Adesso glielo dico, mi faccio coraggio e comincio a parlare, a sgranargli parole che non s’aspetta. Mi dà fastidio vederlo che mi guarda e mi scruta, come se il mio viso, le mani, fossero più esplicite di mille parole.
Adesso glielo dico, prima che i dubbi diventino certezze, prima che i respiri divengano rantoli d’un cuore che soffre e d’un sesso che vuole. S’avvicina e m’accarezza, indugia, come se sotto la gonna ci fosse un rifiuto, sulla mia pelle l’evidenza del giorno trascorso in un posto che lui non conosce. Lo vedo che si ritrae, le dita sudate si fermano e pensano, magari ad una stanza immersa nel verde, un hotel dove si sentono uccelli cantare, e gli alberi silenti sfiorano la vista al secondo piano d’una coppia che s’ama.
Lo vedo che vorrebbe almeno una scusa, mia madre, la coda o il lavoro. Rimane muto. I dubbi salgono e si fanno certezze. Cerca da qualche parte parole, domande, un modo qualunque per non sembrare ridicolo. Cerca una scusa alla mia camicetta di fuori, stropicciata e insolente come la gonna, al mio viso senza un filo di trucco, le labbra sbiadite per chissà quale uso. E se fossero segni evidenti che nessuno a questo mondo potrebbe sorvolare? Mi chiama per nome, per sentire se il vapore arriccia ancora la mia pelle dorata, per sentire il sapore che sa di famiglia o il seme di un maschio che non può essere il suo. Lo sento che cerca il contatto, che le mie gambe gli producono effetto come se mai m’avesse alzato la gonna, come se le sue dita non fossero sue, dentro un cinema il primo sabato insieme, la prima volta e dieci anni di meno, che non seguo la trama e mi faccio toccare.
Adesso glielo dico, giuro che non passerà questa luna, che non mi vestirò di foglie e di fiori perché questo soffio che esce non sa più d’amante e non mi lascia più brividi lungo la schiena. Mi domando se questo è il momento più giusto, l’attimo in cui può accettare di tutto. Qui in piedi all’ingresso dove ancora non ho posato la borsa, così sudata dall’estate che picchia, trafelata dal traffico in perenne ritardo. Chissà se ci sono momenti più giusti dentro un giorno che muore, dentro una sera che nasce ed io ci cullo ostinata un segreto.
Eccolo ora sento che preme, che stringe per cercare il possesso, il rifugio per diluirmi nell’intimo i dubbi, un nido per depormi le ansie che lievitano a grumi nel suo cuore in delirio. Ma adesso glielo dico, sarebbe immorale accoglierlo ancora, contro natura sentirlo di dentro proprio oggi, proprio in questo momento. Appoggiata al muro mi sento alle strette, adesso glielo dico, non ho scampo, non ho via di fuga. Ora è ad un respiro dai miei capelli, un niente dalle mie labbra ancora aperte, chissà se s’accorge dell’odore? E quando vedrà che non porto mutande? Che mai le metto quando so d’essere sporca ed ho voglia soltanto di doccia?
Adesso glielo dico non ho altre scuse. Cosa mai potrei inventarmi? Quale pretesto potrà mai essere più giusto se da un mese non facciamo l’amore, se da un mese continuo a soffocargli il piacere non appena i suoi occhi hanno intenzione. Eccolo lo sento mi devo decidere, non lo posso guardare negli occhi, capire cosa pensa, carpire la sorpresa mentre gli dico che queste pieghe che tocca ora non sono disposte, e mai più lo saranno, perché quello che tocca è già pieno d’amore.
Adesso gliela dico la ragione che da un mese m’allontana distante, che oggi mi ha fatto tardare. Vorrei soltanto una sedia, un bicchiere d’acqua e un po’ di coraggio. Ma lui insiste, indeciso se dirmi puttana o cercare con gli occhi la luna, quel fascio impreciso che mi faceva più bella, quando ogni sera l’accoglievo nel letto, e ad occhi chiusi mi piaceva ascoltare, i passi d’amore che s’avvicinavano in fretta, le mani tremanti che mi scostavano il sesso.
Ha capito che ora non voglio, ma mi ama, mi ama davvero e mai m’accuserebbe senza averne certezza. Spinge per farmi crollare, mi preme per schiacciarmi la colpa, per dare un senso a queste pieghe sgualcite. Eccolo, è a un niente per sentirsi più uomo, ad un filo di pelle per farmi gridare. Ora, ora glielo dico! Lo sento, sa di uomo al culmine del desiderio, sa di sesso invasato di gelosia ed astinenza. Mi chiama ed ora sì che mi dice puttana, ma è un vapore di voglia, niente a che vedere con la mia gonna sgualcita. E non insinua, non cede ai suoi dubbi. Forse aspetta un momento più adatto, magari di dentro quando i fiati più grossi nascondono il senso delle parole e la vergogna che scema ci fa dire di tutto, quante volte l’ho preso e m’ha fatto godere, dentro una stanza immersa nel verde, dentro una macchina sotto il sole per strada.
Ora glielo dico! M’allontano d’un niente, schiacciata contro un muro che non vuole crollare, e darmi almeno la capacità e la forza di mettere in fila solo due parole. Perché se ci penso, davvero ne bastano due, sarebbero sufficienti per vederlo ammansire, per recedere in fretta dalle mie gambe che chiede.
Ora glielo dico! Ma avevo pensato davvero alla luna, a quel fascio di luce che mi sfiora più bella, alle sue mani di padre alle carezze leggere, che delicate mi sfiorano i capelli ed il ventre, ma ormai non c’è più tempo. Credo che sia proprio questo il momento per dirgli che oggi non c’era un amante, che da sole due ore ho la certezza d’essere incita.
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Grazie Rebis
Bellissima storia, molto realistica
Pisellina… fantastico! Un buon mix di Femdom e umiliazione
Storia molto intrigante. Per favore, continua! :)
In tutte le volte in cui Maria ordina a Serena di spogliarsi, Serena rimane sempre anche a piedi nudi oppure…