La vita di tutti i giorni aiuta ad amare,
scrivere un romanzo aiuta a sognare
CAPIRE
Il letto disfatto è ciò che rimane come ricordo.
Oggetti fallici di dubbia funzionalità appoggiano sconsolati i loro sogni di gloria. Terribilmente amaro il gusto dell’insoddisfazione che inonda i desideri in penosi conati di vomito.
Sguardo fisso al soffitto. Un braccio che penzola cadaverico dalla parte destra del letto. L’altro copre il seno nudo a richiamare l’ultimo stadio del pudore. Il lenzuolo ammucchia la sua stropicciata inutilità al fondo del letto, mentre sul comodino resti di preservativi usati attendono di essere gettati nella spazzatura.
Non è la trama di un film o la foto di un macabro rituale del terrore. Due individui di sesso opposto hanno appena consumato il loro ‘normale’ istinto primordiale alla ricerca di un’evitata riproduttività. Forse è questo ciò che ci distingue dagli animali. Forse sono loro ad avere ragione sulla natura mentre noi ci spingiamo ostinatamente a trattare il sesso come sola fonte di divertimento. A tal proposito non ho nulla in contrario.
I due individui hanno terminato una sana sessione di palestra, ogni singolo muscolo è stato coinvolto in un turbinio di sudore e di pelle fremente. Peccato aleggi una sottile vena di insoddisfazione, quasi a sottolineare la mancanza della ciliegina sulla torta o di quell’intesa che rende due comuni delinquenti imprendibili come Bonnie e Clyde.
Per voi lettori mi chiamerò Testarda: in parole povere una testa dura. Dura nel comprendere le motivazioni psicologico-erotiche che stanno alla base di sofisticati giochi catalogabili come sesso estremo, ma infinitamente puntigliosa nella vita.
Sarebbe ridicolo se vi raccontassi che va tutto a gonfie vele. Sarei falsa e traditrice nei vostri confronti.
Quella ragazza che abbandona il braccio destro dopo l’ennesimo rapporto sessuale, sono io. Al mio fianco? L’altro protagonista della storia. Il tormentato e il tormentatore, l’unico vero amore, ma anche la continua fonte di angosce e laceranti dubbi.
Sono tante le domande che il mio affollato apparato intellettivo si sta ponendo. Mi chiedo se sia possibile capire. Mi chiedo se esista il lato giusto della medaglia o di un discorso complicato al quale vorrei dare risposta.
Non voglio tediarvi con inutili nozioni. Lascerò parlare i fatti, quel susseguirsi di eventi che mi ha portata a voler guardare in faccia i problemi e ad affrontare a testa alta quelle piccole, ma tanto grandi imperfezioni, che potrebbero fare della nostra coppia un esempio da seguire.
Sia chiaro che non desidero e non ho mai desiderato essere una prima donna. Di questo avrò modo di darvene dimostrazione, ma non sono qui per parlarvi di me, del mio animo o di ciò che faccio durante la giornata.
Il tutto ebbe inizio da un scoperta. Lui non lo sa. Crede che l’abbia intuito dal suo modo di essere. In certi argomenti è più ingenuo di un bambino. Da quando mi sono trasferita da lui non ho potuto fare a meno di notare l’esistenza di una stanza, in fondo al corridoio che conduce al salone, nella quale mi è stato categoricamente vietato l’accesso. La porta è simile alle altre, ma reca una serratura da esterno, per intenderci una serratura blindata. Potrete immaginare quanto grande sia stata da subito la curiosità di sbirciare gli oscuri segreti ivi contenuti. Non vi nascondo nutrissi una certa paura e inquietudine nei confronti della persona al mio fianco. Ero giunta a immaginare cadaveriche presenze di ex fidanzate segregate nel buio di pochi metri quadrati, come nel peggiore dei film hollywoodiani.
Per azzerare all’istante quel sottile velo di sadica libido che accomuna le narrazioni cariche di tensione, vi comunico che dentro non vi era nulla di tutto ciò che di spaventoso avevo immaginato. Per carità, agli occhi di qualche giovane anima impura, lo spettacolo sarebbe apparso simile al peggiore dei gironi danteschi, ma che ci crediate o no, l’unica sensazione che realmente scaturì, fu di irreprensibile curiosità.
A poco erano serviti giochi erotici, consigli pratici da rivista, oggetti del piacere acquistati segretamente via internet onde evitare di rompere quella sottile, ma essenziale vena di italiano rispetto per il sesso. Per sbloccare una deficitaria situazione di stallo sessuale, era necessario dialogare, guardarsi dritto negli occhi e chiarire ogni lacuna sull’argomento.
