Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Big Ben

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Benedetto e Beniamino erano difficilmente distinguibili. Del resto erano gemelli omozigoti.

Dovevi guardarli bene, negli occhi, e notarne la differenza del colore: uno tendeva al celeste, l’altro al verde.

A rendere ancor più difficile la identificazione si aggiungevano i nomi. La loro mamma non aveva saputo fare meglio, li chiamava con lo stesso nomignolo, Ben.

Uno dei due, Benedetto, era Big Ben.

L’allora madre del mio fidanzato, Beniamino, me ne aveva spiegato, a modo suo, le ragioni: sia perché Benedetto era nato per secondo e, quindi, era il più anziano (sic!), sia perché era il più alto, infatti misurava centimetri 180,5, mentre l’altro fratello era solo’ 180 centimetri (arisic!). Quei 5 millimetri (sì, 5 millimetri) erano il ‘conmotivo’ del prefisso ‘big’.

Bei ragazzi, anche simpatici, ma non proprio uguali di carattere.

Beniamino era estroverso, allegro, un po’ giocherellone. Se devo dire la mia convinzione, non aveva ereditato, in materia di modo di fare, né la inclinazione artistica del padre, apprezzato e affermato direttore d’orchestra, né la pignoleria materna, medico internista. Lui gioca un po’ su tutto e tutti. Gli piace dare originali significati alle parole, privilegiando la sfera erotico-sessuale. La trombina, enzima del sangue, per lui é una ‘sveltina’, una scopatella una botta e via. Le tube di Falloppio sono i cappelli a cilindro del vecchio dottor Falloppio, Valtopina, in Umbria, é la valle formata dalle grandi labbra. Senza parlare dei pregiati sigari ‘Trabucos’ che, sempre per lui, sono i peli del perineo femminile. Non parliamo, poi, del mix anatomico-musicale. Se mi carezza tra le gambe canticchia ‘corde della mia chitarra’. E mi spiega che, a seconda delle razze, quella può chiamarsi, chitarra, banjo, balalaika, ukulele, e così via. No, per il didietro privilegia il mandolino, e solo per le Greche si riferisce al buzuki. Anche da marito, guardandomi alle spalle, mentre sono seduta alla toilette, nuda, mi dice sempre che sono il suo delizioso violoncello, e che lui ha l’archetto giusto per farmi vibrare. Mi bacia i capezzoli, i campanellini Le varie posizioni erotiche sono ‘variazioni di tromba’. E’ superfluo dire che l’atto del masturbarsi &egrave un assolo. Ogni tanto scherza, affermando che invece dell’ingegnere doveva fare la professione del padre che non termina mai di provare non solo la sonata, ma soprattutto l’introduzione. Se una donna non &egrave seduta a gambe strette, dice che quella predilige l’ouverture’ Il ‘cast’ &egrave ‘un uom che no’ scop’. Se, in campagna gli capita di passare davanti a un fico, china leggermente il capo, guardandolo, e lo prega di presentare i suoi omaggi alla’ signora.

Big Ben, occhi verdi, &egrave, invece, alquanto chiuso, non molto loquace, e ha scelto la stessa strada del padre, ma non il ‘chiasso’, come dice lui dell’orchestra, sebbene l’armonia che rapisce del pianoforte. E lui trascorre lunghe ore, instancabile, a bearsi dei suoni che magistralmente sa trarre dal suo incantevole ‘coda’ da concerto.

Quando decide di rilassarsi, inforca la moto e sfreccia spericolatamente.

Non mi ero resa conto di quanto m’attraessero, mi incuriosissero i suoi enigmatici silenzi.

Eravamo a metà ottobre, una di quelle giornate fresche ma con un sole splendente. Il mio Ben era andato a Trieste, per una consulenza. Chiesi a mio cognato di fare un giro sulla sua moto. Mi guardò a lungo, e disse che era felice di contentarmi, ma dovevamo andare piano, le strade cittadine e quelle immediatamente fuori l’abitato non consentivano allunghi.

