Siamo ‘tre fra la folla’.

Potrebbe essere il titolo d’un romanzo, d’un racconto, o di un ‘musical’ del tipo ‘un americano a Parigi’.

Mi sembra di vedere le insegne luminose a Broadway, al Cine Radio City, ‘3 in the crowd’, starring Mary, Teo, Camilla!

I nomi sono in ordine di età: 51,36, 28.

Nella vita ognuno ha il suo ruolo: Avvocato, Chirurgo, Ortopedico.

La gente non vuole sapere cosa accade ai quei tre, a quel microscopico gruppo che si sperde fra la moltitudine che li circonda, che si muove in spazi angusti che, però, a loro sembrano immensi.

Comincio da me.

Insieme a Carlo, mio marito, siamo riusciti ad avviare uno studio legale che non ha tardato ad affermarsi: lui trattava il penale, io il civile. Le cose andavano benissimo, professionalmente ed economicamente.

Un bel giorno, Carlo, brillante tennista ed ottimo nuotatore anche in campo agonistico, sospese improvvisamente il game in cui era impegnato, e non lo ha ripreso più, fulminato da un infarto!

Da allora sono sola, come donna.

Nello studio, Carlo &egrave stato rimpiazzato da Luisa, sua sostituta, che se la cava egregiamente.

Io ho raddoppiato il lavoro, anche per dare una ragione alla mia esistenza.

Camilla, era alla vigilia della laurea, quando morì il padre.

La conseguì con lode e volle proseguire nella specializzazione che aveva sempre sognato: ortopedia. Fin da bambina era fissata a fare la ‘acconcia-ossa’, e si esercitava con bambole e pupazzi ad aggiustare e sostituire arti, e qualche volta perfino la testa.

Il cattedratico a cui chiese la tesi, le assegnò un argomento difficile e delicato, molto interessante, e disse di rivolgersi, per assistenza nella stesura, a Teo Leoni, brillante medico, e facente parte del suo ‘team’.

Teo &egrave simpatico, elegante e sportivo, con un certo fascino che sa intelligentemente sfruttare, in tutti i campi. Ti guarda sempre come se volesse spogliarti. Forse per il suo essere medico!

Ancora un passo, e l’attendeva il primariato.

Camilla &egrave una gran bella figliola, con un fisico scultoreo, e un carattere socievole e gioviale.

Era prevedibile e naturale che tra quei due nascesse una simpatia che ben presto si rivelò ben altro sentimento e ben diversa attrazione, tanto ero che alla vigilia della specializzazione (voti lusinghieri e plauso della commissione) pensarono bene di sposarsi nella Chiesa di San Cosma e San Damiano, al foro Romano, vicino all’arco della pace.

Ora, Teo &egrave primario chirurgo in una prestigiosa struttura ospedaliera universitaria, a Roma, e Camilla ha accettato il suo primo incarico, per la stagione estiva, al Centro Traumatologico di Cortina, con la quasi certezza che in autunno si trasferirà presso la Clinica Ortopedica della Sapienza, a Roma.

Quando sono a Roma, gli sposi vengono spesso a cena da me, e rimangono anche a dormire.

Abitano dall’altra parte della città, oltre l’EUR, io alla Balduina.

Ero contenta della loro compagnia.

Avevo ceduto la mia matrimoniale alla giovane coppia, ed utilizzavo quella che a suo tempo era stata la camera di Camilla signorina.

Erano l’una di fronte all’altra.

Devo confessare che qualche volta, dopo aver ben calcolato i tempi, uscivo silenziosamente dalla mia camera ed andavo ad origliare alla porta di Camilla e Teo. I gemiti incalzanti che sentivo, e il pur soffocato scricchiolare del letto, testimoniavano chiaramente il godere di mia figlia e la vigoria del suo consorte. Ci davano dentro a tutta birra! Facevano bene, del resto. Quando si &egrave giovani il piacere del sesso &egrave quanto di meglio esista.

Ed anche quando non si &egrave più giovanissimi.

Mentre poggiavo l’orecchio alla porta, la mano mi correva istintivamente tra le gambe e carezzava con impazienza, dandomi una parvenza di soddisfazione, che nulla aveva però, con ciò che provava Camilla, a giudicare dai suoi gridolini terminali che ne sottolineavano l’orgasmo.

