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Racconti Erotici Etero

Bocca chiusa

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Avevano bussato alla porta. Un breve din don del campanello.

Marina, seduta in poltrona, sfogliava un giornale illustrato. Allungò la mano e premette il pulsante sul quale era scritto avanti. La porta s’aprì silenziosamente e s’affacciò un cameriere.

“Signora, la colazione e i giornali. Posso servire?”

“Si, prepari pure e lasci tutto. Ci penserò io.”

Entrò col carrello.

“Vuole i giornali?”

“Si, grazie.”

Le porse i giornali, apparecchiò il tavolino.

“Serve altro, signora?”

“No, grazie.”

L’uomo uscì, spingendo il carrello, richiuse la porta senza fare alcun rumore.

Marina andò dietro la porta del bagno.

“Saro, colazione e giornali.”

“Finisco la barba e arrivo, questione d’un minuto. Se vuoi, comincia.”

“Nessuna fretta, ti aspetto.”

Tornò nella poltrona e cercò un quotidiano della sua città. Lo aprì distrattamente. Un titolo attrasse la sua attenzione.

Mentre leggeva, entrò Saro. In vestaglia. Sedette al tavolo sul quale era la colazione, e si rivolse alla moglie.

“Allora, non vuoi fare colazione?”

La donna s’alzò e, senza lasciare il giornale, andò a sedere di fronte al marito.

“Saro, ma Piero Frossi non é tuo cliente?”

“Si, perché?”

Gli tese il giornale.

“Leggi qui.”

Lui non lo prese.

“Ma non possiamo fare prima colazione? Che c’entra Frossi.”

Marina aprì il giornale e lesse.

‘Una pattuglia in perlustrazione ha rinvenuto il cadavere d’un uomo in Via Santa Maria di Gesù. Il corpo era disteso lungo il muro di cinta del piccolo cimitero dov’é la tomba di Luigi Mercantini. La morte é dovuta a due colpi d’arma da fuoco alla testa. Il cadavere é stato seviziato: gli é stata tagliata la lingua e messo un sasso in bocca. La vittima é Piero Frossi, titolare della Catef (Consulenza Assistenza Tecnica Frossi) persona incensurata, molto nota e stimata nell’ambiente della telematica. Il Frossi, che risiedeva nella nostra città da oltre dieci anni, lascia la moglie e una bambina. La polizia sta indagando nella vita privata della vittima.’

Saro, intanto, aveva versato il caff&egrave nella tazzina della moglie e nella propria, aveva messo mezzo cucchiaino di zucchero nel caff&egrave della moglie, e sorseggiava il suo, amaro. Scosse la testa.

“Frossi era una persona seria, tranquilla. Mai mi ha parlato di problemi personali, di minacce, lettere, telefonate, richieste o altro. A me lo aveva indirizzato Nibo Davoli, per essere assistito in una pratica di finanziamento. Da allora, ogni tanto mi ha chiesto qualche parere, soprattutto per i contratti che stipulava coi clienti, italiani ed esteri. Per quello che conosco di lui, deve trattarsi di un errore di persona. E’ inutile, non si può stare mai tranquilli. Adesso sbagliano pure bersaglio. Anche la professionalità del killer sta scadendo.”

Marina stava rileggendo l’articolo per la terza volta. La notizia l’aveva impressionata.

Saro s’era alzato. Vicino alla finestra guardava il traffico intenso della via sottostante, malgrado non ancora affollata di turisti, come al solito, specie in avanzata primavera, quando il clima invita al pigro star seduti in uno dei caff&egrave tra via Boncompagni e Porta Pinciana.

“Marina, io e Nino dobbiamo andare fin quasi all’Acqua Acetosa. Ci attendono all’Istituto, per dei finanziamenti dei quali non si riesce a ottenere l’approvazione. Ogni volta che vai ti chiedono un nuovo documento.

Bisogna avere pazienza. Non sappiamo quanto tempo saremo impegnati. Tu che programma hai per questa mattina?”

