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Racconti Erotici Etero

Capelli, capelloni e minigonne

By 1 Aprile 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Amico lettore,

per iniziare, ti prego, leggi questa prefazione; è molto importante: essa è la chiave di lettura. Man mano che andrai avanti ti accorgerai che i protagonisti non sono i personaggi che vivono e si muovono negli episodi raccontati, bensì i problemi che essi, per varie esigenze, devono affrontare e superare. Noterai che questi sono discussi fuori dalle teorie e dottrine accademiche e risolti in maniera più aderente alla realtà quotidiana. Prima che tale constatazione possa disorientarti ho pensato di avvisarti io, personalmente, in modo che quando ti troverai davanti ad un problema che già conosci, ti sarà più facile capire la diversità della soluzione offerta.

Presentati i personaggi principali, si entra nel romanzo con l’amore della baronessa Grazia per il fattore Giovanni. Ad un primo esame appare come un episodio a sé, che non rientra nella trama; in realtà, per vari aspetti, condiziona il romanzo stesso. Essi sono i nonni che hanno plasmato la personalità di due dei protagonisti principali; inoltre la loro vita offre una serie di problemi, molti dei quali, sebbene di grande importanza sociale, sono ancora irrisolti. Infine il loro amore è una breve favola romantica/erotica, che offrirà a molti l’opportunità di una critica malevola, senza considerare gli aspetti positivi che presenta. Per la società moderna, abituata alla velocità dei satelliti e dei computer, la parola romantica è una reminiscenza scolastica di cui si è perso il significato reale: è un’idea astratta che non rientra nella vita materialistica dei nostri giorni. La parola erotica spesso, troppo spesso, assume un significato ambiguo, perché la si vuole accostare, quasi a farne un sinonimo, alla pornografia. Nel romanzo l’Amore è presentato nel duplice aspetto: romantico ed erotico; e nell’episodio questa caratteristica è stata volutamente accentuata nel momento erotico. C’è qualche pagina ardita, osè, spinta, forse troppo, senza mai cadere nella volgarità: ciò esclusivamente per chiarire il concetto e la differenza, di una personale definizione di erotismo e pornografia. L’erotismo è la sublimazione di tutti i sensi in un atto d’amore; la pornografia è la meccanica del sesso nel suo aspetto più vergognoso e laido, in cui la parola volgare, triviale e sconcia diventa indispensabile per dipingere l’oscena rappresentazione, sia letteraria che cinematografica.

Laura, altro personaggio principale, incarna la ragazza di buna famiglia. Per un’errata ed insufficiente educazione è costretta a fare esperienza sulla propria pelle, fino al punto di tentare il suicidio. Essa accentra in sé i maggiori problemi sociali: educazione, verginità, sessualità e prostituzione: Temi proposti più volte, da diverse angolazioni, sia perché attuali e universali sia perché, per vari ed opposti aspetti, esprimono la degradazione della donna.

Giorgio e Mauro rappresentano l’amicizia vera, profonda, che trascende i limiti del sangue; sentimento che unisce due persone con la purezza del suo legame al di là di ogni naturale considerazione: sentimento che nel nostro secolo si è smarrito nel vuoto del nostro egoismo. Essi rappresentano la parte più bella, più nobile, più vera della dignità umana; e insieme a Patrizia e Camilla costituiscono due isole felici, svettando come due fari luminosi al disopra del pelago di melma in cui si dimena ed offonda la società moderna.

Camilla e Patrizia, per vie diverse, incarnano la gioia, la purezza, il candore della verginità cosciente, vissuta e conservata per libera scelta, in attesa di goderla insieme a all’uomo che riterranno degno di quel dono immenso. Verginità che non ha nulla in comune con quella ottusamente imposta, vissuta per paura e stupidamente persa per ignoranza alla prima occasione, come Laura.
Don Piero, cappellano dell’università, è il prete buono, il parroco ideale; tuttavia rappresenta la religione delle imposizioni sbagliate, che emana scelte di vita in contrasto con il proprio dio. Egli è coinvolto nel problema per eccellenza, quello che distrugge e annienta la coscienza umana e ha diviso l’umanità: aborto sì aborto no. Legalizzare o meno l’aborto è il falso scopo creato per nascondere il vero problema, strettamente collegato all’altro: educazione sessuale. Da questi due discende l’idiota demonizzazione della ragazza madre, ritenuta indegna di costituire una famiglia.

Ci sono personaggi minori, qualcuno appare solo per affinità, che soffrono per problemi importanti e irrisolti: mantenuti vivi da una società incapace di emanciparsi da una atavica tutela religiosa. I problemi come il divorzio, la separazione, la convivenza coatta in un matrimonio fallito, offendono la dignità personale e sociale di chi è costretto a subirli.

L’unico scopo di questo romanzo è presentare i problemi che affliggono l’umanità, senza cercarne i responsabili, veri o presunti, con l’augurio di una sollecita soluzione e l’auspicio che resti in vita sempre e soltanto un solo problema: migliorare continuamente il tenore di vita dell’umanità.

L’AUTORE
La baronessa, dopo aver ricordato ai ragazzi di non avvicinarsi al capanno come ai tempi del babbo, chiamò Mariuccia e le chiese di prendere un vaso, un paio di forbici e di seguirla in giardino. Colse le rose più belle, appena sbocciate, mettendole nel vaso che portava la domestica; assieme alla ragazza entrò nel capanno per controllare che tutto fosse in ordine o bisognasse di un piccolo ritocco. Notò con soddisfazione che Giovanni aveva fatto un ottimo lavoro; quindi si liberò della donna, ricordandole che l’ordine del barone era sempre valido e di avvisare tutti. Si chiuse dentro; sistemò il vaso sulla scrivania e si preparò ad aspettare il momento a lungo sognato. Dopo pochi minuti udì un fruscìo dentro l’armadio; l’aprì e trovò il suo amore in piedi fra le vestaglie. Nell’attimo in cui Giovanni la vide gli occhi si illuminarono, emettendo bagliori luminosi; le gote si infiammarono, tingendosi di un lucido color porpora. Grazia tese le braccia verso l’uomo e, prendendogli le mani, lo aiutò ad uscire dal groviglio di vestiti, restando in piedi di fronte a lui. Giovanni la guardava con un sorriso estatico, incapace di parlare e muoversi. Lei capì subito la situazione: emozionato dalla sorpresa, dalla felicità di averla vicino egli era letteralmente in estasi, incapace di muoversi, d’essere se stesso; e pensò di aiutarlo. Dolcemente gli si avvicinò offrendogli la bocca da baciare. Le labbra s’incollarono a quelle della donna, premendole sempre più forte, quasi a toglierle il respiro, mentre con le braccia la cingeva, stringendola a sé con dolce violenza; quindi le poggiò la testa sulla spalla, restando strettamente abbracciato a lei. A sua volta Grazia gli passò le braccia dietro la schiena, aderendo con il corpo a quello di lui. Notò subito che il fisico dell’uomo reagiva positivamente al contatto, avvertendo sull’inguine una leggera pressione, che le procurò un attimo di smarrimento che le mise addosso un dolce tepore. Ripreso il controllo di sé, capì che Giovanni sarebbe tornato normale con una forte emozione: facendo l’amore. Per raggiungere lo scopo decise di prendere le iniziative, invertendo i ruoli, cercando di fare ciò che avrebbe fatto l’uomo. Spostò il bacino per sistemare il monte di venere sul gonfiore e cominciò a premere, muovendosi lievemente. Avvertì sul corpo un calore che pian piano le infiammò il sesso con una strana eccitazione mai avuta: per la prima volta provò la gioia di sentirsi donna. Notò che il gonfiore del sesso era aumentato, indurito; avvertiva fra le cosce la violenta pressione di una molla pronta a scattare per penetrarla. Si scostò da lui e vide che i calzoni erano incredibilmente tesi da qualcosa che pulsava; pensò che se non avesse provveduto in tempo sarebbe esplosa prima d’essere pronta. Prese a sbottonare la camicia di Giovanni, chiedendogli di spogliarla. Sembrò capire: pose le mani dietro il collo, in cerca della chiusura del vestito che aprì, sfilandolo verso il basso. Essa era pronta: sotto la tunica non aveva altro. Continuò a spogliarlo; sciolse la cintura e sfilò i calzoni, ma qualcosa sorprese la donna, affascinandola: libero dalla prigionia il membro scattò prepotentemente in alto, fermandosi in senso orizzontale, quasi a volersi mostrare in tutta la sua bellezza. A quello spettacolo restò per un lungo attimo in estatica contemplazione: era grande, grosso, liscio e diritto come un fuso, con il glande esposto, quasi viola per il turgore che lo ingigantiva. Con gli occhi sul membro che la ipnotizzava, cercò di abbassare le mutandine e sfilarle insieme ai pantaloni, ma non vi riuscì per l’ostacolo orizzontale che fuoriusciva da un lato; fu costretta a toccarlo: con la mano aperta lo spinse verso l’alto per farlo rientrare dentro lo slip, che sfilò facilmente. Completamente nudo, Giovanni restava immobile, con il sorriso radioso sulle labbra, perso dietro la sua visione. Grazia, nuda anche lei, continuava a fissare il membro teso, affascinata e confusa: era molto più grande e più duro di quello che aveva conosciuto. Lo chiuse curiosamente lungo le due mani, ma comprese che sbagliava: era troppo lungo, usciva altre i polsi. Lo impugnò con una e con l’altra prese la borsa che pendeva. Ebbe l’impressione di toccare una pelle delicata come il velluto, che nascondeva una anima dura e viva, che pulsava e rispondeva ad ogni movimento. Stringendolo con dolcezza, mosse la mano lentamente fino a coprire il glande, poi di nuovo indietro, più volte: il membro s’irrigidiva, ingrossando nella mano, come se volesse esplodere. Con sorpresa s’accorse che la reazione che viveva nella mano si trasmetteva al sesso, aumentando il bisogno della penetrazione; ma anche il desiderio di fare altre esperienze. Si rallegrò con se stessa: ora si sentiva disinibita; prima temeva di apparire ancora bambina, ma questa occasione particolare l’aveva maturata di colpo. Guardò il suo uomo in viso e si rese conto che era felicemente perso nel suo sogno. Decise di conoscere meglio l’oggetto che l’affascinava, pulsando fra le sue mani, attenta però a non farlo esplodere prima del tempo. Accostò il corpo a quello di Giovanni e notò che il sesso proteso era un po’ più in alto del suo; lo abbassò con le mani, ma trovò resistenza. Aprì le cosce per montarvi sopra e le richiuse per tenerlo prigioniero. Abbracciò Giovanni, stringendosi a lui e offrendogli la bocca da baciare; egli la strinse a sè, baciandola con tenerezza. Sentiva fra le cosce una forza che spingeva verso l’alto, quasi volesse sollevarla e il suo pulsare le dava un brivido di piacere lungo la schiena. Percepì che l’uomo tirava lentamente indietro il membro, cercando l’apertura per penetrarla; capì che era vicino all’esplosione, mentre lei stessa ansimava per l’eccitazione raggiunta. Si sciolse dalle braccia dell’uomo e prese il membro con la mano, muovendosi all’indietro per avvicinarsi al letto. Mentre vi si stendeva, guardò con dolcezza il suo amore: “vieni” gli disse, tirando a sé nel contempo la mano impegnata. Giovanni si distese fra le cosce aperte, con le braccia piegate vicino alle spalle della donna, libera così di portare sull’inguine la mano occupata; avvicinò il glande alle grandi labbra, spingendo il membro verso l’interno. L’uomo continuò con delicatezza l’operazione iniziata da Grazia fino a quando il suo pube incontrò quello della donna, fermandosi un istante, dentro di lei. Ansimante per l’eccitazione, in ansia per la grandezza del membro, Grazia seguiva immobile la penetrazione, avendone in tal modo un godimento maggiore. Quando avvertì la pressione sul pube, capì che il pene era completamente entrato, in tutta la sua grandezza; e lo sentì palpitare fra le pareti del sesso, che lo avvolgeva come un guanto confezionato su misura. Avvertì il glande che toccava il fondo, ciò non solo non le procurava dolore, ma aumentava il piacere. Giovanni si mosse, uscendo leggermente e tornando dentro; dopo alcuni movimenti si accorse che il glande, toccando il fondo, le procurava attimi di smarrimento per il godimento maggiore, mentre lo sfregamento sulle pareti interne intensificava il piacere. Nel momento in cui il membro tornava dentro, Grazia, rilassata e tutta aperta al suo uomo, spinse il bacino per offrirsi meglio e in quel momento la investì un’ondata di godimento. Si mosse di nuovo e il piacere s’intensificò e si trasmise al membro che ebbe un guizzo nel suo interno; capì che doveva farlo e prese lo stesso ritmo dell’uomo. Sentiva il membro ingigantire dentro di lei, da occupare lo spazio disponibile; divenire più duro, irrigidito e ne percepiva le contrazioni che la facevano fremere di piacere. Si accorse di essere al massimo del parossismo, di non connettere più, di essere un fuoco di godimento; aveva ormai il fiato grosso, rotto e mugolava, nell’attesa di qualcosa che spegnesse l’incendio che la divorava. Notò che anche Giovanni aveva il fiato grosso e aumentava il ritmo e la potenza dei colpi. Per seguirne l’esempio spinse con violenza il bacino incontro al membro, che ebbe una violenta contrazione e la inondò con un fiotto benefico e ristoratore. Nel percepire tale getto emise un grido di liberazione, mentre dentro di lei l’inferno si placava. Alla prima, con ritmo accelerato, ne seguirono altre, generando un caldo fiume rigeneratore che, scorrendo sul fuoco che bruciava, addolciva gli spasmi del desiderio. Rilassò il bacino sul letto e distese le cosce. Allungò le mani sui fianchi dell’uomo, tenendolo stretto a sé. Nello stesso tempo Giovanni le sussurrava dolcemente in un orecchio:
“Mia’finalmente mia’ Ti ho amato da sempre’desiderata ogni ora della mia vita; sognata ogni notte’ed ora sei mia”. Al suono di quella voce Grazia sentì il cuore gonfiarsi di felicità: l’incubo era finito. Ora poteva godersi il suo uomo. Aprì gli occhi e lo vide disteso su di sé, guancia a guancia e la lingua che le sfiorava il lobo; senza tradire l’emozione che l’agitava rispose:
“Amore mio, sono tua’per sempre’Sarò a tua disposizione ogni volta che vorrai”.