Immaginerete quanto sia stato arduo iniziare la discussione dovendo fingere di non aver visto l’interno della stanza segreta. Non desideravo affatto che si offendesse e che potesse chiudersi in quel guscio protettivo tipico di chi non si sente compreso. L’avrei lasciato parlare. L’avrei fatto sfogare come sul lettino di uno psicologo e avrei capito’
Sì, avrei capito molte cose.
PRIMA DI CENA
Due oceani profondi. Luminescenze blu cobalto, lucide come perle, bagnate da profumi lontani. Suona ‘Somewhere I belong’ di Linkin Park incazzati. Mi piaci. Divinamente mi guardi. Chissà se la risposta che tanto anelavi è ora presente nella tua mente? Chissà se ti stai pentendo al suono di un potente woofer?
Due oceani profondi: i tuoi occhi. Mi osservano. Mi emozionano. Mi intimidiscono. Strane sensazioni, le mie. Mi sento obbligato a doverti delle scuse. Pentito. Ero io o era il mio istinto sessuale a comandare? Destino infausto quello dell’uomo. Nato per procreare e subissato da inutili sensi di colpa.
Due oceani profondi: i tuoi occhi. Osservano. Unico senso attivo. Chissà a cosa pensavi? Chissà cosa immaginavi? Eppure l’hai chiesto, voluto, desiderato. Linkin Park suonano imperterriti. Felici e contenti. A tratti seducenti. Melodie cantabili sotto scottanti docce. Melodie strillate, urlate, come fari a illuminare una notte troppo buia per essere vissuta.
Non mi hai mai detto di avere paura del buio e così ti ho risparmiato questa brutta esperienza. Se solo potessi sentirne la melodia. Se solo potessi ascoltarne il suono. Se solo…
Dal profondo annaspi. Spingi con i piedi alla ricerca di uno slancio. Di un appoggio futile e inconsistente, furbo e beffardo come solo l’acqua sa essere. Annaspi a fatica. Ti capisco. In certe situazioni non è per niente facile mantenere la calma. Sfugge. Si lascia abbindolare dall’orrore, dall’ansia, dal panico prorompente tra le vie nervose di una città troppo affollata. Formiche impazzite: i neuroni. Formiche impazzite alla ricerca di un punto di fuga dove far coincidere le linee della salvezza. Quelle linee che controlliamo sul palmo della mano. Zingare controllano vie: proprio loro che non ne seguono. Strano il destino delle zingare. Si ritrovano in città che non conoscono. Paesaggi sempre nuovi. Emozioni incontrollate. Problemi. Dubbi.
Tu non sei una zingara.
Tu le strade le conosci. Forse troppo bene. Riusciresti a percorrerle a occhi chiusi. Non hai paura del buio. Per questo ti ho concesso un privilegio.
Intanto mi osservi. Ho cambiato canzone. Lo sai? L’ho cambiata per te. ‘Behind blue eyes’ di Limp Bizkit che sembrano essere presenti. In questo luogo così angusto quanto confortevole il suono muta lo sfondo come i wallpapers di Windows. Al Liceo Artistico mi insegnavano le espressioni attraverso l’accostamento dei colori. Mantenendo immutato il soggetto se ne cambiavano i colori di sfondo. Era pazzesco. Il trucco di un mago. L’illusione bambinesca che stupisce. Che fa sorridere. Che impressiona. La medesima espressione pietrificata in un penoso stand-by assumeva contorni allegri, tristi, malinconici, turbati, incandescenti. Quell’espressione pietrificata sei tu. Così, in stand-by, mi osservi. Mi domandi. Mi sorridi. Mi rimproveri al semplice cambiamento di una battuta in quattro quarti. Al variar di un accordo in maggiore.
Sei proprio un arrangiamento ben riuscito.
Il tempo. Prezioso animale da compagnia. Come un cane ti seguirà per tutta la vita, ma continuerà a non parlare la tua lingua. Prova a dire di no. Ti conosco. Non capiresti determinati ragionamenti. Sei ingenua. Schietta nelle scelte. Astuta con gli stolti. Perversa con chi il perverso non sa nemmeno cosa sia. Quanto tempo durerà? Ne ho il controllo. Oggi sì. Domani non si sa. Non esistono cartellini da timbrare. Titolari da rispettare. Siamo soli. Io e la tua espressione pietrificata in un penoso stand-by. Mi piaci. Mio Dio quanto sei bella! Mi provochi emozioni. Bambolina, I love you! Ti canterei una canzone. Ne avrei il tempo. Avrei anche il tempo di comporla, di suonarla. Il tempo non si è fermato, sia chiaro. Il tempo è solo diventato mio amico. Io sono il padrone di un cane chiamato Tempo. E tu? E tu sei l’ora, il minuto, il secondo, l’essenza, la prova tangibile che il tempo – se si vuole – si può controllare: domare.