“Io non ho particolari programmi. Farò una passeggiata fino a Trinità dei Monti, scenderò in Piazza di Spagna e andrò in via Condotti per vedere se trovo qualcosa di carino da portare al preside. E’ stato così gentile. Mi ha detto che non dovevo preoccuparmi, potevo accompagnarti e divertirmi. Avrebbe chiamato la Platania, che sarebbe stata ben lieta di sostituirmi. Potrei aspettarti al Caff&egrave Greco per l’ora dell’aperitivo.”

“Facciamo così” -disse Saro- “aspettami nell’ultima saletta alle 13.30. Se ci accorgiamo di non fare in tempo ti telefono. Tu, entrando, chiedi alla cassa se c’é qualche messaggio per la signora Livoti. O preferisci che ci incontriamo alla Casina Valadier per il pranzo?”

“No, Saro, non mi piace mangiare alla Valadier. Se alle 13.30 non ti vedo al Caff&egrave, torno in albergo.”

Saro si vestì con la consueta accuratezza, prese la borsa di pelle, baciò la moglie sulle labbra, non di sfuggita, e uscì dalla camera. Chiamò l’ascensore, scese al bar.

L’attendeva Nino Davoli, il suo ‘giovane collega’, come lo presentava.

Nino si alzò e gli andò incontro.

“Ciao Nino, hai preso il caff&egrave?”

“Sono pronto.” Rispose Nino.

“Allora andiamo. Ho detto a Marina che contiamo di raggiungerla al Caff&egrave Greco per le 13.30. Speriamo di farcela.”

Uscirono, all’ingresso li attendeva l’auto con autista, che avevano noleggiato. Dopo poco attraversavano Villa Borghese.

* * *

Marina spazzolava i lunghi capelli neri, lentamente, senza fretta, distrattamente. Avrebbe indossato un leggero tailleur sportivo, molto comodo. Si guardava nello specchio, in slip e reggiseno. Avrebbe messo il collant. Senza calze non si sentiva elegante. Chissà se aveva fatto bene ad accompagnare il marito a Roma. Lui aveva insistito e Lucia l’aveva incoraggiata. Lei aveva tante piccole amiche. Le sarebbe mancata la mamma, ma l’avrebbe attesa senza problemi.

Saro, appena saliti sull’aereo, le aveva preso una mano e, stringendola, s’era poggiato sul tepido grembo di lei premendo ritmicamente tra le gambe, con studiata disinvoltura.

Era stato appassionato, ardente, nel vasto lettone dell’Excelsior.

“Sei sempre meravigliosa, Marina, ma questa volta hai superato te stessa. E dire che non volevi accompagnarmi. Sei bellissima, splendida. Prima di tornare a casa devo farti un regalo che ricordi questa notte.”

Le cose andavano bene da qualche tempo.

Marina aveva conosciuto Saro in casa di comuni amici. Si era da poco brillantemente laureata, col massimo dei voti e la lode, allo scadere del quarto anno.

Lui le disse di aver già brindato ai venticinque anni di professione. La invitò nel suo studio, nello stesso edificio in cui abitava. Una vecchia casa barocca, vicina all’antichissimo San Cataldo.

Per chi si avviava ad insegnare storia dell’arte era l’occasione per preparare una lezione sulle tre cupole rosse, sui merli di tipo arabo, sul mosaico pavimentale normanno.

Marina seguitava a spazzolarsi i capelli, guardandosi nello specchio. Era una splendida arabo-normanna: capelli neri, pelle appena ambrata, personale di proporzioni scultoree, occhi azzurri, seno eretto, splendidi fianchi delicatamente disegnati.

* * *

Durante la cerimonia nuziale officiata dal Vescovo, a Monreale, non era mancato qualche commento malizioso sulla diversa età degli sposi. Rosario, ricchissimo e stimato professionista, era anche più anziano della bella suocera, Angela, la mamma di Marina, la moglie di Nico Traina.

Parecchi si domandavano come mai Angela avesse consentito a quel matrimonio. Pochi sapevano, invece, che l’aveva perfino incoraggiata, viste per le floride condizioni economiche del genero.

“Tu, però” -le aveva detto la madre- “non devi rinunciare all’insegnamento: E’ un motivo per uscire di casa e puoi sempre dire che hai del tuo per campare, oltre, logicamente. quello che ti potremo dare noi quando vorrai.”