L’uomo mosse la testa, ma lei, temendo volesse sciogliersi dall’amplesso, lo fermò:
“Gianni, ti prego, non uscire ora’resta dentro di me. Ti ho chiamato Gianni, il nome che urlavo di notte da bambina. Qui dentro sarai sempre Gianni, il mio uomo, l’amore puro; e da questo momento, mio marito. Io sarò la tua compagna, la moglie devota e fedele”. Gianni sollevò la testa e la guardò negli occhi con infinita dolcezza:
“Quante volte ho sognato questo momento! Non ho mai perso la speranza: ho sempre saputo che sarebbe arrivato. Ora eccomi qui: sopra e dentro di te”. E la baciò sulla bocca con tenerezza; poi sorridendo aggiunse:
“Il mio peso ti affatica la respirazione'”
“No, assolutamente: sei leggero come una piuma”. Gli mise le braccia sulla schiena e strinse forte schiacciandolo sul proprio corpo. “Devo confessarti una cosa: per la prima volta, oggi, mi sono sentita e sono diventata donna. Sono entrata in un’altra dimensione: il sesso, di cui non conoscevo l’esistenza. Sono stata cinque anni sposata, ho una bambina deliziosa e non sapevo di avere il sesso per amare. Ora sento dentro di me il tuo che perde lentamente la forza che mi ha fatto conoscere il godimento; e il mio che con dolcezza perde il fuoco che mi ha divorato, restituendomi pace e serenità. Sono soddisfatta e tranquilla; ma non so se sono sazia o se ho ancora fame”. Poi, messogli le mani sul petto, finse di sollevarlo. Esaurita la sua erezione, Gianni uscì da lei e Grazia, giratasi verso di lui, continuò:
“In un’ora sono accadute tante cose: voglio raccontarti tutto, dall’inizio. Oggi è l’ultimo giorno dei ricordi: da domani inizieremo una nuova vita, la nostra. Dal mio primo periodo, ti ho amato con un amore grande, immenso come l’infinito. Di notte ti chiamavo, tu entravi nel mio sogno, mi baciavi e mettevi il viso accanto al mio; io ero tanto felice, anche se non esisteva il sesso. Poi fui costretta ad avere un fidanzato al quale permisi di baciarmi di rado, solo negli ultimi mesi precedenti al matrimonio. Sposata, ho visto il suo sesso alcune volte, di sfuggita; non l’ho mai toccato. Quando gli permettevo di prendermi doveva arran-giarsi da solo, al buio del letto e tornare in camera sua. Mi lasciava sporca e correvo a purificarmi nel bagno. Dopo venivi tu; ti stendevi al mio fianco, mi scaldavi col tuo corpo, ma non avevamo sesso. Il quinto giorno di lutto è accaduta la prima stranezza”. Si fermò un attimo per sedersi e sistemarsi meglio sul letto e riprese: “Come al solito ti ho sognato, ma non eri al mio fianco: ti sentivo su di me e ti offrivo me stessa, certa di fare l’amore con te con tanto ardore. Di colpo mi sono svegliata con l’eccitazione che mi bruciava addosso e, piena di desiderio, ti ho cercato, ma ero sola. Per la prima volta ho toccato il mio sesso infuocato ed era pieno di calda umidità. Ho pensato a te e ho capito che anche tu soffrivi le mie stesse allucinazioni. Ho pianto a lungo, pensando che bisognava trovare a tutti i costi una soluzione al nostro problema. L’ottavo giorno eri di nuovo nel mio sogno, su di me. Io ti stringevo, sentivo un gran bisogno fisico d’amore, mi aprivo tutta per offrirti il mio sesso. Al colmo dell’eccitazione mi sono svegliata sola nel letto: avevo la bocca ari-da, i seni duri come il marmo, i capezzoli irti come due punte di ferro, il sesso infiammato. Il pensiero è corso di nuovo a te, alla tua sofferenza, al tuo sguardo che implorava una risposta di speranza. Ho sentito la mia voce che ti parlava di certezza, ma anche di pazienza. Mi sono chiesta se fosse giusto soffrire per colpa di uno che mi aveva rubato l’amore e la gioia di vivere. Non può essere valido soffrire per colpa di un morto; non si deve rinunciare alla vita per rispetto di chi non ha più la vita. Ho pianto tutta la notte con la disperazione nel cuore, decisa a trovare subito una via d’uscita. Al mattino Mariuccia mi trovò abbattuta e con gli occhi pesti; mi chiese come mi sentissi, cosa fosse successo. Le dissi di aver sognato mio marito e di aver passato la notte con lui. Involontariamente gli occhi si posarono sulla scrivania, dove si trovavano in bella mostra le chiavi del capanno. Accompagnato da lei sono andata a visitarlo, con la segreta speranza di avere qualche idea. Entrata, notai subito il letto sul quale mi distesi pensando a te. Una pace e una dolcezza interiore mi pervasero, indicandomi che quello doveva essere il nostro nido. Vedendomi serena e sorridente la domestica mi chiese cose avessi sentito sul letto. Le risposi che mi era sembrato di aver avuto il marito vicino. Nella sua ingenuità mi consigliò di frequentare il capanno come faceva lui. In breve tempo i domestici lo hanno preparato come si trova ora e tu hai fatto il resto” …’
‘.. “Oggi è avvenuta la trasformazione: la crisalide è diventata farfalla. Avevo tanta paura di mostrare la mia timidezza, di sentirmi imbarazzata facendomi vedere nuda da te; per superare questo pudore innato mi ero preparata nel corpo e nella mente. Avevo cercato di convincere me stessa che una donna innamorata non deve essere timida, non può arrossire davanti al suo uomo, come una scolaretta al primo incontro. Inoltre avevo indossato solo la tunica e’niente sotto, in modo da vincere di colpo una eventuale incertezza. Entrata, ti aspettavo, ripetendomi di non arrossire né di essere timida. Poi ho sentito il tuo arrivo”. Grazia prese ad accarezzare con le due mani il viso di Gianni e a baciarlo su tutto il corpo, sorridendogli con amore. “E’ stata una cosa meravigliosa: ho avuto la più bella prova d’amore che una donna possa desiderare. Se prima per assurdo potevo dubitare del tuo amore, ora è impossibile perfino pensare l’assurdo. Nel momento in cui mi hai visto sei andato in estasi: hai dimenticato la mia presenza per entrare in un tuo sogno. Dapprima sono rimasta un po’ sorpresa, poi ho capito che l’emozione di avermi ti aveva portato fuori della realtà. Ho cercato di trovare il modo per riportarti sulla terra, ma tutto invano. Baciandoti, ho notato che il tuo corpo reagiva; ciò mi ha dato una grande gioia: non solo la certezza che facendo l’amore saresti tornato in te, quanto l’esperienza che ho potuto fare, senza la paura di vergognarmi. Tu sai che io non ho avuto una gioventù come le altre ragazze: non ho mai avuto un fidanzato con cui fare esperienza. Mi sono sposata senza conoscere l’anatomia dell’uomo; avevo la conoscenza che si acquista sui libri di scuola. Mentre ti baciavo ho avvertito una leggera pressione sul sesso, molto delicata, dolce, che m’infondeva un lieve tepore. Ho guardato il tuo viso e tu eri assente, perduto nel tuo sogno. Mi piaceva molto il calore che si diffondeva nel mio corpo e decisi di fare esperienza fino in fondo; ma non sapevo cosa sarebbe accaduto. Ho sistemato il sesso sul gonfiore che vedevo e ho cominciato a premere, muovendomi nello stesso tempo. Lentamente ho sentito crescere dentro di me un’eccitazione che mi faceva fremere di piacere e sentivo la pressione sul mio sesso diventare sempre più forte, violenta, brutale. Ho guardato in basso e ho visto i tuoi pantaloni mostruosamente tesi, quasi vicino a rompersi. Temendo una esplosione anticipata ho deciso di spogliarti. Libera della tunica, nuda, non ho avuto alcun imbarazzo; ma, scesi i tuoi pantaloni, sono rimasta sbalordita per lo spettacolo che mi si è offerto: l’erezione del tuo membro. Quello che conoscevo io era circa la metà, come il tuo in questo momento-, spiegò accarezzando e giocando con il membro in riposo di Gianni: “con la punta coperta e grinzosa, mentre il tuo si ergeva gonfio, enorme, maestoso, imponente per la sua fierezza. China per spogliarti, lo avevo all’altezza degli occhi e rimiravo, affascinata, il grosso glande esposto, in pieno vigore e turgido di desiderio. Per sfilare le tue mutandine, ho dovuto toccarlo, anche se in modo incerto. Poi l’ho preso tra le mani e ho fatto qualche movimento per vedere le sue reazioni. E’ stata un’esperienza stupenda: lo sentivo palpitare nella mano, vivo, energico, reagiva ad ogni lieve pressione, procurandomi una sensazione deliziosa, che mi faceva fremere di piacere. Ho fatto poi un’altra esperienza: ho cercato di cavalcarlo, ma per evitare l’esplosione anticipata, mi sono distesa sul letto e ti ho preso su di me, imponendomi di non aver paura del gigante buono”. Gianni la guardò sorpreso e poi le chiese:
“Come l’hai chiamato’?!”
“Il gigante buono”, rispose allegra, continuando a baciare l’uomo e a giocare con il membro in riposo; poi sorridendo spiegò: “Smisurato com’era in quel momento dava l’idea di un gigante. Considerando che andava bene il piccolo che conoscevo io, era logico avere un leggero imbarazzo per questo così grosso, temere qualche fastidio; mentre non ha provocato alcun dolore, al contrario è stato di una bontà infinita: mi ha dato un piacere e un godimento immenso. Si è comportato come un gigante buono”. L’uomo sorrise affettuosamente alle allegre ingenuità di Grazia. Le poggiò le mani sulle spalle, con i pollici che si avvicinavano sul collo, seguì il profilo del corpo lungo i fianchi, carezzandola dolcemente. Nello stesso tempo risalì sul petto, per seguire poi il contorno dei seni, premendo lievemente sui capezzoli.
“Quanto sei bella!…quante volte ho sognato di vederti’ toccarti’ stringerti fra le mie braccia’ farti mia'”
“Oh caro'”, e d’impeto gli si gettò al collo e lo strinse forte a sé; nel suo orecchio riprese: “tesoro’amore mio, sono qui, fra le tue braccia…per essere tua”. Si staccò da lui, si eresse col busto, pur restando seduta sul letto, allargando le braccia continuò: “Guardami, vorrei essere molto più bella per offrirti tutta la bellezza del mondo. Poco prima ti aspettavo: sognando la tua bocca, le tue mani sul mio corpo’ avevo tanta paura di arrossire, di essere ancora bambina. Ora sono seduta davanti a te nuda, ufficialmente sfacciata, femmina spudorata; ma in realtà per la prima volta sono cosciente di essere la donna più amata e più felice dell’universo. Sono qui per essere tua per sempre e riempire la tua vita con il mio amore e la mia felicità. A questo proposito vorrei dirti una cosa importante per noi: tutti i giorni ti aspetterò qui, nel capanno, di mattino e di pomeriggio. Tu cerca di organizzare il tuo lavoro in modo da poter venire, per lo meno metà pomeriggio. Ho tanto desiderio di averti vicino, anche per un solo bacio e una carezza”.

* * *
La baciò con ardore stringendola a sé. Poi le posò le mani sulle spalle e con delicatezza la spinse, facendola stendere sul letto; allargò le sue gambe e s’inginocchiò fra esse. Si chinò su di lei, dando inizio ad un gioco di baci: poggiava le labbra sul corpo della donna e con la punta della lingua carezzava la zona coperta. Cominciò con la fronte, gli occhi, il naso; sulla bocca forzò le labbra, penetrando alla ricerca della lingua che prese a titillare con la propria; quando la donna rispose al gioco, smise di baciarla e le labbra imprigionarono quello inferiore di lei, succhiandolo con delicatezza. Passò agli orecchi e su quello destro ebbe una gradita sorpresa: vellicando con la lingua il lobo prigioniero nella sua bocca, il bacino di lei ebbe un lieve sussulto, che si trasmise al membro adagiato sul boschetto sacro. Dopo un attimo si pausa riprese a carezzare dolcemente il lobo e di nuovo il bacino sussultò, notando così che era una zona esogena; tenne il lobo fra le labbra e il fremito del bacino diede inizio alla sua erezione. Portò la bocca sul mento, sul collo, sul petto, fra i seni. Preso in bocca il capezzolo sinistro, lo succhiò dolcemente, lo titillò con la lingua per passare poi sul roseo della sua aureola, fino a farlo indurire di piacere; quindi fece lo stesso lavoro all’altro seno. All’inizio Grazia restò passiva, seguendo il gioco che subiva; quando sentì il sesso dell’uomo ingrandire dal desiderio, allungò una mano fra i due corpi e lo prese, muovendolo lentamente per favorirne l’erezione. Finito il gioco sui seni induriti, Gianni portò la punta della lingua al centro del petto e scese fino all’ombelico che prese a vellicare, finchè notò che la mano di Grazia lo aveva eccitato in modo pericoloso. Si tirò in basso con il corpo per costringerla a lasciare il membro e nello stesso tempo con la lingua scese sul ventre piatto, fermandosi ai bordi del boschetto sacro. Si accorse che la donna aveva unito le cosce nella parte alta, ma non aveva capito se era un movimento intenzionale. Poi continuò il gioco lungo il perimetro sinistro, cercando di forzare la chiusura dell’inguine, ma senza insistere; tornò indietro fino all’altra coscia, dove l’inguine s’aprì lentamente al contatto con la lingua, per darle modo di continuare l’esplorazione della bionda e serica cornice. Notò che il respiro della donna era irregolare. Senza staccarla rifece il cammino a ritroso per tornare a sinistra, che trovò aperta e al suo vellicare si apriva sempre più, esponendo così il sesso. Si portò poi al centro del pube per attraversare il bosco sacro e arrivare alla grotta dei sogni, dove cercò di aprire il folto vello biondo, ma dovette aiutarsi con le mani per arrivare all’inizio del solco che vellicò per aprirlo e dare la caccia al triangolino del piacere. Nel toccarlo il bacino scattò in alto, le cosce si aprirono per offrire il tesoro che racchiudevano. La lingua prese a titillare e a percuoterlo con dolcezza finché lo sentì indurirsi e fremere di desiderio; poi si trasferì in giù, per entrare nella grotta e continuare la sua opera. Entrata nel suo sesso, la donna spinse in avanti il bacino già sollevato e cominciò a muoverlo lievemente. Gianni, con la lingua, iniziò ad alternare la penetrazione al triangolino del piacere; mentre Grazia, mugolando, cominciava ad agitarsi. Dopo un po’ la donna, ansimando, prese le spalle di Gianni e cercò di sollevarle, facendogli capire di essere pronta per il finale. L’uomo si sollevò sul busto e, restando in ginocchio, si fermò a vedere lo spettacolo che la donna offriva: aveva gli occhi chiusi, un sorriso errante sulle labbra, agitava leggermente la testa, emettendo un mugolio continuo, mentre le mani tormentavano il seno. Aprì gli occhi, dallo sguardo velato; alzandosi col busto, allungò una mano e prese il membro eretto dell’uomo, fissandolo intensamente. Quasi ipnotizzata, si chinò e poggiò le labbra sul glande rigonfio in un lungo bacio. Tirò fuori la lingua e prese ad accarezzarlo e a seguirne il contorno; infine si abbassò sul membro, prese nella sua bocca quanto ne fu possibile, fermandosi a lungo in quell’atto d’amore. Lentamente lo lasciò e si distese sul letto, trascinando con sé il membro, che avvicinò e spinse nel sesso. L’uomo seguì la donna nei suoi movimenti e la penetrò. Dopo una breve immobilità, Grazia riprese a mugolare e nello stesso tempo con le gambe circondò il bacino di Gianni e con le braccia si attaccò alla sua schiena; si sollevò, agitandosi scompostamente sul membro che la penetrava. L’uomo comprese che Grazia era vicino all’orgasmo e cercò di averlo con lei per farla godere maggiormente; e sebbene attanagliato dalle sue gambe, riuscì a prendere lo stesso movimento, che ben presto lo portò al parossismo. Cominciò a mugolare anche lui e aumentò il ritmo, consapevole di essere al colmo della tensione. Un forte colpo di reni nel momento in cui Grazia, con uguale intensità spinse in avanti il bacino, diede il via alla esplosione del piacere. Nell’istante in cui si sentì colpita dal getto infuocato, la donna urlò: smise di agitarsi, adagiandosi sul letto, dove rimase distesa, rilassata, completamente svuotata d’ogni energia, seguitando a mugolare. Gianni continuò a muoversi, seguendo le contrazioni con cui la riempiva di linfa vitale; quando terminarono, con le sue chiuse le gambe della donna, restando dentro di lei, muovendosi lievemente per prolungarle il godimento. Le mani di Grazia accarezzavano la schiena di Gianni, fermandosi sui glutei per seguire e sollecitare i movimenti del bacino, iniziando a muovere il suo. Aveva smesso di mugolare, restando ad occhi chiusi, mentre un disteso sorriso le increspava le labbra; lentamente il respiro rientrò nella normalità. Dopo lungo tempo aprì gli occhi, sorrise a Gianni, lo baciò teneramente e chiese:
“Cosa mi è successo?!…l’orgasmo'”, gli cinse il collo con le braccia, lo baciò e seguitò: “Tesoro, sei straordinario’è stato tutto così fantastico. Cercherò di raccontarti quello che ho provato. Grazie a te ho imparato una parola nuova: orgasmo. Per me il sesso è il linguaggio dell’amore: l’orgasmo la sua sublimazione”. Poi gli mise le mani sulle spalle e finse di sollevarlo. Gianni uscì da lei, mettendosi di lato; Grazia si sollevò, sistemò il guanciale lungo la spalliera e vi poggiò la schiena, restando seduta sul letto. Accarezzò con dolcezza l’uomo, gli cinse le spalle con un braccio e lo tirò a sé; poi continuò: “Non avrei mai immaginato che si potesse godere tanto! Hai cominciato un gioco semplice, dolce, innocente; poi sei andato sul pesante. Finché giocavi sull’ombelico era tutto normale; quando sei sceso giù ho avuto un attimo di esitazione: non mi sembrava bello ciò che stavi per fare. Pensavo fosse una cosa vergognosa, sporca; avevo deciso di non partecipare, chiudendo me stessa. Però subito ho cambiato idea perché ti appartengo: il mio corpo è tuo; perciò avevi diritto di fare quello che volevi, decidendo di accettare il tuo gioco e fare una nuova esperienza. Mentre giocavi con il seno, s’è acceso in me un tepore che mi scaldava dolcemente. Sul pube il tepore iniziale si è trasformato in calore, fino a diventare un fuoco. Raggiunta la collina con la lingua, ho cominciato a perdere la dimensione umana, entrando un in mondo fantasmagorico. Mi sembrava di essere adagiata sulla via lattea; il corpo diventava un’immensa nebulosa, in cui ogni poro rappresentava una sorgente di luce, di calore. Miriadi di stelle colorate mi ruotavano intorno, titillando con i colori i miei sensi. Ero tesa nello spasmo del piacere: volevo urlare, gridarti di smettere; ma dalla gola non usciva alcun suono, senza più forze per resistere. Poi c’è stata una pausa, un attimo di tregua; la via lattea oscillava come un’amaca, volevo dormire. Nel sogno ho visto il tuo membro: era bello per sua fierezza, maestoso, perfido. Mi fissava con l’occhietto maligno e mi sfidava, dicendomi di essere il mio padrone, il re: ero in suo potere. Allora l’ho preso'” Grazia interruppe il racconto, impallidendo fino a diventare terrea; quindi lentamente il colore riprese a fluire sulle gote, da roseo a rosso acceso, fino a sentire il viso bruciare di fuoco vivo. Infine fissò Gianni intensamente; poi con voce incerta, tremula chiese: “Dimmi: l’ho fatto?!…l’ho fatto’ davvero?!…”
“Perché diventi rossa?” Alla domanda abbassò gli occhi per la vergogna e il suo viso divenne color porpora. Gianni con delicatezza prese il mento e le sollevò il viso; fissandola con dolcezza disse: “Dimmi la verità: perché diventi rossa?” Con impeto gli buttò le braccia al collo e nascose il viso sulla sua spalla; poi con voce rotta rispose:
“Crudele, possibile che non capisci niente! Non sono pentita d’averlo fatto!…mi’mi piaceva’mi è piaciuto molto”.
“Sciocchina, dolce sciocchina mia”. Sussurrandole ciò all’orecchio, Gianni la strinse forte a sé. Notò che il lobo era quello erogeno, lo prese nella sua bocca e cominciò a vellicarlo. Avvertì il fremito della donna e subito dopo la sentì rilassarsi. Smise il gioco, la staccò da sé e fissandola con tenerezza le disse:
“Due innamorati che si amano profondamente come noi non potranno fare mai una cosa sporca e vergognosa. Tieni sempre presente: tutto il godimento che uno procura all’altro, ritorna sempre automaticamente a proprio piacere. ….’. Quando ho visto che eri vicino all’orgasmo ho smesso e mi sono preparato a farti godere. In quel momento ti sei alzata, in trance, in uno stato di semideliquio: avevi gli occhi opachi e giravano a vuoto, il volto in estatica beatitudine, la testa dondolava dolcemente; ti sei concentrata sul membro, come se tu fossi tornata in te, hai fatto ciò che tutte le donne innamorate fanno per il godimento del loro uomo e per il proprio piacere. Non capisco perché ne provi vergogna e nello stesso tempo dici che ti piace'”.
“Amore mio, sei tanto caro; mi riempi di immensa gioia, spiegandomi con semplicità che il vero amore non può commettere atti vergognosi. Devi però tener presente che il pudore è un sentimento ancestrale, ma ambiguo, che ci viene trasmesso con l’educazione e, forse, per ereditarietà. Esso non è tanto la vergogna per quello che facciamo, quanto la paura di essere giudicati male dagli altri”.
“Sei molto profonda”.
