Tatiana lo faceva “morire”: era un tipo sveglio e più napoletana dei napoletani. In due anni e aveva imparato tutto sulla vita della città, nonché del suo intricato sottobosco, persino le grandi e piccole manovre della mentalità camorristica: ormai la linfa, il sistema sanguigno della città.
Andava fiero di quella donna, il suo braccio destro. L’aveva voluta, ne aveva intuito le qualità, e ne aveva fatto una vera “signora”.
Certo, al suo Paese era una laureata, conosceva tre lingue, ma non sarebbe mai bastato. Tatiana lo sapeva molto bene.
Oggi, la russa sarebbe stata al capezzale di qualche vecchia italiana e, per seicento euro al mese, avrebbe subito il destino, come tante altre ragazze come lei.
Lui invece, con lungimiranza, ne aveva fatta la sua segretaria privata e le aveva cambiato la vita… un incontro fortuito aveva offerto a entrambi un’occasione irripetibile!
Lei, ora, ben diversa dalle belve che lo circondavano, era fidata, utile, praticamente indispensabile. Il resto, tutti leccaculo che lo blandivano solo per ottenere favori e privilegi, indolenti e papponi.
Naturalmente c’era anche chi lo temeva ma il dottor Corrado preferiva non volgere mai il pensiero a certi lati oscuri del suo ruolo “politico”. Non si poteva raggiungere il vertice senza compromessi; Corrado, però, era talmente potente e carismatico, che riusciva a limitare, al minimo indispensabile, qualsiasi contatto scomodo; spesso eludeva completamente certe “amicizie”, passando attraverso la schermatura di alcuni prelati, avidi ma compiacenti, che non temevano di “sporcarsi le mani”.
L’efficiente Tatiana gli aveva già procurato il disco “pezzottato” del film che avrebbero dato, quella sera, all’Ambasciatori. Vi diede una scorsa abbastanza veloce sul suo PC, per capirne la trama e imprimersi nella mente qualche scena saliente.
Il piccolo Nokia privato, irrintracciabile, vibrò: solo in due avevano quel numero. Era Cosimo:
– Dottò, sono pronto, mi posso “visitare” dalle otto alle nove! Buona giornata! –
– Dobbiamo deciderci per Fernando, che vuoi fare? Corrado spense la TV.
– Nemmeno un telegiornale in santa pace si può vedere? Niente, tanto già avete deciso, mandalo alla Bocconi! – sbuffò. Non era d’accordo. Con tutte le amicizie, con tutte le influenze su cui poteva contare alla Federico II, avevano deciso per l’Ateneo “alla moda”! Fessi loro, madre e figlio, pensò… ma alla fine era solo un “falso” dissenso, un fievole ricordo della sua figura di padre, che si era persa, smarrita tra tante altre. Come al solito, si sarebbe occupato dei problemi (qualora ce ne fossero stati) al momento opportuno: Milano, Napoli, che differenza faceva? Appena il figlio avrebbe finito di “giocare” a fare lo studente impegnato, Corrado lo avrebbe piazzato facilmente in uno dei posti chiave della “struttura” del Paese. Vitalizio assicurato! Così il ragazzo si sarebbe tolto dai coglioni e iniziato la sua vita, con 20.000 euro al mese, amen.
– Io vado a Tennis – gridò, al volo, la figlia Elvira. Poi tornò sui suoi passi, si avvicinò al padre per dargli un bacio. Gli sorrise, radiosa:
– E che fai? Tu mi dai il bacio… e papà non ti dà niente, tieni! – le passò una banconota senza nemmeno guardarne il valore.
– Rosà, stasera vado a cinema, ti spiace? E’ una prima, ci devo stare. – lei continuò a sfaccendare per casa, senza interesse.
La moglie non finse nemmeno di lamentarsi; Corrado aveva fatto bene i suoi calcoli, lei non avrebbe mai rinunciato al solito “Burraco” del venerdì.