Stilla d’acqua, la mia, di fronte alla veemenza del torrente voluttuoso che travolgeva la mia figliolina.

Certo che Teo doveva saperci fare!

Quando Camilla era a Cortina, Teo se ne stava per conto suo.

Qualche volta lo raggiungevo al tennis. Dopo una breve e non impegnativa partita, rimanevo a cenare con lui, al Club, ma poi, purtroppo, me ne tornavo, sola soletta, nella mia vasta e vuota casa.

Tutto vuoto, per me!

Teo, in tenuta da tennis, era uno spettacolo. Veramente un bell’uomo, atletico senza gli inestetismi della muscolosità. Comprendevo bene i gemiti di Camilla, quello avrebbe risvegliato una statua, resuscitata una morta.

Io ero ben viva e non certo di marmo.

Si, so bene che taluni pensierini non si devono fare sul marito della propria figlia, ma intanto lei era ben distante, e lui, certo, non avrebbe dilapidato il suo consistente capitale se avesse lenito qualche tormentosa sofferenza altrui con qualche stilla del suo esuberante interesse.

Mi proponevo sempre di non pensarci, ma la campana &egrave fatta per suonare, e non può farlo se priva di battaglio.

Avevo notato, e da tempo, gli sguardi che Teo mi rivolgeva, si attardavano squadrandomi da capo a piedi, soffermandosi sulle mie ancora sode prominenze: anteriori e posteriori.

In effetti, i miei anni me li portavo benissimo. Non avevo mai trascurato lo sport, e la mia passione era il ‘quadro svedese’, al quale dedicavo almeno tre ore ogni settimana.

Mi guardavo nello specchio e, forse anche un po’ esaltandomi, vedevo che gambe, cosce, natiche, seno, tutto era consistente ed ancora ben disegnato. Mi autocompiangevo, pensando che, in fondo, era tutta grazia di dio inutilizzata!

Chissà cosa avrebbe pensato di me, Teo, vedendomi così.

Mi sorpresi a sorridere: lui aveva una moglie da schianto, e la sua professione lo metteva quotidianamente in grado di ammirare, ove lo meritassero, ben altri attraenti fisici femminili.

Comunque, Teo mi attizzava, devo ammetterlo, ed ero sempre più convinta che una ‘bottarella’ con lui non sarebbe stata male.

Una ‘bottarella’.

Si, con l’arretrato che mi ritrovavo quel batacchio mi avrebbe fatto scampanare più che le campane il mattino di Pasqua, quando suonano a distesa.

Ecco, ‘distesa’.

Io distesa e lui che mi suonava!

Il surrogato della mano finiva con l’eccitarmi maggiormente.

Era giovedì, quando Teo mi telefonò a studio.

‘Che dice, mia suocera, di un breve allenamento, poi una cena leggera e quindi andare alla prima cinematografica per la quale mi hanno regalato i biglietti?’

Sentirmi chiamare suocera mi irritava, come se volesse darmi della ‘vecchia’.

Comunque risposi con la massima dolcezza, con voce vellutata, quasi carezzevole, perfino adescatrice.

‘L’idea mi sorride. Però, per una prima dovrei vestire un po’ elegante, mentre per il tennis ci vuole tutt’altro.’

‘Sai che facciamo? Vediamoci sul presto a casa mia, porta l’abito per il cine e lascialo li, dopo cena torni e lo indossi. Da casa mia ai campi di tennis ci sono tre minuti d’auto, e il cinema &egrave nei pressi.’

Quindi, pensai, dovrò spogliarmi a casa sua.

Un’idea magnifica.

‘Bene, genero, a che ora?’

‘Alle diciassette?’

‘OK!’

Lo studio era al primo piano dell’edificio del quale occupavo l’attico come abitazione.

Salii subito a casa.

Rosetta, la colf, si meravigliò per quell’improvvisa irruzione.

Le spiegai che dovevo controllare se tutto fosse in ordine.

Parlavo dell’abbigliamento, s’intende.

Preparai la borsa con la tenuta da tennis, le racchette e tutto il resto.

Misi sul letto il vestito per la sera. Con una generosa scollatura, sia davanti che dietro. Reggicalze, calze, scarpe, e una lunga stola di seta. Borsetta e guanti.

Mi ero precipitata.