“No, semplice constatazione. Per spogliarti mi ero inchinata; lo avevo all’altezza degli occhi. Mi prese il desiderio di stringerlo a me, baciarlo, tanto fui colpita da quello spettacolo di stupenda e superba bellezza; non lo feci per paura che tu mi vedessi. Analizzando a freddo l’accaduto ti confesso che l’ho fatto per un solo motivo: il bisogno di gratificare l’oggetto che mi aveva fatto godere. Credimi è stato uno slancio di generosità, di affetto, di sentirmi padrona del re del mio piacere. Non pensavo che potesse rappresentare un atto sessuale: era semplicemente un gesto di gioia innocente. Dopo aver cominciato ho avvertito un godimento particolare e ho realizzato il sesso in tutta la sua forza, la sua bellezza: avrei continuato all’infinito. Ho dovuto smettere perché percepivo un vuoto doloroso; ero giunto sulla soglia della sofferenza: sentivo il bisogno di colmare quel vuoto per evitare il dolore. A tale ricordo ho avvertito il senso del pudore, che non era la vergogna per quello che avevo fatto, semplicemente il terrore del tuo giudizio: di non essere più ritenuta la Grazia di sempre, ma una come le altre; di non essere più la dolce studentessa innamorata del compagno di banco, bensì la liceale sgualdrinella che si dà a tutti”.
* * *
“Oggi hai subito l’orgasmo: era il primo. La prossima volta lo godrai appieno, imparando i vari giochi erotici per raggiungerlo ed avere una vita sessuale completa e appagata. Cercheremo assieme di godere dei nostri giovani corpi: tu lo farai a me ; io a te; lo faremo anche assieme'”.
“Assie'”. Grazia restò un attimo pensierosa, poi scoppiò a ridere gioiosamente: “Assieme. Finalmente conosco il fatidico numero! Ricordo che nelle feste di Natale giocavamo a tombola tutti riuniti: i miei, i tuoi, la servitù. Ogni volta che usciva quel numero, le ragazze scoppiavano a ridere. Maria, la cuoca, allora giovane, guardava il fidanzato, abbassava gli occhi e diventava rossa. Ora ne conosco il motivo; ciò significa che è una cosa comune, che fanno tutti perché piace. Per cui il pudore diventa pura formalità; rimane invece la paura del giudizio altrui. Torniamo a quello che ho provato io. Dopo la penetrazione, mi è parso di cavalcare un enorme arcobaleno dai mille colori e averne intorno tanti minuscoli che tintinnavano armoniosamente; sembrava che l’arco mi penetrasse, violandomi brutalmente e ingigantisse, occupando ogni piccolo spazio. Sentivo un’onda tumultuosa che si gonfiava, sollevandomi e tormentandomi con sadico godimento, mentre aspettavo l’esplosione liberatoria. Infine arrivò; nello stesso tempo l’arcobaleno emise un getto violento di fuoco, eruttando un torrente di lava, che sciolse col suo calore la tensione accumulata, restituendomi la pace e un dolce ristoro. Ora mi sento felice, serena, rilassata; in pace con me stessa e con il mondo. Da bambina mi avevano insegnato che il sesso è una cosa brutta, sporca, vergognosa, che non si deve vedere né toccare: è un peccato che offende dio. Oggi, vedova, per la prima volta ho visto, toccato e goduto il mio e il sesso di un uomo. Se il piacere sessuale è un dono di dio: benedetto sia il dio che ha dato all’uomo questo peccato. ‘.. Tu mi hai dato la prova più nobile, più bella e più grande che una donna possa desiderare: nel momento in cui mi avevi davanti, quando potevi artigliare con le mani il mio corpo a lungo desiderato e farne scempio, dopo anni di attesa e di desiderio, sei rimasto in estatica contemplazione, non mi hai toccato per paura di farmi del male. Questo è amore puro e immenso come l’infinito: ora lo so e ti adorerò come il dio della mia vita e dei miei sogni. D’ora in poi ho un solo scopo nella vita: renderti felice. Ho un solo rimpianto, senza alcuna colpa: non ha potuto farti dono della mia verginità”.
“Mi hai dato molto di più: la verginità del tuo amore, il candore del tuo cuore, la gioia della tua vita. La verginità di cui parli è un piccolo segno anatomico, per molti privo di valore; mentre quella che ho ricevuto io rappresenta l’intero universo: te stessa, la tua dedizione assoluta, incondizionata. Cercherò di averne massima cura, perché è il tesoro più grande che un uomo possa avere in dono”.
“Vorrei stendermi al tuo fianco per sentirmi realmente tua moglie”. Si mise di fianco a Gianni, poggiandogli la schiena sul petto e sedendogli sulle cosce, ripiegate per darle un senso di protezione. Gianni stese il braccio sinistro sul guanciale, per prendere sulla sua spalla la testa di Grazia; piegò la mano, mettendola sul seno. La donna posò la sua su quella dell’uomo premendola lievemente; mentre con l’altra libera Gianni iniziò ad accarezzare l’altro seno, il ventre fino al vello d’oro, senza addentrarsi fra le sacre colonne. Prese fra le labbra il lobo proibito, che diede il solito fremito alla donna, offrendole l’occasione di sistemarsi meglio, inserendo fra il solco delle natiche il membro dell’uomo, anche se non eretto completamente. Poi Grazia allungò la mano libera fra le sue cosce e prese il membro, sistemandolo fra le grandi labbra e coprendolo con la mano, che l’accarezzava mollemente per completarne l’erezione; quando lo sentì sul triangolino del piacere, prese a vellicarlo con il glande, mosso dalle sue dita. Nel frattempo i due innamorati parlavano sul come organizzare il loro futuro.
* * *
Gianni continuò sommessamente, vicino all’orecchio sensibile, che spesso tormentava:
“Non sono capace a complimentare una donna, perciò ti dirò quello che vedo in te: sei una donna stupenda, meravigliosa; una ragazza bellissima. Hai un corpo da favola: alto, slanciato, ben proporzionato, perfetto; un visino ovale dolcissimo, con degli occhi azzurri, grandi, soavi, dallo sguardo profondo. I tuoi cappelli biondi, morbidi, ondeggiano formando una copiosa cascata d’oro'”
“Tesoro, tu mi confondi: sei il più bravo dei poeti, il più valido degli amanti, il più tenero degli innamorati. Ah'”
“Non è tutto: hai due seni divini, alti, rigogliosi, sodi e giovanili; un ventre piatto, liscio e soffice; un vello d’oro morbido, folto, ricco, che sovrasta e copre la collina dei sogni e del triangolino del piacere, anticamera della grotta di Vulcano, dove brucia un fuoco purificatore. Cosa hai?…cosa ti succede?” Il respiro di Grazia si era fatto pesante, interrotto da frequenti mugolii. Durante le ultime parole, la sua mano premette quella di Gianni, stringendola per obbligarlo a strizzare lievemente il seno; l’altra fra le cosce, si muoveva sul membro con dolce furia.
“Tu cosa hai fra le mie cosce…o non senti niente?…Ahh’ Ti prego aiutami’ non ne posso più’ Uhm’ Ho pensato a come mi sarei comportata a letto con te dopo una giornata di lavoro. Inizialmente ho sentito un dolce tepore, era tanto bello; ero convinta che dopo quello che abbiamo fatto non sarebbe successo niente. Il momento incantevole non mi ha permesso di sentire che il piacere aumentava. La tua bocca sull’orecchio, le tue parole che suonavano come la più dolce delle melodie, mi hanno ridotto in uno stato pietoso. Non ne posso più: un vuoto nel sesso mi procura dolore; c’è un fuoco che brucia. Ti prego, aiutami: ho bisogno di fare l’amore. Prendimi, prima che diventi pazza: entra nel mio fuoco e spegnilo”. Gianni la tormentava con la lingua: sul lobo, sulle spalle, dietro la nuca. Con la mano libera prendeva l’altro seno, accarezzava il ventre, attorcigliava i peli del vello d’oro: cercava di eccitarla sessualmente per averla ancora una volta e darle poi tanto piacere.
“Certamente, amore mio, ti prenderò: credi che io sia di pietra? Ti farò godere per tutto il bene che mi vuoi. Fermati, resta come ti trovi”. Alle parole di Gianni si stava muovendo per distendersi sul letto, ma si fermò di colpo: capì che il suo uomo avrebbe fatto qualcosa di nuovo, ma non riusciva a capire come. Restò immobile, tesa nell’intento di conoscere le intenzioni di Gianni. Lo sentì staccarsi dalla schiena e muovere leggermente il bacino all’indietro, in modo da avere il glande al centro delle grandi labbra; poi allungò la mano libera sotto la coscia e prese la sua, forzandola ad afferrare il membro e spingerlo dentro la grotta. Grazia seguiva attentamente ogni movimento per capirne le intenzioni; quando intuì la semplicità di quella posizione, spostò di poco il bacino per riceverlo meglio ed essere libera di muoversi insieme a lui. Avvenuta la penetrazione, emise un sospiro liberatorio:
“Ohh’finalmente’ che meraviglia: non ne potevo più. Non sapevo che si potesse fare sesso in questo modo. Per cinque anni ho avuto un peso sempre sul mio ventre: qualche minuto, nessun piacere, tanto sporco. Uhm! Godo in questa posizione: la tua mano sulla collina, che schiaccia e gioca col triangolino, mi eccita molto di più; ora sono lucida, posso sentire e gustare il piacere che mi dai. Oh’che bello ora il sesso! Dopo qualche mese portò un libro sul modo di fare l’amore, con figure di coppie riprese in varie posizioni. Feci una grande scenata: mi ritenevo umiliata e offesa, perché con quel libro voleva che imparassi a fare l’amore, come una volgare femmina di strada. Gli dissi che aveva disprezzato l’onore e l’educazione di una baronessa, nata, cresciuta ed allevata nel rispetto della santità del matrimonio. Non gli rivolsi la parola per un mese, malgrado le scuse e le dichiarazioni di pentimento. Domattina cercherò il libro, forse è ancora in camera sua; dovrebbe contenere vari giochi e posizioni per fare sesso. Ohh’come godo!…”
“Sei capace di puntellarti sul fianco e ruotare lentamente per metterti in ginocchio?…io seguirò e guiderò il tuo movimento, ma senza staccarci, senza uscire dall’amplesso”.
“Proviamo’sono pronta”.
“Ora’lentamente. Cerca di fare perno sul braccio, ti aiuto io”. Riuscirono a mettersi in ginocchio: lei, con le mani poggiate sul cuscino, si ritrovò ad angolo retto; lui, dietro di lei, seguitava a penetrarla.
“E’ favoloso: con una spiegazione forse non l’avrei capito. E’ bellissimo e godo molto. Gianni prese ad accarezzarle la schiena e le spalle, ma nello stesso tempo le mani la spingevano dolcemente in basso. Recepì il messaggio e si piegò fino a poggiare la testa e le spalle sul guanciale. Cominciò a muoversi anche lei e prese lo stesso ritmo di Gianni:
“Ohh’così e fantastico. Avverto più marcatamente il sesso quando mi penetra e sento un piacere più vivo. Uhm’Ah'”. Grazia prese a mugolare e a ciondolare la testa, mentre i suoi movimenti cominciavano ad essere disordinati. Gianni la chiese:
“Cosa ti prende ora?!…”
“Com’è intenso il piacere’Uhm’l’onda comincia ora’Ah’si, sono pronta’ ora’ non ne posso più, ora’Ah’spegni quel fuoco’ Ohhhhh'”. Avvertiva il membro indurire, tanto da sembrare più grande e Gianni aumentare il ritmo e la potenza, sì che la penetrazione appariva più difficoltosa, ma nello stesso tempo le procurava un godimento maggiore. Sentì il fuoco crescere dentro di lei, gonfiarsi come un’onda; notò che lei stessa aveva aumentato il ritmo e la potenza del movimento, chiedendo a Gianni di spegnere il fuoco che la divorava. Nel momento in cui sembrava mancarle il respiro per l’intensità del piacere, sentì esplodere il membro ingrossato e avvertì un getto violento riversarsi sul fuoco. Percepiva sulle pareti della grotta le contrazioni del membro e la cascata benefica che ne scaturiva. Esaurito l’orgasmo rigeneratore, Gianni le disse di poggiare le mani sul cuscino e stendersi lentamente sul letto restando a pancia in giù. La guidò nel movimento, senza uscire da lei, continuando a penetrarla con dolcezza. Lei mise le mani dietro il collo e cercò di accarezzare il viso di Gianni:
“Ho goduto molto intensamente e in modo lucido, come avevi detto. Ho gustato coscientemente il piacere che gli stimoli sessuali suscitavano… E’ un godimento indescrivibile. Questa è una posizione che mi eccita in modo particolare”.
“E’ molto comune; la si usa spesso, anche restando in piedi, perché è un accoppiamento intenso e rapido”.
“Capisco. L’hai usata spesso’con tutte'”
“Così, no: è la prima volta. Con le altre era diverso: finito le contrazioni, si esce dalla donna e tutto è finito; l’atto sessuale è completo. Con te non lo farò mai in quel modo stupido e indifferente: l’amore non è un godimento egoistico; ma è far godere la propria compagna. Ho già notato che il tuo godimento non si esaurisce con il mio, ma continua; questo significa che hai bisogno della presenza del mio membro anche dopo: serve sia a prolungare il piacere che per recuperare la serenità e rientrare nella normalità. Darti questa gioia diventa un piacere anche per me”. Tornata nella normalità, Grazie gli disse:
“Sollevati un po’, senza scendere da me”. Fece come la donna gli aveva chiesto e la vide voltarsi, restando distesa sulla schiena. Gli buttò le braccia al collo, lo strinse sul suo corpo e prese a baciarlo sulla bocca, sul viso, sulle spalle e su tutte le parti raggiungibili, pur tenendolo stretto a sè:
“Resta così, non muoverti: schiacciami col tuo corpo, in questo momento non hai peso. Ti amo da morire. Prima era bello perché l’amore partiva dal cuore, ti abbracciava e si confondeva con l’infinito; ora è una cosa grande, immensa perché col cuore c’è anche il corpo, il sesso. C’è il desiderio e la volontà di ricambiare sia la gioia e il godimento che dai al mio corpo, sia la felicità con cui mi riempi l’anima. Tu sei tutta la mia vita: rappresenti la sicurezza di un nuovo futuro, la certezza di essere sempre la padrona dei miei desideri, senza commettere errori”. ….. Era il primo giorno di una intimità gioiosa, allegra, spensierata e felice; ricco di promes-se di nuovi orizzonti e nuove esperienze. Quel giorno divenne il primo di una lunga serie che diede loro l’avvio a realizzare ogni desiderio in perfetta comunione di spirito e di corpo, senza incontrare ostacoli, di nessun genere. Il primo imprevisto si presentò alla fine di ottobre; il tempo era cambiato nella mattinata: una nebbia fitta e fredda era scesa, abbassando di molto la temperatura già invernale. Grazia era appena giunta nel capanno quando sentì arrivare Gianni; aprì l’armadio e gli buttò le braccia al collo.
“Amore mio, sono infreddolita, non tanto nel corpo, sebbene qui si muoia di freddo, quanto nello spirito. Mettiamoci a letto e scaldiamoci col nostro amore. A proposito approfittiamone subito: oggi è l’ultimo giorno, sento qualche sintomo in arrivo”. Soddisfatto il sesso, Grazia fece notare a Gianni che nel capanno non c’era corrente elettrica, non c’era alcuna possibilità di riscaldarlo: bisognava provvedere, a qualunque costo. Assurdo pensare di sospendere i loro incontri fino alla prossima primavera. Gianni restò un attimo in silenzio, pensieroso; poi disse:
“Non può essere. Troverò una soluzione, a costo di andare all’inferno e chiederla al diavolo. Parliamone lunedì a tavola”.
“Ti vedo molto deciso; questo mi rasserena: sono sicura che riuscirai a trovare una soluzione. Ascoltami bene'”, lo baciò e sorrise maliziosa:
“prima di lunedì ci sono cinque giorni di astinenza davanti; cosa preferisci fare: approfittare ora dell’occasione, una seconda volta oppure tornare dentro, al calduccio della casa?”
“Tu, cosa faresti?”
“Io saprei cosa fare'” Allungò la mano, diventata esperta, sul membro, poi infilò la testa sotto il lenzuolo, fermandosi prima a vellicare il petto.
“Siamo in due a volere la stessa cosa”. Dopo aver giocato con il sesso allegramente per oltre un’ora, stanchi, infreddoliti e felici, ciascuno per la propria via, rientrarono in casa.
* * *
* * *
Poco dopo le cinque nel capanno brillava una luce sulla scrivania e due stufette scaldavano l’ambiente. Gianni riportò la chiave alla baronessa che lo fissò intensamente, con uno sguardo interrogativo, pieno di ansia e di attesa. Sorridendo, ricambiò lo sguardo, con un lievissimo cenno d’intesa.
“E’ tutto acceso. Ora sei libera di fare nel capanno tutto quello che vuoi”.
“Grazie, Giovanni”. Prese le chiavi e uscì di corsa. Gianni fece il solito giro e la raggiunse. Arrivato, trovò la porta dell’armadio aperta e Grazia seduta sulla sponda del letto, sorridente, avvolta in una vaporosa vestaglia da camera. Si alzò:
“Ammira come si sta bene qui dentro”. Così dicendo aprì la vestaglia, mostrando la sua splendida nudità. Gli cinse il collo con le braccia, appiccicandosi a lui in lungo bacio. Smise il gioco di lingue e, sempre attaccata a lui, gioiosa e felice cominciò a prenderlo in giro:
“Guarda come sei ridotto: cinque giorni di astinenza fanno male anche a te: sei in uno stato pietoso”: Mettendo la mano sulla patta dei pantaloni e muovendola delicatamente continuò:
“Poverino lui, piccolino di mammina sua; sei tutto arrabbiato, nervoso. Sei rimasto cinque giorni senza una carezza, senza baci. Vieni bello, mammina tua ti prende, ti coccola, ti accarezza dolcemente, ti bacia tanto, tanto…” Così dicendo, abbassati i pantaloni, prese fra le mani il membro turgido, accarezzandolo sapientemente prima di iniziare un gioco personale di lingua e di bocca; cosa che la mandava in visibilio, facendola godere sessualmente in modo particolare. Con quel gioco Gianni godeva moltissimo; e Grazia se ne rendeva conto, per questo amava farlo spesso. Ma prima di arrivare al punto estremo, egli mandava segnali:
“Sei egoista, brutta e cattiva. Pensi sempre solo a te e al tuo piccolino: mai a me e alla mia piccolina”.