Mi raccomandò di indossare qualcosa di aderente, e, logicamente, dei pantaloni. Misi fuseaux neri e una maglietta di lana, chiusa fino al collo. Big Ben mi guardò, con uno dei suoi rari sorrisi sulle labbra.

‘Sei provocantemente sexy, Leda.’

Scendemmo nella rimessa, mi fece indossare il casco, si assicurò che lo avessi stretto bene, mise il suo, inforcò la moto, mi fece segno di sedere dietro di lui.

‘Tienti ben stretta, ci sono sempre frenate e partenze che possono sbalzarti.’

Mise in moto. Partimmo lentamente, uscimmo dal garage, imboccammo la via molto trafficata. Si avviò alla periferia.

Mi piaceva.

Vedevo la gente scorrere come in un film. Ci inserivamo tra le auto, le sorpassavamo, ai semafori scattava per primo. Anche il suono del motore mi era gradito.

Poggiavo il capo sulla sua schiena, mi stringevo a lui. Le mani, senza guanti, perché li avevo dimenticati, erano gelide, glielo sussurrai. Mi disse di metterle nelle sue tasche. Le uniche erano quelle dei pantaloni. Le infilai, Un tepore delizioso, le dita, non del tutto casualmente, gli sfioravano gli inguini, mi sembrava di percepire i riccioli del pube. Forse era solo fantasia. Comunque era bello.

Rallentò, si volse appena verso me.

‘Che ne dici se andiamo a un motodromo poco distante?’

‘OK’

Riprese la corsa. Raggiunse ben presto la meta e andò a fermarsi dinanzi al bari, a fianco della direzione della pista alla quale chiese l’autorizzazione di fare qualche giro, con dietro la sua ospite. La cosa non era regolamentare, ma in quel momento non c’erano altri centauri e fu accordato il permesso a condizione che non eccedesse in velocità.

Ero rimasta accanto alla moto.

Entrammo nel bar. Mi consigliò di non bere troppo. Lui avrebbe preso un caff&egrave freddo. Lo imitai.

‘Ora, Leda, facciamo un paio di giri, senza correre troppo, però. Tu, mi raccomando, tieniti stretta.’

‘Come prima?’

‘Anche di più.’

La limitazione della velocità fu relativa, al secondo giro i tre chilometri furono percorsi in poco più di un minuto. Ero entusiasta. Così stretta a lui mi sentivo sicura.

Tornammo al bar.Togliemmo di nuovo i caschi.

‘Ti piace?’

‘Tanto. Posso provare a guidare io?’

Mi guardò non molto convinto sul come rispondere.

‘Lo sapresti fare?’

‘Certamente sotto la tua direzione. Io ho girato per lungo tempo con uno scooter 125. Generalmente in città.’

‘Va bene, andiamo in un piccolo spazio, in fondo, dov’&egrave la prima curva. E’ una specie di recinto per le prove delle moto. Mi raccomando, però, di non accelerare.’

Rimettemmo i caschi, inforcammo la moto, andammo piano dove lui aveva indicato.

‘Adesso, guiderai tu, io sarò alle tue spalle. Se acceleri troppo ti farò rallentare.’

‘OK’

Essere davanti su quel potentissimo bolide era tutt’altra cosa che sedere sulla sella dello scooter. Mi sentivo sicura, però, perché Big Ben era alle mie spalle. Il mio angelo custode.

Mi avviai lentamente.