Non era neppure l’ora del pranzo.

Mi venne in mente che al tennis avrei sudato.

Dovevo telefonare a Teo e dirgli che, forse, era meglio annullare la partita. Poi pensai che avrei perduto la visione di lui in pantaloncini e che avrei potuto fare la doccia, non frettolosamente, al Club, ma a casa sua. Preparai la trousse col necessario per doccia e successivo trucco.

Comunque una telefonatina volevo fargliela.

Chissà se lo avrei trovato. Forse stava operando.

Ci provai, chiamai sul suo diretto, rispose lui.

‘Ciao, Teo, sono Mary.’

‘Dimmi, tesoro.’

Mi aveva chiamata tesoro! Stavo per svenire.

‘Scusa, ma dopo il tennis, potrei fare la doccia da te?’

‘Benissimo. Anzi, sai che ti dico? Che faccio preparare dell’arrosto freddo con insalata, dalla filippina, e ceniamo a casa. Poi ti prepari con tutta calma e ci facciamo portare al cine da un taxi, anche perché non saprei dove parcheggiare. OK?’

‘Perfetto. Ciao!’

Quella cenetta a due, a casa sua, era proprio una delizia.

^^^

Teo era già a casa, quando vi giunsi.

Avevo preso il taxi, perché chissà che ora avremmo fatto, la sera, e poi, dopo il cine, e forse un cocktail, non era proprio il caso di guidare. Sarei rientrata con lo stesso mezzo.

Fu lui ad accogliermi.

Mi tolse di mano la borsa del tennis, alla quale avevo anche appeso la trousse, e il porta-abiti.

‘Ciao, Mary, sei carica.’

Mi sfiorò le guance con un bacio.

‘Vieni, andiamo nella camera degli ospiti. Ti faccio anche vedere la nuova doccia che ci siamo fatti costruire. Moderna e con tutti gli aggeggi più inutili che possono esserci. Devi provarla.’

Lo seguii.

Indossava pantaloni di canapa, leggeri, e camiciola sbottonata.

Gli guardavo le spalle, ben disegnate, il bacino stretto e nervoso.

Aprii il porta abiti, distesi il vestito sul letto, e sistemai il resto.

‘Gradisci una bibita, Mary?’

Era gentilissimo, allegro.

‘Con piacere.’

‘Andiamo in veranda, si sta bene, e ce la facciamo portare. Stavo pensando che potremmo metterci in tenuta da tennis, tanto andiamo con la mia auto, ed &egrave vicino.’

‘Come desideri.’

‘Ma si, facciamo così. Poi prendiamo una bella aranciata in attesa dell’ora che abbiamo fissata per il campo. Cambiati, lo faccio anche io e appena pronti ci rivediamo in veranda.’

Uscì dalla camera, lasciando la porta aperta.

Curiosa, andai a vedere la nuova doccia. Era veramente bella, accogliente, e con getti che potevi comandare a tuo piacere, programmando temperatura, intensità, direzione’.

Rientrai in camera, aprii la sacca, ne estrassi calzerotti, scarpe, gonnellino, maglietta.

Mi cambiai.

Teo era già seduto in una poltrona di vimini, ricoperta con cuscini, e mi attendeva.

Si alzò galantemente.

Mi prese una mano e mi osservò attentamente.

‘Però, sei veramente uno sballo. Tua figlia deve temere la tua concorrenza. Sai che non ti avevo mai vista così in forma? Certo che tu ai chirurgo-plastici li mandi falliti, non hai bisogno di nulla. Anzi, hai da vendere. Scusa, sa, ma io di armonia anatomica me ne intendo un po’. Complimenti.’

‘Grazie, Teo, ma mi fai arrossire, con queste tue adulazioni.’

‘Ma che adulazioni, suocera, constatazioni, piacevolissime constatazioni.’

Quindi, non mi chiamava suocera in senso dispregiativo o per sottolineare la mia età!

‘Dai, fa venire l’aranciata, che &egrave meglio.’

Chiamò Mercedes, la colf, e le chiese due bicchieri di spremuta d’arance.

Io, intanto, m’ero seduta.

Lui si mise di fronte a me.

Anche lui, però, aveva tutti i numeri per far girare la testa a una donna.