“Benissimo! Eccomi: non hai che da scegliere come vuoi la tua piccolina. Prendila: è tutta tua”. Grazia, alzatasi in piedi, aveva allargato le braccia per mostrare il suo corpo stupendo. Gli buttò le braccia al collo e, baciandolo, gli saltò addosso, cingendolo in vita con le gambe. Gianni riunì le mani sotto le natiche, guidando così la sua “piccolina” verso il membro proteso. Nel sentire il glande sul sesso, Grazia si spinse in avanti per riceverlo dentro e, sorretta dalle mani di lui cominciò a dondolarsi:
“Che bello così, lo sento fino in fondo. Quando sei sovraccarico, il piccolino in bocca mi aiuta moltissimo: mi eccita e mi fa godere, rendendomi tutta umida e pronta per l’uso. A te piace molto e io godo tanto. Sono pronta…siedi sulla sponda del letto: ti aiuterò a godere. Ahh…sei pronto…sì… ora…uhhhm… Ora stenditi e io su di te. Quanto sei caro”. Gianni si era seduto e lei aveva aumentato il ritmo e la potenza, scossa dall’intensità del piacere. Avevano goduto assieme e lei si rilassava su di lui per tornare alla normalità. “Sono tanto felice perchè ora non ho più paura del futuro. Saremo sempre qui, tutte le volte che vorremo, senza paura di dover interrompere i nostri incontri. Ora sono sicura che dormiremo assieme; non so quando potrà accadere, ma avverrà. Si sono realizzati tutti i miei desideri e si realizzerà anche questo. E’ il sogno più bello della mia vita: dormire con te, come una vera moglie…anche se non potremo sposarci mai. Davanti a noi stessi, alla nostra anima, al nostro amore puro nello spirito e reale nel sesso che ci unisce, lo siamo da circa sei mesi. La società ci ha impedito il matrimonio con le sue regole antiquate e stupide, ma non ci ha diviso: nessuno su questo terra riuscirà più a farlo”.
“Ho sempre pensato che sei il tesoro che racchiude tutto l’oro dell’universo; sbagliavo: dimenticavo di includere anche tutte le pietre preziose e tutti i gioielli. Ma tu vali molto di più: devo tenere presente di aver più cura di te”.
“Sei favoloso: riesci a dire in ogni occasione le cose più belle dell’unverso e più grandi dell’infinito. Ti amo e ti amerò sempre, fino al mio ultimo respiro”. Lo baciò appassionatamente. Grazia era stata un’ottima profetessa.
* * *
“Signora baronessa, oggi è la giornata buona per tornre alle vecchie abitudini. Ho detto alla Mariuccia di preparare la camera d’angolo”.
“Sì… va bene… però non so come la pensa…”
“E’ la sua salute: dovrà riguardarsi”.
“Non credo che conosca…”
“Ci penso io, sono la più vecchia della villa. Signor Giovanni, la camera d’angolo non è una camera per gli ospiti, ma quella riservata alla sua famiglia. Vi hanno dormito i suoi antenati, fino a suo padre. Quando uno dei suoi si trovava in villa e capitava un tampaccio come questo, passava la notte in quella camera. Se era vedovo, come suo padre, vi restava anche altre notti. Per questo motivo ora è pronta per voi: se il tempo continua così voi dormirete qui”. Gianni aveva capito fin dalle prime parole che si parlava di lui, ma non pensava minimamente ad una eventualità del genere, Per cui la proposta di Maria lo colse impreparato; sbalordito rispose:
“Io non posso restare”.
“Perchè?!… E’ un’abitudine seguita dai suoi bisnonni, fino a suo padre e voi non potete farlo!”
“Quando lo facevano loro non c’era una baronessa vedova e tanto meno giovane…”
“Che significa?!… Nessuno pensa che voi farete questa notte quello che non avete fatto in sette mesi!”
“Non volevo dire questo…la gente…”
“Signor Giovanni, io e la Mariuccia siamo nate in questa casa: essa è per noi tutta la nostra famiglia. Quello che succede qui dentro non uscirà mai fuori dal portone. Non farei mai una cosa che possa dispiacere alla signora baronessa: la sua gioia è la mia felicità; la sua tristezza è il mio dolore. ….. Piùttosto pensate a non mandarla con i morti: fatela stare con i vivi. Io il mio consiglio l’ho dao; poi fate come volete”. Li lasciò soli. Dapprima si guardarono sorpresi; poi Grazia inziò a parlare:
“Ha cominciato a farmi il lavaggio del cervello dal giorno in cui fu messa la luce nel capanno. Mi ripete che sono giovane, bella, desiderata da tutti e non devo restre sola: non è giusto sprecare gioventù e bellezza per rimpiangere un morto. Le ho spiegato il motivo che m’impedisce di risposarmi ed è d’accordo; non mi spinge al matrimonio. Mi ritiene una donna seria perchè mi dedico alla casa e faccio vita ritirata. Però se mi dedico ai doveri non devo dimenticare i diritti, tra cui quello all’amore; e pochè sono sola non farei torto a nessuno. Se lo facessi con diversi uomini, quando si presenta l’occasione, sarei la povera sgualdrina, la misera donna perduta; se lo facessi con un solo uomo, un amico, con discrezione, rimarrei sempre una donna seria, onesta. Secondo lei esercitare il mio diritto all’amore è in preciso dovere da compiere, perchè mi permetterebbe di essere sempre serena e distesa, in modo da dedicarmi con tranquillità ai doveri che mi sono imposto”.
“Bel modo di pensare! Però mi è sembrato che verso la fine mi abbia dato delle colpe”.
“E’ arrabbiata; é convinta che tu sia innamorato cotto di me e non tenti mai di farmi la corte. Spinge me a farlo; per lo meno incoraggiarti. Mi perseguita referendomi i giudizi di tutti: tu sei l’unico più stimato della zona …… il più ambito dalle ragazze e dalle vedove. Io sarei la cieca; ho vicino l’uomo più apprezzato e non lo vedo. Sei giovane, bello, forte come un toro…non ridere, ha detto proprio così: forte come un toro…”
“E’ bene informata…”
“Sembra di sì: chiusa qui dentro conosce tutto di tutti”.
* * *
Aveva da poco varcato la porta quando la vide riaprirsi silenziosamente ed apparire sulla soglia Grazia, in vestaglia rosa. Si abbracciarono:
“Non sei ancora pronto…”
“Sono appena entrato in questo salone e cerco di rendermi conto dove mi trovo: è bellissimo”.
“Non hai acceso la luce: il chiarore del caminetto rende questa stanza molto romantica. Lasciamo così; vieni ti aiuto. Ma prima dimmi: perchè non volevi restare?”
“Mi ha colto di sorpresa Maria. Il fatto che il personale possa sospettare qualcosa… Invece Maria, più che una dipendente, sembra una di famiglia, una tua complice…”
“Non ti avevo detto niente prima, però nel pomeriggio ti ho raccontato tutto…”
“Anche a me, ora, ha detto qualcosa… in parole povere, di venire in camera tua. Fatto con discrezione non costituisce scandalo, bensì ‘una gradita sorpresa’. Puoi immaginare se mi sento imbarazzato… Abbiamo la licenza di essere amanti”.
“Non mi piace la parola amanti: mi dà l’impressione di fare qualcosa di brutto: rubare ciò che è nostro diritto avere. Io ti ho sempre amato; ho sempre desiderato di sposarti. Ora lo siamo: mi sento tua moglie, non la tua amante. Mi piace fare l’amore con te e faccio volentieri tutti i giochini che ci fanno gadere; ma solo per darti il mio amore: non ho mai pensato di farlo per un mio esclusivo godimento sessuale”.
“Grazia, capisci ora perchè mi sento imbarazzato?! Solo noi due sappiamo di essere marito e moglie: una coppia finalmente unita e felice. Per gli altri noi saremo sempre due amanti infelici. Non mi piace che gli altri la pensino in questo modo, ma non possiamo cambiare la mentalità della gente. Per questo non vorrei che altri sapessero di noi. Ho aspettato una vita non per godermi il tuo corpo di fata, ma per vivere la tua vita e unirla alla mia”.
“Ora capisco e ti ringrazio per tutto l’amore che mi dai. Scusami se non ti avevo capito prima. Vieni, andiamo a letto e godiamoci la nostra prima notte di nozze”.
“Aspetta”. Gianni, ormai nudo, si avvicinò a Grazia e le tolse la vestaglia, poggiandola sulla sedia, la sollevò sulle braccia e, baciandola, la depose sul letto. Lei si spostò per fargli posto al suo fianco. Entrato nel letto, si distese girato verso di lei. Le infilò il braccio sotto la testa, posò la mano sul suo seno e la tirò verso di sé, sussurrandole nell’orecchio:
“Vieni, siedi sulle mie cosce; scalda il tuo ‘piccolino’ nel solco mitico della Venere Callipigia. Rendiamo questa prima volta come la notte ufficiale del nostro matrimonio. Con il piacere e la gioia del sesso, voglio darti tutto l’amore e la riconocscenza che ho per te, per la gioia che mi dai, per la completezza con cui riempi la mia vita”.
“Aspetta un attimo”. Grazia si girò verso di lui; afferrò delicatamente la sua testa e lo baciò con affettuosa intensità e calore. “Lasciami prima ringraziarti per la serenità e la dolcezza che hai saputo infondermi fin dalla più tenera età; per l’amorevole comprensione e la tenerezza con cui hai voluto circondarmi fin dal primo giorno della mia vedovanza; per l’amore vero e profondo con cui riempi le mie giornate. Poi lasciami ringraziare il ‘gigante buono’, il mio ‘piccolino’, per il sesso che mi ha insegnato e per il godimento che mi infonde ogni giorno”. Così dicendo, infilò la testa sotto le lenzuola e prese in bocca il membro di Gianni ancora in riposo. Senza toccarlo con le mani ci giocò a lungo: lo tirò fuori in parte, per lasciare libero il glande e titillarlo con la lingua. E quando sentì che l’erezione lo ingigantiva, lo lasciò libero. Baciò dolcemente Gianni e si girò, sistemandosi come le aveva suggerito. Allungò una mano fra le cosce, prese il membro ormai indurito e lo sistemò nel mitico solco. “Ho fatto come mi avevi detto. Sono a tua completa disposizione: fa di me quello che preferisci”. Fecero l’amore più volte e sempre in posizioni diverse. Al mattino Grazia si svegliò presto e sentì Maria che apriva la porta di servizio. Vide al suo fianco Gianni che dormiva e ricordò tutto. Non lo svegliò per fargli una sorpresa. Silenziosamente prese la vestaglia e uscì di camera per tornare nel suo letto e dare l’impressione di aver dormito in camera sua. ….. Dopo cena si presentò Maria in sala da pranzo con una bottiglia; la posò sul tavolo, prese dalla cristalliera due bicchieri da cognac e li mise davanti a due giovani. Aprì la bottiglia e versò, di meno nel bicchiere di Grazia:
“La settimana prima di sposarmi, un tempaccio come oggi, la signora baronessa, vostra madre, mi fece chiamare per darmi una bottiglia di cognac, stessa riserva. Mi disse: ‘Questo serve all’uomo quando è freddo: riscalda e lo rende forte; non è vero. Non farlo bere mai solo. Quando versi a tuo marito, bevi con lui: il cognac infiamma la donna, le dà coraggio e la rende disponibile’…”
“Maria, sai che non bevo…” Grazia sorrise divertita.
“Perciò ne ho messo poche gocce. Questa sera si deve bere: c’è sempre una prima volta e questa è la serata buona. Finito di bere andrete a dormire. Buona Notte”.
“Buona notte”, risposero in coro. Grazia prese il bicchiere, lo portò alle labbra, ne prese in bocca alcune gocce e cercò di assaporarle; le ingoio e aprì la bocca, fingendo di non poter più respirare:
“E’ aspro, toglie il respiro…”
“Dopo diventa aromatico, profumato. Il tuo è l’effetto della prima volta; poi passa e si beve volentieri”.
“Non vorrei che mi facesse qualche scherzo…”
“E’ troppo poco”. Vuotati i bicchieri si alzarono, ciascuno cinse la vita dell’altro e salirono le scale. Giunti al piano superiore, con passo sicuro Grazia si diresse alla sua camera e l’aprì, cedendo il passo a Gianni. Questi attese che lei chiudesse la porta, poi la prese in braccio e la portò a letto, dove la depose baciandola:
“Marcia e notte nuziale nella camera della sposa”.
“Sono tanto felice; ora ho veramente tutto: un marito, l’amore e il sesso”.

Eccetto i pochi, ma lunghi, anni della guerra, in cui la felicità fu bandita dalla terra, essi vissero una vita serena. Ebbero la forza di vivere una doppia vita, contro la volontà che imponeva di rispettare usanze e regole non scritte. Essi vinsero una guerra, senza aver combattuto una sola battaglia. E, come nelle favole, vissero una vita felice nella loro intimità, rispettando pubblicamente le leggi di una società che disprezzavano. Vide subito suo padre: i capelli che odiava. Leggermente più alto della media, risaltava facilmente fra la gente per il colore luminoso dei suoi capelli castano-chiari, folti, lunghi fino al collo, lievemente ondulati e ben curati. Affrettò il passo e si gettò su di lui in un caldo abbraccio.
“Sono felice di rivederti e sono fiero di essere tuo padre: la tua fama è giunta anche a Parigi. In giro si parla molto di te'”, gli disse stringendolo a sé.
“Ti ringrazio: le tue parole mi riempiono di gioia”. Gli rivolse un affettuoso sguardo; poi tentennò leggermente la testa.
“So che disapprovi i miei capelli, me lo hai già detto, ma nel mio ambiente bisogna essere al passo con i tempi. Quasi tutti portano i capelli lunghi: è la moda”.
“Tu prepari la moda per i giovani: lasciala a loro; non fare cose che l’età e le condizioni sociali non ti permettono più”.
“Oggi i capelli lunghi sono un segno di rappresentanza'”
“E’ vero: per i giovani i capelloni rappresentano la droga, per i matusa del tuo ambiente il terzo sesso, quello bastardo; per te?!… Tu non appartieni né all’una né all’altra categoria. Papà, tu sei ancora un bell’uomo: hai stampato sul viso la gioia di vivere e la fierezza del potere economico. Perché vuoi confonderti con i peggiori?”
“Forse hai ragione'”
“Un giovane con i capelli come i tuoi sarebbe un paggetto del ‘300; un matusa verrebbe scambiato per un ruffiano di corte”.
“Ci penserò'” ‘.. Parlando erano usciti dall’aeroporto e giunti vicino alla macchina. Mentre apriva la portiera gli disse: “Ti ho comprato un gioiello sportivo. Sei giovane e quando la strada lo permette potrai correre come il vento. In albergo ti darò le chiavi”. Mise in moto; poi seguitò. “Tutte le ragazze ti conoscono di fama; anche quel tuo socio: dicono che siete due fusti'”
“Quel socio è un amico carissimo: per me vale molto più di un fratello”.
“Sembra molto serio, quadrato. A proposito tra le ragazze, non lo nostre, ce n’è una che dice di conoscerti. Nel giro la chiamano ‘la signora’ perché è la più ‘vecchia’; è sempre elegante, anche fuori lavoro. E’ una bella donna; forse ha la tua età, ma sembra molto più giovane”.
Sistematosi nella suite dell’albergo, si era cambiato in fretta, doveva incontrare il padre per l’aperitivo. Alle prese con la cravatta, sentì bussare e nello stesso tempo vide aprirsi delicatamente la porta. Due occhi, luminosi e profondi, fecero capolino dietro il battente; una voce dolce e sommessa, che rievocava momenti intimi e felici, persi dietro una porta sbattuta. Una richiesta senza risposta:
“Posso entrare”- Lo fece; richiuse delicatamente e rimase ferma, eretta, offrendo la maestosa e superba bellezza al confronto del ricordo lontano: “Ti aspettavo. Son venuta per chiederti scusa del modo villano e teatrale con cui sono uscita dalla tua vita. Ti sembrerà strano e incredibile: dovevo farlo per farmi dimenticare”. Dall’istante in cui l’aveva rivista incredulità e stupore si erano alternati sul suo viso, fino a disegnarsi una grande meraviglia, che ingigantì non tanto per la consapevolezza del fascino che emanava quel corpo meraviglioso, molto più bello di prima, quanto dalle parole che aveva sentito. Un turbinìo di pensieri confusi si accavallarono all’improvviso nella sua mente; ma uno dominava sugli altri: la bellezza. Senza riflettere, quasi parlando a se stesso disse:
“La maturità ti dona, ti rende più bella di allora”. Poi, quasi tornando in sé, chiese: “Perché dimenticare?”
“Tu eri già cotto e io ero in fase di cottura. Avevo escluso dai miei sogni la possibilità di diventare moglie e fare figli. Ad evitare che ciò accadesse ho dovuto dare un taglio netto, recitando come un’attrice d’infimo rango. Ho passato una settimana d’inferno: vedevo che eri chiuso in casa, sapevo che soffrivi e piangendo resistevo alla tentazione di bussare alla tua porta. Dopo una settimana ti ho visto uscire: eri uno straccetto; pur con il cuore gonfio di pena sono riuscita a non venirti incontro. Certa che ricominciavi a vivere, riuscii a pensare a me stessa, a realizzare i miei sogni. Ed è stato un bene per te e per me”.
“Hai realizzato tutti i tuoi sogni?”
“No, solo due. Dalla vita volevo fama, ricchezza e amore. Ho avuto fama e ricchezza”.
“Strano! Una donna come te, con gli uomini in adorazione ai tuoi piedi, senza amore!”
“Con te, pur essendo una ragazzina, (più giovane di quello che credevi) avevo imparato molto. Avevo capito che per raggiungere il mio scopo avrei dovuto pagare: la donna paga e pagherà sempre in un solo modo. Inizialmente ho subito il gioco, accettando tutto e tutti. Arrivata e capito che potevo, ho iniziato a dettare le regolo del mio gioco. La fama la devo alla mia professionalità; la ricchezza mi deriva, in piccola parte, dal lavoro, per il resto dagli uomini. Non ho l’amore perché chi se lo può permettere viene nel mio letto per russare, prenotandosi con un assegno da capogiro, portando poi gioielli da favola. Dopo le prime carezze cade addormentato e russa fino al mattino. I giovani, che non se lo possono permettere, nel momento in cui si rendono conto con chi si trovano diventano impotenti”.