Sì, ti posso domare. Per tutto il tempo che vorrò. Fin quando i tuoi occhi non saranno oceani in burrasca. Sferzati da violenti cicloni. Quei cicloni che spingono prepotentemente le onde contro spiagge innocenti. Bianche, pure. Immacolate come la tua anima. Come il tuo stupido animo ribelle. La tua futile curiosità.
Dicevamo? Quanto tempo durerà tutto questo? Non lo so. Non lo so proprio. Prepotente come un imperatore sul suo trono detto le regole. Detto le leggi. In delirio ti guardo. Ho il controllo del tempo. Ho il controllo, punto e basta.
è proprio una bella canzone. Non l’avevo mai ascoltata dall’inizio alla fine. Devo aver acquistato il cd vedendone il video. Interessante. Ben strutturato. Non tanto quanto il video che mi piacerebbe girare. Ti lasceresti riprendere? Accetteresti di immortalare su nastro digitale il tuo formoso corpo? I tuoi oceani profondi? Sarebbero in grado di far naufragare primi piani mozzafiato. Lo sai? Ti lasceresti riprendere? Tranquilla, non ho una videocamera. Non nutro simpatia verso tali aggeggi elettronici. Preferisco le foto, ma in questo caso non renderebbero giustizia ai tuoi occhi ed io ne soffrirei.
L’unico sfondo abbinabile al nero di questa spugna piramidale è la colonna sonora dei miei sentimenti. La colonna sonora che sto programmando per te.
Sei orgogliosa? Dai, facciamo il punto della situazione. Di tempo ne è trascorso. Sia chiaro: sono io che l’ho lasciato scorrere. Ho pensato che ti saresti sentita a tuo agio. ‘Tutto’ e ‘subito’ non vanno d’accordo. I venti di tempesta sono ancora lontani, lo percepisco. Nel primo tempo dei film si pongono le basi per finali imprevedibili e tu sei ancora nel tempo dell’orgoglio, della cocciutaggine. Se i raggi che fuoriescono dai tuoi occhi non fossero sottili e pungenti come spilli d’acciaio, propenderei per accorciare la trama del film. Ma non posso. Lo capisci anche tu. Un film lasciato a metà è un film da buttare. Il tuo amore vale molto di più. Le risposte valgono molto di più. Chi è l’assassino? Chi è l’amante segreto? Chi è la troietta di turno? Si sposeranno? Si ameranno? Si lasceranno? Morirà? Vivranno felici e contenti? Quante domande a metà ospiteremmo nell’affollato schedario della nostra mente? Quanti files inesistenti creerebbero errori irreversibili ai nostri precari equilibri? A tutto occorre dare una risposta. A tutto dobbiamo un perché. Questo è ciò che cerchi. Questo è ciò che hai voluto e non mollerai finché non l’avrai ottenuto.
Intanto annaspi.
Due oceani profondi: i tuoi occhi. Mi guardano. Mi fissano. Mi sfidano. Mi chiedono.
Vado in soggiorno a scegliere un altro cd. Non me ne volere a male. So che non opporrai resistenza, ma non voglio essere scortese. Non voglio mancare di rispetto a una cocciuta damigella. Torno subito. Non avere paura. Ti devi fidare. Ho il controllo del tempo. Te l’ho spiegato. Il ‘subito’ ha un certo valore se non viene preso in considerazione abbinato al ‘tutto’. Non piangere per così poco. Promettimelo. Una caduta di stile non sarebbe propensa alla tua sete di risposte. Ho detto oceani in tempesta, è vero, ma solo quando arriveranno i cicloni, non per innocui temporali primaverili. Pensa ai bambini. Si spaventano per i tuoni perché provocano mostruosi frastuoni. Scappano sotto le coperte dei genitori. Chiedono riparo e protezione. Non si rendono conto che è il lampo a dover far loro paura. Che è il lampo a essere imprevedibile. Si preoccupano per niente.
Si tratta di un tuono. Non temere.
Eccomi di ritorno, come promesso.
Ho pensato non sia necessario ricorrere a spiegazioni tangibili, gradirei farti comprendere al meglio il gioco dei ruoli. Tranquilla, amore mio, si tratta del sottile confine tra sogno e realtà, come in un film.
Archivierei le classiche commedie all’italiana dove seni prosperosi e soldatesse da strapazzo, la facevano da padrone offrendo impudica bonarietà sessuale al primo caporale di leva.