Lui aveva messo le mani sui miei fianchi, le sentivo molto vicine, detti una occhiata e notai che non indossava i guanti, forse li aveva messi nel giubbotto, ma quanto sentii il suo petto sulla schiena compresi che erano andati a finire nella tasca posteriore. Più che sorreggere lui sentivo che mi sostenevano, mi tranquillizzavano. Non erano ferme, carezzavano lentamente, certo per rassicurarmi. Una lieve stretta la interpretai come autorizzazione ad accelerare. Questa pista, pur se molto corta, era a forma ovale, le curve erano ad ampio raggio, in lieve pendenza. Aumentai la velocità. Big Ben si accostò ancor più a me. Ecco, le sue dita, ora, erano salite, s’erano afferrate al mio seno, stringevano le mie tette che sembravano volessero esplodere. Sicuramente doveva essersi accorto che non indossavo reggiseno, ed anche che i miei capezzoli erano tutt’altro che insensibili. Da Big Ben, che, non lo nego, avevo spesso considerato dal punto di vista della sessualità, non mi sarei aspettata un attacco così rapido e diretto. Il bello era che non mi dispiaceva affatto. Adesso non capivo se a inebriarmi era la velocità o quel suo titillarmi insistentemente. La risposta, immediata e naturale, la dette il piacevole tepido distillare delle mie mucose vaginali.

Big Ben, mio cognato, era un maschio che mi faceva godere. Col semplice tocco delle sue mani! Non era una rivelazione inaspettata, piuttosto una conferma.

Mentre il mio Ben era in me, e mi piaceva, non posso negare che mi era venuto da pensare, qualche volta: chissà com’&egrave il tuo gemello!

Pensieri peccaminosi?

Che c’entra il peccato. Erano pensieri e basta.

Avrei voluto continuare così infinitamente. Big Ben mi sussurrò che dovevamo rientrare. Ci attendevano per il pranzo.

‘Non raffreddarti le manine, Leda, mettiti come prima.’

Era incantevole il lieve calore che mi dava quel contatto. Spinsi le mie mani, a fondo. Carezzavo la sua coscia muscolosa, sentii, a sinistra, qualcosa che diveniva sempre più consistente, direi, in verità, notevole. Forse cominciavo a rendermi conto perché lui era ‘Big’ Ben. Pensieri contorti. Forse. Ma quello era il sesso di mio cognato, e sentivo che a lui non dispiaceva sentirlo quasi avvolto dalla mia mano. Anzi.

Guidò lentamente.

Fui cauta, prudente, non volevo che perdesse il controllo.

Ecco, eravamo nel garage di casa.

Scendemmo dalla moto.

‘Grazie, cognato.’

Mi guardò fissamente.

‘Grazie a te, Leda.’

^^^

Da quel momento non fu più come prima, tra noi due.

Almeno per me.

Vivevamo nello stesso edificio.

Lui con i genitori, nel vasto appartamento al terzo piano. Io, con mio marito, a quello superiore. Una scala interna li univa, e, in genere facevamo vita comune, specie ai pasti. Mia suocera aveva lo studio-ambulatorio nei locali terreni, ai quali si accedeva dalla porta vetrina che dava nell’androne.

Big Ben mi diceva qualcosa, col suo sguardo. Ne ero certa.

Eravamo giunti quasi a Natale.

Eravamo soli, a colazione, con Betty, la cameriera che ci serviva.

Gli altri al loro lavoro.

‘Leda, sto preparando un concerto per il giorno della Befana, vuoi sentirne alcune parti. Ne sarei lieto, vorrei conoscere il tuo giudizio.’

‘Con piacere. Sai che adoro la musica, e il pianoforte in particolare.’

‘Andiamo?’

Ci alzammo, lui mi cinse col braccio, affettuosamente, e ci avviamo nel suo studio, al suo grande pianoforte. Sedette sullo sgabello, su un lato.

‘Siedi vicina a me.’

Era così stretto, quel mobile, che dovevamo per forza stare stretti, con le cosce che si toccavano, premevano.

Sollevò il coperchio, passò le agili dita sui tasti.

Provò un accordo lento, con la sinistra, tenendo la destra sulla mia gamba.

