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Racconti Erotici Etero

La contessa Manina

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

A quel tempo, il Teatro Sociale conservava ancora la struttura tradizionale dei teatri italiani: platea, ordini di palchi, loggione.

Poltrone di platea e sedie dei palchi erano in velluto rosso scuro.

Il loggione aveva tre file di panche in legno, dure, quindi, e con schienale abbastanza scomodo.

Quello che i miei genitori, proprietari di uno dei migliori palchi di primo ordine, non riuscivano a comprendere era perché io andavo a rifugiarmi in loggione. Avevo più volte spiegato che era per stare coi miei amici che potevano al massimo permettersi il costo di quel biglietto. E così, ogni volta che cambiava programma, ci trovavamo tutti lassù, sempre lo stesso gruppo. Nell’ultima fila, di lato, anche perché vedere la pellicola proiettata era il più lontano degli scopi.

Quanti anni aveva la Contessa?

Non era facile definirlo, e non lo stabilimmo mai. Era un tipo assolutamente eccentrico. Vestiva strani lunghi vestiti, certamente tagliati e cuciti da lei stessa. Ogni tanto aveva anche piccole ghirlande di fiori nei capelli pettinati in modo bizzarro, e camminava come se scivolasse sulla terra, a piccoli passi veloci.

Ci aveva detto che era Contessa. Aggiungendo che bastava così, non era necessario sapere altro. Io ero riuscito a conoscere la sua identità, ma questo non ha alcuna importanza, ed &egrave bene, anzi, non rivelarla, dato che si tratta d’una famiglia un tempo ricca e potente, ora andata in completa rovina.

La Contessa non disdegnava qualche offerta, che per essere nostra era sempre modesta, e sgranocchiava volentieri le poche caramelle e cioccolate che le portavamo di quando in quando.

Il ‘posizionamento’ era quasi sempre lo stesso: la Contessa in mezzo, uno di noi alla sua destra, un altro alla sinistra e, possibilmente, qualcuno seduto nella panca davanti.

Appena si spegneva la luce, la Contessa allungava la manina (ecco il perché del nome che le avevamo dato) e sbottonava i pantaloni di chi le sedeva a fianco. Si, di tutti e due, e cominciava a svelare la delicata abilità delle sue lunghe dita, intorno ai nostri falli che guizzavano prepotentemente fuori dai vestiti.

Si lasciava carezzare le tette, anche un po’ brancicarle, dimostrando il gradimento con particolari strizzatine ai nostri glandi impazienti. Aveva un tempismo perfetto. Ad un certo punto si curvava su quello che sentiva più pronto e seguitava il’ lavoro con la bocca, con particolare perizia ed impegno, già preparata, però, col morbido fazzoletto, a raccogliere la naturale conclusione di tutto.

Poi era la volta dell’altro.

Noi ci provavamo sempre a metterle una mano sotto la veste, ma non sempre apriva le gambe, e se le apriva era sempre senza mutandine. Aveva un sesso abbastanza rigoglioso, sodo, sensibile, e un clitoride che fibrillava al primo tocco. Era pulitissima e delicatamente profumata, perché quando premeva le nostre teste tra le sue gambe era come immergersi in una aiuola di morbide violette squassata dai sobbalzi del suo bacino.

A volte slacciava la blusa e un altro le ciucciava le tette, mentre lei glielo menava, sempre pronta coi suoi fazzolettini. Avevamo il dubbio che v’era del feticismo in quella raccolta di sperma. Comunque non ce ne fregava niente.

La Contessa abitava in una specie di soffitta di un vecchio palazzo gentilizio. Un tempo apparteneva alla sua famiglia. Una catapecchia, certamente, ed ero curioso di ficcarci il naso.

Non dissi niente agli altri, altrimenti avrei dovuto rivelare loro la conoscenza di cose che non avevo mai confidato. Decisi di andarvi. Chissà se ciò non finiva col compromettere tutto. La reazione della Contessa poteva essere la cessazione dei nostri incontri di gruppo. E dove avremmo trovato, dati i tempi e il luogo, una soluzione analoga?