Marina, tutto sommato, sentiva di voler bene a Saro, e aveva riflettuto a lungo sulle parole della madre: l’amore sarebbe venuto col tempo. Un vecchio proverbio cinese dice che la persona saggia non sposa chi ama, ma ama chi sposa.

A differenza della madre, che era stata molto precoce in materia, lei il “vero amore” non l’aveva incontrato. Aveva avuto qualche simpatia, niente di più, e il suo carattere e l’ambiente in cui viveva, le facevano temere di restare zitella, di divenire una professoressa acida e occhialuta.

A letto, Marina, non poteva dire di aver provato gran ché. Non era del tutto sgradevole, ma non l’attendeva con maggior desiderio di una bella granita quando aveva sete. L’urgenza del maschio, come dicevano le amiche, il ‘settimo cielo’ che raggiungevano con ‘lui’, erano sensazioni a lei estranee.

Saro lo accettava, cercava di compiacerlo, a volte gli faceva anche credere di partecipare.

* * *

Un mattino, l’anno precedente, era entrata nello studio del marito, ritenendo che fosse solo anche perché la segretaria non le aveva detto niente.

Saro le presentò il ‘giovane collega’ Antonino Davoli, il figlio più giovane del suo vecchio amico Pippo che, dimessosi dalla magistratura, ora esercitava, e con successo, la professione forense.

Nino era un ‘bocconiano’, e Saro stava proficuamente sperimentando la fusione della scienza della Bocconi con la profonda e sottile esperienza della scuola siciliana.

Saro disse a Nino che, professionalmente, Marina e lui parlavano lingue reciprocamente incomprensibili. Marina insegnava storia dell’arte, materia astrusa per un finanziario come lui, e la moglie aveva una specie di idiosincrasia per le cose di economia e finanza, pur riconoscendone la essenziale importanza, specie nella realtà in cui viveva.

Marina si scusò , sarebbe andata subito via, non voleva disturbarli, era passata solo per ricordare al marito che avevano ospiti a pranzo.

Nino era restato in piedi.

Quando Marina gli tese la mano per accomiatarsi, lui si voltò verso Saro.

“Sa, dottore, che ho frequentato lo stesso liceo al quale andava la signora? Io, più grande, ero alcune classi avanti, ma nelle assemblee, nei corridoi, in qualche occasione, ci s’incontrava. La signora forse non ricorda queste cose, ma io rammento perfettamente la allora signorina Traina.”

Marina lo guardò con un leggero sorriso sulle labbra. Si scusava, ma non lo ricordava affatto. Del resto, come lui aveva detto, faceva parte delle ‘piccole’. Salutò e uscì.

Lo ricordava benissimo, invece. Nino era uno dei ‘grandi’ che loro, le ‘piccole’, guardavano con ammirazione, con golosità. Era uno dei più belli del liceo. Oggetto delle loro conversazioni. Ogni tanto qualcuna domandava: “ma tu Nino Davoli te lo…”. E non era necessario finire la frase, che era tutto un coro di sospiri: “magari!”

S’incontrarono sulla porta del Caff&egrave Greco.

“Come se avessimo un appuntamento qui” -scherzò Marina- “ma le borse, dove le avete lasciate?”

“In albergo” -rispose Saro- “ci siamo passati prima di raggiungerti e abbiamo messo in libertà l’auto. Se proprio non avete urgenza d’un aperitivo propongo di prendere un taxi e di farci accompagnare alla Rosetta.”

“Bene” -disse Marina- “così ammireremo ancora una volta il tempio di Marco Vipsanio Agrippa.”

“Nino” -intervenne Saro- “ascolta la nostra professoressa e impara. Ricorda che la scritta M.V.Agrippa, sul Pantheon, non si riferisce al famoso Menenio Agrippa, quello dell’apologo, ma a un altro.”

“Si” -proseguì Marina- “al console romano, amico e genero di Augusto, che ad Azio vinse Antonio e che fece edificare il Pantheon in onore di tutti gli dei, come dice il nome. Adriano, cent’anni dopo, lo dotò della cupola che ancora oggi si vede, di oltre 43 metri di diametro, e dal 609 &egrave Chiesa cristiana.”