Archivierei i classici film culto dei maestri del terrore, sadici burattinai a cavallo tra il piacere sessuale e il gusto di uccidere. Vittime impotenti alla mercé dei loro assassini.
Archivierei i classici film culto pro amore e sensualità e aprirei un nuovo file dove le tre condizioni possano essere scremate dalle impurità e donate ai loro spettatori in una nuova versione.
No al dolore.
No alla paura.
Sì all’immobilità della vittima. Le violenze subite non saranno altro che pungenti provocazioni psicologiche.
Sì ai seni prosperosi.
Urge un esempio. Immagina quanto sarebbe terribilmente dura da accettare l’entrata in scena di una formosa controfigura femminile. Sirena incantatrice, abile nel gioco della seduzione ed esperta nell’arte dello scioglimento coniugale. Alta, fisico filiforme: il tipo ideale. Immagina la sua danza cannibale, rituale di degustazione carni. Pelle che sfiora altra pelle. Il viso che si avvicina al mio corpo: vampira succhiatrice di anime. Movenze da danzatrice del ventre in un fisico da lap dance. Irresistibile.
Terribilmente irresistibile.
E tu? Tu, la vittima. Immobile. Impossibilitata nel reagire, nel poter sfoggiare la tua arte per combattere un duello ad armi impari. Incazzata con il mondo, ma invidiosa alunna di movenze mai viste.
Vorresti urlare, porre fine a un gioco sgradevole, schiacciare il quadrato tasto del telecomando, ma non ti è possibile.
Il gioco prevede dei ruoli e tu non sei altro che l’immobile vittima.
La formosa sirena incantatrice prosegue il gioco della seduzione abbandonando gli ultimi veli protettivi obbligata da una calura in continuo aumento.
Sudore che gocciola a terra. Sudore raccolto da una lingua incandescente.
Visibile erezione maschile contrapposta a visibile sobrietà professionale. Due entità femminili al cospetto di un’indifesa entità maschile. Una vittima immobile e una cannibale a caccia di umani trofei.
Giochi di mano. Sapienti pressioni corporee. Provocatorie spinte che conducono all’amplesso incontrollato, duraturo’ infinito.
Oceani blu cobalto in vistosa tempesta e un disorientato Ulisse accasciato al suolo.
La cannibale presenza sposta l’attenzione verso l’emblema dell’immobilità e regala bagnati scorci di vita reale dal retrogusto lesbico.
Che ne diresti?
Non è difficile comprendere il gioco dei ruoli.
L’immaginato potrebbe divenire reale.
Per il momento desidero tornare con i piedi per terra e riprendere il discorso da dove è stato interrotto.
Ho trovato nell’armadio un album fotografico. Penso possa farti piacere conoscermi meglio. Il percorso è ancora lungo, le risposte dolorose da partorire. è vero, sai tante cose di me. Ci frequentiamo da anni. Devi ammettere che la situazione è ancora più strana.
Muovi gli occhi, mi osservi.
Conosco perfettamente il profumo della tua pelle. Sei l’unica ad avermi visto nudo. Come un verme strisciavo tra lenzuola umide di sudore. Sudavano: le lenzuola. Percepivano la mia bieca emozione. Un clown che non fa ridere: ancora più ridicolo.
Sai tante cose di me. So tante cose di te. Ci dobbiamo capire più a fondo. è necessario? Lo dice la tua cocciutaggine e allora partiamo dall’inizio.
Un album, un cd, un soffio di vento.
Inserisco nel lettore cd ‘Gabriel’ dei Lamb. Creo atmosfere cupe. Rilassate. Voglio allontanare i venti di tempesta. Lo leggo nel tuo sguardo. Mi odi o forse no.
Pochi metri quadrati non aiutano a sistemarsi. Scomode posizioni impacciano mancati movimenti. Sento il formicolio dell’atrofizzazione muscolare anche nel cervello, ma non temere. Non mi fido delle guide. Seguo solo il mio istinto.
Suonano i Lamb. Sollevo l’album. Riesci a mettere a fuoco? Ti chiedo di non bruciare le foto, uniche testimoni del tempo passato.
Vedi, anche in questo caso posso ritenermi l’imperatore del tempo. L’ho immortalato. L’ho abbindolato. Mi ha regalato rughe e io ho risposto con semplici fogli di cartoncino colorato. Rido. Mi piacciono le freddure anche se spesso rido da solo. Dicevamo? Ah, le foto. Questo in alto sono io. Avevo quattordici anni. Quello, in basso, il mio motorino. Un cinquantino del cazzo con il quale mi vantavo tra le fighette del paese. Ero a casa dei miei. Vivevamo lontano dalla città. In quegli anni ho avuto le prime esperienze. No, cosa pensi. Non sessuali. Ho ritenuto evidenti le mie diversità.