Mi guardava le gambe. Veramente le cosce, perché il gonnellino le ricopriva solo in parte.

Arrivarono le aranciate. Prese un bicchiere, col tovagliolino, e me lo porse.

‘Scusa, Mary, non dirmi che sono indiscreto, ma io sono un medico curioso.’

‘Si?’

‘Conosco la tua età.’

‘Allora?’

‘Sotto la blusa non scorgo segni di altro indumento.’

Alzai le spalle, curiosa di sapere dove andava a finire.

‘Infatti non c’&egrave’

‘Ma’ hai fatto la plastica?’

‘Tu stesso hai detto che i tuoi colleghi del settore plastico se fosse per me morirebbero di fame. No, non ancora.’

‘Complimenti! Veramente eccezionale!’

‘Grazie, ma non &egrave merito mio.

Carlo, che aveva il capriccio di assegnare nomignoli a persone e cose, ne ha attribuito, logicamente, anche a me e alle singoli parti del mio corpo. Lui le chiamava le sue harits, unendo le contrazioni di hard e tits, tette dure.’

‘Ti ringrazio per la piacevole confidenza, ma sono spinto a chiederti come appellava’ anche’il resto.’

‘Nessun segreto.

Non sto a specificarti le parti anatomiche, che identificherai facilmente, ma i nicknames erano : ‘paramount’, anche qui contrazione di paradise e mountain, la montagna del paradiso; Edley, Eden valley,la valle dell’Eden; ‘golflot’, golden flower pot, portafiori d’oro, in cui amava serbare il suo ‘scarlip’, scarlet tulip, tulipano scarlatto; senza parlare quando si definiva il ‘divensea’, diver of enjoyment sea, palombaro del mare del piacere.

Sai che mi sento un po’ frivola a confidarti tutto questo?’

‘Nessuna banalità, sono bellissime e appropriate definizioni, piene di senso dell’umorismo. Ancora complimenti. Mi dispiace che un tale uomo non sia tra noi. Sono certo che ti manca.’

‘Moltissimo. Il vuoto che ha lasciato in me non &egrave stato mai colmato.’

Mi accorgevo che quei ricordi, quelle citazioni, e soprattutto a chi le avevo svelate, mi stavano sensibilmente eccitando.

Teo mi guardava sorridendo, con una certa espressione ironica.

‘Si direbbe che dall’epoca del dubbing, potremmo definirlo con un neologismo di mia invenzione ‘soprannominamento’, ad oggi non sia cambiato niente.’

‘Chissà!’

‘Non ti nascondo, cara Mery, che parlare di te, in questi termini, oltre che piacevole &egrave anche stimolante, tanto per usare un eufemismo.’

‘Ma va! una mature woman, una ‘matusa’, cosa mai può stimolare in un baldo e gagliardo giovane come te.’

‘A parte che ce ne vuole ancora, per te, per poterti definire ‘matusa’, se permetti so ben io quale effetto puoi fare sugli uomini e fai su me. Sei quello che in gergo si definisce un gran bel tocco di”

Non pronunciò la parola, ma ‘quella’ ben capì a cosa si riferisse, e si contrasse.

La allusioni andavano sempre più assumendo riferimenti specifici.

Come quando uno ‘ci prova’ e lei non aspetta altro.

Guardai l’orologio, l’ora del tennis si avvicinava. Mi alzai. Con le mani stirai il gonnellino, la blusa.

Teo continuava a restare seduto e mi fissava.

‘Qualcosa non va, Teo?’

‘Al contrario, va tutto benissimo.

In piedi sei ancora più affascinante.’

Mi misi di fronte a lui.

‘Teo, ma non &egrave che mi stai prendendo in giro?’

‘Perché mai.’

‘Non so. Mi sembra tutto così strano. Non avevamo mai parlato di certi argomenti, il mio fisico, le mie caratteristiche, la mia definizione gergale”

‘Ti sei offesa?’

‘No, il pericolo &egrave proprio che finirò col crederci.’

‘Devi crederci, &egrave tutto vero.’

‘Mi sembra una schermaglia, come di chi fa delle avances”

‘Ti molesterebbero?’

‘Mi sorprenderebbero, alla mia età, da te, e sono sempre più propensa a pensare a uno scherzo che, se tale, sarebbe crudele.’