Ripeté più volte quelle note, in toni e combinazioni diverse, e l’altra mano le accompagnava, su di me. Mi sembrava l’inizio di una sonata malinconica, sentimentale, e mi pareva che la sua destra mi trasmettesse la melodia che andava misteriosamente possedendomi. Guardavo la tastiera, mentre il ventre mi tumultuava in un misto di piacere e spasimo. E quella sensazione seguitò anche quando lui, impiegò entrambe le mani per far scaturire dallo strumento una delle più struggenti e appassionate sonate che abbia mai ascoltato. Erano le notte ad avvolgermi, carezzarmi’ penetrarmi.

Quando lui cessò, di colpo. Quell’incantò svanì. Ma la realtà della sua carezza, sul volto, mi fece sognare ancora.

‘Ti piace, Leda?’

‘Sei incantevole.’

Al ballo dell’ultimo giorno dell’anno andammo tutti.

Big Ben era elegantissimo, bellissimo.

Il ballo lento che facemmo mi disse tante cose di lui. Mi teneva stretta, col seno sul suo petto, le gambe che s’intrecciavano, i grembi si cercavano, avidamente. Sì, era veramente Big Ben.

Quella notte il mio sposo rimase piacevolmente sorpreso per l’eccezionale ardore con cui lo accolsi e trattenni in me.

^^^

Era il momento di andare, come gli altri anni, a Cortina.

Big Ben aveva comprato una moderna e veloce motoslitta. L’aveva fatta spedire al solito Hotel. Si unì a noi.

I suoceri preferirono rimanere a casa.

Il mio Ben era riuscito a distaccarsi dalla sua febbrile attività, per qualche giorno. A me quel soggiorno piaceva moltissimo. A parte la neve, che pure mi attraeva, le comodità dell’albergo erano quanto di meglio si potesse desiderare. La vasta piscina riscaldata consentiva rilassanti nuotate, preparava alle discese che ci attendevano. Ero anche curiosa di sperimentare, per la prima volta, la sensazione di salire su una motoslitta.

Decidemmo di andare con una sola auto, quella nostra, tanto, generalmente, due vetture non sono necessarie durante le vacanze invernali. Trovammo il traffico non troppo caotico, e fu impegnativo solo nell’ultimo tratto. Usciti dall’autostrada. Alla guida si alternarono i due fratelli, a me non fu permesso. Il mio posto era accanto al guidatore.

Ecco, dunque, Cortina.

Il campanile era il punto d’incontro, specie nel bar dell’Albergo dirimpetto. Eravamo più o meno sempre gli stessi. Quasi ci dessimo un appuntamento.

Noi, però, preferivamo essere ospitati in un luogo non centralissimo ma dotato di ogni comfort.

Le camere erano l’una di fronte all’altra. Un angolo tranquillo. Lontano dall’ascensore.

Il mio Ben disse che voleva fare una doccia. Io preferivo una nuotata, prima della cena. Big ben era del mio stesso parere.

Ci saremmo incontrati in piscina, fra mezz’ora.

Indossai il mio ‘due pezzi’, sopra misi un comodo e pesante accappatoio, scesi al piano della piscina.

Ero li, sul bordo, quando Big Ben mi raggiunse.

Si fermò di fronte a me, col telo sul braccio. Aveva un’espressione che non saprei definire, tra l’ammirata e la compiaciuta.

‘Nessuna sorpresa, Leda, ma poterti contemplare in questa tenuta, in inverno, lontano dal mare, &egrave uno spettacolo incantevole. Troppo. Lo definirei provocante, eccitante.’

‘Addirittura provocante, per te che chissà quante donne, quante giovani hai potuto guardare in ben diverso look.’

‘Se permetti, sono io che posso giudicare le mie reazioni: tu, più giovane delle giovani, per me sei allettante, appetitosa, un bocconcino che si offre al bramoso sguardo di un goloso.’

‘Si vede che arrossisco?’

‘Si vede che sono’ eccitato?’

‘Dai, facciamo un tuffo.’

Chissà se traspariva la mia incontenibile eccitazione.

