Attualmente mi trovo qua, appresso a ore di cose da nulla e di minuzie multiformi, alle spalle lascio definizioni molli e demarcazioni inconsistenti a seguito di miraggi senza fisionomie, dubbiosa e visibilmente frastornata, chiedo alla mente di raccogliere cercando di radunare quei lineamenti e quelle percezioni che il mio organismo m’ha affibbiato in questi ultimi giorni restituendomele. Dove conduce esattamente questo viottolo? Dove approdano infine quegli sguardi? L’intenzionalità e la volontarietà dell’essere è più ardua, impervia e talvolta più intricata di quella dell’agire e dell’attivarsi, eppure a volte si combinano abilmente, cosicché dal momento che sono realmente invogliata e ispirata mi lascio sennonché dondolare pacificamente dalla fantasia, dall’insofferenza e dalla noia: il cruccio, il dolore e la paura incoerente e irrazionale sono fiammate che confondono la vista ingarbugliandola, però rendono riconsegnando in modo più acuto e ingegnoso l’apprendere e il sentire: chissà, forse sarà e dipenderà anche da una questione individuale di carattere.
Una voce allettante al momento sussurra nel silenzio dell’ospedale: sciogli la tua testa dalle briglie di quegl’immensi perché, lancia al galoppo il mucchio dei desideri che ti scorrono dentro quando il dormiveglia apre le porte al sonno. Io sono sopita, non voglio pensare, non con questo grigiore né con questo rumore intorno, allora acutamente mi domando: come posso riottenere le utopie che fermentano agitandosi nella porzione più cupida e oscura di me stessa? Narrare di momenti che slittano sull’epidermide più a lungo dell’occorrente indugiando? Con curiosità e con delicatezza io le sento tardare sul calore che emana il mio stomaco, cerco d’ignorare tralasciando questo contatto sempre meno casuale: ecco, adesso è finito, sì, perché il lenzuolo ritorna accortamente ad avvolgere coprendo segretamente e silenziosamente gli abbagli, i giochi e le illusioni, visto che non è questo il luogo né il tempo.
Io ascolto accuratamente le maldicenze che accompagnano affiancando questo pomeriggio, giacché gli tengono compagnia spalleggiandolo opportunamente, così come la cenere che dà un aspetto più confidenziale e familiare alla brace del fuoco che arde nel caminetto. Sono come dei resoconti di vicende sparite, di amori vissuti e sfumati, compiuti e terminati rapidamente, storielle e pretesti di silenziosi sfioramenti, d’attenzioni, di tenerezze e di premure intime dette segretamente sulle panchette all’interno dei grandi giardini cittadini, perché hanno realmente una loro commovente e vivissima delicatezza, così come le donne che le raccontano affrante, angustiandosi e desolandosi al solo pensiero di non averle pienamente azzardate, verificate né giammai vissute. Al presente io scruto attentamente le fisionomie che diventano piuttosto sfavillanti, nel tempo in cui rievocano rinfacciando persino con rammarico, in conclusione affliggendosi e amareggiandosi di ciò che poteva essere e che in realtà non è stato.
La medesima cosa è ancorché per noi, che viviamo la libertà delle relazioni nutrendoci, mentre ci dibattiamo lottando nel vischio complicato e contorto e talvolta inesplicabile dei sogni. Io bramo la pioggia, smanio che mi scivoli addosso, rimuovendo quell’inattesa e appassionata fiammella che stanotte m’ha fatto attorcigliare le lenzuola tra le cosce, giacché capto marcatamente ancora le sue dita soffermarsi impercettibilmente sul ventre e premere immancabilmente sull’inguine: io m’asciugo con efficienza strofinando fino a far arrossare l’epidermide là di sotto, torno dalla mia zona protetta del sentimento che pertanto sonnecchia beatamente. In questo momento mi sento molto meglio, quest’energia però deve liberarsi, deve sciogliersi, allora esco con la vestaglia, cercando d’attraversare l’enorme corsia in penombra.
Un saluto a stento accennato e uno sguardo nella mia direzione appare quasi indeciso, distratto, forse non m’ha neppure notato, eppure i suoi occhi entrano sapientemente nei miei e devo perciò allontanarmi. Al ritorno trovo i miei ideali alquanto impensieriti e turbati, visto che mi hanno spostato di stanza, loro vorrebbero tenermi con loro, vegliare sul mio sonno assistendomi come già è accaduto, ma quel letto è destinato ad altri, pare così. La nuova dimensione è di tutto riguardo, una camera singola con il bagno, mio eremo e mia estasi in fin dei conti. Io ripongo gli oggetti e i tessuti con pacatezza, le mie divinità sorvegliano con piccoli movimenti del capo piantonando con dovizia la situazione, quasi a voler dirigere coordinando una sinfonia. Io sono senza esitazioni di sorta la loro inflessibile fanciulla, le mie stagioni da campare mi riconsegnano incantevoli ai loro amorevoli sguardi, che colgono qualsivoglia mio comportamento quanto una liturgia ben definita, è probabilmente lo è onestamente per davvero, cadenzato così com’è da fresche ore e da logori pensieri.