Poggiò le mani sui miei fianchi, mi attirò a se, quasi col suo volto nel mio grembo.

‘Nessuno scherzo! Come devo fartelo capire?’

‘Un ghiribizzo?’

‘E’ proprio questo che mi preoccupa.

Incredibile, con una moglie splendida, con tante donne belle che tratto tutti i giorni, mi vado a turbare ed eccitare proprio con la madre della mia donna. E quello che &egrave peggio, &egrave che non credo che si tratti del capriccio per una nuova e inusuale esperienza. Scusa la crudezza, non ti considero quella da ‘una botta e via’. Sei splendida, eccitante, piena di promesse.’

‘Ma non ti ho promesso proprio niente”

‘Con le parole, ma tutto di te &egrave una provocante promessa di sensazioni uniche e inimmaginabili.’

Stringeva le dita, aveva lo sguardo ardente.

‘Vuoi che vada via?’

‘Voglio che resti’

Scusa’

Forse &egrave meglio disdire il campo per il tennis.

E’ opportuna una doccia. Almeno per me.’

‘La farò anche io: lunga e fredda’

Comprendi bene che certi discorsi a una donna, anche o forse soprattutto alla mia età, in regime di assoluta e lunga castità, non lasciano indifferenti.’

‘Allora?’

‘Allora meglio la doccia. Si, hai ragione.’

Mi allontanai da lui e mi avviai alla camera dov’erano i vestiti.

Cominciai a spogliarmi. Presi un lenzuolo di spugna, e m’avviai così, nuda, verso la doccia che, guarda caso, recava la scritta ‘extasy!’.

Così, confusa e agitata com’ero, non avevo chiusa la porta.

Teo era sull’uscio, e mi guardava.

^^^

Uscendo dalla doccia e tornando in camera, mi accorsi della porta lasciata dischiusa, la serrai.

Andai a sedere in poltrona, avvolta nel telo di spugna, ancora un po’ umido.

Cercai di riordinare le idee.

L’acqua aveva alquanto snebbiata la mente.

Mi sentivo come quando si esce da una sbronza, e ci si domanda se ciò che si ricorda sia realmente accaduto o ci si inventa tutto con la fantasia.

Come avevo fatto a raccontare quelle cose a Teo? A dirgli i nomi che, nell’intimità, Carlo mi sussurrava mentre mi carezzava, baciava, lambiva.

Intanto andavo constatando se le tette potevano avere ancora una consistenza soddisfacente. Si, l’avevano.

Anche la valle dell’Eden era in perfette condizioni, solo che nessun tulipano la percorreva, nessun fiorellino, neppure una minuscola margheritina.

Tornai ancora a pensare alla campana senza battaglio. Alla domanda che sta nel titolo dato da Hemingway ad uno dei suoi più avvincenti scritti, ‘per chi suona la campana?’, potevo solo rispondere che la mia era muta, da tempo, per vedovanza di battaglio.

Che fosse giunta l’ora del riscatto?

Cosa aveva voluto dirmi con quello strano cenno al ‘ghiribizzo’? Che poteva trattarsi anche solo di ‘una botta e via’?

Anche se fosse? Cosa avevo da perdere?

Avevo tutto da guadagnare.

Quel giovane vigoroso e prestante, intanto, avrebbe sopita la mia fame, forse l’avrebbe proprio saziata, anche se avevo un notevole arretrato da compensare.

Dovevo stare a vedere il seguito.

Certo che eccitata lo ero, e come.

Ero proprio in calore.

Pensando alla fame di sesso mi venne in mente che stava per giungere l’ora di cena.

Dovevo preparami, cenare, vestirmi per la ‘prima’, o non era meglio chiamare un taxi e tornare a casa?

In tal caso, era chiaro che rinunciavo ad una possibilità che probabilmente non si sarebbe più ripresentata. Specie con la stessa persona.

Strano, ma in tutto il mio rimuginare disordinatamente queste idee, il nome di Camilla era rimasto completamente fuori.

Un leggero bussare alla porta.

‘Mary, si avvicina l’ora di cena.’

‘Si, grazie, mi preparo subito.’

‘Posso entrare?’

Mi avvolsi più che potei nel telo. Rimasi seduta dov’ero.

‘Avanti.’

Entrò, vestito di tutto punto, elegante e attraente come al solito. Più del solito.

