Il portoncino verde scuro, a due battenti e con battagli d’ottone lucido, era sempre molto pulito, come se fosse stato verniciato da poco.
Aprendo, s’entrava in un piccolo ingresso. A sinistra una porta, robusta e protetta da un rinforzo in grossa lamiera, conduceva nel locale dove lavoravano le due signorine, intorno alla trentina, somigliantissime, e dove si riceveva il pubblico. La scala, di pietra levigata, portava al primo piano, l’unico, sul ballatoio. Qui tre usci, di fronte e ai lati.
Era un unico appartamento, ma facilmente divisibile. Bastava lasciar chiusa una porta, metterci davanti un armadio, o altro, e si avevano tre piccoli alloggi.
Avevo preso in fitto quello di sinistra: un ingresso, abbastanza ampio e luminoso, una vasta camera che poteva definirsi uno studio-letto, il bagno con tutti i servizi e un piccolo ‘pec’, lo scaldabagno elettrico. A fianco, una specie di cucinina, con un fornello elettrico sul piano di marmo.
Mobili chiari, artigianali, comodi, funzionali.
In quella che veniva chiamata la camera da letto, spavaonica, il letto, comodino con lume, comò specchiera, armadio con altro specchio nell’interno, scrivania a cassetti col piano in finta pelle verde, una poltrona, due sedie, un attaccapanni a piantana.
A fianco all’armadio una porta comunicava con l’alloggio di centro, e conduceva in uno spazioso ingresso detto ‘soba’, soggiorno. La chiave l’avevano le padrone di casa, Lenka e Anna, per entrare a rassettare.
Tutto era lindo e lucido.
Si poteva godere una certa riservatezza.
Lenka e Anna erano abbastanza silenziose, al massimo si sentiva della musica: la radio o il grammofono sul quale facevano girare dischi moderni.
Mi avevano chiesto se la musica mi desse fastidio, e risposi loro che, anzi, mi piaceva.
‘Allora’ -disse Lenka- ‘entri pure ad ascoltarla, anche quando non ci siamo noi, e se vuole, qualche volta possiamo fare quattro chiacchiere, specie la domenica, perché l’orario degli altri giorni non ci lascia troppo tempo. La sera, però, stiamo sempre in casa. Il coprifuoco, del resto, non ci consente di ritirarci dopo le undici. Beato lei che può girare quando e quanto le piace.’
‘In affetti’ -risposi- ‘non si sa dove andare, durante il coprifuoco.’
‘Si, ma si possono fare delle visite e tornare a casa anche molto tardi.’ Osservò Anna.
Erano gemelle. Per la somiglianza le avrei certamente confuse se Lenka non avesse avuto i capelli lunghissimi, dai riflessi d’oro.
Stessa statura, stesso personale, occhi perfettamente identici, di un azzurro profondo, dove sembrava sperdersi.
Avrebbero festeggiato ventinove anni fra un mese.
‘Siamo vecchie zitelle stagionate.’ -disse Lenka- ‘Colpa nostra, certo, ma è anche il tipo di lavoro che non consente di avere amicizie, e soprattutto l’amore, che dev’essere coltivato per potersi sviluppare. Altrimenti si tratta di qualcosa d’altro, che ha nulla a che fare col cuore.’
Eravamo rimasti in piedi, nel soggiorno.
‘Ma venga a prendere una specie di caffè in quello che chiamiamo il salotto.’
Andò ad aprire la porta centrale e mi fece entrare in un grazioso e accogliete locale, arredato con gusto e semplicità.
Anna mi fece cenno di sedere sul divano, accanto a lei. Lenka si scusò. Sarebbe tornata dopo poco, col caffè.
‘Come si trova in questo piccolo paese?’
‘Veramente bene. Le persone che ho conosciuto sono cordialmente cortesi, ospitali.’
‘E le ragazze?’
‘Vede, anch’io ho un lavoro che non mi consente di incontrarne molte. Ma sono molto belle, come lei e sua sorella. Anzi, non dite a nessuno la vostra età. Io vi avrei dato dieci anni di meno.’
‘Grazie, Tenente, è molto galante. Lei ha un qualcosa che i nostri uomini di qui non hanno. Sono rudi, forse anche noi donne lo siamo, e quasi si vergognano a dirci qualcosa di carino.’