I due uomini le batterono le mani e le fecero un profondo inchino.

Marina s’avviò verso Piazza di Spagna, al parcheggio dei taxi, alzando scherzosamente le spalle.

* * *

Il pranzo fu ottimo, il vinello dei Castelli superbo.

Usciti dal Ristorante, Saro spiegò il perché non aveva fatto portare il caff&egrave, a fine pranzo.

“Al bar di via degli Orfani si beve il miglior espresso di Roma” -disse- “e siamo a pochi passi dal locale.”

In effetti, il caff&egrave era deliziosamente aromatico e forte quel tanto che ci voleva.

“Andiamo a Piazza Colonna. é vicinissima, e poi in albergo.”

Saro prese sottobraccio Marina. E passo dopo passo, guardando le vetrine, nelle strade non ancora affollate, percorsero via del Tritone e s’arrampicarono lungo il primo tratto di via Veneto, fino all’Excelsior.

Nella hall, Saro dette la mano a Nino.

“Nino, noi facciamo un riposino. Tu regolati come vuoi. Eventualmente possiamo vederci questa sera, o lasciami un messaggio.”

“Ci vedremo questa sera, dottore, io resto in albergo. Buon riposo a lei e alla signora.”

Saro e Marina si avviarono all’ascensore.

Entrarono nella loro suite.

Avviandosi verso il bagno, Saro disse alla moglie che le sarebbe stato grato se gli avesse fatto compagnia.

Tornò poco dopo, in vestaglia si avvicinò al letto, fece cadere l’indumento e s’infilò nel letto, nudo.

Marina era entrata, a sua volta, nel bagno. Ricomparve poco dopo, nuda, e andò a stringersi al marito.

Non ci furono troppi preliminari. I riccioli di seta del pube di Marina erano un richiamo irresistibile. Sentì che erano elettrizzati, e le grandi labbra erano turgide, sode, invitanti. Saro la fece distendere su di lui. Lei divaricò le gambe, protese il bacino, scostò delicatamente le grandi labbra e poggiò il grosso glande del marito sul pulsante ingresso della vagina. Lo accolse piacevolmente. Si trovarono perfettamente all’unisono, fino al meraviglioso crescendo che li portò all’indescrivibile voluttà della conclusione.

Anche quella volta Marina era stata un’amazzone deliziosa e appassionata, raffinata e fremente. Scivolò al suo posto, ancora ansante, un po’ sudata. Restò supina, con gli occhi rivolti al soffitto.

Era stato bellissimo.

Si, da qualche tempo tutto era divenuto perfetto, tra lei e Saro. A letto non esisteva differenza d’età. Lei gli trasmetteva la sua prorompente e prepotente giovinezza, lo possedeva con eccitante raffinatezza, assumeva l’iniziativa, travolgeva Saro, con sapiente maestria, nell’ incantevole sinfonia dei sensi.

Saro aveva accolto con felice sorpresa quell’esplosione erotica. Aveva temuto di non poter corrispondere sempre alla esigente passionalità della moglie. Ma Marina sapeva intuire i momenti opportuni, spesso provocarli, sempre amministrarli.

* * *

Dopo la nascita di Lucia, Marina s’era dedicata quasi totalmente alla bambina, senza venir meno, però, ai suoi doveri di moglie e di insegnante. Con disponibilità e diligenza. Il rapporto col marito seguitava a percorrere i binari della normalità. Le diversità d’opinione non superavano mai i limiti di un’educata polemica. Del resto, per Saro ognuno poteva restare della propria opinione senza che ciò dovesse produrre attriti. Se qualcuno diceva che la neve era nera, era segno che quello così chiamava il bianco.

Era considerata una coppia perfetta, ideale. Marina ricambiava le carezze del marito, gli restituiva i baci, con un preciso senso del dovere. E quando lui la voleva era sempre pronta ad accoglierlo, mettendocela tutta per provare un po’ di piacere. In ogni modo, dava sempre l’impressione che le fosse piaciuto.

Saro, comunque, aveva cautamente interpellato il ginecologo di Marina e un sessuologo di chiara fama. Era stato rassicurato. Marina non era frigida, era una donna che poteva definirsi sessualmente non esuberante.