“Cosa?!…”, urlò il giovane scoppiando a ridere.
“Sì, Mauro, è così. A volte sento il bisogno fisico di un po’ di sesso vero, sano, quello forte che avevo con te. Vesto un abitino di poco conto, capelli sciolti, senza forma, nessun trucco: divento una studentessa. Prima di entrare nell’università già sento alcuni fischi di ammirazione, qualche sommesso richiamo e vedo molti giovani che camminano col mio passo: devo solo scegliere. Mi lascio abbordare da quello che ritengo il migliore, il più bello, il più forte e virile. Accetto una bibita; e quando il ragazzo è al punto giusto, ambedue imbarazzati sul da farsi, un po’ vergognosa propongo casa mia. Nel momento in cui mi riconosce, avviene una trasformazione incredibile e comune a tutti. La maggioranza diventa letteralmente impotente; alcuni riescono ad avere una parziale erezione con un’eiaculazione precoce. Poi devo consolare il loro pianto desolato. Ognuno mi confessa che la gioia, l’orgoglio, l’emozione di avere fra le braccia la più bella donna del mondo, il desiderio segreto di tutti gli uomini, gioca loro un brutto scherzo: lo rende impotente. Ed vero, non mentono: già nell’androne si nota il gonfiore di un desiderio affannoso; in ascensore un bacio infuocato e sento sul corpo il duro dello stallone pronto. In casa mi riconosce e mi chiede: ‘tu sei…’ Vedo un sorriso radioso’e lo stallone ritorna bambino”.
“Sembra un racconto dell’assurdo'”
“Invece è la realtà in cui vivo. Moltissimi giovani mi sognano, mi desiderano masturbandosi davanti alla mia foto. Al momento di poter materializzare il sogno diventano impotenti. Ed è comprensibile, direi naturale. Tu sei nato nella ‘società bene’; per te la donna bella non è mai l’oggetto di conquista, ma rappresenta un gioco voluttuoso. Per i comuni mortali essa resta un pianeta lontano, irraggiungibile, reale solo nei sogni. Di fronte alla realtà, il desiderio del possesso è tanto grande da trasformarla in una visione, per cui si torna nel sogno senza poter vivere la realtà stessa”.
“Sei molto profonda. Noto con piacere che non hai niente in comune con una ragazzina conosciuta tanti anni fa'”
“Ti ringrazio’ ciò mi rende tutto più facile”. Vedendo poi lo sguardo interrogativo di Mauro, continuò: “Sono venuta anche per un altro motivo: a chiederti una lunga notte d’amore; ti desidero tanto’e ne ho bisogno. Te lo chiedo senza arroganza e senza umiltà, ma con semplicità. Io posso chiedere; tu hai il diritto di scelta: accettare o rifiutare”. Passato lo stupore iniziale, con amichevole e radioso sorrise Mauro le disse:
“Sei una donna stupenda. Sono sicuro che per noi sarà una meravigliosa esperienza'”
“Mi rendi la donna più felice dell’universo; te ne sono infinitamente grata. Ma pongo una condizione: vale solo per il presente, senza futuro. Un presente lungo le tue vacanze parigine; poi’il ricordo”.
“Perché?…”
“Da bambina ho sempre sognato, ora ci sono riuscita, di far parte del ‘Jet society’, mondo dove moltissime ragazze vorrebbero entrare. Tutti conoscono quelle due magiche parole che sembrano evocare paradisi lontani; nessuno le considera nel loro realtà quotidiana di: ‘prostituta di lusso’. Io non mi vergogno del mio mondo, anzi’; tu devi starne lontano. Se qualcuno del tuo mondo ti vedesse con me ora, penserebbe che sei un ragazzo fortunatissimo, nato con la camicia. Se ci vedessero assieme a Roma, tu perderesti la stima di molte persone che contano; i nostri sono due mondi opposti: tu appartieni alla ‘gente bene’ della cultura e della finanza, io a quella della superficialità e del sesso. Desidero che tu resti un faro lucente: il più alto e il più luminoso. Un giorno, quando mi sarai vicino richiamato dai ricordi, io mi sentirò fiera e appagata di me stessa: per un breve periodo sono stata la padrona della luce”.
“Mi sorprendi sempre più: sei sognatrice e poetessa'”
“Sono molto pratica. Nel mio mondo ne ammazza più la lingua e la maldicenza che non il veleno e la pistola. Tutte vivono l’estate della gioventù; ma riesce a sopravvivere solo chi raggiunge la saggezza dell’esperienza. Io sopravvivo e, in parte, detto legge”. Mentre parlava, lentamente avvicinava il viso a quello di Mauro, fino a sfiorargli la bocca con la sua; a quel punto disse: “Non ho il rossetto” e poggiò delicatamente le labbra su quelle di Mauro. Nel sentire la calda risposta di lui, gli gettò le braccia al collo, stringendo la bocca infuocata e aderendogli addosso con il corpo fremente. Un bacio lungo, appassionato, sensuale; poi poggiò la guancia su quella di lui, sussurrandogli nell’orecchio: “Non l’avevo messo’desideravo tanto un tuo bacio. Mi hai ridato la gioia della vita”. Lentamente si staccò da lui, guardandolo con tenerezza. Si riprese subito e in tono leggero e canzonatorio gli disse: “Ti lascio alle insulse e leziose attenzioni delle ragazze”. In tono serio e sommesso aggiunse: “Dopo la sfilata spero di trovare un posto nel tuo tavolo”.
“Oltre al mio, ci sarà un solo coperto riservato alla Prima Donna’appena sarà libera”.
“Grazie”. Gli sfiorò le labbra di sfuggita e aprì la porta. Una mano alzata, pronta a bussare, la bloccò: il padre di Mauro. Dopo un attimo di sorpresa, fece un passo indietro dicendo:
“Chiedo scusa”.
“Mi perdoni”, mormorò la donna chinando leggermente il capo in segno di saluto; poi uscì di lato, affrettandosi lungo il corridoio.
“Sei pronto?” chiese rivolto al figlio: “gli altri sono tutti nel salone'”
“Sono pronto”, rispose Mauro infilandosi la giacca: “possiamo andare”. Nel momento in cui usciva il padre lo guardò e chiese:
“Allora’era vero!?”
“E’ stata la prima ragazza conosciuta appena arrivai a Roma tanti anni fa. Cinque mesi meravigliosi. E’ Venuta a dirmi perché mi piantò'”
“Solo?!”, chiese con un sorrisetto di complicità.
“Mi ha offerto la sua amicizia disinteressata, solo per il periodo di vacanze parigine. Senza futuro”.
Nel frattempo fu attirato da un sottile e delicato profumo, senza dubbio uno Chanel. Alzò lo sguardo e vide una bella ragazza, alta e slanciata, un corpo da favola, scultoreo: il modello ideale per una indossatrice, Aveva un viso ovale incantevole, occhi azzurri e lim-pidi, lineamenti perfetti. Procedeva con un incedere elegante e disinvolto. Vestiva un abito di seta, corto come quello che indossava Laura. Notò subito la stonatura: i capelli, lunghi, uniformemente lisci, spioventi sul viso e sulle spalle, dal colore indistinto, forse paglierino sporco, forse sale e pepe, che la faceva somigliare vagamente ad una ‘figlia dei fiori’; ma non sembrava una drogata. La ragazza avanzò verso la panca di marmo e sedette con compostezza, come un’educanda di un convitto monastico, con le mani sul grembo; vistasi osservata dal giovane abbassò gli occhi, quasi fosse in meditazione.
* * *
Si accorse che dietro lo spioncino c’era un occhio: una leggera variazione di luce la mi-se in guardia; e fece finta di guardare altrove. Poco dopo un rumore di serratura, uno scatto e la porta s’aprì un pochino: solo uno spiraglio per vedere in faccia il visitatore. Mauro al centro dell’apertura, copriva la visuale. Come previsto, era cupo, tetro; si vedeva chiara-mente che dentro di lui si agitava un uragano spaventoso. I capelli arruffati, leggermente umidi; gli occhi arrossati, un pò appannati; una piega amara agli angoli della bocca imbrut-tivano quel viso imbronciato. Indossava un accappatoio chiuso in vita dalla cinta. Camilla, con il massimo candore, un radioso sorriso e tanta dolcezza disse:
-Ciao, mi riconosci?-
-Si, la ‘sorellina’ di Giorgio’la baronessa-. Rispose in tono rude, sempre fermo al centro della porta. Camilla ebbe l’impressione di una voce incerta, come se la lingua fosse leggermente impastata. Con un tono più aspro aggiunse: -Come mai sei venuta?- Ma non dava segno di farla entrare.
-Ero seduta al bar per un gelato; ho sentito il rombo di un motore potente e ho visto la coupè: ti ho riconosciuto subito. Non sei tornato indietro’ho pensato di venirti a saluta-re’ Non sapevo che tu fossi in compagnia’- Spiegò Camilla con il suo accattivante e disarmante sorriso.
-Non sono occupato; sono solo-. Replicò con tono duro e sarcastico insieme.
-Allora’mi sono sbagliata-. Disse lentamente Camilla. Il sorriso sparito dalla bocca, gli occhi dal colore mutato dal celeste del cielo al grigio dall’acciaio, lo sguardo luminoso fisso nel suo divenuto duro e spietato, sorpresero Mauro. Restò un lungo attimo visibil-mente sconcertato e interdetto da quella metamorfosi; poi abbassò lo sguardo per nascon-dere il suo turbamento e con voce dimessa chiese:
-Perché?…-
-Ero sicura che l’amico fraterno del mio fratellone fosse un gentiluomo forte, energico, diverso da tutti. Alla prima occasione sono costretta a ricredermi: è uno come gli altri, manca perfino di ospitalità-. Pur avendo il sorriso sulle labbra, la sua voce era neutra, indifferente. A tali parole Mauro sembrò colpito; reagì, alzando energicamente la testa. Aprì la porta e si spostò di lato; chinando appena il capo in segno di rispetto, disse:
-Avanti’-
-Ero venuta con tanta amicizia’ma essere invitata ad entrare per semplice dovere di ospitalità: no, grazie’ Sarà per un’altra volta-.
-Ti chiedo scusa’- le disse Mauro fissandola intensamente negli occhi, mentre lo sguardo di lei riprendeva luminosità. -Ti prego,- vedendola avvicinare continuò: -en-tra; è un brutto momento per me’- mentre lei lo fissava con dolcezza riprese: -Forse la tua presenza può aiutarmi a ritrovare me stesso-. La prese delicatamente per un braccio e la guidò verso il salotto. Camilla rimase sbalordita: un insieme eccezionale di mobili veneziani, tutti originali del ‘700, abilmente disposti dalla mano artistica di un architetto; valorizzati e arricchiti da una serie di tappeti orientali da parete e da pavimento disposti con molto gusto. L’accompagnò vicino ad un grazioso canapè e le fece cenno di sedere, chiedendo: -Posso offrire qualcosa?-
-Non ora, grazie-. Mauro sedette in poltrona, senza dubbio quella in cui amava fare relax, pensò Camilla: aveva vicino un tavolinetto intarsiato, su cui troneggiava una botti-glia di pregiato cognac e un panciuto bicchiere con del prezioso liquido ambrato. Lei fissò per un attimo la bottiglia; poi alzò lo sguardo verso il giovane dicendogli:
-Sono donna, per di più giovane, perciò priva d’esperienza, non posso e non voglio dare consigli; però dal mio punto di vista non è quello il modo per risolvere un problema, per lo meno non è il migliore né il più intelligente-.
-Che tu sia donna non significa niente: la storia è fatta anche dalle donne; non ricono-scerlo vuol dire essere stupidamente maschilista. Che tu sia giovane nemmeno: anche i gio-vani fanno esperienza; anzi ci sono di quelli nella cui intelligenza germoglia e matura l’esperienza inseminata dai genitori e dai nonni. Infine che tu abbia ragione è un fatto positivo-. ‘.. Mauro la fissò; quasi parlando a se stesso disse:
-Hai occhi grandi, celesti bellissimi; in questo momento sembrano azzurri, profondi: ci si specchia l’infinito. Sulla porta erano diventati grigi, freddi, duri come l’acciaio. E’ stato un bene, ne avevo bisogno. Per la prima volta mi sono sentito a disagio con una donna: questo è indice di grande personalità, quella della nobiltà cui appartieni-.
-Non sono d’accordo: la personalità non viene trasmessa per via genetica; la si conquista giorno dopo giorno con l’esempio e la cultura che ci vengono dati. Perciò non è la nobiltà che valorizza la nostra personalità, ma è il modo di realizzare noi stessi, in ogni circostan-za, che nobilita il titolo ereditario-.
-Un’accoppiata straordinaria, fuori del comune: bellezza e intelligenza. Doti rare anche singolarmente; in te si fondono in modo mirabile-. Così dicendo si era alzato avvicinan-dosi al canapè; prendendole delicatamente i capelli disse: -Posso?… Sembra una cascata d’oro lucente; fra le mani una morbida e soffice seta. Non capisco: sei una ragazza bellis-sima; e non fai niente per valorizzare la tua bellezza. Un’altra al posto tuo apparirebbe su tutti i giornali; cercherebbe di entrare nel mondo della moda o del cinema-. Parlando si era seduto al suo fianco. Camilla, per fare più spazio, si era spostata, quasi rannicchiata, verso il bracciolo sul quale poggiava. Era certa ormai che sarebbe stato suo e avrebbe volu-to aiutarlo, anche per accelerare i tempi, ma non sapeva come regolarsi: aveva paura di apparire goffa o mostrarsi troppo sfacciata, come le altre. In attesa degli eventi, rispose:
-E’ un dono della natura di cui non ho merito. Mi è stato insegnato a non farmene un vanto né ad averne paura; per cui ho imparato a conviverci in modo semplice e naturale-.
-E’ strano: ogni volta che sono con una bella ragazza cerco subito di averla; a volte mi è facile riuscire. Con te invece mi è difficile, è tutto diverso’-
-Forse perché ho la bellezza fredda’non ho l’attrattiva’come si dice!?…non sono sexy’- suggerì con il sorriso sulla bocca e con le guance lievemente arrossate dal parlare audace di Mauro.
-No, no, tutt’altro; anzi!… Con le altre mi è facile approfittare della buona occasione; con te è proprio diverso: è un fuoco interiore, non solo fisico. Non riesco a trovare le parole adatte: è come se avessi la lingua legata, il terrore di sbagliare. Vorrei accarezzare la tua pelle delicata, per sentire nelle mani la morbidezza del velluto; ma ho paura di macchiare il tuo corpo di fata. Desidero baciare la tua bocca soffice, ma temo che sulle tue dolci labbra mi cessi il respiro’- Parlando, Mauro si era accostato alla ragazza, le aveva cinto delica-tamente le spalle con un braccio, aveva avvicinato la bocca a quella di lei. Nell’attimo in cui le labbra si sfioravano, Camilla, con un lieve e aggraziato movimento, si alzò: gli occhi luminosi, il sorriso sulle labbra, il viso in fiamme esprimevano una gioia quasi infantile e forse, pur senza mostrarlo apertamente, eccitata dal suo nuovo gioco. Mauro cercava di interpretarne il comportamento: in lei c’era semplicità e innocenza. Era evidente che si muoveva come in un gioco; ma non riusciva a capire dove terminava il gioco, dove inizia-va la seduzione. Una sola certezza: non l’aveva rimproverato né si era offesa; anzi appariva un po’ confusa, ma piacevolmente eccitata. Poi Camilla, fissandolo negli occhi e cercando di nascondere il suo turbamento, disse:
-In aggiunta sei anche un poeta dalla voce melodiosa e incantatrice’- e guardando di nuovo all’intorno da vera intenditrice riprese: -E’ proprio vero’-
-Cosa’?!…non capisco’-
-Gli architetti non sono tecnici, bensì artisti-. Sorridendo aggiunse: -Tu sei anche poeta-.
-Non è tutto merito mio: mi ha aiutato anche Giorgio-.
-Se tutto il resto è come questa sala’- Mauro prese la palla al balzo: farle visitare la casa e poi’
-L’appartamento si sviluppa sui quattro lati del cortile, ma in questo momento è abitato solo in due: quello frontale sulla strada e quello ovest. Gli altri due sono chiusi, in parte per restauri, in parte per completare l’arredamento. Vieni, ti mostro la parte completa-. Così dicendo la prese con delicatezza sotto braccio, guidandola come un cicerone lungo le sale e salotti che si susseguivano. A quel contatto Camilla ebbe un brivido e sentì qualcosa di strano. Analizzò se stessa per capire cosa le stava accadendo. Era venuta per uno scopo preciso: donare la sua verginità a Mauro; tutto si doveva svolgere come una normale opera-zione chirurgica, senza anestetico né dolore. Tuttavia qualcosa stava cambiando. Di certo non era in una sala operatoria, però il suo fisico, o meglio la psiche, aveva iniziato a vivere una vita autonoma, fuori dalla sua volontà. Prima si era sentita emozionata per dei semplici complimenti; poi avvampare di rossore per due labbra che cercavano di sfiorare le sue; ora un brivido che non aveva avvertito quando le aveva preso il braccio sulla porta. Percepiva reazioni, stimoli, desideri nuovi, inattesi e incontrollabili. Era certa di essere diversa. Quel-lo non era un brivido’ bensì una scossa: una scarica elettrica che si era propagata per l’intero suo corpo fino’fino’sì fin lì’alla sua verginità. Lì si era generato un tepore, diffusosi per tutte le membra. Non solo, ma lì succedeva qualcosa di strano: sembrava che la scossa avesse aperto un vuoto dove s’agitava una forza misteriosa, quella che aveva generato il tepore. Era calda, umida’sì umida’che strano; ma non poteva essere: manca-vano molti giorni. Eppure sentiva dell’umido’caldo’ Per la prima volta il desiderio di essere toccata e accarezzata la pervase; a quel pensiero un piacevole languore si diffuse nel suo corpo. Cercò di riprendere il dominio di se stessa. Si rese conto di essere guidata dal braccio di Mauro’sentì di nuovo qualcosa lì sotto’era indefinibile’come un vuoto; poi calda umidità che infondeva dolcezza’un senso di beatitudine’ Non doveva farsi sedurre da strane sensazioni, ma essere concentrata; era in visita all’appartamento di Mauro, al suo braccio, al quale si strinse leggermente. Stava dicendo’ Aveva già visto molte sale, tutte belle, con affreschi, quadri, dipinti; ognuna arredata in modo diverso, con mobili d’epoca e tappeti originali. Aveva spiegato molte cose’lei non aveva afferrato niente, distratta da curiose e indecifrabili reazioni anatomiche. Era fermo davanti ad una porta e diceva’ s’impose di concentrarsi; aveva detto camera da letto’affreschi non importanti: -Nel senso che non sono catalogati né conosciuti nel mondo dell’arte. Forse perché l’autore non apparteneva a una scuola autorevole, per cui non erano firmati dal caposcuola; forse perché sapientemente tenuti segreti dai vecchi proprietari. Nessuno ne conosce l’esistenza, ma sono bellissimi-.