‘Come, sei ancora cosi?’

‘Mi vesto immediatamente.’

‘Devo uscire?’

Annuii.

Uscì, senza chiudere la porta.

Mi alzai e la chiusi io.

Mi vestii, ma non per andare alla prima. Indossai gli abiti coi quali era venuta da casa.

Lo raggiunsi nella sala da pranzo.

Quando mi vide entrare, mi venne incontro.

‘Forse hai fatto bene tu a rimandare a dopo cena la preparazione per il cine.’

‘Veramente, non so se sia il caso che venga con te, o non sia meglio che torni a casa.’

Mi guardò con profonda dolcezza, teneramente.

‘Ti prego, vieni alla prima, con me.’

‘OK’

Mercedes aveva preparato cocktail di scampi e spigola spinata in bella vista.

Non fummo prolissi, durante la cena, poche parole sul cinema moderno, sul lavoro. Le solite banalità convenzionali.

Poi, preso un ottimo caff&egrave, andai a prepararmi.

Riapparvi poco dopo, nel salotto.

Lui mi attendeva, con un crystall ball in mano, certamente cognac, ma era ancora pieno e, quando mi vide, lo mise sul tavolino, senza finire di bere.

‘Sei più ammaliante che mai, Mary, se non fosse che temo di sgualcire lo splendido abito che più che coprirti ti esalta, ti stringerei tra le braccia.’

Pensai subito: maledetto abito!

Seguitò:

‘Hai un’espressione incantevole, sei truccata in modo delicato e seducente. Forse &egrave meglio che non cambi idea. Il taxi ci attende. Andiamo.’

^^^

Il Cinema era affollato, come sempre nelle grandi occasioni.

VIP dello spettacolo, rappresentanti del governo, esponenti del cosiddetto jet-set. Teo conosceva tantissima gente, salutava a destra e manca, mi presentava sempre come l’avvocato Mary Masini, senza dire che ero sua suocera.

Il film non era un capolavoro. Ma riscosse ugualmente applausi di cortesia.

Durante la proiezione Teo fu sempre molto vicino a me, e profittando della lunga sciarpa di seta sulle mie gambe, teneva una mano sulla mia gamba. Più su, sulla coscia. Più su, dove le cosce si univano, ma io non le tenevo particolarmente strette.

All’uscita, soliti sorrisi e saluti.

Dissi a Teo che sarei tornata a casa in taxi, le cose che avevo lasciato a casa sua le avrei riprese in un altro momento.

Teo rispose che per riprendere la mia roba mi aspettava di nuovo a cena, la settimana successiva, e che mi avrebbe accompagnata lui, in taxi, fino alla mia abitazione. Aggiunse che l’indomani, venerdì, aveva una giornata abbastanza piena. Nel tardo pomeriggio avrebbe operato presso la clinica di un suo amico, a Viterbo, e poi intendeva proseguire fino a Cortina dove, di solito, trascorreva il fine settimana. Non accennò alla moglie, parlò solo di fine settimana.

Dall’EUR a casa mia &egrave un lungo percorso, e la mano di Teo che circondava la mia vita, andava sotto le ascelle, palpeggiava la tetta, era assolutamente gradevole, eccitante, e piacevolmente accolta. Come se fosse attesa. Come da tacito accordo.

Eravamo al cancello.

Scendemmo.

Teo pagò l’autista e licenziò il taxi.

Lo guardai, sorpresa e interrogandolo con gli occhi.

Mi prese sottobraccio.

‘Non vuoi ospitarmi? Ci dovrebbe essere una camera, per me, &egrave bella, ampia, con letto comodo e silenzioso”

Senza attendere risposta, trasse dalla tasca le chiavi che avevo dato a Camilla, appunto, per quando pernottavano da me, e aprì.

Il portoncino, l’ascensore, la porta di casa.

Era più forte di me pensare che stava delineandosi una conclusione di serata che m’eccitava, mi sorrideva, ma temevo di illudermi.

Forse, Teo voleva solo riposare subito. Aveva detto che l’indomani l’attendeva una giornata abbastanza impegnativa.

Ma se invece’?

Era quell’invece che mi elettrizzava, mi eccitava.

Andò a sedere nel salotto.

‘Mi offri un cognac, Mary? Se non ricordo male hai un ottimo ‘Lepanto’.’