Palesemente ridicolo è tornare indietro nel tempo, ma estremamente importante è colmare ogni lacuna sul nostro passato. Per capire la tua situazione è necessario comprendere uno a uno i passaggi chiave che hanno segnato la mia squallida esistenza terrena.
Ero in una compagnia di ragazzini strafottenti, ma come potrai immaginare, tra tutti, ero quello più sfigato. Timoroso di ogni ritorsione. Debole al cospetto di piccole iene affamate di prime esperienze. Tutto faceva brodo: pornografiche riviste tramandate da generazioni e giochi di lingua con promettenti compagne di classe. Già, le compagne. Ricordo come fosse facile per una ragazzina di quel tempo tenere in pugno un branco di pseudo-uomini pieni di brufoli.
Paola era la reginetta del gruppo. Padrona indiscussa, già così libertina da farsene soprannome e già così inconsciamente sadica da risultare peggiore di una matura contessa Bathory.
Rivivo, come fosse ora, quello sguardo strafottente e quel dito puntato verso la mia direzione a sentenziare la proclamazione della vittima giornaliera. Non si giocava agli indiani, era un gioco affidato ai più piccoli, nel nostro caso, si trattava di sequestrati e sequestratori e io ero il predestinato Houdinì che si sarebbe dovuto magicamente liberare da costrizioni strette con inaudita cattiveria.
Fu Paola ad avvicinarsi all’albero del supplizio.
Fu Paola a far scivolar le corde per panni ‘ rubate in una vicina cascina ‘ attorno ai miei polsi.
Fu Paola a legare le caviglie mentre un membro dormiente inspiegabilmente svegliava l’adolescente virilità. Il corpo era parte del tronco d’albero pressato alle mie spalle e a sequestro ultimato, il branco ammirava in cerchio l’opera della loro reginetta.
Il rossore dilagava all’aumentare di un’evidente erezione. Insana casualità notata dal gruppo. Risate di stupore fecero da sfondo a sadiche intenzioni di abbandonarmi legato a quell’albero, immerso nel verde della campagna.
Salivano le minacce.
Salivano sudate vampate di calore.
Saliva la consapevolezza che avrebbero fatto sul serio. Paola si avvicinò e sussurrandomi all’orecchio: ‘Adesso divertiti’, si voltò, salì sul sellino della vespa di Sergio e con gesto sicuro fece cenno di partire.
Il mondo iniziò a vorticare, i passeri sembrarono cinguettare cantileniche prese in giro alle mie dolenti spalle color corteccia e un’esplosione di caldo liquido invase l’interno coscia scivolando verso le ginocchia.
Riuscii a liberarmi dopo un tempo che stimai in quaranta minuti. Ebbi modo di assaporare quel vertiginoso senso di piacere abbinato al caldo liquido altre tre volte.
Per anni Paola diventò protagonista dei miei sogni. Padrona incontrastata delle mie fantasie erotiche. Eroina da liberare e sadica maestra di nodi, circostanze opposte accomunate da umidi risvegli mattutini. Costrizioni perfette e un rapporto privo di inibizioni davano spazio ad un piacere immenso, senza autocontrollo.
Portando con me quel segreto, cominciai a comprendere il significato di scottanti discorsi adolescenziali, fonte di ispirazione pornografica e filosofico scambio di segrete riviste patinate.
Tutto qui.
Quest’altra foto è la migliore. Ci sono proprio tutti: amici e finti amici. Molti partono alla scoperta di un futuro che non appartiene loro. Abbassano la testa come i corridori in procinto del traguardo. Vogliono arrivare primi. Tagliare l’aria. Rendere aerodinamico il loro corpo. Si dopano. Assumono pillole di speranza continuando a fissare la strada. Asfalto nero e ruvido che a tratti contrasta con pedonale vernice bianca. Sudore. Fatica. Sofferenza. D’un tratto il pubblico sparisce. Basta grida. Basta tifo. Il traguardo, a pochi passi, dovrebbe essere raggiungibile con una rapida volata. Leggera pressione del nastro. Il megafono del giudice. Alzano lo sguardo: il deserto. Solitudine, depressione.
Ne ho persi tanti sulla strada. Gente di valore.
Chi ha raggiunto il traguardo è lui. Il terzo da sinistra. Biondo. Fisico notevole. Palestrato mangia-ormoni-a-colazione. Mi stava sul cazzo. Capiva poco e quel poco che capiva lo capiva sbagliato. Capiva, capiva, capiva…
Il traguardo è all’orizzonte, ma la strada è ancora lunga.