La Contessa doveva stare in continua osservazione, dietro la finestra, perché mi aspettava dietro la porta socchiusa. Mi guardò senza alcuna espressione nel volto. Questa volta non indossava uno dei suoi incredibili abiti, ma una vestaglia rosa, molto elegante, lunga fin quasi a terra, di quelle che allora si vedevano nelle pellicole hollywoodiane. I capelli sciolti, sulle spalle, molto lunghi. D’un nero così intenso che m’indussero a credere che usasse delle tinture. Ma si vedeva che erano morbidi e lucidi. Il volto, sempre di età indefinibile, era giovanile, curato. Insomma, quanti anni poteva avere? Conclusi che erano intorno ai quaranta. Ma una donna così, perché non si era sposata? Perché non aveva un amante? Perché faceva quel che faceva con giovanissimi?

Mi fece entrare, senza parlare. Le porsi il pacchetto che le avevo portato: Delle specialità viennesi deliziosi dolci.

‘Entra, accomodati.’

Era una specie di salotto che denotava uno strano stile, mi sembrava di aver letto qualcosa del genere in una descrizione dannunziana. Una consolle col grande specchio dorato e tanti ritratti, diversi tavolini, con gingilli vari, un alto lume a stelo ricoperto d’un elegante foulard, due poltrone, due sgabelli imbottiti, un divano con dei cuscini’

‘Siedi pure.’

Indicò il divano, sedette accanto a me. Aprì l’involto, ammirò la scatola di dolci e la magnificò.

‘Sono squisiti, le cose più raffinate che conosca. Grazie, e complimenti per la scelta.’

Aprì la scatola, prese una di quelle piccole leccornie e la portò delicatamente alla bocca. Mi porse la scatola.

‘Prego.’

Avevo la bocca secca, impastata, e riuscivo a mala pena a parlare.

‘Grazie’ no’ forse dopo”

Rimise la scatola sul tavolino. Mi guardò negli occhi. Aveva splendidi occhi neri, nascosti fino allora dal buio del loggione. Mi prese una mano.

‘Tu sei Piero, vero? Perché sei qui? Come hai saputo dove abitavo?’

Non sapevo che dire.

‘Volevo conoscerla al di fuori del cine, da solo’ Per questo l’ho seguita nascostamente.’

‘Dammi del tu, Piero. Io comprendo che non vuoi contentarti delle mie povere carezze. Vero?’

Rimasi in silenzio.

‘Dimmi la verità, non l’hai mai fatto. Vero?’

La mia voce uscì strozzata.

‘Vero.’

‘Cosa conosci di una donna, di una femmina?’

‘Conosco solo quello che lei’ tu’ mi hai permesso di conoscere.’

‘Tutto qui?’

Alzai le spalle.

‘Hai mai visto una donna nuda, dal vero intendo?’

‘Intravista, spiata”

‘Vorresti vedere me?’

‘Annuii.’

‘Pensa, Piero, vedere me, una donna che per età potrebbe essere la tua mamma. Sarebbe come vedere nuda la tua mamma.’

Mi sfuggì un eccitato ‘che bello!’ che, credo, non la sorprese.

‘Bisogna conoscere cosa si vuole, per decidere se veramente lo si vuole. Credo che tu debba sapere com’&egrave fatto l’altro sesso, cosa può darti, prima di avere rapporti sessuali completi. Sei d’accordo?’

Annuii di nuovo.

‘Bene. Vieni con me.’

Mi condusse nella stanza adiacente, arredata con lo stesso gusto del salotto. Il letto, grande, sormontato da un elegante baldacchino, era nel centro. Intorno, molti specchi.

Andò vicino al letto. Con lentezza e gesti eleganti, tolse la vestaglia, il resto, rimanendo completamente nuda. Non avevo pensato che ero andato da una professionista, né, sapendolo, lo avrei fatto anche perché le mie modeste risorse economiche erano state quasi completamente prosciugate dai dolci.

Si stese sul letto, in piena luce, un po’ di fianco, nella stessa posa di Paolina Bonaparte quando posò per Canova.