* * *
Terminata la spiegazione, Mauro aprì la porta; mise le mani sulle spalle di Camilla e con delicatezza la spinse verso l’interno. Dopo alcuni passi, attonita e sbalordita, si fermò ad osservare la parete di fronte, nel cui centro dominava un enorme affresco. In uno stile barocco classicheggiante erano rievocate, con pregevole fusione, alcune scene fiorite sul mitico Adone. In primo piano un uomo nudo, viso maschio, bello, dal fisico atletico, in atto di accogliere sulle braccia una fanciulla dal corpo semirigido, già inclinato. La schiena abbandonata sul braccio proteso dell’uomo; la testa sulla spalla; un braccio pendeva inerte sulla coscia di lui e l’altro sulla propria con la mano rivolta al pube, come a coprire il folto vello ambrato. Il viso era ovale, dallo sguardo profondo e un dolce sorriso sulle labbra. Aveva un fisico acerbo e morbido dalle forme flessuose, come quello di un giovane efebo. Sulla destra del dipinto si apriva un arco di spiaggia e un lembo di mare, dove veleggiava-no alcuni amorini. In fondo partiva il promontorio che si alzava verso il centro e su cui troneggiava la rocca di Pafo. In basso, dietro le figure, si scorgeva un tempietto circondato dal bosco; sulla sinistra, davanti agli alberi, grugniva un cinghiale con il muso alzato e le fauci spalancate, verso cui dal fondo avanzava un uomo seminudo con l’elmo e lancia in mano. Colpita e meravigliata dalla bellezza dell’affresco, Camilla rimase a contemplare le figure centrali, armoniose e plastiche, dai colori naturali, vivi, luminosi, in netto contrasto con quelli forti, scuri, spenti, del paesaggio circostante e delle figure di secondo piano. Mauro si era avvicinato lentamente e in silenzio alle sue spalle, poggiandole lievemente le mani sulle braccia; avvicinò il viso al suo orecchio, per ricordarle la favola illustrata sulla parete. Le sussurrò: -Adone e Venere, il grande amore terrestre della dea della bellezza e della grazia femminile. Morso dalla gelosia, Ares si mutò in cinghiale per uccidere il riva-le. Le due figure centrali rievocano anche un altro mito: Pigmalione, nonno materno di Adone, innamorato perdutamente della dea si portò a letto la sua statua-. Scaldata dal tepore delle mani e incantata dalla dolcezza della voce, Camilla gli poggiò le spalle al petto, avvicinando il viso a quello di lui, in atto di ascoltare meglio. Fingendo indifferenza, il giovane continuò: -Per me l’artista ha voluto evidenziare un aspetto nuovo di Venere; non solo dea dell’amore fisico, sensuale, ma anche quello spirituale, romantico, erotico. Il corpo della dea è longilineo, armonioso dalle forme perfette, morbide e delicate; lo sguardo profondo, soavemente invitante e il sorriso dolce seducente le tolgono la caratteristica principale: la voluttà, la brama d’un amore lascivo, fortemente sensuale. Nello stesso tem-po tutto induce al sogno, all’attesa, al desiderio di un corpo attraente, che racchiude in sé la offerta e la promessa di piaceri supremi. Un gioco fatto di sguardi, di abbandoni, di inviti, di speranze, di carezze, giochi che realizzano l’amore erotico, preludio al possesso finale. Questo lo si deduce e comprende meglio dal secondo affresco: il mito di Diana di Nemi-. Così dicendo con le mani aiutò la ragazza a girarsi a destra, ove troneggiava un affresco bellissimo. Al centro due figure nude: lui, robusto, muscolatura possente dell’uomo forte, vittorioso, proteso in avanti in atto di avanzare per prendere possesso del premio; bene in mostra i suoi genitali, anche se in posizione di riposo. Dietro le braccia protese, si ergeva un enorme albero frondoso, dal tronco solido e nodoso, al quale poggiava in languida posa il braccio piegato e il fianco della donna: forme robuste, opulenti, dai seni abbondanti, ripieni e sodi. I fianchi opimi, vogliosamente tesi in avanti, in atto di offerta, mettevano in bella mostra un pube rigonfio, coperto da un folto e ricciuto triangolo nero. A destra, in evidenza, il lago di Nemi, dove sul contorno, in fondo, si innalzavano le rocce su cui appa-riva il villaggio. Dalle rocce sgorgava uno zampillo il quale, con un arco ampio e lumino-so, cadeva in un gioco di acque trasparenti e iridate in un limpido ruscello che si perdeva nel lago; e dal ruscello appariva una figura di donna, dal corpo giovane e flessuoso, con viso bellissimo e il ventre prominente. Sulla sinistra, tra il folto bosco sacro, risaltava il tempio della dea; davanti vi giaceva un cervo abbattuto e sul corpo poggiava in bella mostra un arco e la faretra con le frecce. -Secondo il mito-, riprese con voce sommessa Mauro, -nel bosco di Nemi germogliava un albero sacro. Chi ne rompeva un rametto avanzava un diritto di successione sfidando il vecchio re; il vincitore diventava re del bosco e amante della dea. La Diana di Nemi non era solo dea della caccia, ma anche della fecondità e del parto; sua collaboratrice e assistente, che proteggeva le partorienti, era la ninfa Egeria. Fedele a detta leggenda il pittore ha creato: il re possente e muscoloso, pronto a trasmettere la sua forza il suo dominio all’oggetto della contesa; la dea, come una Magna Mater, nell’atto di offrire l’opulenza delle sue forme giunoniche, per ricevere la vigorosa linfa vitale nel giardino della fecondità. Dal contrasto dei corpi nasce l’idea che l’artista volesse esprimere due modi diversi di concepire l’amore: Venere, dea dell’amore, ha un corpo giovane che ispira bellezza, armonia, dolcezza, grazia, dove tutto è promessa, sogno, attesa, per cui non è più la dea del sesso, ma quella dell’erotismo; Diana invece, dea della fecondità, ha un corpo sodo, pieno, procace che genera, con le sue forme provocanti, una forza magnetica, un calore eccitante, un profumo inebriante, che diventa un invito all’amo-re sensuale che attira e accende la potenza imperiosa del sesso, dove si genera e nasce la vita-. Mentre parlava, Mauro aveva avvicinato ancor più il viso a quello di Camilla, che, con lieve movimento della mano, aveva tirato indietro i capelli, lasciando le guance a leg-gero contatto; poi delicatamente gli aveva poggiato la schiena al petto. Quel movimento naturale gli era sembrato un atto di fiducia completa, in attesa del dono totale; e si lasciò andare, dando via libera all’eccitazione che lo prendeva. Con la solita voce suadente conti-nuò: -La validità della mia interpretazione è nella volta’- Piegò leggermente la testa all’indietro per guardare verso l’alto, imitato dalla ragazza che, nel farlo si mosse con tutto il corpo, lasciando per comodità la testa appoggiata alla spalla e il corpo completamente incollato al suo, come se fosse stato attratto da una forza magnetica. Girò il viso verso di lui, ritrovandosi con la bocca vicino al mento e gli disse: -Scusami forse ti dò fasti-dio’- e fece l’atto di staccarsi. Mauro, che nel frattempo le aveva posato con delicatezza le mani sui fianchi, la trattenne dicendo:
-Non preoccuparti, questa per te è la posizione più comoda per osservare l’affresco-. Nel dire ciò aveva abbassato la testa, volgendo lo sguardo verso di lei; tornando a guardare in alto le aveva sfiorato con le labbra un angolo della bocca, in un rapido e tenero bacio. Lo aveva fissato con i suoi occhi immensi, dolci, luminosi; gli aveva sorriso mormorando:
-Grazie-.
La volta era stata divisa dall’artista nel suo asse longitudinale: a sinistra aveva ripreso il mito di Adone; a destra quello di Diana. Rispetto alle pareti le figure centrali erano legger-mente mosse. Adone ora poggiava la schiena al tronco di un fronzuto albero sacro: sorreg-geva la dea cingendola in vita con una mano, con l’altra le prendeva un seno piccolo e sodo; Venere giaceva languidamente su un fianco dell’uomo che cingeva con un braccio. Aveva la testa posata nell’incavo del collo, gli occhi dolci, estatici, fissi nei suoi, mentre un sorriso soave e promettente aleggiava sulle labbra; l’anca premuta sull’inguine metteva in risalto un membro già pronto, adagiato mollemente sulla coscia e l’altra mano posata sul pube, quasi a coprirlo, con le dita protese ad indicare l’oggetto carico di desiderio. Nell’al-tro mito, Diana, uscita allo scoperto, era stata raggiunta e presa dall’uomo davanti all’al-bero sacro. Il sacerdote aveva lo sguardo fiero del vincitore: un braccio circondava la vita della donna dalle forme piene e procaci, stringendola a sé; l’altro teso nell’atto di acco-glierne nella mano semichiusa la testa. La dea a sua volta lo fissava con gli occhi lucidi, vogliosi, ricolmi di desiderio: con un braccio intorno alla vita e la mano aperta sulla schie-na lo serrava a sé, per schiacciarlo sul suo petto sodo e abbondante; l’altra mano sul pube dell’eroe pronta ad afferrare, per guidare nel tempio della fertilità, la virilità generatrice. Dopo un breve silenzio, Mauro riprese:
-Come vedi, Venere promette con gli occhi e indica con le dita l’oggetto del suo deside-rio, ma copre con la mano l’ingresso del tempio; lo sguardo dolce, senza malizia, il sorriso ricco di promesse. L’amante le rivolge una muta richiesta, la scalda con la mano sul seno, ma non insiste, non ha fretta; il loro è un amore fatto di sguardi, promesse, attese, desideri, inviti, seduzioni: momenti ed aspetti dell’erotismo, in cui l’amore raggiunge il culmine del piacere e si completa nel possesso. Diana invece rappresenta l’opulenta fertilità: le forme sono procaci per provocare e sedurre il maschio, i fianchi ripieni adatti a portare il peso della gestazione, il seno sodo e prosperoso per nutrire. Lei non gioca con l’atleta, esige e pretende il vincitore erculeo, possente, vittorioso nella sfida per la vita; lo brama, lo preten-de per sottomettersi alla sua forza vivificatrice. In lei ogni tratto, ogni colore ha un che di sensuale: tutto ruota intorno a quel sesso proteso ed offerto per entrare nel tempio della fecondazione-. Subito Camilla aveva avvertito qualcosa: i suoi occhi erano sulla coscia di Venere; ma quello che lì appariva dipinto, molle, inerte lo sentiva sul suo corpo vivo, robusto, prepotente. Non doveva apparire principiante, volgare, bensì fingere indifferenza e mostrare superiorità. Era venuta solo per quello: offrirgli la sua verginità e si avvicinava all’obiettivo. Ora doveva essere se stessa: fredda e razionale per capire e godere ciò che si chiama momento magico. Si era accorta che, malgrado la volontà di essere fredda e razionale, il suo corpo continuava a vivere in modo autonomo. La rigidità con la quale si era appoggiata a quel corpo maschile era scomparsa: ora vi si trovava languidamente adagiata’in modo sfacciato’insolente. Sentiva pulsare sulla sua carne, alla ricerca della sede naturale, la forza generatrice di lui, schiacciata fra le cosce in attesa di riceverla dentro di sé. Avvertiva un calore crescente che da lì divampava, la invadeva, le impediva il respiro normale. Aveva capito di essere divisa in due: lei in attesa di dare se stessa passiva-mente, il corpo invece vibrava, bramava ricevere, fremeva di desiderio, anelava colmare quel vuoto dove il calore era diventato intenso, un fuoco insopportabile. Nell’esporre le sue teorie, Mauro aveva notato che il corpo di Camilla, sul principio poggiato in modo rigido al suo, ora vi giaceva del tutto rilassato; la testa, inizialmente posata sulla spalla, ora vi si adagiava del tutto abbandonata. Le sue mani sui fianchi di lei, si erano aperte e scese sugli inguini in una morbida carezza; il sesso brutalmente ingrossato, era compresso dal corpo in cui cercava spazio. Era sorpreso dal comportamento di Camilla che non aveva cercato di evitare la sua erezione: non sembrava infastidita, non aveva partecipato al gioco. Abbassa-to lo sguardo, aveva capito il motivo: il suo viso rifletteva l’immagine del godimento. Gli occhi semichiusi persi in una visione lontana; le labbra socchiuse, piegate in un sorriso beato; il respiro corto, un po’ pesante. Ora sapeva che sarebbe stata sua, ma non voleva prenderla in uno stato di semicoscienza. Piegò la testa e le poggiò la bocca sulla base della gola in un bacio ardente. Un lieve e breve ansito’e la testa fu spinta all’indietro per porgere meglio la gola al suo bacio. Risalì con le mani, come una lieve carezza, lungo il suo corpo, fermandole sui seni superbamente protesi in avanti: sodi, duri come sassi, dai capezzoli rigidi, inflessibili. A quel contatto lei ebbe un fremito, un lungo brivido che si ripercosse sul proprio sesso indurito, Capì che era completamente persa dietro una visione, ma il suo corpo restava presente, vivo, pronto ad ogni stimolo. Si staccò da lei, le mise le mani sulle spalle e la girò dolcemente avanti a sé. Aperti gli occhi dolci, profondi, Camilla lo guardò intensamente, esprimendogli una trepida offerta e muta richiesta d’amore.
* * *
Recepito il messaggio, Mauro si chinò verso di lei, circondandola con le braccia, le posò le labbra sulla bocca. Lei accettò il bacio pur restando con le labbra chiuse; quando sentì su di esse la lingua che cercava di forzarle, le socchiuse. La lingua guizzava, agile e prepoten-te, per entrare; ed aprì la bocca, accettandola; ma quella continuò a frugare in cerca di qual-cosa: la sua, che prese a titillare. A quel contatto un brivido caldo, lungo, interminabile la privò di ogni forza; gli si appoggiò per non cadere, abbracciandolo senza stringere e gli aderì in un languido abbandono. Era il momento e il segnale che aspettava. Persistendo nel bacio pieno, lungo, infinito, Mauro frugò sulla schiena e davanti, alla ricerca dell’apertura per toglierle la camicetta; lei lo assecondava, muovendosi appena; poi toccò alla gonna, che fu lasciata cadere. Per la sottoveste dovette interrompere il bacio; abbassò le spalline lungo le braccia, che lei mosse per tirarle fuori, mise le mani sui fianchi e delicatamente seguì le curve del corpo, portando dietro il tessuto, che finì sulla gonna. Fatto ciò, si mosse per rimirare quel corpo, su cui un triangolino di seta restava a coprire in parte un folto e ricciuto vello d’oro. Con un lieve rossore sulle gote, un timido e soave sorriso sulle labbra, lo sguardo pudico rivolto in basso, Camilla eresse il corpo in una posa semplice naturale, esponendo lo splendido fulgore del suo giovane corpo agli occhi ammirati di lui. Mauro sbalordì: aveva già visto dei corpi bellissimi; e pur avendo notato e capito fin dal primo incontro che lo fosse, non aveva mai visto né pensato a delle forme perfette, a una mirabile armonia di curve, ad una deliziosa pelle ambrata. Fu maggiormente colpito dalla bellezza dei seni, completamente eretti e protesi in avanti: sembravano due piccoli coni, quasi perfetti, alquanto arrotondati e incollati sul torace levigato. Ammirato e sbalordito le si avvicinò; pose delicatamente le mani alla base dei seni; si chinò sul destro e ne prese in bocca quanto ne fu possibile, titillando il capezzolo con la lingua. A quel contatto il corpo di Camilla ebbe un riflesso incontrollato: con guizzo si arcuò spingendo in avanti il pube, che si schiacciò contro la protuberanza che gonfiava i pantaloni. Ben presto si accorse che quel corpo vibrava, pur restando fermo; egli stesso era molto eccitato. Si staccò dal seno, prese la donna sulle braccia e la distese sul letto. Le prese il ridottissimo slip tirandolo in basso; lei si sollevò sui talloni per agevolare il lavoro. Mentre si spogliava, lei riprese il controllo di sé. Era arrivato il momento: non doveva arrossire né aver paura di nulla, ma facilitare il compito per non fargli capire che era la prima volta; in attesa, quasi con movi-mento automatico, aveva divaricato appena le gambe. Salito sul letto, Mauro s’inginocchiò nelle spazio preparato, restando con il busto eretto a contemplare quel corpo superbo: era bellissima, gli occhi aperti, luminosi, azzurri come il cielo e il sorriso dolce invitante.