‘Capita spesso, signorina, che non si sanno apprezzare i doni e le fortune che si hanno. Ma, forse, è più esatto dire che i vostri uomini esprimono il loro apprezzamento, la loro ammirazione, in una maniera molto spontanea, poco elaborata.’
‘Sarà come dice lei, Tenente, ma non sono mai riuscita a trovare il fascino slavo nei ragazzi di qui.’
‘Non so negli uomini, ma nelle donne è manifesto e seducente un qualcosa che solo voi avete. E’ questo, certo, che attrae, che ammalia. Lei e sua sorella siete vivi, palpitanti e inebrianti modelli.’
‘Lo sa, Tenente, che da ciò che lei dice, da come lo dice, finalmente comprendo perché ci si lasci ammaliare dall’uomo del Mediterraneo?’
‘Ma l’ammaliare è di voi sirene, signorina Anna.’
Lenka rientrò portando un vassoio sul quale erano tre tazzine, piattini e cucchiaini, caffettiera, lattiera e zuccheriera di porcellana, oltre un piatto con dei biscotti dorati e profumati. Poggiò tutto sul tavolino centrale.
‘Quanto zucchero, Tenente?’
‘Niente, grazie.’
‘Dicono che gustare il caffè amaro sia dei buongustai, vero?’
‘In effetti’ -risposi- ‘così, amaro, mi sembra più aromatico.’
‘Ho sentito’ -disse Lenka- ‘le vostre considerazioni intorno ai modi degli uomini e delle donne. Io penso che ognuno, specie in certi momenti, in certe situazioni, desideri le coccole. Piccole moine affettuose che non devono, però, sconfinare nella sdolcinatura, nel lezioso. E’ vero quello che dice Anna, i nostri uomini vogliono le coccole, anche se fanno finta di non gradirle, ma loro non ne fanno per tema di dimostrarsi deboli, effeminati.’
‘Vede, signorina Lenka…’
‘Chiedo troppo se la prego di chiamarci per nome. E’ vero che per lei siamo un po’… passate, ma non ci faccia pesare l’età.’
‘Grazie, Lenka, ne sono veramente lieto. E lascio cadere le altre sue parole perché sono certamente una battuta. Lei e Anna siete i più bei frutti che si possano sognare, le più belle fanciulle che si desideri cullare, carezzare, dolcemente. Coccolare. E’ bello mostrarsi deboli così. Noi uomini siamo deboli, lo sapete bene, ma vogliamo mostrare la scorza della durezza che spesso consideriamo manifestazione di virilità. Siamo come i bambini che vogliono apparire ometti.’
‘Tenente…’
‘Piero, per favore.’
‘Piero, Lenka ed io saremmo felici se questa sera potessimo averla con noi a cena. Sempre che non sconvolgiamo i suoi programmi.’
‘Accetto con molto piacere, e sono certo che mi sentirò meno solo. Grazie.
Adesso vi lascio alle vostre cose. So che la domenica pomeriggio avete sempre tanto da sbrigare.
Ci vediamo alle?’
‘Alle sette e mezzo, alle diciannove e trenta, va bene?
Se viene un po’ prima prenderemo l’aperitivo.’
‘Benissimo, arrivederci.’
Mi alzai, tornai nella mia camera, indossai il cinturone, presi la bustina e uscii.
* * *
Dora era nel bar, alla cassa, un po’ rossa in viso, febbricitante.
‘Mi sono alzata per poterti salutare, ma torno subito a letto. Ho un terribile mal di testa. E’ la tipica influenza del cambio di stagione. Vorrei tanto baciarti, ho anche la chiave del numero tre, che è vuota, ma non voglio contagiarti.’
‘Anche io desidero baciarti, abbracciarti… Andiamo su, prima che qualcuno possa vederci. Io sono resistente a qualsiasi germe o bacillo, o virus che dir si voglia.’
Mi sorrise dolcemente.
‘No, Piero, so bene che… prenderei freddo, e il male d’un giorno potrebbe durare a lungo e tenerci lontani per più tempo di quanto io possa resistere distante da te. Sono certa che domani sera potremo andare al cine, e tornare qui, insieme. Adesso è meglio che tu vada a spasso, o torni a casa a leggere qualcosa. Ciao, amore.’