Lei, dal canto suo, si convinceva sempre più che anche nel sesso si manifestavano diversi tipi di appetito. Certo, pensava, ci sono più varietà di vivande, ma se il di cui disponeva era quello che era, a che pro’, eventualmente, tentare di stuzzicare l’appetito. Era giusto, in ogni caso, cercare di soddisfare le esigenze del partner.

* * *

Era ancora con gli occhi al soffitto, quando Saro si svegliò. La cercò con la mano.

“Sei sveglia?”

“Si tesoro, ma non mi sono mossa per non disturbare il tuo riposo.”

Saro guardò l’orologio sul comodino.

“Marina, vorrei avere vent’anni di meno…”

“Ma allora saresti un bambino, Saro.”

“Sei dolce, piccina mia. E voglio dire che per la mia piccola c’é una piccola sorpresa. Tra mezz’ora viene il commesso della gioielleria per farti scegliere il monile che vorrai. Meriti un premio, ma sarà sempre poco per te.”

Marina si girò dalla parte di Saro, gli si avvicinò, col seno premeva sul petto villoso di lui e col ginocchio gli carezzava il sesso. Poi s’alzò di scatto.

“Allora mi vesto, tesoro. Sono ansiosa di vedere cosa hai scelto per me.”

“No, Marina, porterà molti pezzi. Sarai tu a scegliere.”

E anche lui cominciò ad alzarsi.

* * *

In effetti, la valigetta del commesso conteneva un vasto assortimento di gioielli.

C’era solo l’imbarazzo della scelta.

Marina preferiva gli orecchini.

A mano a mano che le venivano mostrati, li guardava con attenzione e ne metteva da parte alcuni, per rivederli successivamente.

Di fronte al grande specchio della toletta cominciò a provarli,

Alla fine, era incerta tra due paia, ma era più il pensiero del prezzo che altro. Quei due rubini a goccia dovevano costare una fortuna.

Saro, guardando la moglie, aveva compreso la causa dell’indecisione della moglie. Le si accostò, le sussurrò all’orecchio:

“Sono meravigliosi, amor, splendono come i tuoi capezzoli quando fai l’amore.”

Si voltò al commesso.

“La signora prende i rubini. Venga di là che le do l’assegno.”

II

L’aereo, stranamente semivuoto, li stava riportando a casa.

Marina sedeva accanto al finestrino. Fila 9, posto A. Sola.

Saro l’aveva pregata di scusarlo, ma doveva esaminare con la massima urgenza alcuni documenti e gli serviva l’aiuto di Nino.

I due uomini erano nella fila davanti a lei.

Guardava fuori, distrattamente, senza prestare attenzione alla costa che andava allontanandosi. Si chiedeva, ancora una volta, se fosse o meno il caso di consultare un psicanalista. O forse era solo un mezzo per sfuggire alla realtà, per avere da altri la risposta che poteva benissimo darsi lei stessa.

Ora fissava le teste dei due uomini intenti a parlare sottovoce. Le conosceva benissimo, avrebbe potuto descriverle minutamente, in ogni particolare, senza tema di sbagliare. Entrambe.

Era inutile, però, seguitare a rimuginare sul come era iniziato

Lui s’era trova a passare, così, ‘per caso’ le aveva detto, per quella strada, dinanzi al loro vecchio liceo, proprio nel momento in cui lei, terminate le lezioni, usciva dalla scuola. E s’era offerto di accompagnarla a casa.

Quel ‘caso’ s’era ripetuto sempre più spesso.

L’attendeva oltre l’angolo, fuori dalla vista della custode curiosa e pettegola.

Lei, dunque, era oggetto delle attenzioni di Nino Davoli. Il ‘magari…’, scherzosamente sospirato con le compagne di liceo, le tornava in mente, le ronzava nelle orecchie, sentiva che le entrava nelle vene, nel cuore, nelle viscere. Per la prima volta desiderava un uomo. Quell’uomo.