Nell’acqua mi dette alcuni suggerimenti sul come nuotare sul dorso.

Le sue dita, agili, erano dappertutto, specie sulle natiche.

Forse era uno sbaglio trascorrere insieme la settimana bianca.

^^^

La motoslitta era bella, piacevole. Ero seduta dietro a lui, ma la pesantezza degli indumenti riduceva il piacere della vicinanza, del contatto. Comunque, ero abbracciata a lui.

Ero sempre più perplessa sul come giudicare quella sempre maggiore, travolgente, irresistibile attrazione. Una frenesia impaziente. Sapevo chi era, cosa volevo, ma non volevo ammettere che il desiderio di lui fosse colpa. Lo bramavo come l’aria che ti consente di vivere, come il deserto ha sete di pioggia. Lo volevo in me, su di me, sotto di me, dinanzi a me, dietro me’ dappertutto’ in ogni possibile variante. Ogni parte di me lo implorava: gli occhi volevano ammirarlo, le labbra sentirne il sapore, le nari inebriarsi del suo profumo, le orecchie esaltarsi al suo respiro nel momento che lo possedevo, le mani carezzarlo’!

Il destino, talvolta, ti &egrave benigno.

Qualcuno potrebbe considerarlo favoreggiatore e complice di un peccato.

Ma quale peccato!

Beniamino fu chiamato d’urgenza a Milano.

Rimase indeciso sul come andarci.

La freccia delle dolomiti, un aerotaxi, o la sua auto?

Sperava di sbrigarsi al massimo in due giorni.

Disse che avremmo prorogata la permanenza a Cortina di una settimana.

Big Ben, era d’accordo, non aveva fretta a rientrare.

E così, subito dopo un leggerissimo pranzo, si avviò per la capitale lombarda.

Lo avevamo accompagnato in Garage.

Lo vedemmo allontanarsi.

^^^

Tornammo in Hotel. Lui mi teneva per mano.

Andammo al bar, sedemmo in un tavolino d’angolo.

Lui ordinò due coppe di champagne.

Ero pensosa.

Anche lui.

Mi chiesi se ci accomunasse lo stesso pensiero.

Nel mio intimo lo speravo.

Ci tratteneva un sottile, impalpabile, velo di ipocrisia conformistica, di perbenismo di maniera.

Nello stesso preciso momento, le nostre mani si avvicinarono sul tavolino, si strinsero. E seguitarono a restare così, quando ci alzammo, andammo all’ascensore, salimmo al nostro piano, entrammo nella ‘sua’ camera.

Era già tutto scritto.

Non avemmo bisogno di parlare.

Nessuno toccò l’altro.

I nostri vestiti caddero sul pavimento, contemporaneamente, come se armoniosamente diretti dalla stessa bacchetta.

Rimanemmo nudi, uno di fronte a l’altro, ad esplorarci con gli occhi che andavano frugando quanto più bramavamo.

Sentivo che i miei peli erano arruffati, il mio seno turgido, le grandi labbra gonfie, la vagina umida e palpitante, i capezzoli eretti, non quanto, però, il suo maestoso, statuario, imponente fallo, che si ergeva dominante come lo svettante Big Ben.

Anche in quel momento, il pensiero non seppe rimanere ozioso.

Ben, si, era proprio Benedetto, e in quanto a Big non temeva concorrenza.

Sapevo che per me sarebbe stata la più grandiosa delle benedizioni.

Ci trovammo abbracciati,con le lingue golosamente cercatisi. E sapevamo che non dovevamo indugiare in alcun preludio.

Mi trovai sdraiata, sulla sponda del letto, con le gambe divaricate, e sentivo il suo poderoso brando farsi lentamente strada nel suo fodero che lo accoglieva con sconosciuta voluttà. Era il ‘suo’ fodero, il ‘suo’ rifugio.

Non ricordavo l’autore, né le parole precise, ma due versi dei Carmina Priapea, recitavano che ogni spada ha la sua vagina.