Alle sedici, il Presidente tornò in ufficio, mandò via in anticipo Tatiana e avvisò i suoi tirapiedi che non c’era per nessuno; si fece mandar su un caffè e un brandy, cosa che capitava veramente di rado e si mise davanti al PC, giocherellando con i siti ma senza provare alcun interesse.
Versò poco meno del mezzo brandy nel caffè: l’alcool riscaldato nella tazza bollente, sfumò rapido, inebriandolo già solo con l’odore. Poi, il liquido caldo si posò nel suo stomaco; venne raggiunto subito dopo dal resto del liquore, che Corrado finì con avidità. Il sangue salì al cervello e l’uomo provò la sferzata emotiva che stava cercando.
Soffiò fuori l’aria dai polmoni, con forza come se fosse un gesto liberatorio, un rituale: Corrado stava cambiando. I suoi freni inibitori stavano cedendo e lui diventava un altro, almeno per quella sera.
Era già eccitato, era già su di giri!
Alle sette l’autista lo lasciò sotto casa; alle otto, irriconoscibile e vestito in maniera informale, chiamò un taxi e raggiunse la stazione del Metrò più vicina al Cinema.
Da li, avvertito degli orari, ripartì col trenino e, dopo cinque tratte passate in pieno anonimato tra la folla dei pendolari, arrivò a destinazione. La gente non lo riconobbe, lui non vedeva la gente, la sua mente era lontana.
Tatiana, intanto, doveva essere già arrivata all’Ambasciatori e si stava godendo il film, raccogliendo brochure e scontrini, che potevano tornare utili in caso di necessità.
Corrado era un uomo previdente e Tatiana una perfetta esecutrice.
– Mamma mia… e quant’è “bona”. – disse Giannino.
– Oh, è spostati, ricchione, mi stai toccando, col cazzo! – L’altro ragazzino si fece un po’ più dietro. lo spazio era poco; detestava Alfredo per quel suo modo odioso di esprimersi. Veramente non amava la compagnia di nessuno di quei ragazzacci; sua mamma lo metteva sempre in guardia. Erano aggressivi, pronti alla rissa; spesso lo prendevano in giro. Lui era più piccolo ed era affascinato da quella compagnia un po’ spericolata: aveva fretta di crescere. Per il momento, doveva sopportare.
Sopportare o soccombere! Per farsela solo con i soliti “amichetti” della sua età e del suo ceto, giocare con le figurine, frequentare l’Associazione… no!
Se lui non fosse stato un tipo avventuroso, se non avesse avuto il fegato per frequentare anche gli “scugnizzi”, quella sera non sarebbe stato acquattato, dietro la porta sgangherata di una cantina, per spiare Veronica.
Lei, nel basso di fronte, si spogliava di tutto, nella serata estiva. Che bellezza, Veronica. Viveva sola col padre, che la teneva segregata in casa e quando faceva il turno di notte, chiamava la nonna per controllarla. Ma la vecchia si addormentava presto e Alfredo, il più sgamato, sempre in cerca di ispirazione per tirarsi le seghe, a furia di farsi notare dalla giovane aveva scoperto qualcosa, qualcosa che aveva fatto la felicità della loro comitiva di piccoli depravati; qualcosa che aveva provocato tante di quelle eiaculazioni, nell’angusta intercapedine, dietro la porta rotta dello scantinato, da rendere il pavimento scivoloso.
Corrado era il più piccolo ed era pazzo di lei ma non riusciva a goderne appieno, la sua sensibilità aveva trasformato l’eccitazione adolescenziale in amore, lui seguiva quei vandali solo perchè la voleva ammirare. Detestava i suoi amici triviali che la riempivano di improperi, che la “inquinavano”, mentre sborravano, fremendo, per lei.