Lo guardo in trepida attesa; sono pronta al sacrificio’in onore della dea dipinta sulla volta. Poi vedo il sacerdote. E”non saprei dire come: è la prima volta che ne vedo uno’ è’sì, è maestoso, proprio splendido e fiero, proteso superbamente in avanti nell’attesa di entrare’ Quello deve entrare dentro di me’ farsi strada, rompere, squarciare tutto! No, non ha distrutto nessuna’mai! Anzi dona piacere. Sì’ il tessuto elastico’ ora ricordo: l’elasticità dell’uomo è esterna, bene in vista’imponente; a noi donne è interna, nascosta, celata’forse avvolgente. Ora si china adagiandosi dolcemente su di me; poggia le mani oltre le spalle, a fianco della testa, depone la bocca sulla mia. Che strano: è su di me e non ha peso! Ormai esperta, apro le labbra e muovo timidamente la lingua, subito raggiunta dalla sua. M’impongo di essere sveglia, voglio analizzare ciò che sento; godere questo momento irripetibile, senza cedere al piacere, al godimento dei sensi. Sento il sacerdote fremere; è compresso sul pube, in attesa di entrare nel tempio. I suoi fianchi si sollevano e quello si muove verso il basso; si fa largo tra il vello e si ferma sull’ingresso principale. Non cerca, non forza la porta, ma risale verso l’alto dove trova qualcosa’si, il triangolino elastico; lo provoca’e quello si eccita’s’indurisce’è rigido ora’sì continua, ti prego’ che bello: il delicato solletico rapisce i sensi. Un languore dolce mi pervade; ora devo restare sveglia. Riscende, arriva al centro, si ferma un attimo sulla porta; poi con molta delicatezza, spinge dentro’ ma non entra; riprova a forzarla’ preme con decisione e avverto fastidio’una resistenza che tira la carne: sento un dolorino. Non riesce ad entrare, è sulla porta e spinge per forzarla’l’ingresso elastico si piega e non cede’devo aiutarlo… andargli incontro. Di nuovo torna alla carica con maggior vigore, ma nello stesso tempo sollevo con forza il bacino per favorire l’ingresso del ministro nel tempio. E’ uno scontro terribile, spaventoso: sento aprirsi uno squarcio nella carne che provoca un dolore lanci-nante: -Ah!!!- Non so se sia stato un urlo, un grido, o, forse, un fremito di piacere. Il sacerdote si muove con delicatezza: sembra lambire con voluttà le pareti del tempio, come in un lungo bacio, per farsi perdonare la ferita. Il dolore diminuisce, ora somiglia al brucio-re dell’alcool; metto giù il bacino e le mani vanno sulle sue spalle. Il sacerdote è delizioso: resta dentro con un ritmo dolce, leggero, continua a vellicare le pareti del tempio; nascono sensazioni nuove, indefinibili, come se tutto fosse avvolto e ruotasse intorno al ministro di Venere. Il bruciore è ridotto; resta un piccolo prurito. Sposto il bacino per cercare una posizione più comoda’ avviene qualcosa in fondo: il sacerdote ha toccato l’altare’ ne è scaturita un’ondata di piacere diverso, favoloso; mi accorgo che i fianchi ondeggiano di propria iniziativa. Il ministro penetra, raggiunge il fondo in cerca dell’altare; il bacino si agita gli va incontro in segno di offerta. Tutto il corpo si muove in modo autonomo; non avverto dolore né prurito: solo piacere, godimento immenso, anche se il respiro si è fatto affannoso. Il ritmo cambia’ accelera’ diventa veloce; il ministro non è più tenero, dolce: palpita’ freme’ si agita’ ingigantisce’ diventa un mostro che occupa tutto lo spazio e mi scuote’ sembra che voglia uscire, poi torna alla carica con più vigore, con veemenza. Le mie mani corrono sui fianchi di lui, premono’ sempre di più’ non deve uscire; il corpo si muove scomposto; ho il fiato grosso; respiro a tratti. Intuisco che siamo al culmine in attesa di liberazione’non so quale né come: non connetto più. Il godimento è pieno, immenso, è diventato un tormento’ Il sacerdote si ferma un attimo, sento una contrazio-ne’avverto lo spasmo’uno scatto improvviso’un’esplosione che si ripercuote per tutto il tempio’un getto repentino, inatteso, cade sul fuoco come un refrigerio. Il corpo si ferma, dondola appena. Il ministro continua, la sua azione è più lenta: si contrae ed emette seme fecondo, che scende sul fuoco come un tiepido fiume di lava rigeneratrice, rinfre-scante: lo spegne e ne conserva il calore benefico. La tempesta è finita: si placa il galoppo sfrenato del corpo e dei sensi. Ritorna la quiete, riempie la stanza e l’avvolge come un soffice velo rosa. Un placido sopore mi avvince, mi affascina la dolcezza che pervade l’ambiente; mi sembra di aspirarne il profumo’ un profumo nuovo, rilassante: quello dell’amore soddisfatto. Ho posseduto l’Amore: per un tempo infinito sono stata la Walkiria di Odino, nuda su un focoso destriero, lanciata negli spazi immensi, al suono di melodie sublimi, Ora mi sento realizzata; ho conosciuto la felicità.
I due corpi ancora fusi in uno ondeggiavano. Mauro pose le mani sotto la testa della ragazza, prese a baciarla sulla bocca, sul viso, sul collo, sui lobi, ovunque. D’istinto Camil-la gli mise le braccia sulla schiena, lo circondo, lo schiacciò sul suo corpo in atto di posses-so di fusione sublime; poi lo strinse al collo, gli sfiorò il viso con le labbra e gli sussurrò nell’orecchio:
-E’ stato un momento ineffabile, eccelso; come una splendida favola per essere eletti-.
-Sei una ragazza unica, divina-. La baciò sulla bocca e si sollevò, restando in ginocchio fra le sue gambe, come prima. La osservò a lungo; anche in quella posa, tutta aperta, era diversa dalle altre: sorridente, morbida, flessuosa. Tutto in lei ispirava candore, innocenza, pudicizia: la classica donna indimenticabile. La guardò, la rimirò tutta: era molto bella. Poi notò qualcosa sul pube: quel vello d’oro sembrava macchiato di rosso; spostò lo sguardo in basso, sul lenzuolo c’era del sangue; si chinò a guardare se stesso e noto un alone rossiccio diffuso all’intorno. La fissò negli occhi in una muta domanda. Lei aveva visto e seguito la sua sorpresa; aprì gli occhi grandi, ridenti e gli sorrise in silenzio, con gioia, muovendo la testa in un tacito assenso, sembrava confermargli: ‘Sì, è stata la prima volta’. Il volto di Mauro rabbuiò, sbiancò, divenne rosso di collera; alzò lentamente un braccio’ Un lampo e gli occhi di lei mutarono in grigio, rimpicciolirono, emettendo il bagliore d’una lama di acciaio, come sulla porta. Il braccio si bloccò a mezz’aria e un urlo uscì dalla gola gonfia di rabbia repressa:
-Perché l’hai fatto?!- Il braccio ricadde pesantemente in basso; come un eco sconsolato ripeté: -Perché!?- Gli occhi divennero lucidi, gli angoli umidi; abbassò lo sguardo ed emise un profondo respiro. Poi con voce atona continuò: -Ho preso su questo letto decine di ragazze, tutte più giovani di te, con la speranza che qualcuna dicesse di no’ di essere vergine. Nessuna l’ha detto: nessuna lo era. Tu l’unica, non mi hai fermato!… perché l’hai fatto!? Perché!?- Mentre parlava si era seduto sui talloni, reclinando la testa, sul petto e terminando come un sussurro. Camilla si era seduta anche lei, con le gambe incrociate, di fronte a lui. I suoi occhi erano tornati azzurri, ma tristi. E’ vero: l’Uomo non piange; ha la forza e la capacità di richiamare e tenere dentro le lacrime, ma il suo dolore è più forte, atroce, diventa un groppo che chiude la gola e atrofizza le parti vitali, per lungo tempo. Il dolore di un uomo rattrista, coinvolge; e Camilla lo era. Alla sua domanda, con dolcezza gli prese il mento fra le mani e delicatamente lo sollevò; fissandolo intensamente con lo sguardo triste, gli disse:
-Non potrò essere mai tua moglie!- La guardò sorpreso; poi:
-Perché?!-
-Dopo-. Scese dal letto, raccolse la roba, lo guardò mostrandogli la biancheria presa. Alla muta domanda rispose con il capo, accennando il fondo della stanza, dov’era una porta mimetizzata dal proseguimento dei fiori e dei festoni che erano dipinti sulla parete. Vi entrò, uscendone rimessa in ordine. Passandogli vicino disse:
-Ti aspetto in salotto-.
-Questa mattina, vedendo la scena, non volevo credere. Ho cercato di convincermi che non era lei’ma non era il corpo di una ragazzina’ era la santa donna. Bella famiglia: lui donnaiolo da strapazzo a Parigi; lei, in casa propria, si’consola con l’amante’- A quella parola Patrizia si sporse in avanti, con il braccio alzato e l’indice puntato contro di lui, con voce sibilante gli disse:
-Ti proibisco di usare quella parola con mia madre!-
-Di grazia, come dovrei chiamarlo’l’amico di tua madre?- Le chiese con un sorriso beffardo. Usando lo stesso tono di prima replicò:
-Mettiti bene in testa: mia madre non ha l’amico; ha vicino l’uomo che amava, gliel’ho ridato io. Fino a questa mattina era tranquilla, serena. Aspettava il tuo consenso per essere felice. Con la fuga hai rovinato il mio lavoro: hai lasciato una mamma in ansia, completa-mente distrutta-. A tali parole era sbiancato in viso; si guardava intorno come inebetito, sconcertato dalle assurdità che sentiva. Rivolse uno sguardo incerto all’amico, quasi voles-se chiedergli aiuto contro le bestialità che stava ascoltando. Giorgio intervenne, ma ciò che disse lo finì di prostrare:
-Questa mattina hai dimostrato meno cervello di un uccellino impaurito. Hai messo i paraocchi per fare la fuga del cavallo pazzo-. Lo guardò imbambolato; poi, con un filo di voce, riuscì a chiedere:
-Cosa avrei dovuto fare?-
-Entrare in casa e chiedere alla mamma spiegazioni del suo comportamento. Se le ragioni non fossero state soddisfacenti avresti avuto il sacrosanto diritto di farle una scenata e rompere per sempre con lei-. Allibito e distrutto mormorò:
-Motivi’ giusti!-
-Certo!… validi. Se conservi quella faccia di allocco non potrai comprendere mai che non esiste un effetto senza una causa-. Si sporse dalla poltrona verso Mauro e con voce robu-sta gli disse: -Svegliati!!! Forse tua madre è impazzita di colpo e si è preso un amante?! All’improvviso ha ripudiato l’intelligenza, la cultura, la dignità personale e si è messo un uomo in casa?! Tua sorella vive con lei per darle man forte?! Cosa credi di queste cose? o le pensi tutte?- A quelle parole sembrò riprendersi; scosse la testa dicendo:
-Non riesco più a pensare’-
Non è esatto: non potrai farlo mai finché resti sommerso nel fango del luogo comune-.
-Quale sarebbe questo luogo comune?-
-Quello che pensi tu: una donna sposata più un uomo è uguale a’ donnaccia. Oppure una ragazza seria più un giovanotto è uguale a sgualdrina- ‘..
-Dopo la tua partenza, anche tuo padre si trasferì a Roma; ma non per vivere con te’-
-Lo so molto bene’-
-Ricordalo sempre, perché ieri hai saputo il motivo vero. A casa restammo io e mamma. Ero ragazza e lei era tanto felice, come una bambina. Dopo entrai in collegio. Tornata a casa per le vacanze natalizie, vidi mamma molto cambiata e per di più cominciava ad ingrassare, a sformarsi; vedere quel suo corpo favoloso rovinarsi mi dava tanta tristezza. Capii subito che si trattava di solitudine. Le feci il lavaggio del cervello, spiegandole la necessità di muoversi, uscire di casa, andare in centro incontrare gente, ammirare le vetrine, eccetera; sperando di aiutarla se mi avesse dato retta. Rientrata in Svizzere, in ogni telefonata le ripetevo le raccomandazioni, come un ritornello. L’ultima domenica di carve-vale si recò in centro, e mi raccontò con l’entusiasmo di una ragazzina felice tutto quello che aveva visto e fatto. Il martedì, ultimo giorno di carnevale, vi tornò di nuovo. Nella telefonata del mercoledì ebbi l’impressione di parlare con una con la pistola alla tempia: una persona terrorizzata, non solo nella voce, ma anche nel discorso. Cercai di calmarla , rincuorarle, rassicurarla, ma fu tutto inutile; si riprese lentamente, dopo molte settimane., anche se restava nella voce un po’ di incertezza, di ansia. In quei giorni pensai di tutto per trovare cosa avesse potuto turbare tanto la mamma; delle svariate ipotesi una sola mi sem-brava più logica: doveva aver incontrato qualcuno che conosceva da ragazza e ora nella solitudine aveva paura di se stessa, di non aver forza sufficiente. Conoscendo la vita che conduceva, abbandonata senza motivo alcuno né pretesti, di nessun genere, da un bastardo di marito, mi chiedevo se fosse giusto che vivesse in quelle condizioni. ‘.. Con la mentalità acquisita sul matrimonio, parità assoluta di diritti e doveri, ero certa, se quello fosse stato il motivo, di restituire la serenità alla mamma. Chiesi ed ottenni di partire con anticipo per ferie pasquali. Il sabato delle palme giunsi a casa prima di fare buio. Un incon-tro indimenticabile: la sorpresa la emozionò, al punto da non credere ai suoi occhi. Poi con lo slancio e la felicità di una bambina mi si buttò addosso, mise la testa nell’incavo della spalla e cominciò a piangere, prima a dirotto e con grandi singulti, poi quietamente. Di tanto in tanto diceva, con voce rotta, frasi sconnesse, delle mezze parole, ma non riuscivo a capire cosa volesse dirmi: ‘Mamma non più’ indegna’sono’ mamma’ indegna… non sono’. La scena durava da una mezzora e sentivo vestito e sottoveste già umidi di lacrime; mi si era abbandonata addosso come se fosse caduta in catalessi; e sarebbe durato all’infi-nito senza una forte scossa. Urlai e sembrò svegliarsi da un incubo spaventoso. Sbarrò gli occhi che smisero di lacrimare; era in condizioni pietose: le occhiaie infossate, imbruttite da orrendi gonfiori violetti, lo sguardo appannato, spaurito di una cerbiatta inseguita, le guance smorte di un grigio cadaverico, il corpo cadente, privo di vitalità. Un tuffo al cuore: non avevo mai visto una donna in quello stato, per di più mia madre! Con il migliore ed affettuoso sorriso la esortai a confidarsi con assoluta tranquillità. Mi scrutò e con voce grave, tutto d’un fiato, mi confidò il suo dolore profondo, immenso, tragico: non era più degna di essere chiamata mamma perché aveva tradito il marito. Si riteneva colpevole del più grande misfatto che si possa commettere. Alla mia indifferenza contrappose la gravità della sua colpa: aveva infangato il buon nome della famiglia. Replicai che l’unica sua colpa era quella di aver pensato a se stessa con ritardo. Mi guardò esterrefatta, come se avessi bestemmiato. Cercai di farle capire che non aveva commesso alcuna infamia, nessun errore, niente di cui vergognarsi: nelle sue condizioni era un diritto farlo. Non sembrava molto convinta. Le chiesi che peccato, che colpa, quale grave delitto avesse commesso nel corso della sua vita per essere stata condannata così vergognosamente, a una squallida soli-tudine, senza compagnia, senza amici, senza conforto, senza affetto, senza amore. A tale osservazione sembrò riflettere, come se avesse capito di non essere colpevole. Poi avvilita, con amarezza, quasi con dolore confessò quella che riteneva la sua vera colpa: ‘Forse hai ragione!… Ma io, per la prima volta, con Paolo ho goduto: per me è stato una breve eternità di piacere infinito’. Rimasi di stucco’-
-Per Giove,! Non sapeva di non essere frigida!- Mauro aveva riflettuto a voce alta.
-Questo è niente; verrà di peggio! Ti dirò tutto, compreso quello che ho fatto io. Al mio silenzio mamma continuò, come atto di accusa contro se stessa: ‘E’ vero ho goduto molto: è stato un sogno favoloso, meraviglioso; non avevo mai capito che l’amore fosse così bello, sublime” S’interruppe e mi fissò: avevo gli occhi bassi, il viso in fiamme; non capivo, non avevo’non ho esperienza. Intuì la verità e mi chiese se ero fidanzata e se avevo fatto esperienza. Ancora confusa negai con il capo. Mi abbracciò con slancio. ‘La mia bambina! Ecco perché sono una mamma indegna: per la mia cattiva condotta ti insegno cose sporche, vergognose” La bloccai subito dicendole che è indegna di essere mamma solo quella che non spiega nulla a sua figlia, costringendola a fare esperienza sul proprio corpo, quelle negative che poi si pagano per tutta la vita. In ogni modo non avevo esperienza per mia libera scelta; ma teoricamente conoscevo tutto quello che era utile sapere. Rimase colpita dal mio modo di pensare. Poi mi fece la seconda domanda cattiva: come mai ero in grado di fare da mamma a lei; chi mi aveva insegnato e spiegato le cose che conoscevo. Le dissi che avevo viaggiato tutto il giorno e sentivo un po’ di fame; ormai era già notte, bisognava organizzarsi per cena. Misi una bottiglia di spumante nella ghiac-ciaia e cominciai a pulire del pesce: Gigi, al rientro, le aveva portato due cassette di quello freschissimo, scelto come sempre e misto con frutti di mare. In breve preparò un’ottima cenetta. Mentre apparecchiavo la tavola si rinfrescò e si mise un velo di trucco; sedette che era già un’altra donna: incominciava a riprendere il suo vero aspetto. Mi disse subito di sentirsi meglio. Aveva tanta buona volontà per credere alle pie parole, ma le riusciva diffi-cile rinnegare di colpo i valori del passato, la sua educazione, la cultura ed accettare i nuovi principi, le nuove idee. Le chiesi chi fosse Paolo, di parlarmi di lui. A quel nome trasfigu-rava, andava in estasi. Le dissi di non aver paura: se era una cosa bella per lei lo sarebbe stato anche per me. Mi sorrise chiedendomi come potessi, senza esperienza, conoscere le cose di cui le avevo parlato; chi mi dava le spiegazioni e i consigli per farmi crescere senza sbagliare. Le dissi la verità. ‘.. ‘Pregherò perché si realizzi il tuo sogno: uomini del genere sono rari, non ce ne sono più.’ ‘Ho capito che ne conosci uno: perché lo rifiuti?’ ‘Ho il dovere di farlo: sono sposata!’ ‘Con chi? Con un ricordo o con un fantasma? Da quanto tempo non ti ha più toccato?! Non dico sessualmente, ma un bacio, una carezza: Non lo ricordi nemmeno. Come puoi essere fedele a chi ti ha ripudiato? Perché tu devi soffrire in solitudine, mentre lui si gode felicemente la sua amante? Perché rispetti un bastardo che non ha alcun rispetto per te?…’ ‘Non dire così! E’ tuo padre!’ mi urlo. ‘Non lo è mai stato!… Io l’ho già ripudiato! Non posso considerare mio padre un uomo che per errore ti ha dato un po’ di seme, senza darti il piacere del dono. Non ho avuto da lui un consiglio né un rimprovero, una carezza né un ceffone, mai; nel corso dei miei 18 anni l’ho visto pochissime volte’ perché devo considerarlo mio padre? Come può essere tuo marito un uomo del genere? Non ti permetto di distruggere la tua vita nella solitudine di questa casa; non voglio che la tua bellezza sfiorisca inutilmente prima del tempo. Se c’è un uomo capace di restituirti alla vita, che sappia curare e gioire della tua bellezza, che possa farti affetto e amore desidero che sia tuo compagno. Sono certa che se Mauro avesse visto quello che ho visto io oggi ti direbbe le stesse parole.’ Le disse altre cose, ripetendole che era suo diritto farlo per se stessa, suo dovere farlo anche per noi, per vivere meglio e più a lungo. Con dolcezza la esortai a confidarsi con me. Mi raccontò tutto.