Quando accadde, fu molto più di quello che aveva immaginato, sperato. Dall’acqua inodore e insapore, che attutiva insipidamente la sete, era passata alle delizie del più inebriante dei nettari, del più voluttuoso distillato che mai avesse sognato. Era bello aver sete, ardere per potersi dissetare a quella fonte, avidamente, all’infinito, perdersi nel nulla che la travolgeva nel vortice del godimento.

Aveva compreso il significato dell’essere avidamente femmina. Aveva raggiunto la piena coscienza del piacere. Aveva trovato la tessera che completava il meraviglioso mosaico della felicità.

Nino le sapeva donare tutto ciò.

Poi c’era stata quella mattina che le aveva fatto scoprire la realtà.

Dal balcone filtrava la prima luce dell’alba. Saro, svegliatosi, s’era poggiato su un gomito ad ammirarla. Marina dormiva, con un estatico sorriso sulle labbra dischiuse, il volto illuminato d’una luce che non vi aveva scorto mai prima d’allora, la camicia da notte, semiaperta sui capezzoli turgidi, lasciava scoperto il pube, le gambe un po’ divaricate, le braccia lontane dal corpo, le mani aperte, con le palme verso l’alto. Il respiro quasi affannoso.

Le carezzò il seno, baciò i capezzoli. Con la mano scese tra le gambe che si schiusero ancora.

Quando fu in lei la sentì fremere, sentì che gli intrecciava le gambe sui fianchi, lo stringeva, contraeva il ventre, col bacino sussultante per gustarlo più intensamente, completamente in sé, per possederlo, pazzamente, voluttuosamente, con le labbra che gli cercavano la lingua e la suggevano golosamente. Una smania che non aveva mai immaginato, in Marina.

Con gli occhi chiusi, lo tenne stretto tra le sue gambe, non voleva separarsene.

Aprì lentamente gli occhi. Era Saro!

E in quel momento comprese che il suo inspiegabile ‘blocco’ era superato, per sempre.

Saro le aveva dato, le poteva dare, più ancora di Nino. Si, di più, perché, malgrado il tumulto dei sensi, inconsciamente s’era sentita a casa sua, nel suo letto, a suo completo agio. S’era abbandonata come mai le era accaduto prima. Aveva goduto perdutamente, infinitamente in modo nuovo, diverso, insuperabile. Con lui, con Saro.

Fu il meraviglioso inizio dei loro nuovi rapporti.

Marina era rimasta confusa, anche turbata. Comprese, poi, e accettò con languido compiacimento, che era ben diversa da quanto altri avevano creduto e lei stessa rassegnatamente accettato,una donna sessualmente non esuberante. Sentiva, invece, di essere avida, golosa, affamata, prepotente, esigente. Nino aveva rimosso qualcosa in lei, e doveva essergliene grata, le aveva insegnato la strada del piacere dei sensi. Saro, ora, le aveva dimostrato che il piacere era in lei, e lo era sempre stato, solo che non aveva saputo, o forse voluto, farlo emergere.

Eccitanti gli incontri con Nino, ma quelli con Saro erano totalmente appaganti.

Ogni tanto tentava un esame introspettivo, anche perché, sia pure sorridendo nel pensarlo, le era sorto il sospetto di essere divenuta un po’ ninfomane.

Andò a trovare la sua compagna di banco, Carlotta Menga, neurologa e psicologa.

Carlotta finse di crederle quando Marina le pose alcune domande ‘per pura e semplice curiosità e senza alcun riferimento concreto’. E volutamente usò un linguaggio duro, poco professionale, che certo non avrebbe usato con una cliente.

“Vedi Marina” -le disse- “non bisogna confondere per ninfomania il sano desiderio di fottere, anche se pressante e frequente. C’é poi, come tu hai detto, il facile raggiungimento dell’orgasmo. E’ questo depone contro la ninfomania. Se poi, ci sono donne che l’orgasmo lo raggiungono in ogni scopata, e anche più volte durante lo stesso rapporto, beate loro, le invidio.”

Da allora le cose procedevano con piena soddisfazione di tutti, e in particolare di Saro che era felice di essere cercato, desiderato, sollecitato, stuzzicato, eccitato dalla moglie. Ed era anche orgoglioso, doveva ammetterlo, della sua virilità, alla sua età, sentendo gemere di piacere Marina. Cosa che non era mai capitata prima.