Uscii controvoglia, andai alla mensa ad avvisare che non sarei andato a cena. Mi feci dare due bottiglie dalla riserva speciale del Generale, detti una mancia generosa al cambusiere, e tornai a casa.
* * *
Alle sette e un quarto bussai alla porta del salotto.
Lenka venne ad aprire.
Indossava un abito azzurro come i suoi occhi. Sembrava che le fosse stato ‘spruzzato’ addosso, tanto aderiva perfettamente alle sue splendide forme, esaltandole. La profonda scollatura, a volte velata dai lunghi capelli d’oro, mostrava che il seno, deliziosamente prepotente e rigoglioso, non necessitava di alcun sostegno. Tacchi più alti di quelli che normalmente portava, esaltavano la linea tornita delle gambe. Le mani piccole e aggraziate, le dita lunghe, affusolate, prive di qualsiasi gioiello. Solo al polso sinistro un braccialetto di perle, che richiamavano quelle degli orecchini.
Mi venne spontaneo di prenderle la mano e baciarla, prima sul dorso, poi nel cavo. Sorrise e abbozzò una lieve carezza.
‘Sempre galante, Piero, ed è una dolce insidia seducente.’
‘Non parliamo di seduzione, Lenka, il suo fascino affascina, incanta.
Mi sono permesso di portare un po’ di vino, bianco, frizzante. Spero sia di vostro gradimento. Avrei voluto presentarmi con una scatola di cioccolatini, ma…’
Sorrise maliziosamente, stringendo gli occhi.
‘Era difficile spiegarlo a… al bar…’
‘Più o meno…’
‘Venga, Piero, segga. Anna ci servirà l’aperitivo della casa: bianco sciroppo di mandorle, rosso di ribes, verde di menta, un bicchierino di borovica rakijia, ginepro. Lo abbiamo chiamato sloboda, libertà.
Noi spesso parliamo in croato, ma siamo e ci sentiamo Italiane. Volevo dirglielo fin dal primo momento, ma mi sembrava una dichiarazione non richiesta.’
Anna apparve con l’aperitivo.
Un vestito nero, anche questo attillatissimo e con una profonda scollatura esaltata da una spilla: una ‘A’ d’oro bianco tempestata di piccoli brillanti. Al polso un braccialetto d’oro e brillantini, orecchini dello stesso stile. Il casco dei capelli lasciava libero il collo, bello ed elegante.
Si chinò di fronte a me, porgendomi il calice, svelando alla mia estatica ammirazione le coppe rosee del suo seno, impreziosite dai due turgidi rubini che premevano il vestito.
Queste ragazze dovevano aver abolito ogni sorta di biancheria intima, non solo non si scorgevano le spalline del reggiseno, ma neanche i segni che, comunque, avrebbero lasciato gli elastici delle mutandine.
Alzammo i bicchieri e bevemmo in silenzio.
Ero seduto tra Lenka e Anna, sul divano stretto e sentivo il calore dei loro fianchi.
‘La vostra vicinanza, il vostro profumo, hanno su di me un effetto inebriante, come se in questo bicchiere aveste versato ambrosia. Il vostro è il profumo delle Dee.’
‘Allora, devi esprimere un giudizio, novello Paride.’ -disse Anna- ‘Quale profumo ti piace di più?’
Alzò la testa e avvicinò a me il suo collo. Dalla scollatura giungeva un effluvio delizioso.
‘Non puoi pronunciarti senza sentire il mio.’
Aggiunse Lenka, sfiorando il mio volto col suo meraviglioso seno.
‘Sono due profumi deliziosi, dolci e aggressivi nel contempo, invitanti, pieni di recondite promesse. Ma soprattutto mi sento avvolto ed estasiato dalla vostra fragranza, quella della vostra pelle vellutata, delle vostre labbra coralline…’
‘Hai vinto un premio, Piero. Se per te è un premio. Per me si.’
Disse Lenka. E con la bocca mi sfiorò le labbra.
Anna mi gettò le braccia al collo e mi strinse a sé.
Mi presero per mano.
Andiamo a cena.
Nella sala da pranzo, la tavola era preparata con cura e gusto. Due candelieri conferivano un tocco di particolare eleganza.