Le palpebre salgono e scendono. Le pupille osservano. Ho cambiato canzone. Sono meno malinconico. Ti alzo la lampada? Ci vedi? Ok, allora continuo.
Qui avevo diciotto anni. La prima vacanza in solitario. Tagliati i cordoni ombelicali! Prove tecniche per i venturi anni universitari. Solitudine, sole e donne sole in cerca di giovani inesperti. Arrossivo. Bruciavo con la stessa facilità con cui si abbrustoliscono i toast. Non avevo campanelli dall’arme. Timer incorporati. La scottatura aumentava incontrollata. Anche quella solare. Ultimo vero ricordo e ultima vera dipendenza. Cosa intendo? Intendo dire che per la prima volta in vita mia ero libero, solo, ma ancora saldamente ancorato alla mano protettrice di genitori lontani.
In questa foto il mare mi salutava. Il tempo stava per finire e non ero nemmeno io a volerlo. Erano i mesi. Le stagioni. Che lavoro fanno d’inverno quei signori in lontananza? Mi domandavo mentre il treno mi riportava in una scomoda casa cittadina. Avrei volentieri atteso spiegazioni. Preteso con determinata tenacia. Cocciuta arroganza infantile. Un po’ come la tua. Sì, sarei volentieri divenuto alunno un’altra volta. Ho sempre odiato gli arrivederci all’azzurro del mare. Guarda le onde. Osservale. Donano estrema tranquillità.
Basta così. Ti vedo annoiata. Ti lascio nuovamente sola. Vado a frugare nel ricco armadio dei ricordi. Scavo tra scheletri ingialliti come i denti di mio nonno. Hai degli occhi stupendi. Lasciatelo dire. Desidero dare una rinfrescata a questa stanza. Che ne dici di un colore chiaro? Vivace. Arrapante. Un bel rosso: rosso fuoco. Ok, cercherò il rosso fuoco tra i cd. Troverò il rosso fuoco e te lo farò ascoltare.
Suvvia, non fare quella faccia. Questi occhi non promettono nulla di buono e invitante. Pensa al giorno in cui il lupo cattivo si mangiò la nonna, se avesse accolto Cappuccetto osservandola con il tuo sguardo, la favola sarebbe finita prima. Non voglio che tu sia lupo. Questo no. Come potresti? Almeno convincimi a restare.
Ho pensato a lungo ‘ te ne sarai accorta ‘ a una canzone rossa. Difficile trovarla. Di cupo e triste ne è piena la discografia, ma di rosso fuoco temo vi siano poche eccezioni. Anche perché il rosso fuoco non è uguale al rosso comunemente conosciuto. Voglio dire: è un’interpretazione personale. Potresti decretare che questo colore sia un rosso fuoco poiché ti provoca una particolare sensazione, ma a un altro potrebbe apparire come un rosso normale. Se ti chiedessi il titolo di una canzone rosso fuoco avresti delle difficoltà. Ero indeciso: da un lato ‘Sexual Healing’ nella versione unplugged di Ben Harper, dall’altro ‘Letting the cables sleep’ dei Bush. Dura decisione.
Hanno vinto i Bush.
Scommetto che non li hai mai sentiti nominare. Troppo sicura. Non ti abbasseresti ad ascoltare cd rimasti nascosti in dimenticati scaffali. Prediligi le hits. Colorate copertine appese alle pareti di store affollati. Cuffie ciondolanti. Assaggi per padiglioni auricolari fini. Per sommelier con spiccata esperienza. Ubriachi dopo il primo bicchiere di gazzosa.
Parliamo ancora di me. Voglio raccontarmi.
Vivo a cavallo tra l’alternativo e il commerciale in un mix analcolico che definirei ‘alternale’. Adoro i Bush e amo alla follia gli Europe. Quelli dei vecchi tempi. Il loro secondo album: una favola. Mi piacciono i Beastie Boys di ‘Check your head’ e le note incantate di Natalie Cole. Sono un bastardo musicale. Senza stile. Senza passione. Seguo il mio istinto, te l’ho già detto: non mi fido delle guide.
In tasca un’unica passione e tu la vuoi scoprire, qui, in questa stanza.
Le tempeste sono lontane e ‘Letting the cables sleep’ sta terminando la sua melodica corsa ispirata da un incespicante puntatore laser. A volte salta. Interrompe fluidi musicali con la stessa semplicità con cui uno scoglio dividerebbe in due un’onda. Le onde. Lo vedi, ritornano sempre nella nostra vita. Le onde marine, sonore, radiofoniche, sensoriali… Quelle del tuo corpo. Mi sono innamorato delle tue onde. Attraenti come il più col meno. Suadenti. Eversive. Mi sono innamorato di te a causa delle alte e bianche creste del tuo seno. Non solo. Hai un viso stupendo. Due oceani profondi. Luminescenze blu cobalto, lucide come perle, bagnate da profumi lontani.
