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Racconti Erotici Etero

Il Mulino dei Ricordi

By 5 Novembre 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

C’era una volta un vecchio mulino abbandonato. L’avevano costruito in mezzo ad un gran bosco di faggi, sapete, e la grande ruota di legno correva, correva sempre, sospinta dalla corrente impetuosa del fiume.

Oh, quel fiume dalle acque profonde e turchine, abitate da alghe verdi che crescevano come capelli di fata dal suo fondale di ghiaia! A volte, faceva paura.

Sì, perché di tanto in tanto, pareva che al sussurro di quelle acque si mescolasse il grido confuso delle persone morte e la voce malinconica del vecchio mugnaio’

Ah, quel vecchio brutto e cattivo! Portava sempre con sé il fucile, e si divertiva ad uccidere gli animali innocenti’ Quella bocca di fuoco tuonava sempre, e riempiva il silenzio tranquillo del bosco di crudeltà immensa.

Il vecchio mugnaio era morto bestemmiando il giorno in cui era nato, perché la sua vita era stata soltanto sofferenza, sapete? Era per questo che era stato così cattivo.

Il mulino era rimasto abbandonato, e poche persone innamorate sapevano della sua esistenza, oltre ai grandi faggi, che in autunno ricoprivano di un manto di foglie morte i sentieri cupi della foresta.

A volte, cadeva la neve’ Era come una dea dalle mani bianche e fredde, che accarezzava le piante e gli animali, facendoli tremare di un brivido d’inverno. Era una dea dai capelli canuti e lunghi, che le ricadevano fin sulle spalle, ma dalla pelle di perla, e dalle labbra cerulee, fatte soltanto per regalare un bacio di gelo a tutto ciò che incontrava.

Erano baci d’inverno.

E la bella dea ne regalava anche al tetto rosso del vecchio mulino, alle fronde spoglie degli alberi, alle sponde del fiume, dove crescevano i salici, alle upupe morte.

Alla primavera seguiva l’estate, all’estate l’autunno, come al canto delle cicale segue la tormenta.

Una volta, lungo il sentiero che conduceva in quel luogo deserto vidi arrivare una carrozza.

Doveva essere di una nobile, della quale però non riesco a ricordare bene il nome. Forse, quel nome assomigliava a un bacio perduto, regalato al vento prima di morire.

La carrozza era tirata da magnifici cavalli bianchi, dalle lunghe criniere, che sembravano creati dalla passione, o forse, non so, dal piacere.

Era d’autunno. Giunto dinanzi al mulino, il legno s’arrestò, e il cocchiere dalla barba bianca, in livrea turchina, scese da cassetta per sussurrare parole di mistero agli orecchi dei suoi destrieri. Forse, era una profezia fatale.

Fu allora che al finestrino apparve la bella testa bionda di una donna.
Aveva i capelli del più bel biondo che avessi mai visto, e soprattutto le sue labbra erano rosse quanto l’amore più ardente.

– ‘S’il vous plait, monsieur” ‘ sussurrò, nel suo francese meraviglioso, facendo un cenno al suo cocchiere, con la sua mano bianca, fatta soltanto per regalare carezze.

Non desiderava scendere, sussurrò soltanto qualcosa di misterioso alle orecchie del suo servo.

Oh, sì, quella che vi sto per raccontare doveva essere la storia di un amore triste ed infelice, perché odiato dagli uomini, ma al tempo stesso indimenticabile, come tutto ciò che ha le ali troppo grandi e lievi per essere imprigionato con catene.

Al dito, la signora bionda portava un anello con rubini.

Il suo amore arrivò presto, lì, dinanzi al vecchio mulino abbandonato. Venne su di un cavallo arabo, era un giovane dai capelli lunghi, neri, un lungo mantello, degli stivali da caccia di cuoio bruno, che gli arrivavano sino al ginocchio.