Vicino alla tavola una ragazza dai capelli quasi platino, vestita di rosso, statuaria. Mi sorrise.
‘Questa è Regina’ -presentò Lenka- ‘una giovane amica che è venuta a trovarci e, quando ha saputo che c’eri tu a cena, si è autoinvitata.’ -Strizzò l’occhio.- ‘Non siamo riusciti a mandarla via!’
Regina fece un inchino, come una dama del settecento, e mi tese la mano. Prese la mia e mi attirò a sè. Sentii il suo seno florido premere sul mio petto. Mi gettò le braccia al collo e mi baciò sulla bocca. A lungo.
Guardò Anna e Lenka, con aria di sfida.
‘Credevate di lasciarmi all’asciutto, eh?’
Anna scosse le spalle.
‘Sediamoci’ -disse Anna- ‘Piero e Lenka da quella parte, Regina di fronte a Lenka, perché ha il piedino indiscreto, e io accanto a lei.’
Regina fece una smorfia, e mostrò la lingua ad Anna.
Lenka sedette accanto a me. Avvicinò il suo volto al mio, poggiò la sua mano sulla mia gamba.
‘Mi auguro che la cena ti piaccia. Non ti dico niente. E’ una sorpresa.’
* * *
La cena fu ottima.
Eravamo tornati in salotto.
Il vino ci aveva reso allegri.
Regina era sul divano e si stringeva a me, muovendosi continuamente, facendomi sentire la carezza del suo corpo invitante.
‘Anna’ -disse Regina- ‘perché non balliamo? Tu hai dei dischi molto belli. Metti uno slow…’
Anna fece finta di non aver udito.
Regina si alzò e andò verso il grammofono.
Anna la guardò con un certo senso di fastidio.
‘Kraljica, non è il caso!’
‘Come l’hai chiamata?’ Chiesi.
‘E’ il suo nome originale, poi lo ha tradotto in italiano.’ Rispose Anna.
‘Kra’ -seguitò Anna- ‘attenta al coprifuoco. Non è per mandarti via, ma non fare tardi.’
‘Non preoccuparti, Anna, abito di fronte, basta che me ne vada due minuti prima delle undici.’
Regina era invadente, esuberante.
Anna e Lenka mi guardarono alzando le spalle.
Anna sedette accanto a me. Mi sussurrò:
‘Scusa, sai, ma non è stato possibile mandarla a casa prima di cena. Ci sta rovinando la serata. Dovremo rifarci presto. Lenka ed io stiamo veramente bene con te.’
Mi avvicinai al suo orecchio.
‘Si, è un vero peccato. Ma io resto qui e, spero, a lungo.’
Mancava qualche minuto alle undici.
Regina salutò tutti, con grandi baci e abbracci, e uscì. La sentimmo scendere le scale, aprire e richiudere il portone.
Comunque la serata stava finendo così.
‘Col dolce negli occhi e l’amaro sulle labbra.’
Concluse Lenka.
‘Domani dobbiamo alzarci presto’ -disse Anna- e dobbiamo rassettare tutto adesso.
‘Scusaci, Piero. Buona notte.’
Un lieve bacio sulla mia guancia.
‘A domani, Piero.’
‘A domani ragazze.’
Lenka sfiorò le mie labbra.
Tornai nella mia camera.
* * *
Mi spogliai lentamente, piegai accuratamente i vestiti a mano a mano che li toglievo.
Mi preparai per la notte.
I suoni soffocati che s’erano sentiti provenire dalla sala da pranzo erano cessati. Tutt’intorno era silenzio.
Entrai tra le lenzuola e, alla luce del lume sul comodino, cominciai a scorrere il giornale.
Mi sembrò sentire un lieve rumore, come il grattare di gatto che vuole entrare, nel piccolo ingresso dov’era l’uscio che si apriva sulle scale.
Mi alzai e, scalzo e in punta di piedi, andai ad origliare dietro quella porta.
Qualcuno sfregava le unghie sul legno.
Una voce soffocata mormorò: ‘Piero, apri, sono Regina.’
Girai piano la maniglia, socchiusi appena. Nel buio del pianerottolo intravidi un’ombra. Regina spinse la porta ed entrò. Mise l’indice destro sulle labbra, facendomi segno di non parlare.
