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Erotici Racconti

Poche parole

By 24 Giugno 2017Febbraio 3rd, 2023No Comments

Dopo le fatiche della giornata io mi rifugiavo nel mio adorato conforto serale dove proiettavano diversi film, però ogni sera con titoli differenti nondimeno in compagnia di quelle disagevoli e scomode poltrone in legno, malgrado ciò guarnita da una gradevole aria fresca che proveniva da correnti misteriose. Lei, per l’occasione, l’avevo notata al botteghino con quel volto imbronciato e risentito che le piegava il labbro inferiore, per il fatto che faceva parte d’un quartetto misto di persone, eppure aveva l’aria di chi avrebbe preferito essere da sola o probabilmente altrove. Io ero in quel frangente da solo, in quanto me la ritrovai per caso seduta a pochi posti non lontano da me, perché poco prima di scegliermi il posto avevo aspettato che lei si sistemasse con il suo gruppo, dato che mi era piaciuta la sua decisione di sedersi a un estremo dei quattro e non al centro, come fanno le donne che vogliono confermare ribadendo la loro importanza e perlopiù quando tengono ad avvalorare la loro insicurezza. 

Io in quel frangente m’accomodai nella stessa fila, qualche poltrona più in là, in maniera tale da poterla scrutare senz’attribuire la netta impressione d’infastidirla né d’indisporla. Ripensando velocemente al mio amico Pino però, lui si sarebbe indubbiamente seduto di fianco e l’avrebbe giustappunto martellata assillandola fino all’esaurimento con occhiate e sfioramenti infischiandosene della sua reazione, però che invidia. Io, invece no, perché non vado allo sbaraglio, dato che prevedo e temo lucidamente il rifiuto con quei tipi d’approcci, piglio sennonché le cose alla lontana, non c’è mai tempo abbastanza e in conclusione finisco con il restare nell’ombra a osservare l’occasione che lentamente sfuma, così anche quella sera scelsi al tempo stesso il desiderio e la distanza. 

La luce del grande schermo le faceva distintamente brillare gli occhi, giacché sembrava un ragazzo con i capelli corti, con quell’espressione dura e con il corpo insaccato nella poltrona, con i piedi allungati sul bracciolo della fila davanti, disinteressata e incurante della gonna che risaliva oltre il ginocchio, perché squadrandola per bene sembrava un ragazzo, tuttavia era enormemente femminile. Lei aveva scambiato solamente poche parole, tra l’altro brusche e sbrigative con l’uomo seduto accanto, mentre adesso teneva la spalla sinistra sollevata in evidente difesa marcando e segnalando il proprio isolamento. In questo modo lei era orientata verso di me, alla fine incrociammo i nostri sguardi, immediatamente seguito dal mio sorriso che però non corrispose. Io mi concentrai sul film, però poco dopo mi voltai di nuovo a sinistra e notai che mi stava guardando o almeno guardava nella mia direzione.

Il suo viso per l’occasione era più disteso, non dico che sorridesse, però quasi, io le mostrai il pacchetto di patatine e lei scosse la testa in segno di diniego, eppure quel rifiuto insolitamente creò un inedito contatto tra noi due perché ci guardavamo senza ritirare gli occhi nell’incrocio degli sguardi. In verità era un’espressione insopportabile e pesante la sua, carica di qualcosa che non riuscivo a decifrare né a interpretare correttamente, a ogni buon conto mi piaceva come una poesia o un quadro fantastico, irreale e trascinante che coinvolgeva animandomi e incoraggiandomi sempre di più.

Io non sapevo che cosa fare per dare un seguito a quell’intesa muta e sicura, in fondo però mi bastava, perché ogni volta che mi giravo la trovavo lì ad aspettarmi, in quanto lei mi fissava in assenza d’imbarazzo però senza sorridermi. A questo punto cercai ancora il suo sguardo e questa volta lei mi fece un cenno minimo con gli occhi e d’improvviso s’alzò, io aspettai un minuto e la seguii facendo il giro largo per non incappare nei suoi amici, poiché i bagni erano deprimenti e desolanti, però lei non sembrava badarci, visto che m’aspettava là di sotto nel corridoio nei pressi d’una lampadina dalla luce di colore verde tenue ed era tranquilla. Come io entrai, lei mi portò un dito alla bocca per farmi tacere e con quello stesso dito indugio sulle mie labbra fino a schiuderle, io le accarezzai una guancia e mentre m’avvicinavo per baciarla m’afferrò la mano e me l’appoggiò tra i seni come se volesse farmi ascoltare il battito del suo cuore, io lo sentii spiccatamente palpitare sotto la gonna il suo vero cuore. 

In quel momento ci guardavamo negli occhi, dato che non vedevamo altro, rammento che s’appoggiò alla porta e sciolse la camicia annodata in vita, ricordo le mie mani ai seni, le mani aperte e la bocca scendere come una lumaca su quella pelle offerta, dopo sollevò come una tenda la gonna di garza, mentre io m’inginocchiai per baciarla tra le cosce. Forse in quell’istante fui piuttosto buffo, eppure mi piaceva troppo quell’ultimo ostacolo impalpabile e sottilissimo, ebbene sì, io la leccavo attraverso il tessuto delle mutandine, poiché sembravo un bambino che succhia il gelato senza scartarlo, visto che eravamo due amanti nudi separati unicamente da un lenzuolo. 

Credo che lei capì e decise di lasciarmi giocare come volevo accarezzandomi lentamente la testa, dato che aspettò paziente che finissi di giocare e compissi finalmente quel gesto atteso, così le abbassai le mutandine con i pollici aprendole le labbra umide come se fosse un’albicocca, giacché repentinamente trasformai in quell’istante la mia lingua in un docile e inoffensivo serpente. Lei aveva il gusto acerbo del vino novello, io prontamente ne degustai abbondantemente le sue deliziose e saporite secrezioni ubriacandola di piacere con la lingua, alla fine sollevai lo sguardo verso l’alto per ricevere il premio d’un sorriso e rimasi per l’occorrenza abbastanza attonito e stupito per la sua imprevista e inattesa reazione. Lei in quell’istante stava piangendo, in silenzio si passava il dorso della mano per cancellare cercando di sopprimere le lacrime che subito si riformavano, mentre io ero alquanto confuso e sconcertato per l’episodio: 

‘Che cosa c’è?’ – le chiesi io, alquanto agitato, preoccupato e addirittura spaventato per quell’insperato evento.

Adesso posso di certo affermare, attestare e ribadire, che da quell’attimo sono trascorsi più di vent’anni, in quanto oggigiorno ancora mi frastornano e mi rintronano solamente quelle quattro parole che le sentii pronunciare di getto quella sera:

‘Sposami se ti piaccio’.

{Idraulico anno 1999} 

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