– Che troia, ho deciso: la prossima volta non mi basta che mi vede… entro in casa e me la chiavo! – Corrado rabbrividì, avrebbe voluto gridare, assalire quel maiale ma non ne ebbe il coraggio. Ora non vedeva nemmeno più tanto bene, aveva gli occhi pieni di rabbia e di lacrime.
Le undici, troppo tardi, troppo fuori dai suoi orari per preoccuparsi dei suoi.
Gli amici si erano sfogati. Era solo nel buio ma non aveva paura. Le lacrime si erano asciugate; era solo nel vicolo silenzioso. Aveva fatto una sciocchezza, se ne pentì ma era troppo tardi: un sasso, contro i vetri neri.
Il rumore secco era diventato assordante, nel buio della notte ma, per fortuna, nessuno si era affacciato. Il tempo che il battito del cuore ritornasse normale e poi sarebbe andato via, lasciando quel nascondiglio di fortuna.
Ma poi, la luce si accese e Veronica, in vestaglia, scese le scale e raggiunse la porta del basso: sembrava un angelo. I lunghi capelli biondi sciolti, brillavano, illuminati dalla luce alle sue spalle.
Il ragazzo aveva sentito tante cose, sapeva che qualcosa in lei non andava ma non poteva capire di più.
Sapeva che la ragazza era grande, aveva vent’anni, e quando il padre non la controllava, si spogliava per i ragazzi, sapendo che la guardavano allupati, dalla loro postazione.
L’aveva scoperto Alfredo. Lei si spogliava per loro, nuda, bella e abbondante, e loro si masturbavano per lei, sussurrando porcherie. Quando non passava nessuno, il suo amico smaliziato, avanzava un po’, giusto quel tanto per farsi vedere da Veronica, che guardava il suo membro eretto, incapace di staccarne gli occhi.
Corrado, nonostante la gelosia, era certo che lei fosse innocente e l’amava ugualmente, pure se si spogliava nuda.
Lei non sarebbe stata mai di quella merda di Alfredo!
Veronica lo vide, lui fece mezzo passo avanti; si fissarono a lungo. Poi Veronica girò la chiave…
Il sotterraneo era umido e buio, ma loro non se ne avvedevano, lui la carezzava goffamente, lei ne godeva senza capire. Veronica non parlava: era ritardata. “Ecco la parola che avevano usato” pensò il ragazzo, ricordando all’improvviso “Ritardata!”
Ma a vent’anni, Veronica era una donna ed era eccitata, e pure lui nonostante avesse cinque anni di meno.
Impacciato, maldestro ma reso pazzo dal desiderio, finalmente trovò la strada tra le sue grandi cosce e iniziò a spingere, forte, sempre più forte.
Poi, qualcosa in lei cedette e Corrado la pentrò.
Fu allora che Veronica cominciò a urlare. Spaventata e impreparata la poveretta era terrorizzata, e urlava. Urlava tanto, troppo… sempre più forte, e lui, terrorizzato a sua volta, le cominciò a stringere le dita intorno al collo: troppo, sempre più forte…
Veronica tacque e non urlò più; Corrado non riuscì a fermarsi, nonostante iniziasse a rendersi conto del dramma in cui si stava cacciando, eiaculò, provando un piacere amaro e colpevole; sfogandosi nel corpo della ragazza, senza vita.
– Buonasera, dottò. – Cosimo, depositò vicino al muro la Bottecchia nera e aprì la vecchia Punto, già pronta, parcheggiata presso l’ingresso.
– Dottò scusate per la macchina, sapete… – Corrado lo zittì con la mano aperta, ora era calato in una dimensione tutta sua. L’uomo, presidente di un piccolo impero istituzionale, si stava perdendo nel passato, stava tornando se stesso. Agli anni della gioventù, quando ancora non era nessuno, solo un ragazzo, uno studente come tanti altri. Automaticamente la sua mente stava ripassando la sua vita, tutte quelle emozioni che avevano segnato per sempre il suo destino, rendendolo il protagonista, oggi, di una doppia vita.