Noi ne eravamo la prova.

Avrei voluto che il mio grembo si dilatasse, si allungasse, per sentirlo ancora più in me. La mia mano era scivolata dalla sua schiena allo scroto, sentiva il piacevole muoversi dei testicoli. Quel tocco aumentava la sua eccitazione e ciò si ripercuoteva in me, nelle contrazioni che lo avvolgevano. La mia vagina era percorsa da continui, incalzanti, movimenti peristaltici, come di una vorace mungitrice che vuole svuotare il delizioso tentacolo che &egrave in lei.

Non so quando, e quanto godetti. Orgasmi inusitati, impetuosi, travolgenti, paradisiacamente appaganti.

Ad un tratto sentii come il crollare d’una diga, e fui invasa dal torrente del suo seme che si spandeva in me. Sensazione mai provata, mai immaginata. E fu meraviglioso quando giacque su me, sul mio seno voluttuosamente premuto dal suo petto.

‘Hahahae! Nunc denique, Leda’ Finalmente’ Stavo impazzendo”

‘Nunc denique, Benedetto, si, mio Benedetto e mia benedizione.’

La lunghissima attesa di quel momento non era ancora del tutto appagata.

Sentivo la mia topina che dopo il pasto aveva più fame che pria..

Ed &egrave risaputo che neppure il fulmine può buttar giù Big Ben!

Questa volta fu io a voler cavalcare il mio affascinante stallone.

Mi feci impalare lentamente, ed avevo deciso di procedere con passo lungo e controllato. Amazzone menzognera. Iniziai al piccolo trotto ma la cavalcata mi prese la mano, si trasformò in un galoppo febbrile, sempre più. Un crescendo rossiniano che le sue dita aumentavano, artigliandomi il seno, le natiche, titillandomi i capezzoli, e conobbi ancora vette per me fino allora inviolate, orgasmi indescrivibili, accompagnati da lunghi voluttuosi gemiti.

Questa volta fui io, a giacere sul suo petto.

Forse stavo affondando in un vortice di perdizione. Ricordo d’una frase letta chissà in quale romanzetto rosa, subito scacciata da un’altra, che più mi si addiceva: ‘e il naufragar mi é dolce in questo mare’

Scoprivo in me lati nuovi: una mai rivelatasi ingordigia sessuale, incapacità di controllarmi, una vera e propria smania di sentirmi ‘occupata’ da lui, non da un fallo qualunque, no, da lui. Volevo che mi invadesse, volevo sentire le sue spinte, decise ma non violente, a testimonianza del suo dominio, ma anche del mio possesso, e mentre lo pretendevo ben vigoroso, in me, m’inorgoglivo nel percepire quanto la mia passione riuscisse a sconfiggerne la baldanza. La sua potente arma, diveniva inerme. Per fortuna solo per poco. E con maggior fierezza constatavo il mio potere di porgli nuovamente la sua lancia in resta.

Da questi pensieri, un po’ intrisi di ricordi boccacciani, paladineschi’ passavo a linguaggi più’reali.

Dio, che scopate’ c’era da impazzire.

Com’ero diverso da tutte le altre volte.

Non ero stata mai attratta dalla fellatio, anzi mi ripugnava perfino immaginare un sesso maschile, non dico dentro, ma perfino vicino alla mia bocca. Ora mi scoprii che lo stavo baciando, leccando, così, ancora intriso dei suoi e miei umori, come una leccornia. E andava ingrossando, sempre più, assumendo le sue eccezionali proporzioni. Volevo sperimentare se riuscivo, ad accoglierlo nelle mie fauci. In fondo, quella parte non era più cedevole della vagina, attraverso la quale, sia pure in uscita, la natura aveva stabilito di fa passare un neonato. La mia bocca era anche ammirata, devo riconoscerlo senza falsa modestia, per essere ‘minuta e ben disegnata’, come avrebbe potuto contenere un simile siluro?