* * *

Il caso Frossi era sempre avvolto nelle tenebre più fitte.

I confidenti avevano assicurato che Piero Frossi era del tutto sconosciuto in certi noti e ben informati ambienti. Nell’organizzazione se ne parlava come di professionista validissimo, al quale s’erano rivolti anche loro, quando ne avevano avuto bisogno.

La situazione economica della società era fiorente. Il finanziamento a suo tempo ottenuto gli aveva consentito di fare un salto di qualità e di ampliare l’area dei suoi affari. Con la sua attività non pestava i calli a nessuno, perché era l’unico ad esercitare quell’attività. Era benvoluto dai suoi collaboratori, tutti siciliani, che inviava spesso a corsi di specializzazione professionale presso le più moderne e avanzate imprese europee del settore.

La vita familiare era regolarissima. La moglie s’interessava della parte amministrativa dell’ azienda. Non risultava che avesse, o avesse avuto, relazioni extraconiugali.

Renato Scuderi, Capo della omicidi, non capiva a chi mai potesse giovare l’uccisione di Piero Frossi e non si spiegava a chi era destinato il messaggio del ‘taglio della lingua e sasso in bocca’.

La scientifica aveva accertato che il corpo era stato portato nel luogo del rinvenimento quando la vittima era già cadavere.

Per il resto, profondo mistero.

Forse s’era trattato proprio di uno sbaglio, uno scambio di persone. Un altro caso irrisolto, come tanti altri.

* * *

Saro e Marina erano tornati a Palermo. Nino li voleva salutare all’aeroporto, avrebbe preso un taxi per tornare in città, ma Saro lo invitò con loro, lo avrebbe fatto accompagnare dal suo autista, una volta a casa.

Nell’atrio dell’edificio Saro chiese scusa alla moglie se non l’accompagnava di sopra, ma doveva passare per lo studio per vedere se ci fossero delle novità.

Marina lo sfiorò con un bacio e gli sussurrò nell’orecchio: “Grazie per i gioielli. Li terrò anche a letto, questa sera. Indosserò solo quelli.”

Saro le dette un’affettuosa pacca sul sedere e s’allontanò sorridendo. Pensava, però, che certe… prestazioni erano troppo ravvicinate, per lui.

Arrivato nello studio chiese la cartella “Frossi”. Quando gliela portarono, ringraziò e pregò la segretaria si chiudere la porta, uscendo, e di non passargli alcuna comunicazione. Prese dal blocchetto un foglietto autoadesivo e lo attaccò al fascicolo Frossi, vi scrisse: Nino, pensaci tu. Se la vedova é d’accordo possiamo seguitare ad assisterla noi.

Restò con una mano sulla scrivania e con l’altra si carezzò il mento.

Gli tornò in mente la visita di Piero Frossi.

Che strano modo di manifestargli la sua amicizia. E dire che i Piemontesi erano noti per la loro riservatezza e per il loro tenersi lontani dai fatti degli altri.

Ma che minchia gli era passata per la testa, a quell’uomo che s’era presentato con una faccia da funerale che portava iattura. Ma a lui, a Frossi, che gliene fotteva?

Aveva cominciato col dirgli che si trattava di cosa sommamente delicata e della massima segretezza, che non sapeva se faceva ben a parlare, ma era stato trattato con tale cordialità che riteneva suo dovere informarlo di tutto. Poi, come se si cavasse i denti da solo, e senza anestesia, raccontò che per il montaggio di alcune particolari apparecchiature era stato a casa del dottor Davoli, e aveva intravisto, nella camera adiacente allo studio, la signora Marina, sua moglie, la moglie di Saro, non proprio vestita, tanto che in primo tempo aveva creduto d’essersi sbagliato. La sua abitudine all’indagine gli aveva suggerito di accertarsene. Aveva atteso in auto, dall’altra parte della strada, e aveva visto la donna uscire al braccio di Davoli. Non c’era dubbio, era la signora Marina. Aveva scattato un paio di foto. Poteva trattarsi di una situazione occasionale. E s’era presa la libertà di intercettare qualche telefonata e di registrare alcune immagini trasmessegli dall’apparecchietto che era stato facile montare e smontare quando aveva assistito i tecnici nella installazione di un sofisticato sistema d’allarme nella casa di Nino. Gli aveva portato nastri audio e video. Eccoli. Lui, logicamente non conservava nulla di tutto ciò.