Non pensare sia anormale vedere con gli occhi di chi tratta il sesso dal lato giusto.
Cosa intendo? Intendo dire che tali giochi estremi potrebbero apparirti eccessivi, inadatti a un discorso romantico e privi di ogni legame con il classico senso dell’erotismo.
Ti sbaglieresti di grosso.
Sebbene esistano vari livelli e varie passioni trasversali in contrapposizione al famoso fine della penetrazione tra maschio e femmina, vorrei non mi ritenessi partecipe a tali pensieri. Per quanto possa condividerli, non rientrano nello schedario delle comuni finalità. Vorrei sottolineare l’importanza di quelle componenti fisiche e intellettuali che rendono speciale la tua personalità ed eroticamente attraente il tuo fisico. Non passa momento in cui non desideri unire i nostri corpi in un romantico amplesso condito da fresche lenzuola di raso nero.
Nel più classico dei modi ti spingerei sul letto e velocemente sarei sopra di te. Cercherei la tua bocca ansimante di piacere fondendo i nostri respiri in un unico abbraccio. Con la lingua accarezzerei la tua pelle scendendo per la scollatura della tua camicetta. Sbottonerei gli ultimi bottoni facendo fuoriuscire il formoso seno. Lo succhierei come un poppante affamato. Lo stuzzicherei con piccoli morsi provocandoti sonori gemiti di godimento. Liberi da ogni impedimento, nudi a richiamare preistoriche scene di vita. Allargherei le tue gambe per ammirare il pube rasato e in un attimo sarei dentro di te a scatenare un temporale di scariche orgasmiche.
Le passioni non sono altro che il mezzo per due simili traguardi: il primo fonte di diretto piacere masturbativo; il secondo fonte di travolgente rapporto sessuale a conclusione del suddetto gioco passionale.
Apri bene la mente. Aguzza lo spirito interpretativo e sintetizza le mie parole trasformandole in esempi reali. Ora non puoi muoverti, ma voglio immaginare che, a spiegazione terminata, vorrai dar sfogo a sommate spinte eccitative, scegliendo uno dei due bagnati traguardi. Non sarò io a convincerti, ma potrò fornire mezzi per favorire una delle due strade o addirittura, fartele percorrere entrambe.
Lo spirito di esplorazione conquista l’uomo dalla notte dei tempi e sempre più donne preferiscono varcare i confini del piacere prediligendo oggetti dall’alta funzionalità masturbante.
Penso tu sia abbastanza esperta e adulta da non volerne degli esempi, ma onde evitare ogni minima possibilità di incomprensione, ti mostro l’immagine stampata sulla scatola vuota dello stimolatore che ho premeditatamente fissato nella fessura formata dalla congiunzione delle tue gambe, prima che fossero immobilizzate. è un vero peccato che tu non possa notare il cavo per l’alimentazione fuoriuscire in prossimità del tuo piede sinistro, ma concentrandoti potrai percepire il fresco tatto della vibrante sommità in plastica che, ancora inerme, accarezza il tuo candido monte di venere. Scariche di piacere in un estatico susseguirsi di incontrollate vibrazioni, attraverseranno il tuo corpo non appena inserirò la spina elettrica.
Sai cos’è questo? Certo che lo sai: è un libro. L’ho estratto dalla mia collezione privata. Una sezione che ti ho tenuto segreta. Non volevo scoprissi lati del mio io che potessero ferire il tuo. La vita procede anche senza scottanti rivelazioni. Tu mi piaci per quello che sei. Ti amo, ma sei cocciuta.
Sei stanca? Hai sonno? Il tempo passa. Lo lascio scorrere lentamente. Mi diverto. Sadico? No, non è sadico. Ti sei mai chiesta perché nei film le esplosioni avvengano a rallentatore? No, non te lo sei mai chiesto? Forse perché non hai assistito a reali esplosioni. Cupe, crude, violente, dirette, veloci. Non chiedono permesso. Entrano e distruggono. Non sorprendono. Non regalano spettacoli. No, non chiedono permesso… entrano e distruggono. Tutto. Velocemente. Tutto. Il rallentatore è importante. Esalta i gusti. Come le spezie. Un’esplosione diventa spettacolarmente esplosiva. Desidero che anche questa situazione lo divenga. Come? Con il rallentatore. Tengo imbrigliato il tempo. Lo tiro. In tensione non si sente a suo agio e rallenta. Tu assapori la scena. Perfetta. Da dietro due oceani blu cobalto. Da dietro il brillare di continui perché. Cocciuta nella tua perseveranza.