‘Sai dov’&egrave, prendilo. Io vado a togliere queste scarpine che cominciano a stringere.’

Quando riapparvi, in vestaglia, aveva preparato due ‘ball’ col suo preferito. Me ne tese uno.

‘Alla staffa, Mary!’

‘Alla staffa?’

‘Si, sta a te stabilire se il cincin conclude la serata o”

Era più che esplicito, ed io ero decisamente per quel ‘o’, che mi faceva fremere il grembo. Non avrei per nessuna ragione al mondo lasciato cadere quella proposta.

Alzai il bicchiere.

Lo guardai fisso.

‘ ‘o’ ‘

Si avvicinò, brindammo, tolse il ‘ball’ dalla mia mano, lo depose sul tavolino, mi strinse con passione e mi baciò voluttuosamente, con le lingue che si cercavano, si lambivano, tentavano di dirsi tutto il loro desiderio.

Pur in quel momento così inebriante, ricordai il proverbio letto in un romanzetto francese: il bacio sulla bocca &egrave il messaggio che le labbra di sopra trasmettono a quelle di sotto perché si tengano pronte.

Altro che pronte erano le mie!

Pronte, palpitanti, roride.

Andammo nella mia vecchia camera da letto, quella che avevo ceduto a loro, e cominciò a spogliarsi. Era in boxer. Si avvicinò e m’aprì la vestaglia, la lasciò cadere a terra, e così le minuscole mutandine. Ero nuda, dinanzi a lui, visibilmente eccitata.

M’accompagnò sul letto, prese a baciarmi, la bocca, il seno, l’ombelico, tra le gambe, frugandomi con incantevole esperienza, e suggendo il clitoride che mi faceva sobbalzare. Allungai la mano, lo liberai dal boxer, afferrai l’imponenza della sua vigorosa erezione. Salì su me, lentamente, mentre andavo schiudendo ancor più le gambe, per riceverlo in me.

Ecco, stava entrando, le contrazioni della vagina cercavano di ingoiarlo golosamente, le mie mani gli artigliarono le natiche. Forse sarà stata la lunga astinenza, ma sentivo quel fallo empirmi completamente, fino in fondo, aderendo inebriantemente alle pareti che lo fasciavano, che stavano morendo di piacere sentendolo entrare uscire con insuperabile maestria. Era l’uomo, il maschio, il fallo creato per il piacere. Quando comprese, dai miei gemiti, dal mio vibrare, dal mio abbandono, che l’orgasmo mi stava travolgendo. incontenibile, convulso, mi baciò sulla bocca e mi strinse il seno. Poi mi sentii voluttuosamente inondare dal fiotto caldo, violento, del suo balsamico seme, che m’invase deliziosamente.

Giacqui, lievemente ansante, ancora palpitante, con le nari dilatate, quasi sfinita, soddisfatta, ma non per questo meno desiderosa di un nuovo amplesso.

In quei momenti il pensiero &egrave naturale, primitivo, poco raffinato.

Nella mia mente non c’era ricordo di una scopata più appagante di questa.

Teo, il principe del mio ‘foro’!

Teo, che vuol dire ‘dio’, il mio dio.

Mi guardava con un lieve sorriso sulle labbra. Avevo compreso il suo godimento, percepito il suo voluttuoso abbandono.

Era ancora su me, in me.

‘Sei incantevole, Mary, meravigliosa, passionale.

Non ho mai conosciuto una donna come te.

Sei tenera e voluttuosa, dolce e possessiva. Sei tutto.’

Sentivo che il suo sesso stava rifiorendo.

Lo attanagliai, con le gambe sul dorso, nell’intendimento, di voltarci, così avvinghiati, e pormi su di lui, per una vigorosa cavalcata. Mi trattenne, e confermò il suo desiderio di possedere, di dominare, di sovrastare .

Alzò, alte, le mie gambe divaricate, in modo che la mia vulva spalancata offrisse la visione del mio sesso sussultante, e si accoccolò su me, portando il glande violaceo all’apertura della mia vagina ansiosa, desiderosa, irrequieta, e s’introdusse fin quando poté, iniziando una inebriante sarabanda, accompagnata dal continuo strizzarmi le tette e dai piacevoli colpi dei suoi testicoli sul perineo. Anche il mio buchetto rosa fremeva.