‘Spogliati, Piero. Dobbiamo essere come la natura ci ha fatto. E se ci ha fatto così non c’&egrave nulla di sconveniente a mostrarci.’

Le dita mi tremavano nel liberarmi dai vestiti, ed ero fortemente imbarazzato a dover rivelare la mia violenta erezione.

‘Avvicinati, guarda bene.

Io sono una femmina matura, fertile. Conosci il seno d’una donna, sicuramente, avrai visto qualcuna allattare. Dammi la mano, fatti guidare dalla mia’ questo &egrave il pube, come quello degli uomini, o quasi, e qui comincia la grande differenza.’

S’era come seduta, appoggiandosi sui cuscini, e divaricò le gambe.

‘Avrai notato che il mio bacino &egrave abbastanza largo, lo esige la funzione materna.

E queste’ -andava indicandole con le dita- ‘sono le grandi labbra che racchiudono le piccole che delimitano l’ingresso della vagina.

Questo che sporge &egrave il clitoride che, durante il piacere sessuale, si inturgida, come i capezzoli, mentre delle apposite ghiandole secernono una sostanza che serve a lubrificare la vagina e facilitare, quindi, la penetrazione del pene.

Avvicinati, guarda.’

Abbassai il capo, curioso e nel contempo affascinato di fronte a quello spettacolo che per me era conturbante, e non solo per l’eccitazione che mi faceva aumentare. Riccioli neri che contornavano il tutto: scuro delle grandi labbra, tenue rosa del resto’

‘Piero, tocca il clitoride.’

Come un automa, allungai la mano, tesi un dito, lo sfiorai.

‘Ancora,’

Quel piccolo ciccetto di carne s’andava levando rubizzo.

‘Guarda i capezzoli, e seguita con la mano.’

Al posto delle due fragoline s’ergevano scuri e prominenti lamponi.

‘Introduci un dito nella vagina, piano, senti com’&egrave bagnata.’

Procedetti cautamente, mi accolse qualcosa di appiccicoso. Il mio sesso stava per scoppiare.

La Contessa, si adagiò supina, con le gambe divaricate, le gambe alte.

‘Ora, Piero, vieni su me, tra le mie gambe, poggia sulle ginocchia e porta la punta del tuo pisellone dove hai messo il dito. Bravo’così’ora spingi piano, mentre ti vengo incontro col bacino’ così’ bravissimo, dentro’ dentro’ dentro’ basta’ basta’! sei arrivato in fondo. Muoviti, così., bravo, sei bravissimo’.’

Cominciò a darsi da fare, con maestria, mi abbracciò con le gambe, mi avvolse, e le sue manine, afferratimi i glutei, assecondavano il movimento. Sentivo che il suo grembo palpitava’ sempre più in fretta, e sembrò delirare quando per la prima volta il mio seme, copioso e caldo, invase il corpo d’una donna.

La Contessa giaceva con gli occhi chiusi. Un flebile gemito le sfuggiva dalle labbra socchiuse. Mi stringeva a sé, in sé.

‘Bambino, hai dato un piacere infinito alla tua mammina’ Il mio piccolo Pierino. Ora sì che sei un uomo, e che uomo.’

Io avrei ricominciato subito. E lei se ne accorse. Mi abbracciò e fece in modo che prendessi il suo posto, senza staccarsi da me. Sembrava una amazzone in attesa di lanciarsi al galoppo. E vi si abbandonò, senza freni, in una cavalcata che divenne sempre più travolgente, con la testa rovesciata, i lunghi capelli sulle mie gambe, gli occhi chiusi e come un grido di vittoria, appena soffocata, che le usciva dalle labbra beanti. Le artigliavo le tette, le martoriavo i capezzoli, e ad ogni stretta sentivo che la vagina contrarsi, avvincere il mio sesso’ così’ a lungo.. fin quando non cadde sul mio petto, ansando.

La mia prima volta.

Quando le dissi che, al momento, non sapevo come dimostrarle la mia gratitudine, mi disse che potevo farlo in un unico modo: tornando a trovarla.

Le fui molto grato, per lungo tempo, molto.

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