Ce la faresti a leggere? Il corpo dei caratteri non è piccolo. Odio i caratteri magri. Scrivo a corpo quattordici per non accecarmi. Leggi dal paragrafo due fino al paragrafo tre. Non ti preoccupare. Giro io le pagine. Sono bravo a girare le pagine di una storia. Ancora più brava era la mia ex. Voltava uomini con tale facilità che terminava e iniziava romanzate relazioni ogni tre giorni. è un’arte. Ci vuole esperienza. Storie vere e storie narrate. Storie amorose e ‘hai solo delle storie’. Pagine da voltare. Carta straccia da gettare. Reperti preziosi da conservare con sieri antiparassitari. Antitarme, antitarli e antirughe. Aggiungerei analcolici. Ma è un altro discorso al quale spero la tua cocciutaggine non voglia aggiungere risposta. Torniamo al romanzo. Torniamo alla tua sete di perché. Ai tuoi perché. Leggi amore. Leggi bambolina. Capirai molte cose o forse no. Non puoi aspettarti finali al secondo paragrafo. Nemmeno al terzo. Questi sono solo indizi.
Metto una base. Lenta. Calma. Che ci accompagni. La giusta musica che vorrei da sfondo alle mie giornate in libreria. Hai presente la libreria perfetta? Il tipo ideale? Lo so, non tirarmi in ballo le solite porcherie universitarie. Il tipo ideale esiste. Basta trovarlo. Nelle città che ho visitato era ben nascosto. Probabilmente aveva avvertito la mia influenza e si era dileguato in una latitanza scorretta.
Metto una base. Lenta. Calma. Che ci accompagni. ‘Paper Moon’. Rilassante Natalie Cole, che ne pensi? Leggere diviene un passatempo. Fidati quando dico che ti devi fidare. La canzone ideale. La giusta colonna sonora per esploratrici giornate in libreria. Già, tu non sei in libreria. Leggi amore mio. Leggi. Vuoi sapere il titolo? Non posso dirtelo. Sarebbe come regalare caramelle avvelenate a uno sconosciuto. Lo so: è lo sconosciuto che dovrebbe regalarle. Banale. Ricorda: la verità non è mai così banale. Vuoi saperla? Non pretendere titoli. I titoli vengono affidati secondo due sensi unici. Il primo è quello che conduce al patto di sangue; il secondo alle note di merito. Dal momento che non ti meriti titoli e che i tuoi globuli rossi non corrispondono a quelli della scrittrice, deduco che l’unica virgolettata parola rimarrà arcana come i più antichi segreti. Avvincente, vero? Lo leggo nei tuoi occhi. Sono perle. Riflettono la tua anima. Di una persona si dice che debba essere bella fuori, ma anche bella dentro. Tu sei una di quelle. Non lo nascondi… Bella dentro. Bella fuori. Avvincente, vero? Lo leggo nei tuoi occhi come la protagonista del romanzo. Me la immagino alta, formosa, ma terribilmente fragile: alla mercé di un mondo che non le appartiene e che la sfrutta come una squallida sgualdrina da quattro soldi. In tasca ha un grande sogno: l’amore, quello vero, quello capace di far battere il cuore al ritmo techno e che costringe a compiere pazzie.
Sarà vera pazzia?
Sarà qualcosa di più, che ne so, una reale propensione alla sottomissione? Quale sarà il vero fine? A quale traguardo aspirerà?
Difficile dirlo dopo i primi capitoli, arduo pronunciarsi anche al termine della lettura. Non voglio pensare a una protagonista soggiogata ai desideri del suo amato, perché vogliosa di una sonora trombata all’italiana. Che diamine! Voi donne impugnate il coltello dalla parte del manico, giostrate i fili magici che riducono il maschio a un’umile marionetta. Una tiratina al momento giusto e la virile superbia s’accheta come un gattino. Non voglio pensare a una protagonista servile e sottomessa nel vero senso della parola. Voglio pensare alla giusta via di mezzo, al compromesso tra il ‘dare per avere’.
Disposta a sonore sculacciate, a orgiastiche violenze di gruppo programmate a tavolino e a umilianti sfilate in pornografica integrale nudità per raggiungere la purezza quale massima devozione amorosa verso un compagno-amante complice di siffatte fantasie.
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To be continued here:
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
ciao ruben, mi puoi scrivere a gioiliad1985[at]gmail.com ? mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze...
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?