Dopo le 14, Cosimo, diventava l’indiscusso padrone dell’Ente Ospedaliero Universitario; nel pomeriggio, la struttura iniziava a languire, fino ad addormentarsi del tutto verso le 19. Dopo, restavano solo gli addetti di routine e naturalmente, il piccolo centro nevralgico dei medici di guardia, ma era lontano, a due chilometri, e non era neppure un Pronto Soccorso.
Corrado guardò Cosimo con la coda dell’occhio, gli dava fastidio quella presenza, eppure era inevitabile. Non che si potesse lamentare di lui, ma non avrebbe voluto complici; nessuno che conoscesse il suo vizio segreto.
Purtroppo era impossibile e, anche con Cosimo, aveva azzeccato la scelta! Ora, quell’uomo, gli doveva tutto. La sua vita era cambiata ma l’uomo aveva saputo gestire la sua fortuna; era ignorante ma acuto, un vero sicario. Adesso aveva una fedina Penale immacolata e una famiglia, serena e rispettabile, però tutti i suoi documenti e i suoi segreti, erano nelle mani di Corrado: i due erano legati a doppio filo. Un filo che non si sarebbe spezzato mai.
– Dottò, perdonatemi, – disse Cosimo entrando dal retro, nell’edificio silenzioso e tetro – lo sapete, non è per niente… ma ve lo devo dire: stavolta è una cosa meravigliosa, sul bene dei figli! – lui lo zittì ancora, ma deglutì per la sete del desiderio. Adesso era pronto, quasi fuori di sé, deciso a perpetrare ancora una volta il suo crimine, quello per cui non aveva mai pagato!
Corrado si chiuse la porta alle spalle e rimase da solo, non era più lui: era tornato il ragazzino innamorato, impazzito e terrorizzato che aveva fatto qualcosa… qualcosa che non si poteva dire a nessuno, nemmeno al prete. Solo sua mamma, forse, aveva capito, aveva collegato gli avvenimenti di quella orribile notte.
Terrorizzato per anni; manifestava crisi di panico molto vicine all’epilessia, era stato molto male.
Aveva venticinque anni quando una zia venne a mancare, si offrì di vegliare il suo corpo e le circostanze gli furono favorevoli. Quando si ritrovò solo, col corpo gelato della donna, non riuscì a resistere; una smania disgustosa ma irrefrenabile lo invase, salì sulla salma e la possedette come meglio poteva, fino a che, come un invasato febbricitante, si sfogò, mordendosi le labbra a sangue per non urlare nell’amplesso osceno.
Da quella volta iniziò ad accettarsi; ammettere con se stesso il vizio fu abbastanza liberatorio e cominciò a vivere meglio le sue paure, a sopportarsi per com’era.
A volte si sentiva addirittura superiore alla gente, per certi versi… loro non potevano capire; lui, Corrado, aveva un contatto diverso con la morte, un’intesa quasi soprannaturale.
Da ragazzo, lui aveva dato “qualcosa” alla morte, e la Morte lo ricambiava, adesso, rendendolo schiavo di godimenti che pochi potevano apprezzare, in tutta la loro tragica perfezione.
Entrò nella saletta.
Cosimo aveva ragione, che meraviglia: il cuore iniziò a battergli all’impazzata e le guance gli si fecero di fuoco. Per sventura la ragazza era rimasta coinvolta in una rapina, quella mattina stessa.
Il suo sicario gliel’aveva conservata in uno stato perfetto, l’aveva ricomposta e pettinata, le aveva persino messo una camicia da notte, nuova, tutta bianca.
Corrado sedette vicino al cadavere e l’accarezzò a lungo, le sollevò il busto, poi le gambe, la palpò, la strinse, e dal primo all’ultimo istante che passò nella saletta, ebbe gli occhi bagnati di lacrime, per il ricordo e le forti emozioni.