Forse dovevo solo limitarmi a picchierellare sul glande con la lingua.

La tentazione, però, era irresistibile.

Vediamo di farvi entrare almeno una parte della capocchia.

Le labbra si dilatarono, in modo che non avrei mai immaginato, quel grosso caldo e palpitante frutto, ecco, mi venne in mente un grosso cetriolo, era nella mia bocca, sempre più dentro, e sentivo che godeva al mio lento e voluttuoso ciucciare. Le sue dita scorrevano tra i miei capelli, regolava l’andamento della mia testa. Non volle eiaculare così. Si sfilò d’improvviso, mi fece voltare e, da dietro, s’introdusse fremente nella mia vagina pronta e impaziente di ricevere quell’assalto meraviglioso.

Non ho chiari ricordi, purtroppo, di quel che seguì.

Quando uscii dal torpore confuso in cui ero precipitata, mi accorsi che ero al centro del suo ‘grand lit’, supina, con le gambe semiaperte e le braccia lungo il corpo. Lui era inginocchiato sul tappeto, e muoveva lievemente le dita sul mio corpo: sulla fronte, sugli occhi, labbra, gola, seno, ombelico, ventre, pube riccioluto, valle della voluttà’ Lo guardai, aveva gli occhi chiusi, e seguitava a percorrermi tutta, da capo a piedi, da piedi a capo. Era bellissimo, e rimasi immobile.

Aprì gli occhi.

‘Ben..!’

‘Tesoro, voglio fissarti nella memoria, perché quando non sei vicina a me io possa descrivere le tue forme attraverso la melodia che le mie dita, ricordando questi istanti, sapranno far sorgere dalla tastiera.

La notte ci sembrò troppo breve, la natura non sufficientemente generosa per consentire l’appagamento della nostra insaziabilità.

^^^

La mattina dopo, quasi placati nei sensi, ma non nel desiderio, i nostri volti testimoniavano le celestiali mischie che avevamo disputato.

Solo per un momento mi ero sentita smarrita: quando, voltandogli la schiena, sentii quel grosso pennone pulsante introdursi tra le mie natiche, premere contro il mio piccolo, virgineo buchetto. Oddio, mi avrebbe squarciata. Del resto, non sapevo come comportarmi. Lo sgomento ne aveva decuplicato la dimensione, mi sembrava più grosso di tutta me stessa. Stavo immobile, nella tema che qualsiasi piccolo movimento potesse essere interpretato come incoraggiamento. Lo desideravo, Big Ben, con tutte le mie forze, ma quell’evento mi terrorizzava.

Decisi di tentare il tutto per tutto. Allungai la mano, presi il suo fallo e lo feci discendere un po’, posizionandolo all’ingresso umido della vagina. Spinsi il bacino, iniziò una meravigliosa, liberatrice, penetrazione. Per il momento il pericolo era scampato.

Dormimmo ancora così.

Fui svegliata dolcemente, con qualcosa che saettava in me, si ritraeva, tornava e mi lambiva, titillava il mio clitoride impazzito, rientrava. La sua lingua non aveva tregua.

Non era la prima volta che sperimentavo una cosa del genere, anche perché il sesso orale, fellatio o cunnilinguus, non mi attirava particolarmente. Ma &egrave proprio vero che est modus in rebus, per tutte le cose c’é una misura, un tempo

Tutto dipendeva da quando, dove, con chi, come.

Avevo tutte le risposte: adesso, qui,con lui, così. Proprio così. Stavo godendo pazzamente, e mi abbandonai a nuove sensazioni, a nuovo sconosciuto orgasmo.

Poi lo volli, di nuovo, ancora.

Dopo una rapida doccia rigeneratrice, scendemmo per la colazione.

Uscimmo, pigramente, curiosando nelle vetrine.

Ad un tratto Big Ben si fermò.

‘Entriamo.’

‘Dove?’