Io ammiro osservare mentre scende la sera e l’apprezzo assai, vado incontro alla notte tra le lenzuola candide, giacché esse sono una macchia di colore e pure d’attesa. Non so perché, però il corridoio silenzioso sembra annunciarmi segnalandomi una presenza, i suoi capelli scuri, il suo corpo asciutto, l’essenza odorosa dabbene di chi si è immediatamente sbarazzato dalla fatica quotidiana del lavoro sciacquandosi. Io non intendo fingere, eppure so che il momento previsto per i colloqui è a stento terminato, io so precisamente perché lui è qui, giacché rasenta l’arto superiore lasciato in disparte sul copriletto, allontana la capigliatura dalla faccia aspettando una mia istintiva reazione. Io resto immobile godendomi le sue dita ritrovate, eppure il fiato m’inganna, però subito s’affievolisce sotto il suo tocco. Io mi giro su d’un fianco mormorando qualcosa prima che lui agguanti il mio seno, perché attualmente è lui che mi sta dominando: uno strofinamento pressoché impalpabile sotto quella vestaglia per la notte per denudare in conclusione magistralmente il mio attrito e la mia tensione, la mia voglia di finta addormentata.
Io capto distintamente il suo respiro, mentre lui s’allunga accanto a me, so bene che dovrei contestare ribellandomi, perché lui infrange l’etica e viola spezzando il mio proponimento, la mia volontà, eppure io intercetto qualcosa che m’avvampa mescolandosi tra noi e tutto ciò parola per parola mi sciupa. Io posso scegliere, posso selezionare, abbandonarmi alla sua evidenza compatta che mi comprime, in caso contrario dovrei risvegliarmi e controbattere alla castità insultata? Volgermi per sorbirmi il suo bacio o aprire le labbra per opporre un rifiuto, altrimenti cacciarlo, scoprire moderatamente la sua epidermide cercando d’avvolgere le gambe che lui ha già risalito? Bella e insidiosa domanda: oppure giocare con il suo robusto cazzo proteso, o in alternativa allontanarmi da quella moina lusinghiera che cerca di disserrarmi, inarcarmi alla sua adorazione o contorcermi per liberarmi? Essere sulle spine e agitarsi, ovverosia battagliare perché non saccheggi la mia intimità? Adesso come mi comporto?
Lui si ferma per un istante, affonda gli occhi nei miei lasciandomi la scelta, però non io non sono abile né qualificata né valente nella posta del rimpianto, perché è un gioco con delle norme e delle regole tutte sue, così difficili, ermetiche e incomprensibili per questo mio corpo fuorilegge, che ha deciso in modo brigante prima della mia testa e che ora si rifugia riparandosi nel labirinto del desiderio senza ritorno. Io percepisco distintamente il suo sorriso sopra di me più che esaminarlo, giustappunto un attimo che la sua bocca copra avvolgendo la mia e che le sue mani aprano le mie gambe: adesso lo sento, lo avverto pulsare nel momento in cui scivola in me e intreccia le mani alle mie, prima d’iniziare un nuovo e penoso lento affondo, poi un altro ancora, straripante dell’intenzionalità d’aver sentito la mia voglia piena incondizionata sotto le dita.
Lui non mi lascia muovere, quasi non sa, giacché era perfettamente quello che desideravo. Questo suo essere qui sopra e dentro di me, dominando e sovrastando a ogni incitamento la mia frenesia, cedendo al mio ardore, finché io mi sciolgo interamente accanto a lui senza fine. Oppure forse lui lo immaginava per bene, per questo adesso si lascia cadere su di me come un gladiatore sfinito, però vincente.
Io al momento non riesco a muovermi e perciò rimango lì tra il letto e il sogno, fino a quando le tende s’aprono e la luce del giorno mi riporta il tuo sorriso, accompagnato dal profumo inequivocabile della fragranza del tè.
{Idraulico anno 1999}
Mah, scritto malissimo
Buongiorno. Ottimo inizio del tuo racconto. Aspetto di leggere il tuo prossimo racconto in qui tu e il tuo amico…
Ciao purtroppo non sono brava nello scritto, Se vuoi scrivermi in privato . delo.susanna@gmail.com
Per un bohemienne come me, che ama l’abbandono completo al piacere e alle trasgressioni senza limiti, questa è forse la…
Ho temuto che non continuassi… sarebbe stato un vero peccato, il racconto è davvero interessante