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Racconti erotici sull'Incesto

Cinquina: Marta

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Ero appena tornato a casa, e Renata mi disse che Marta aveva telefonato. Aveva bisogno d’un vocabolario d’Inglese, urgentemente, perché doveva tradurre un articolo che l’indomani avrebbe dovuto leggere e commentare nella plenaria. Mi pregava, anzi, di aiutarla, e, quindi, mi attendeva subito, a casa sua.

‘Scusa, Renata, ma non poteva mandare suo marito a prendere il vocabolario? E poi, come mai non ne aveva uno in casa, visto che lei l’inglese lo aveva studicchiato?’

‘Calma, Piero. Il marito &egrave andato al paese, per certi problemi circa la proprietà. Forse il vocabolario ce l’ha, ma &egrave del tuo aiuto che ha bisogno. Sii cortese, aiutala. Facci un salto, sono certa che ti sbrigherai per l’ora di cena.’

La cosa m’infastidiva.

Marta era una donna strana, sempre rompiscatole. La conoscevo da quando era ancora ragazza e frequentavo la sua casa. Gli anni erano passati, ma si rivelava sempre una scassac’.

Fra le altre cose, alcuni atteggiamenti verso di me non mi erano mai stati chiari. Forse era la mia fantasia, e la mia presunzione, a farmi pensare certe cose’

Quella volta, aveva quasi diciotto anni, mi chiese di portarle un bicchiere d’acqua per prendere l’aspirina. Era a letto, accusando una febbre che il termometro, però, non registrava. Quando tornai, era seduta, con le coperte abbassate, la camicia quasi completamente alzata e, forse inavvertitamente (?) esponeva i riccioli scuri del pube. La guardai fissa, ma lei era distrattamente (?) intenta a mandar giù la pillola. Chissà se era medicinale.

Riteneva di esser attraente, interessante, di avere delle gambe bellissime. Si reputò, sempre più, una donna colta, per via dei sui studi universitari. Ma c’erano solo nozioni di memoria nella sua testolina. Non era brutta, no, ma le gambe, che tanto esibiva, scoperte e quasi mai unite, erano le caratteristiche meno appetibili.

Ci fu, poi, quel viaggio in auto, quando mi accompagnò, per un giorno, in un mio breve giro per motivi professionali. Non era ancora sposata, allora. Si mostrò civettuola, ammiratrice del cognatino che esaltava ad ogni pi&egrave sospinto’ Sulla strada del ritorno, era buio, eravamo seduti dietro, uno accanto all’altro, mentre l’autista guidava attentamente, senza fretta, come gli avevo raccomandato. Dopo poco, Marta fu colta da una sorta di sonnolenza. Pencolava. Finì con l’appoggiarsi a me, sulla spalla, con la mano sulla mia coscia. La posizione non le piaceva. Si spostò sul sedile e poggiò la testa sulle mie gambe. Sentivo il calore del suo respiro che avvolgeva il mio sesso. Non nascondo che dubitavo della necessità di quel pisolino, della inevitabilità di quella posizione, della casualità che il suo respiro andasse a finire proprio lì. In ogni modo, era una femmina giovane, non brutta. Non ci sarebbe stato seguito, certo, ma una carezza non ha mai lasciato lividi.

Le passai le dita sul volto. Le palpai una tetta. Niente di speciale. Sentii che le sue labbra cercavano di afferrare il mio sesso eccitato. O almeno mi parve così. In un certo modo ci riuscirono..perché s’era aiutata con la manina. Sempre’ distrattamente.

Per fortuna arrivammo a casa.

Ora le serviva il vocabolario.

Erano passati alcuni anni, da quando s’era sposata, ma non mi sembrava che si sentisse attratta dal marito. Credo che s’era decisa al passo per non essere da meno delle altre. Amava molto credersi ammirata, concupita. Di contro, invidiava tutto e tutti, cercando di nascondere il suo vero essere, senza riuscirvi sempre.

Parcheggiai nel cortile del suo appartamento, salii le scale, bussai.

Aprì sorridendo, in vestaglia da camera, accuratamente pettinata, truccata, con un’aria melliflua e affettata.

‘Ecco il vocabolario.’