Andò nella camera da letto, sedette sulla poltrona vicino alla scrivania. Mi guardò con un sorriso strano, seducente, attraente, ma con una sorta di maliziosa sfida negli occhi.
Parlò sottovoce.
‘Ho sentito delle voci per strada, mentre stavo per uscire dal portone, ho avuto paura, potevano essere degli ubriachi. Si sono fermati vicino al portone. Ho atteso che i si allontanassero. Quando sono andati via erano già passate le undici. Ho temuto che la pattuglia mi pescasse e mi portasse al comando.’
La guardai senza troppo credere a quello che diceva.
‘Non temere, adesso mi vesto e ti accompagno io a casa.’
‘No, aspetta un momento. A casa avranno già messo la spranga alla porta. Aspetta. Permetti che vada nel bagno?’
‘Va pure, è là.’
Entrò nel bagno, dondolando la sua grossa borsa rossa come il vestito. Accostò la porta, senza chiuderla del tutto.
Dapprima un certo silenzio, poi lo scrosciare dell’acqua nella vasca, ancora silenzio, quindi un sordo sciacquio.
‘Piero, puoi venire qui?’
La voce era sommessa.
‘Come, li?’ Chiesi.
‘Si, qui. Un momento. Parla piano, non voglio che ci sentano.’
Mi avvicinai alla porta, occhieggiando dallo spiraglio.
Era beatamente seduta nella vasca. I capelli legati sulla testa, le mani dietro la nuca, il petto proteso in avanti, sodo, turgido, solcato da piccole vene azzurrine.
‘Mi lavi la schiena?’
‘Ma come? ti sei infilata nella vasca… senza dire nulla…’
‘Vieni qui, passami la spugna sulla schiena.’
Non sapevo cosa fare, cosa dire.
Aprii la porta, entrai.
Regina era fantasticamente bella, uno spettacolo incantevole.
Mi avvicinai alla vasca, presi la spugna e la passai leggermente sulle spalle.
‘Più giù. per favore.’
Scesi ai fianchi.
‘Si, così. E’ bello sentire questa carezza…’
Si mise in ginocchio, poggiò le mani sui bordi della vasca, dietro di sé, porgendo prepotentemente il seno.
‘Anche qui, anche qui.’
Le sue labbra erano fiammanti, gli occhi socchiusi mandavano bagliori splendenti, le narici vibravano visibilmente.
‘Anche qui, Piero.’
Ripeté con voce roca, rovesciando la testa.
Lasciai la spugna. Carezzai lievemente la gola, giù, tra le mammelle, ancora, sul ventre palpitante, tra le gambe che imprigionarono le mie dita. Mi prese la testa tra le mani, mi baciò voluttuosamente, sapientemente, cercando la mia lingua e suggendola golosamente.
Era uscita dalla vasca. Avvinghiata a me, bagnandomi completamente il pigiama.
‘Andiamo a letto, Piero, adesso.’
Dall’attacapanni tolsi il lenzuolino e la avvolsi. La presi tra le braccia e la deposi sul letto.
Ero eccitatissimo.
Regina giaceva supina.
‘Piero, voglio far l’amore con te, adesso, ma sta attento, ti prego, sta attento tu che io non riesco a controllarmi.’
Andai dov’era la valigia, la aprii, in una tasca laterale v’erano alcuni profilattici.
‘Ha Tu, Regina, habemus tutorem.’
‘Si, questa sera è bene usarlo, altrimenti non so come andrebbe a finire. Baciami, carezzami come avevi cominciato a fare nella vasca.’
Mi sdraiai al suo fianco. Le baciai i capezzoli bruni, li lambii con la lingua, scesi sul prato fascinoso del suo pube, più giù. Dischiuse le gambe, mi prese per la nuca, stringendomi a lei, sussultando, palpitando, fremendo, vibrando come la corda dell’arpa al tocco dell’artista. Portò la mano alla bocca, cercando di soffocare il grido che sentivo salirle alle labbra, un gemito voluttuoso che andava crescendo insieme al pulsare sempre più frenetico che sentivo tra le sue gambe.
Poi, un lungo sospiro roco, il lento attenuarsi dei sussulti. Mise le sue piccole dita sulle tempie e mi tirò su di lei.