‘Perché?’

‘Entriamo.’

Era la più elegante ed esclusiva gioielleria di Cortina.

Big Ben sussurrò qualcosa al gentilissimo commesso, e subito fu presa qualcosa dalla vetrina e posta sul tavolino che era tra le poltrone nelle quali ci avevano fatto accomodare.

Un espositore rettangolare, non troppo grande, d’un azzurro elettrico, sul quale era posto un bellissimo cigno in oro bianco, con una splendente preziosa pietra azzurra al posto dell’occhio, e piccoli sfavillanti diamanti nella coda. Pendeva da una elegantissima collana, sempre in oro bianco, con una maglia particolare, molto bella.

Big Ben, me lo indicò.

‘Ti piace?’

Senza attendere risposta, seguitò un discorsetto che aveva tutta l’aria di essere preparato.

‘Vedi, tu sei Leda, e certo ricordi che la moglie di Tindaro, re di Sparta, fu amata da un cigno”

Cominciavo a capire.

Gli bisbigliai sottovoce, provocante.

‘Devo chiamarti Zeus?’

‘Non pretendo tanto”

‘Ma tu sei il mio Nume, Ben.. L’unico vero nume nel quale confido.’

‘Ti piace?’

‘E’ bellissimo, ma”

Big Ben si volse al commesso.

‘La signora desidera vedere come le sta.’

Il commesso prese il gioiello. Venne alle mie spalle.

‘Permette, signora?’

Alzai i capelli, lui sistemò il tutto, mi porse uno specchio.

Era favoloso, mi stava benissimo.

Big Ben mi guardava estatico. Mi parlò sottovoce, sussurrando.

‘Invidio quel cigno, ha trovato un rifugio incantevole, beato lui.’

‘Il mio rifugio non anela che accoglierti.’

Big Ben si rivolse al commesso.

‘Lo prendo.’

‘Ma’ sei matto? Deve costare una patrimonio”

‘Piccola cosa di fronte alla ricchezza che ho trovato in te. Desidero che tu lo porti ogni volta che vorrai ricordarti di me.’

‘Lo porterò sempre. Ma’ cosa potrò dire ‘ a lui?’

‘Che &egrave semplice bigiotteria.’

‘Mmmmm. Difficile a far passare un gioiello del genere per bigiotteria.’

‘Allora digli che &egrave un segno della riconoscenza da parte di un amante occasionale.’

Lo guardai severamente.

‘Dirò solo ‘amante’.’

Indossai subito il gioiello. Ogni tanto lo carezzavo.

Quando dopo il pranzo, leggero e delizioso, tornammo in camera. Mi denudai completamente, tenendo solo il monile che mi aveva regalato.

Non lasciai nulla d’intentato per dimostrargli la mia gratitudine. Ma non per il pur splendido cigno che negli occhi aveva il colore dei suoi occhi.

Beniamino aveva telefonato che sarebbe arrivato la sera, molto tardi.

Ci alzammo, sfiniti ma appagati, poco prima che giungesse.

^^^

Ogni storia inizia e finisce.

La nostra, tra Big Ben e me, per fortuna continua.

Da tempo.

Strano, sento che tutto ciò mi ha ancor più avvicinato a mio marito. Gli voglio bene, lo accontento, e sono contenta di farlo.

Ho scoperto che sono la donna che ama i contrasti. Bonvesin dalla Riva poneva a paragone la rosa e la viola, Giacomino da Verona parlava della Babilonia infernale e della Gerusalemme celeste.

Io mi divido, equamente:

Ora le viole del mio sposo, ora le splendide rose vermiglie di Big Ben. La sua magnifica rosa scarlatta.

A volte la Gerusalemme del mio Ben, sempre piacevole; più bramata, però, la travolgente Babilonia che non aveva più segreti. Né per me, né per lui.

Meno uno.

Sono certa che mi avete capita..

^^^ ^^^ ^^^

Leave a Reply