Una sola cosa lo urtò, come al solito, prima di cominciare l’atto, dovette indossare il preservativo. La prima volta, quarant’anni prima, fu salvato, tra l’altro, grazie all’impossibilità di rilevare il DNA.
Non poteva rischiare, era un uomo troppo in vista. Poteva succedere di tutto… dopo; lui stesso si poteva infettare, rovinandosi la vita e mettendo a rischio la sua illustre famiglia.
Il parossismo lo pervase a lungo, l’acme aumentò fino a che godette come una belva eccitata, e, per qualche istante, tutta l’aggressività e la bestialità ancestrale gli esplosero in corpo.
Tutto finito, ritornato in sé, abbandonò la stanza, poi la struttura; Cosimo conosceva il suo dovere, avrebbe pensato lui a tutto, come sempre.
Il Presidente adesso aveva bisogno di star solo . Solo, allontanandosi nuovamente dai suoi ricordi; i segreti e il vizio abominevole. Quell’infezione orrenda che aveva ereditato da un amore infantile. Veronica e la sua colpa lo avevano marchiato per sempre… ora, pian piano, uscito dalla frenesia della sua schiavitù, l’uomo di mondo si riprendeva, scacciando “il lupo famelico” nelle parti più recondite del suo Io.
Non fece neppure dieci passi… luci accecanti e improvvise lo abbagliarono, costringendolo a portarsi la mano davanti agli occhi.
Tatiana, alias, Marta Copenko, uscì allo scoperto comparendo dal nulla, si avvicinò a Cosimo, che guardava per terra smarrito e si fece consegnare una fotocamera speciale, che lei stessa gli aveva procurato il giorno prima.
I documenti dell’uomo, gelosamente conservati per poterlo tenere in pugno, erano, misteriosamente spariti dal nascondiglio dove li celava Corrado e, presto, sarebbero tornati nelle mani del vecchio, che li avrebbe fatti sparire per sempre.
Il Presidente era sbigottito e incredulo… non capiva. Credeva ancora che la sua “Tatiana” gli stesse facendo uno scherzo di cattivo gusto.
Lei, senza degnarlo di uno sguardo, chiamò qualcuno, alzando la voce:
– E con questa poveretta siamo a tre, sig. Pretore, adesso abbiamo tutto, foto e registrazioni! Tre anni di sacrifici spesi bene. – Gli altri agenti intervennero, informando Corrado dei suoi diritti, mentre gli mettevano le manette ai polsi.
La poliziotta si sentì improvvisamente libera da un grosso fardello; erano stati anni difficili e pesanti, le era costato molto vivere con quell’uomo. Lei lo conosceva bene, Corrado, mentre lui non sospettava nemmeno della sua esistenza.
Lo aveva conosciuto, capito, negli anni… aveva collegato le notizie e i verbali. All’epoca dei fatti aveva solo tre anni, Marta, e non aveva mai conosciuto sua mamma, morta nel darla alla luce.
Per Marta, l’unica mamma che poteva portare nel cuore, si chiamava Veronica, sua sorella… la “ritardata”.
L’aveva cresciuta con tutto l’amore e le attenzioni di una vera madre… poi Veronica andò in cielo e per Marta si aprì la porta della solitudine e del dolore: un vecchio e tetro Orfanatrofio di provincia.
Si voltò verso il Pretore, non sapeva se lui si rendesse conto della sua pena e non aveva nessuna intenzione di confessarsi con quell’estraneo.
– Ha una sigaretta? – chiese a bassa voce, poggiandosi sfinita sul cofano di una “volante”.
– Ma veramente lei non ha mai fumato… – disse l’altro, comprensivo ma un po’ allarmato.
– Lo so… – rispose lei.
©-Giovanna S. 2015
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
ciao ruben, mi puoi scrivere a gioiliad1985[at]gmail.com ? mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze...
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?