‘Adesso, Piero, adesso…’
Pochissimi attimi, dedicati al… tutore, e fui in lei.
* * *
Regina era piena di temperamento. Esigente, impetuosa, non dava segni di stanchezza, insaziabile, divinamente eccitante, è vero, ma pensai che era anche un po’… assatanata.
Volevo chiederle qualcosa, ma temevo di turbarla.
Le domandai, quasi distrattamente, se fosse fidanzata.
Si voltò verso di me, il seno sul mio petto, una gamba tra le mie, la testa sulla mia spalla.
‘Si, è in servizio militare. Non lo vedo da due mesi. Stano è un bravo ragazzo, gli voglio anche bene, ma da lui non ho mai avuto più di un inizio d’antipasto. E’ di quelli che… finiscono prima di… cominciare. Per lui baci e carezze sono solo parole del vocabolario..
Mi guardò negli occhi, prese la mia mano, la baciò, mordicchiò i polpastrelli, l’accompagnò lungo il suo ventre, sollevò la gamba che poggiava su me.
‘Senti’ -sussurrò- ‘freme ancora. Non immaginava che potesse avere tanto, che potesse godere così…’
Si accostò a me tremante.
‘Adesso devo andare, Piero, devo uscire prima che quelle là si alzino. Non so come fare, ma devo tornare da te. Non crederai che lasci la fonte della felicità che mi hai fatto conoscere.’
Ancora un lungo bacio. Si alzò, si rivestì in fretta, riprese la sua grossa borsa rossa.
L’accompagnai alla porta delle scale, la dischiusi cautamente. Lei scese piano. Non mi accorsi neppure quando aprì il portone, uscì, e lo rinchiuse.
Tornai in camera. Riportai il lenzuolino nel bagno. Detti una sciacquata alla vasca. Aprii la finestra per ricambiare l’aria.
Tirai bene le lenzuola che s’erano arricciate nel centro, le spruzzai con la mia colonia, ne misi sul cuscino. Anche qui aprii la finestra.
Tornai nel bagno, per la toletta del mattino e per la barba.
Indossai la divisa.
Un leggero bussare alla porta che portava nel resto dell’appartamento.
Andai ad aprire. Solo allora mi accorsi che la sera precedente non l’avevo chiusa a chiave.
Lenka, in vestaglia, con un vassoio. Caffè, latte, fette di pane, burro, marmellata. Entrò, lo andò a mettere sulla scrivania. Fece segno di sedermi. Si sedette di fronte.
‘Sono venuta a fare colazione con te. Vedo che sei già vestito. Questa mattina hai fatto più presto del solito. Ti chiedo ancora scusa per l’invasione di Regina, a cena. E’ un tipo che non conosce misura e discrezione.’
Assentii con la testa, senza parlare.
‘Ti imburro una fetta di pane? Preferisci la marmellata di mirtilli o di ciliege?’
‘Grazie, una sola fettina. Ciliege, mi ricordano qualcosa di incantevole che ho scorto ieri sera.’
‘Dove?’
‘Sul tuo seno.’
‘Ah, vai diritto al sodo.’
‘Si, al sodo, perché sono certo che così sei tu. Meravigliosamente soda.’
‘Puoi accertartene!’
E aprì la vestaglia sulla velata camicia da notte.
Mi alzai, andai alle sue spalle, le misi la palme aperte sul seno, sentii due grossi, rigidi, frementi capezzoli. Rovesciò la testa sulla spalliera, coi lunghi capelli che giungevano quasi al pavimento, dischiuse le labbra, la baciai con profonda dolcezza.
‘Lenka’ -sussurrai- ‘se il tuo cuore è duro come il resto, la punizione per me sarà tremenda.’
‘No, il mio cuore è tenerissimo, ma una punizione desidero dartela lo stesso: vorrei sentirti mio…’
Mentii spudoratamente.
‘Ho lasciato aperta la porta che mi divide dal tuo appartamento, ho atteso tutta la notte…’
‘Me o Anna?’
‘Te, Lenka.’
‘E se fosse venuta Anna?’
‘Non avrei potuto, certo, farle sospettare che preferivo te, ti pare?’
‘Sai proprio cavartela. Anche questo ti rende attraente. Ma è ora che tu vada al Comando e io scenda in ufficio. Sta certo, però, che Anna non sarà meno esigente. Ho proprio l’impressione che dovrai accettarci nel tuo harem. Ciao.’
Un lungo bacio, e uscì riportando sul vassoio quanto era restato della colazione.
* * *
Regina si rese ben presto conto che non poteva venire a trovarmi, se non voleva far sapere tutto ad Anna e Lenka.
Non si perse d’animo, però, e trovò una soddisfacente soluzione.
Ci saremmo incontrati dalla sorella, Biser.
Era sposata, ma il marito era al fronte, e lei occupava una grande casa, col suo figlioletto di tre anni.
‘Non preoccuparti’ -disse Regina- ‘Biser mi tiene il sacco, come io lo tengo a lei. E non credo che ti chiederà un pedaggio, in natura intendo, perché è pazzamente innamorata e gelosa di Mirko.’
‘Ma il marito è al fronte.’
‘Mirko non è il marito e non è al fronte. Se Biser ci provasse con te… io scriverei al marito.’
E così, la camera di Rico, il figlioletto di Biser, divenne nostra, con un gran letto a prova di capriole.
Regina diceva ai genitori che andava da Biser, e io raccontavo a Lenka e Anna che ero di servizio notturno.
Questo modo di vivere, però, non poteva durare a lungo.
Lenka voleva fare l’amore e poi dormire abbracciata a me.
Anna, pur senza dirlo, si proponeva di dimostrarsi più passionale della sorella. Per fortuna che anche lei amava dormire tra le mie braccia. Così potevo ogni tanto potevo dormire anche io.
Le sorelle avevano stabilito dei turni, in perfetto accordo, e qualche sostituzione era dovuta solo a ragioni comprensibili.
Con Lenka e Anna i rapporti erano sereni, distensivi, senza preoccupazione alcuna. Non sapevo cosa facevano per evitare di restare incinte, ma non intendevo domandarlo.
Quando, logicamente a turno, avevo chiesto loro se dovessi essere… cauto, mi avevano risposto di stare tranquillo e non preoccuparmi.
Regina, invece, aveva il terrore del concepimento.
Mi aveva detto che Biser era rimasta incinta di Mirko e che la comare l’aveva aiutata a uscire dai pasticci. Lei, però, non avrebbe saputo cosa fare. Niente comare, prima di tutto, quindi, o il figlio o la foiba. E, dato il carattere, non credo che scherzasse.
Riempiva il cassetto del comodino di profilattici. Ogni tanto, però, diceva che doveva ‘farlo’ senza, perché era più bello, ma che dovevo star bene attento al momento preciso, e tirarmi indrìo solo in quell’istante, né prima, né dopo.
‘Ti ga’ capìo? E sta pronto, tu che quando faccio l’amore con te mi me sperdo nel precipizio.’
Concludeva con un bacio voluttuoso.
Mi ero tenuto libero il lunedì sera. Cena a casa di Dora, qualche volta al cine. Sempre a parlare del nostro domani. Con serietà e regolarità. Come fanno due veri fidanzati.
Il riposo assoluto lo potevo avere solo quando, con una scusa, andavo a dormire in foresteria.
Una volta il Generale Sironi mi aveva detto:
‘Vedo che lei è molto occupato fuori del servizio, Orsini. Mi compiaccio. Anche io sono stato giovane e la comprendo, ma eviti comunque gli eccessi. Si diverta, in ogni caso.’
Mi batté una mano sulla spalla e si allontanò sorridendo.
* * *
Regina mi aveva detto che quella sera Biser ci invitava a cena.
Chiesi al Maggiore Marini di esonerarmi dalla mensa. Feci comprare da un collega dei dolci, al bar di Dora. Prelevai le solite bottiglie dalla riserva speciale. Mi venne in mente di acquistare un braccialetto per Regina. Magnani sapeva dove procurarlo. Roba nuova e a prezzi accessibili. Infatti, quando lo portò, in un elegante astuccio, mi complimentai per il suo gusto e per il prezzo. Li vende il padre di una ragazza che frequento, signor Tenente, e deve farlo di nascosto per non finire in galera o peggio.
C’era anche Mirko, e il bambino lo chiamava stric, zio. Un omone simpatico, grande e grosso, con delle mani che sembravano pale e un sorriso perenne su un viso non proprio sprizzante intelligenza.
Cena tipica locale.
Vino e dolci, portati da me, ebbero successo.
Poco dopo l’ultimo brindisi, Mirko sussurrò qualcosa a Biser. Capii solo krevet, letto. Quindi si alzò, mi strinse calorosamente la mano e uscì dalla sala.
Biser disse che avrebbe rassettato lei.
Regina ed io andammo nella nostra camera.
Sul letto c’era una elegante camicia da notte. Candida, con le spalline e il petto di pizzo, come pure il bordo inferiore.
Quando tornò dal bagno, completamente nuda, la indossò lentamente, mi venne dinanzi e girò su se stessa.
‘Ti piace?’
‘Splendida. Merita qualcosa che la ricordi.’
‘A questo penserai tu, amore.’
‘Già pensato.’
Presi l’astuccio col braccialetto e glielo porsi.
Lo aprì, lo guardò con occhi scintillanti di gioia che presto s’ombrarono di lacrime. Si voltò verso di me, mi abbracciò, con un lungo bacio.
‘E’ bellissimo, lo porterò sempre con me, giorno e notte.’
Tolse la camicia ed entrò nel letto.
Qualche istante dopo ero accanto a lei. Aprii il cassetto del comodino per prendere un profilattico.
‘No, tesoro, questa sera no.’
Cominciò a baciarmi, a carezzarmi.
Sembrava che i suoi sensi fossero più accesi del solito.
Spesso desiderava raggiungere il primo orgasmo con le carezze. Quella sera si pose su di me, come un amazzone. Fu lei che mi condusse a penetrarla. Rimase un istante ferma, con un profondo respiro, contraendo il ventre, muovendo i fianchi perché più profondamente potesse accogliermi, e cominciò una cavalcata voluttuosa, sempre più incalzante. Ricordando le sue paure ero pronto a fare quello che lei sempre mi raccomandava, e questa tensione prolungò, e di molto, il tempo che normalmente trascorreva prima di staccarci. Sembrava impazzita, i capelli scompigliati, il seno sussultante, il grembo sempre più fremente. Quando sentì che mi preparavo a lasciarla, mise le mani sotto le mie natiche, strinse forte, e il suo ventre si dissetò spillando fino all’ultima stilla. Così, ansante, sudata, si riversò su me, sempre stringendomi in lei.
‘Finalmente, Piero, finalmente. Non avrei mai immaginato che potesse essere così bello. Rifacciamolo subito, ancora, come prima, più di prima… E’ il paradiso in terra.’
La strinsi a me, e le sussurrai all’orecchio:
‘E adesso, Regina?’
‘Adesso, Piero, voglio un figlio tuo, al quale dare il tuo nome. Allattarlo, allevarlo, vederlo crescere, sempre più somigliante a te, in ricordo del tempo trascorso insieme e di questa notte in particolare. Non chiedermi nulla, adesso. Facciamo l’amore.’
Quella notte l’amore non conobbe stanchezza.
L’indomani, pensoso per quanto era accaduto, mi alzai prima di Regina. Giaceva supina, braccia e gambe leggermente divaricate, i capelli sul petto nudo. Voluttuosamente sfinita.
Aprì gli occhi, mi sorrise, mi mostrò il braccialetto che aveva al polso.
Quando lasciò il letto si fermò di colpo. Portò una mano alla fronte.
‘Sono stordita, Piero, ubriaca di te.’
Andò nel bagno, ne uscì poco dopo e prese a vestirsi, con gesti stanchi e lenti.
Io ero pronto per uscire. Era già l’ora di entrare in servizio.
Mi accompagnò alla porta che dava direttamente sulla strada.
Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime, le labbra tremanti.
Mi gettò le braccia al collo.
‘Grazie, Piero, grazie. Sono ebbra di te, piena di te, e spero per lungo tempo. E’ l’ultima volta che ci vediamo. Questa sera torna Stano, è stato congedato per motivi di famiglia. Domenica ci sposiamo e lasciamo il paese, andiamo lontano. Grazie, Piero, e addio.’
Tornò in casa e chiuse la porta.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…