Fu allora che la bella scese, per andare a donargli un bacio, con le sue belle labbra rosse e morbide quanto il velluto. Fu un bacio lungo, ardente come la passione, che rese entrambi felici di una felicità triste, poiché una lacrima bianca scese dagli occhi azzurri della signora bionda per inondarle le guance rosee.

Cominciò a piovere.

I due amanti si ritirarono nel vecchio mulino, che da tanti, tanti anni faceva da custode agli amanti che si nascondevano al di là del suo uscio di legno.

La donna si chiamava Fran’oise.

Il suo grande abito turchino, del settecento, metteva in risalto i suoi enormi seni bianchi, che sembravano fatti apposta per essere toccati e accarezzati, dalle aureole rosa, sulle quali si soffermarono a lungo le labbra avide di lui.

– Sì, più forte’ Più forte’ – disse la bella.

Era completamente nuda, sotto. Le sue lunghe braccia carnose si intrecciavano con quelle più grosse e irsute di lui. Lei aveva delle mani così femminili, dalle dita lunghe, con le unghie rosa, ah! Avrei voluto essere il fuoco della passione, per divorargliele.

Le grida dei due amanti si confondevano con il bruire della pioggia, e con il sussurro cupo del vento tra le fronde.

Ricordo che quelle rosse labbra rimasero semiaperte, per lasciar sfuggire ansimi e sospiri e, a tratti, delle grida soffocate di piacere. Tutto ciò, mentre le mani di lui scendevano dai seni enormi sulla vulva glabra e bianca.

La lingua dell’uomo si soffermò a lungo sul clitoride di lei, e per me, che ascoltavo, fu come essere iniziato al sesso dai miei genitori, fu come ascoltare i gemiti disperati di mia madre, mentre mi concepiva insieme a mio padre.

– Non smettere, ti prego, non smettere’

La sua bella mano stringeva sempre più forte quella del suo amore. Era ormai nuda, teneva un piede di ammirevole bellezza sulla spalla del suo uomo. La sua caviglia era adorna di un tatuaggio raro, che le aveva fatto un pirata con un occhio bendato e un uncino al posto della mano sinistra, tanti anni prima.

Lui era cacciatore, aveva riposto il suo fucile in un angolo, e mentre il sesso li travolgeva, le promise che avrebbe abbattuto per lei cento visoni, con cui confezionarle un manto indimenticabile.

Fran’oise gli disse di stare attento, perché non doveva avere un bambino, no, non poteva, né lo voleva.

Ricordo che i due amanti consumarono un rapporto sessuale violento come non mai, quel pomeriggio, mentre il temporale scuoteva il bosco.

La bionda era vergine, e gridò forte quando il suo maschio le lacerò l’imene. I suoi seni bianchi, enormi, sobbalzavano in continuazione, ondeggiavano, i grandi capezzoli rosa gonfi, che andavano su e giù’ Il suo ventre piatto era madido di sudore, e si strofinava in continuazione con quello più irsuto di lui. La bella gli carezzava le gambe e le natiche con i lunghi piedi, che sembravano di marmo, con lunghe dita affusolate, e dalle unghie dipinte di blu.

Quella vagina era così bagnata e stretta, torturata da un pene troppo grande per lei’

Lui era così violento e forte’ La bionda aveva chinato la testa all’indietro, i suoi capelli lunghi e morbidi ricadevano nel vuoto, mentre dalle labbra le sfuggiva:

– Ahhh’ Basta! Ah!

Ma lui non si fermava, non si fermava, la bella gli stringeva la spalla con la venusta mano, cercando invano di respingerlo, ma era troppo più forte di loro, era troppo più forte di loro.

Oh, quanti ricordi erano legati a quel vecchio mulino! Quanti ricordi! La grande ruota di legno girava sempre, sospinta dalle acque cupe del fiume, quelle acque turchine, piene di mistero, abitate da grandi alghe, che sembravano i lunghi capelli biondi di una donna, rapiti dalla corrente!

E i faggi raccontavano al vento storie d’amore e di destini avversi, parole vaghe, che quelle folate di tristezza portavano lontano.

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