“Non sapevo che vi interessaste anche di antifurto” -disse Saro- “ma cosa c’entra tutto questo con la telematica?”

“Alcuni nostri sistemi d’allarme” -rispose Piero- “a richiesta sono collegati con microcamere che registrano in loco e trasmettono alla nostra centrale.”

“Ah” -proseguì Saro- “e chi é il tecnico che ha provveduto alle registrazioni di cui lei mi dà i nastri?”

Frossi si mostrò sorpreso.

“Ma nessuno, caro dottore, a una cosa del genere ho provveduto io direttamente, con apparecchiature riservate che custodisco solo io, sottochiave. Ci mancherebbe altro.”

Si mostrò offeso.

Saro mantenne un perfetto autocontrollo. Frossi pensò che i Siciliani sono veramente dei gran signori, Altro che gelosi, impulsivi e furiosi più di Otello, pronti a cacciare tanto di coltello in pancia al rivale, Questo non lasciava trapelare nulla di quanto, certamente, gli ribolliva dentro. Saro prese il pacchetto che Frossi gli porgeva e si alzò.

“Lei mi ha reso un servizio da vero amico, e sono certo che posso contare sulla sua discrezione…”

Frossi l’interruppe.

“Ne stia certo, dottore.”

“E io le dimostrerò la mia gratitudine.”

Concluse Saro.

Frossi uscì, convinto d’aver fatto una cosa buona e giusta informando il caro Livoti, che tanto lo aiutava negli affari.

Andato via Frossi, Sarò andò a fare una passeggiata in auto. Guidò lentamente fino alla riva del mare, in fondo a una viuzza stretta e sterrata. Si fermò, con lo sguardo fisso sulla linea dell’orizzonte. Era quello, dunque, il motivo del risveglio sessuale di Marina. Faceva la focosa per evitare sospetti. Ma no, non era così. Marina non fingeva quando faceva l’amore con lui. Era veramente trasformata, calda, appassionata. Non fingeva quando lo cercava, lo eccitava, gli si dava senza alcuna inibizione, con frenesia voluttuosa, godendo pazzamente e felice di mostrare il suo godimento. Lui, sul viale del tramonto, non avrebbe mai creduto di poter dare e ricevere un simile piacere, in quel modo, con una femmina così splendida e così giovane. E se la causa scatenante di tutto ciò fosse Nino? Escludendo Nino dalla vita di Marina si sarebbe tornati all’insipienza di prima? Strano, ma non riusciva a immaginare Marina tra le braccia di Nino. C’era stato chi aveva venduto l’anima al diavolo per fare l’amore con una donna giovane. Nino, in fondo, non gli toglieva niente. Anzi, ad essere cinici, si poteva dire che gli ‘preparava’ la moglie per la notte. Se avesse distrutto Marina, o Nino, il paradiso del suo letto si sarebbe trasformato in un tragico incubo abitato da ombre.

Rimise in moto l’auto e s’avviò verso la città. Voltò in una stradina, lentamente, guardando a destra e sinistra, fece un cenno impercettibile a qualcuno che non si distingueva nell’ombra. Rientrò a casa e lasciò l’auto. Riuscì subito. Andò a prendere l’aperitivo, ai Quattro Canti.

Si accostò al banco, vicino a un signore vestito di scuro che stava gustando una granita. Ne metteva un cucchiaino in bocca e succhiava golosamente, prima di ingoiarla.

Saro aprì il giornale che aveva con sé e lo poggiò sul bancone, inforcò gli occhiali e si mise a leggere, muovendo impercettibilmente le labbra.

“E’ Piero Frossi” -sussurrò- “il padrone della Catef. Io sarò a Roma, con mia moglie e un amico, da martedì a sabato.”

Tolse gli occhiali, li mise nel fodero e li ripose nella tasca interna della giacca.

Piegò il giornale.

Uscì dal caff&egrave.

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