Avevo ritenuto insuperabile il precedente accoppiamento.

Mi sbagliavo.

Comunque, non avevo desistito dalla galoppata.

Ad un certo punto, mentre era abbracciato a me, tutto intento a ciucciarmi e mordicchiarmi le tette e farmi ancora impazzire di piacere, cominciò a respirare sempre più profondamente, e cadde in un sonno che mi auguravo completamente ristoratore e rinvigorente per le sue forze.

Lo scostai, piano,

Si mise supino.

Era quello che volevo.

Giacqui anche io, distesa, rivivendo quell’incredibile avventura.

Oltre al meraviglioso appagamento dei sensi, ero orgogliosa di aver saputo destare tanto interesse, e sollecitare tanta foga, alla mia età, in un così baldo e magnifico giovane.

Non immaginavo Mary ‘mi ripetevo- che avresti reagito con tanta e tale foga appassionata, e che avresti superato ogni precedente, in fatto di piacere, di orgasmi.

Forse dipendeva anche da lui, da loro, lui e il suo fallo, da come si comportavano.

Lasciai passare del tempo, mentre seguitavo a riflettere e fantasticare.

Dovevo cercare il modo che non rimanesse un episodio isolato. Fin quando potevo.

Cominciai a carezzarlo, tra le gambe, insistendo a stringere e rilasciare lentamente il suo sesso nella mano.

Non mi davo da fare invano. Andava sempre più ingrossandosi, rapidamente.

Ora era un poderoso obelisco.

Era il momento della galoppata. E prima ancora che si rendesse perfettamente conto di quanto stava accadendo, mi ero già impalata, su di lui, iniziando un dondolio sempre più frenetico. Si svegliò del tutto, mi afferrò le natiche, e mi accompagnò in quella cavalcata impetuosa e ardente, che culminò tra gemiti e gridolini, mentre mi abbattevo, stremata, su di lui.

^^^

Malgrado le battaglie erotiche, l’orologio scattò nei nostri cervelli alla solita ora.

Sala operatoria e aula di giustizia ci attendevano.

Dovevamo alzarci.

E lo facemmo, dopo una robusta riedizione degli incontri notturni.

Mentre scendevamo con l’ascensore (l’avrei accompagnato io fino all’ospedale, prima di andare al tribunale) mi disse, con naturalezza, ma con tono che non consentiva replica, che dovevo andare con lui a Cortina.

Lo guardai con una certa sorpresa.

‘Opererò a Viterbo, dormiamo nel bell’Albergo di San Martino, poi proseguiremo’ magari con qualche tappa. Sai, devo mantenermi in allenamento, ripassare la lezione’ devo fare bella figura, sempre, con tutte.’

Mi dette una pacca sul sedere, senza affrettarsi a ritirare la mano.

Ero ansiosa di sapere, sperando di non rovinare tutto.

‘Quanto durerà, Teo?’

‘Per me tutta la vita. Come si può fare a rinunciare al nettare, al più dolce dei mieli?’

Mi strinsi a lui, sospirando, fiduciosa, speranzosa,

^^^

Cortina.

Domenica mattino.

Eravamo usciti dall’Albergo.

Una breve sosta al ‘Della Posta’, per una mimosa, e andavamo bighellonando, guardando le vetrine, anche quelle della Cooperativa dove un piccolo coltello a serramanico, hand made, fatto a mano, costava cifre astronomiche per quell’oggetto.

Giravamo tra la gente, una folla variopinta che andava dal turista d’un giorno agli habitués, alcuni cordiali e disinvolti, altri con la ‘puzza al naso’. E questi erano gli ultimi arricchiti, spesso sfoggianti tolette anacronistiche e kitsch.

Tre trascurabili esseri tra la folla: Camilla, Teo, io.

Trascurabili per gli altri.

Per me, Camilla e Teo erano tutto.

Teo la linfa per l’esuberante e ingorda insaziabilità d’una femmina matura.

Camilla si soffermava, soprattutto, ad ammirare gioielli ed abiti firmati.

Dopo pranzo doveva tornare al Centro Traumatologico, era di guardia.

Teo ed io saremmo rimasti soli, in albergo.

Incantevole solitudine.

Forse potevo ancora vivere!

^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply