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Racconti sull'Autoerotismo

Le loro tracce, su di me.

By 16 Agosto 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Ciò che segue è interamente vero, dalla prima all’ultima parola.
Solo i nomi propri, a causa della privacy, sono stati inventati dalla sottoscritta.

Timidamente mi osservavo allo specchio. Nuda. Completamente nuda. Il mio corpo che ancora poteva, ingannando, apparire verginale se ne stava lì, in attesa di essere soddisfatto.
Lo specchio sembrava parlarmi. Sembrava dirmi: “Perché hai questi occhi dolci, ma una bocca salata? Non è giusto, è proprio questo che ti rende bella. Bella come una rosa rossa. Le tue spine fanno un male assaporabile.”
La mano tremava, mentre sfiorava le mie labbra, le mie dita scorrevano leggere sulla bocca, si bagnavano, ne godevano. Lentamente scesi sul collo, e mi ritrovai a pensare alla lingua umida di Davide e ai suoi piccoli morsi accompagnati da sottili gemiti di piacere. Un brivido veloce mi percorse la schiena, e un sorriso mi sorse spontaneo sul viso.
Accarezzai i miei seni piccoli, proporzionati al mio fisico, tondi, morbidi, ed al centro due vivaci capezzoli presero vita, lucidi. Li sfiorai, piano, e una scintilla si accese dentro me. Posso ancora immaginare il piacere che Manuel provava nell’accarezzarli, nel nutrirsene, nel toccarli, nella capacità di renderli turgidi in pochi secondi.
La mano scese sul ventre, e lo accarezzò in tutta la lunghezza. Socchiusi gli occhi e mi lasciai abbandonare sul letto, come quando con Fede facevamo l’amore sperimentando le sensazioni che provavo nel sentire la sua bocca accarezzarmi l’ombelico, e lui voleva che io tenessi gli occhi chiusi, perché solo così potevo capire gli impulsi che mi regalava. Ricordo quando mi teneva stretta per i fianchi, e mi accarezzava e baciava il basso ventre, facendomi inarcare la schiena dal piacere.
Aprii le gambe, accarezzandomi le cosce lisce e sentì il mio frutto bagnarsi e contrarsi, regalandomi gemiti soffocati. Riscoprì la bambina ingenua che voleva sentirsi grande, voleva anche lei un “servizio completo”, come raccontavano le sue compagne di scuola. Aveva voglia di imparare, di sentire il respiro affannato di un uomo su di lei, voleva disperatamente “diventare grande”.
E alla fine il primo bacio, le prime carezze, e la prima volta. Stefan. I suoi occhi color smeraldo, i capelli disordinati sulla nuca, che lo facevano sembrare così bello e maledetto. Il suo tatuaggio sul bicipite, disegnato da lui, che rappresentava un bosco nel quale un lupo ululava alla luna piena. Il modo in cui maneggiava la sua chitarra, facendo sembrare tutto tremendamente romantico. La testa che un po’ girava, a causa dell’alcol, il ballo inventato solo per stringersi stretti, e poi le sue labbra sulle mie, la sua lingua morbida, le sua mani su di me.
Volevo essere la sua chitarra umana, volevo che tirasse fuori da me i suoni più dolci e gli assoli più lunghi.
Le mie mani scorrevano sempre più avide per scoprire il piacere che dentro mi stava dilaniando. Mi accarezzai il clitoride, bagnato e rigido, e tutto intorno a me sembrò avvolgersi nel cellofan.
Le grandi e piccole labbra mi pulsavano, bollenti, e i miei movimenti si estesero fino a che le dita riuscirono ad entrarmi dentro come fosse il gesto più naturale del mondo.
Le unghie mi graffiavano, mi facevano il solletico, aumentando il mio grado di eccitazione.
Mi sentivo a mio agio, la luce soffusa che proveniva dai raggi di luna risplendeva sulla mia pelle abbronzata. Aprì gli occhi e la vidi, al di fuori della finestra. Piena, sembrava quasi finta, mentre nuvole e lampi le si avvicinavano e la sfioravano.
L’atmosfera perfetta per essere disegnata, dipinta da Fabio. Essere osservata mentre mi masturbavo, vedere come i suoi disegni potessero essere così realistici. Scorgere la sua erezione mentre disegnava, la sua mano spesso tremante che gli ostacolava la realizzazione di linee sinuose, come il mio corpo. E fare l’amore, sentire il calore del suo corpo, il suo sudore mischiarsi al mio, i nostri sessi uniti.
Le dita venivano ingoiate ad ogni contrazione, e le spinte con cui mi penetravo erano sempre più decise. Mi accovacciai su un fianco, morsicandomi il labbro inferiore e stringendomi il seno destro con il palmo della mano sinistra. Sentivo l’orgasmo ormai vicino, lo stomaco mi si contraeva per la rigidezza a cui era sottoposto. I gemiti mi uscivano lenti ed armoniosi, quasi fossero il motivetto di una canzone.
Il respiro si affannò, il sudore cominciò a prendere vita sulla mia pelle, i sensi sembrarono uscirmi piano dal corpo, la vista si offuscò e un calore piacevole si sprigionò da dentro il mio sesso. Lentamente diminuì la velocità di penetrazione, e un urlo liberatorio fece silenziosamente uscire gran parte dei miei umori, a causa dell’orgasmo violento.
Un sorriso si dipinse sul mio volto. Ero sfinita. A poco a poco la vista tornò nitida, il respiro regolare, e le dita raccolsero i miei caldi umori.
Ne lasciai la traccia sul mio ventre, sui fianchi. Tornai a marcare il seno, i capezzoli. Poi il collo, il mento, le orecchie.
Infine lo assaggiai, le dita si insinuarono nascoste dentro alla bocca, solleticando la lingua, che avida assaporò il frutto della precedente passione.
Sì, sapeva decisamente.. di pesca.
Iniziai a ridere. Era buffo come ogni parte del mio corpo fosse segnata da un uomo diverso.
Tutti a loro modo avevano lasciato il segno su di me, mi erano entrati dentro con dolcezza, con violenza, con passione.
Avevano avuto il mio corpo, mi ero lasciata dominare da loro. Su di me erano rimaste tracce di profumo maschile che solo il tempo poteva cancellare. Mi chiesi se anche io avessi lasciato il segno da qualche parte, nel loro corpo.

Domande, curiosità? Scrivetemi a jenmaybetonight@yahoo.com, oppure maybetonight@hotmail.it .

Un bacio,
Jen.

Jen

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