‘Ciao, Piero, entra.’

‘Sei sola?’

‘Si, i bimbi sono andati al Circo, con la donna, e mio marito &egrave al paese.’

‘Vieni.’

‘Dove?’

‘Ho tutto sul tavolino della mia camera da letto. Tu la conosci vero? Prima abitavi tu qui”

La seguii

Sul piccolo tavolo erano alcuni fogli. Vi posai il vocabolario.

‘Posso togliere la giacca?’

‘Certo, sei nella tua vecchia camera. Ci hai lasciato ricordi?’

‘Veramente ho portato tutto con me. Non ho bisogno di ricordi. Vivo quotidianamente la realtà.’

‘A me sembra che queste pareti risuonino ancora dei vostri gemiti di piacere.’

‘Ora risuonano dei tuoi.’

‘Io non mando gemiti, non ne ho motivo.’

‘Ah!’

‘Perché non provi a darmene tu?’

‘A darti cosa?’

‘Ragione di gemere!’

‘Allora, ‘sta traduzione?’

‘Piero, voglio fare l’amore con te, &egrave per questo che t’ho chiamato. La traduzione &egrave solo una scusa.’

Mi guardava cogli occhi ardenti, le nari frementi, le labbra dischiuse.

‘Ma non sarai un po’ matta?’

‘Lo sono completamente, di te. Fammi conoscere l’ebbrezza, la voluttà, fammi gemere.’

S’era aperta la vestaglia, mostrando che non indossava altro.

In ogni donna io vedo la femmina, certo, ma quel suo fare m’irritava, m’indisponeva. Non avevo proprio bisogno d’una scopata extra moenia.

‘Vuoi gemere?’

‘Siii..’

‘Farai quello che voglio io?’

‘Tutto quello che vuoi, tutto”

‘Hai visto l’Ultimo tango a Parigi?’

‘No.’

‘Bene, te lo racconto io’ Che dici, ce la facciamo al burro?’

‘Al burro?’

‘Si, prendi un pezzo di burro e torna qui.’

Cominciai a spogliarmi. Restai nudo.

Quando tornò, con un panetto di burro su un piattino, rimase con gli occhi sgranati. Un gesto del volto disse che la mia erezione non la deludeva.

‘Ora, cara, togli la vestaglia, metti il piattino sul comodino, e mettiti carponi sul letto, voltandomi le spalle.’

Eseguì senza parlare, sorpresa, curiosa.

Le dilatai le natiche e ne cosparsi di burro il fondo, entrandovi più volte col dito.

‘Cosa vuoi fare, Piero?’

‘Aspetta e lo saprai.’

Mi cosparsi il glande di burro e lo puntai sul piccolo buco, finsi di spingere piano. Di colpo spinsi con violenza, con prepotenza, con crudeltà. ‘Ahi, Piero, mi hai fatto male, molto male, mi sento squarciata’ fa piano’piano.’

Non l’ascoltavo, stantuffavo a più non posso, tenendola per i fianchi, sempre più forte. Gemeva. Si lamentava, piagnucolosa.

‘Ohi’ ohi’ che male’ che dolore. Mi brucia da morire. Fermati, per pietà, fermati.’

Seguitai, imperterrito, spingendo con sempre maggiore furia, fino a quando non la riempii del mio seme.’

‘Questa crema ti servirà da balsamo. Stai bene, vero?’

‘No, sto malissimo, mi hai lacerata, e seguitava a gemere.

Uscii da lei, tornando, di quando in quando a spingere e lei si lamentava più forte.

‘Mi hai fatto male, Piero’ malissimo”

Andai al bagno, mi lavai, asciugai, tornai in camera. Lei giaceva ancora sul letto, come l’avevo lasciata, con la mano si toccava il fondo del sedere.

Mi rivestii.

‘Adesso, Marta, questi muri sono pieni dei tuoi gemiti. Faglieli ascoltare a tuo marito, quando torna. Non immaginavo che non l’avessi mai preso a quel modo. In ogni caso, c’&egrave sempre una prima volta. Vedo che t’&egrave piaciuto. Ciao. Ah, mi riprendo il vocabolario.’

Me ne andai.

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