Le ragazze del suo ceto venivano educate nei collegi femminili gestiti da suore. Torna-vano a casa, definitivamente, in occasione degli esami di liceo, da sostenere nelle scuole pubbliche per ottenere il diploma ufficiale. Fino a quel momento la parola amore era un sogno languido, senza realtà; la parola sesso invece era considerato un vocabolo sporco, volgare, triviale! Il primo giorno di esame capitò al banco davanti a quello di un giovane bellissimo, che la guardava spesso e le sorrideva con simpatia, dolcezza, calore; ne rimase piacevolmente turbata e commossa. Si chiamava Paolo; le fu vicino per l’intero periodo degli esami. Furono giorni felici: la presenza, le premure, le delicatezze, le affettuosità che le dimostrava la conquistarono completamente, riempiendoli di sogni, speranza, illusioni. Conseguito il diploma, complice la governante, riceveva bigliettini d’amore ardente, tene-ramente poetici, che la struggevano di desiderio d’incontrarlo, vederlo, parlargli; ma le era possibile solo di domenica, per pochi istanti. Ben presto finì tutto: la fidanzarono ad un giovane ufficiale di cavalleria; di famiglia benestante, mentre Paolo era povero. Da quel momento egli scomparve dalla sua vita, fino all’ultima domenica di carnevale. Dopo pochi mesi, causa l’inizio della guerra, fu celebrato il matrimonio: quello iniziò la tragedia della mamma. Raccontò: ‘La sera, nella camera d’albergo, mi sentii mancare al solo pensiero di dovermi spogliare davanti ad un uomo; anche se mio marito, morivo dalla vergogna: nessuno aveva visto il mio corpo nudo prima di quel momento. Mi ero seduta sulla sponda del letto; aspettavo un sorriso, una carezza, un bacio, una parola d’incoraggiamento, un piccolo aiuto’niente. Poi venne dalla mia parte. Aveva’mi accasciai sul letto; non so se svenni, di certo impietrii: nudo’ aveva’ era un caprone assatirato’ era un mostro. Non potrai capirmi: non sapevo come era fatto un uomo, mai visto un libro di anatomia, né mi era stato detto niente in proposito. Di colpo mi si presentò davanti’ in quelle condizioni’ era mostruoso’terrificante. Con durezza chiese perché non ero ancora pronta. Mi sentii paralizzare dalla sua incomprensione; prese ad aiutarmi, ma ebbi subito l’impressione che quelle mani ruvide si muovessero per violentare il mio corpo. Quando rimasi con i due pezzi intimi, esse smisero di palpeggiare le mie forme e, frettolose, più che sciogliere, strapparono la biancheria rimasta. Mi distese sul letto e mi si buttò addosso. Mi allargo” Tacque: era diventata rossa; sentivo il calore che le infiammava il viso. Poi riprese: ‘Un giorno, con più calma, ti dirò i particolari, in modo che tu possa regolarti. Ma se avrai la fortuna che ti auguro con Giorgio, la tua prima volta sarà un avvenimento meraviglioso’ un ricordo dolcissimo che ti legherà per sempre al tuo uomo” A quelle parole Camilla arrossì leggermente e rivolse un tenero sguardo a Mauro, che tutto preso, pendeva dalla sorella: ‘Non riusciva’e si aiuto’ Di colpo un dolore atroce: avvertii lo squarcio della carne strappata dentro di me; svenni. Mi ripresi subito, restando immobile per la sofferenza che mi attanagliava: penavo non solo nello spirito per quella umiliazione inutile, ancor più soffrivo nel fisico per quel dolore imprevisto. Poi, ansimante. Mi schiaccio, abbandonando il suo peso sul mio corpo dolorante. Dopo un’eternità scivolò di fianco, lasciandomi libera; con grande sforzo, sofferente nel corpo e nell’anima, raggiunsi il bagno e vi restai a lungo. Tornata a letto, notai che era sporco di sangue in più punti: ero stata barbaramente e stupi-damente sacrificata a un dio cieco e meschino, incapace di gustare e di godere la verginità e la bellezza del mio giovane corpo. Lo trovai addormentato; mi raggomitolai da un lato e piansi tutta la notte”’-
-E’ assurdo!- La interruppe bruscamente Mauro: -Sembra un racconto degli orrori’ E’ inverosimile che un marito violenti la moglie la prima notte di nozze-.
-Non interrompere,- lo richiamò Giorgio: -ti spiegherò e ti mostrerò che non è inverosimile. Inoltre non si è trattato di violenza, bensì di uno stupro in piena regola. A quel tempo era cosa che capitava; non era un fatto raro e tanto meno unico-. Mauro mosse la testa dubbioso mormorando:
-Non posso crederci-. Fece cenno a Patrizia di continuare.
-Mi disse che per alcuni giorni sentiva dolore, poi cessò. Ma per lei era sempre un tormento: sembrava che esercitasse il diritto di proprietà, senza mai pensare che lei non era una cosa. Lentamente si abituò ad eseguire passivamente quel dovere coniugale. Quando restò incinta, il marito, per i primi mesi diradò i rapporti sessuali, in seguito li soppresse del tutto. Dopo il parto li riprese, con intervalli sempre più lunghi, finché cessarono defini-tivamente poco dopo la mia nascita. Il trasferimento segnò l’abbandono definitivo, tanto che, se passava a casa un breve periodo, non la toccava: mai. Io rappresentavo per lei la sua ragion di vita. L’ultima domenica di carnevale si recò in centro per vedere la sfilata dei carri. Incontrò Paolo, che non l’aveva mai dimenticata; e per non tradire il suo amore, ardente e folle, non si era sposato. Aveva capito che il matrimonio era stata una decisione infelice della famiglia. Per non darle un dolore maggiore si era tenuto nell’ombra, seguen-do e soffrendo per le amare vicissitudini dalla sua amata; confortato e sorretto da un presentimento, una specie di folle speranza: un giorno l’amore avrebbe trionfato. Trovarsi di fronte la mamma, rappresentò la fine del suo soffrire. Per non tradire se stesso e le aspet-tative del suo idolo si comportò da perfetto gentiluomo, molto di più: il migliore dei cavalier serventi. Fu di una gentilezza squisita; al momento del saluto si lasciò convincere a non accompagnarle. Il martedì, precisi all’appuntamento non dato, si ritrovarono per un incantevole pomeriggio. Al momento di tornare a casa, con affettuosa fermezza, Paolo la prese sottobraccio, deciso ad accompagnarla. Raccontò. ‘La volontà voleva che dicessi che non poteva’ non doveva farmi quell’affronto: trattarmi come una’qualsiasi; ma io lo guardai con docile sottomissione, stringendomi al braccio che mi infondeva un delicato tepore. Giunti a casa, mi accorsi che quel tepore si era trasformato in un gradevole calore. Eravamo seduti vicino e mi cinse le spalle con un braccio. La volontà, in nome del dovere, m’imponeva di non lasciarmi toccare, non dovevo permetterlo; io mi abbandonai sulla sua spalla. Da sempre ero una ragazzina romantica: sognavo il tepore di un petto amico su cui posare la mia testa; carezze tenere e delicate che sfiorassero il mio corpo come i morbidi e profumati aliti di Zefiro; baci dolci e soavi che aprissero le porte del paradiso degli dei; momenti di sogni divini senza spazio e senza tempo. Vivevo da sempre in solitudine, come una reietta; sentivo il bisogno di compagnia, desideravo un po’ di tregua; ma non pensavo di dover pagare un prezzo: l’amore. La sua mano, lieve e vellutata, prese ad accarezzarmi dolcemente; percepii un brivido sottile: la paura che divenisse più audace. La volontà m’imponeva di evitare quel contatto; ma il mio corpo si strinse al suo, cercava, voleva chiedeva quelle più intime. Con mio gran terrore mi ritrovai divisa in due: una razionale che m’imponeva, in nome del dovere, di mandarlo via, l’altra di donna stanca in cerca di serenità, di dolcezza, di affetto. Cercai per una volta di liberarmi del dovere e mi affidai a lui come una bambina infreddolita, bisognosa di caldo e di tenerezze, Gli rivolsi uno sguardo trepido, fiducioso con la speranza che non andasse oltre; ma lui vi lesse la richiesta di un bacio e posò sulle mie le sue labbra’la bocca’la vita” Tacque, abbassando gli occhi, con tono umile e dimesso proseguì. ‘In quel momento capii che non sapevo baciare un uomo” Si fermò un istante e riprese: ‘Volevo staccare la bocca dalla sua; ma nel pensarlo le mani, più veloci, si aggrapparono e si strinsero a lui in un gesto istintivo, in cerca di forza e di aiuto. Le mie labbra si aprirono per dar modo alla vita di incontrare quella che disperatamente la cercava. Sentivo il mio corpo fremere in vibrante attesa’ intuivo che qualcosa sarebbe successo’aspettavo’ ma non sapevo cosa dovesse accadere’né quando; e m’illudevo che non accadesse. Mi prese, mi sollevò delicatamente sulle braccia; aveva uno sguardo dolcissimo, posò la sua bocca sulla mia e con essa la sua anima; mi aggrappai alla sua forza e dolcemente gli posai le labbra sul collo, come una lieve carezza’ Ed entrò in un giardino incantato, dove alberi immensi erano sparsi in un mite chiarore diffuso; astri di varia grandezza pendevano luminosi dai rami: mollemente sospeso fra essi, un ampio arcobaleno, dai colori vivaci, veleggiava fra le stelle luminose. Nel centro s’apriva una vasta radura coperta da un verde tappeto, formato da tenera erbetta e trapunto di fiori stupendi. Mi adagiò su quel prato morbido e soffice; si mise al mio fianco in devota venerazione: gli occhi sfolgoranti come soli; un soave sorriso muoveva il suo labbro; un’estasi celeste irradiava il suo viso. Sceso dai rami, l’arcobaleno mi inondò e mi circonfuse con la magica luce; mi penetrò in ogni dove con i sette colori; mi riempì con la forza divina e sollevò nell’immensità. Divenni la Walkiria di Odino per l’eroe Sigfrido; l’Urì di Aladino nel paradiso degli eletti. Divenni lieve e splendente come la vergine Eos; leggiadra e spumeggiante come la giovinetta Iris: come loro ho cavalcato l’arcobaleno per le sconfinate distese del cielo. Ancora ed ancora: per un tempo infinito. Poi un leggero torpore voleva rubarmi la felicità che possedevo; per impedire quel furto aprii gli occhi: albeggiava. Il mio corpo nudo giaceva mollemente abbandonato sul letto, accarezzato con tenerezza da una mano vellutata; le mie, lasciate al proprio destino, come allegre birichine, si rincorrevano su quello nudo di Paolo, disteso accanto a me. Con lo sguardo affettuoso e tenero, contemplava la felicità che illuminava il mio languore. Pian piano la realtà riemerse dai confini dell’oblio e mi penetrò crudelmente nella coscienza, trafiggendo senza pietà la mia anima ignara: avevo goduto un amore illecito, che non mi apparteneva; avevo tradito me stessa e infangato il nome dei miei figli adorati. ”. ‘ Dire che ero commossa significa minimizzare la pena che mi attanagliava il cuore. In uno slancio d’amore, per non farle capire la mia sofferenza, l’abbracciai, nascondendo il viso dietro la sua testa per impedirle di vedere le lacrime; restai stretta a lei il tempo di ricompormi. Si era fatto tardi, quasi le dieci. Con voce allegra e giuliva le ordinai di telefonare e invitare Paolo a pranzo da noi. Divenne una insegna luminosa: tutti i colori, dal ghiaccio al porpora, le si alterna-vano in viso come un vortice infinito. ‘.. La mamma, rimessa a nuovo nel corpo da un sano riposo, nello spirito dal mio volere, sembrava tornata quella di sempre; convinta ormai del nuovo ruolo di donna innamorata, irradiava felicità. Messi vicino, loro due formavano una coppia stupenda; ebbi in quel momento una intuizione che mi turbò: sembrava che una forza misteriosa si servisse di me per riunire due esseri nati per vivere insieme. Un dio buono aveva sanato tutte le angosce di un destino crudele.
Entrato in salotto, Mauro si avvicinò a Camilla, le prese con delicatezza le mani, la fece alzare, la strinse a sé e la baciò con passione. Sul principio lei ricambiò il bacio; poi gli poggiò la guancia sul viso e gli sussurrò:
-Ti prego, non insistere: mi faresti solo del male’- Si sciolse, fissandolo con gli occhi lucidi continuò: -Ascoltami’- e sedette sul canapè, indicandogli la poltrona: -diven-ni signorina a scuola, la settimana dopo che Giorgio entrò in collegio a Roma. Un’imprepa-rata e preoccupante sorpresa. La bidella mi preparò alla meglio, mi accompagnò fuori, dove trovai in attesa nonno Gianni, mi aiutò a salire sulla carrozzella. A casa (ora mi rendo conto di avere un ricordo bellissimo) di solito nonno Gianni, fino al giorno prima, mi abbracciava con dolce delicatezza e mi posava per terra; quella mattina mi prese la mano destra con tenerezza e mi aiutò a scendere; poi la baciò con affetto. Sul portone c’era nonna Grazia che guardava la scena con amore infinito. Mise un braccio sulle mie spalle e disse: ‘Vieni’. Mi guidò in camera sua: un miniappartamento; la prima volta che mi veniva concesso quell’onore. Un passaggio portava in un salottino, un bellissimo boudoir arredato con molta eleganza; una porticina rivestita di fiori, che richiamavano le tendine, entrava in bagno; un arco adorno e graziosamente arricchito da tendine, come la finestra, introduceva nella camera da letto. Mi sistemò davanti ad un’elegante specchiera a grandezza d’uomo e con dolcezza mi disse: ‘Spogliati’. Restai stupefatta; la fissai sbalordita. Con amorevole sorriso aggiunse: ‘Non temere, sono tua nonna. Devo spiegarti cose importanti’. Con rilut-tanza e con molta lentezza cominciai a spogliarmi. Lei sedette su una poltroncina e con uno scherzoso sorriso riprese: ‘Davanti a un dottore va bene: il tuo modo di fare si chiama pudore. Non capisco perché ti vergogni di me’. La semplicità e la sua dolcezza mi convin-sero; mi sentii rassicurata, finii di spogliarmi con naturalezza e restai diritta davanti alla specchiera. Si avvicinò e guardando lo specchio mormorò: ‘Brava donna, Amelia, ma non sa ancora che questo fagotto non s’adopera più. Dammi’. Mise la mano davanti e prese il pezzo di tela che spuntava in molo modo fra le mie cosce; le aprii alquanto e lei lo tolse. Entrò un attimo in bagno e tornò. Si mise al mio fianco e, guardando lo specchio, riprese: ‘Da questa mattina sei diventata una signorina: dov’è uscito il sangue c’è ora la tua vergi-nità. E’ il più bel dono che madre natura ha dato alla donna. Non sciuparlo e non perderlo scioccamente: mai! Questo ti può succedere se ci giochi da sola o con i maschietti; sarebbe la cosa più stupida che tu possa fare. La verginità è un bene prezioso tuo, personale, di cui tu sola puoi e devi disporre; e al momento opportuno lo dovrai godere, per la tua gioia intima, vera, solo con l’uomo che tu stessa avrai scelto. E’ tradizione di famiglia, al di fuori del comando religioso, portare questo dono immenso come regalo di nozze al proprio marito. L’esperienza accumulata mi porta a scioglierti dall’obbligo di seguire questa tradi-zione, del tutto negativa. Se sposerai l’uomo che avrai scelto, con la certezza di amarlo per tutta la vita, deciderai con lui se aspettare fino al giorno delle nozze o anticipare e dividere prima del tempo la gioia della verginità. Se ti verrà imposto un marito, per il sangue che scorre nelle tue vene, sei libera di ubbidire o rifiutare; ma qualunque sarà la tua decisione ti consiglio di godere la tua verginità con l’uomo che riterrai degno. Guarda lo specchio: il tuo corpo è acerbo; ora sei la crisalide che si sta trasformando in farfalla. Ma quando avrai le ali vola sempre nel tuo giardino, finché non ti sentirai sicura di affrontare i grandi spazi; in quel momento non farti prendere da nessun retino: devi essere tu, tu soltanto, a scegliere il fiore sul quale posarti. Ammira il tuo corpo, è già bello; fra qualche anno sarà bellissimo, com’era il mio: il tuo seno sta sbocciando e promette bene. Più giù, dove ora sono pochi peli, crescerà un boschetto sacro, folto e ricciuto: sarà la gioia dell’uomo’che amerai’. Tacque un istante; si volse verso di me, mi guardò con occhi dolcissimi, un sorriso soave, segno d’un ricordo lontano e riprese: ‘Non cercare di capire ora; e non tentare di crescere prima del tempo; lo capirai al momento opportuno e sarà un sogno divino. Guarda il tuo corpo e non essere mai superba della tua bellezza, perché non hai fatto niente per meritarla: è un dono della natura; ma non esserne schiava e non averne paura perché la semplicità la conserva più a lungo. Da questo momento ogni volta che avrai un dubbio, un bisogno di chiarimento, di conoscere qualcosa che ti turba, non rivolgerti a nessuno, vieni a me, ti aiuterò a prepararti per la vita’. Esauriti i consigli, mi sistemò lei stessa, a cominciare da come curare l’igiene intima fino a vestirmi completamente, con biancheria e vestito nuovo, adatto a una signorina. Poi mi disse: ‘Da oggi la tua camera è quella in fondo al corridoio; è’come questa, pian piano l’arrederai a gusto tuo. Nel bagno, in un mobiletto, c’è tutto l’occorrente per i giorni critici: Quando ti sentirai umida, fastidiosa, farai tutto da sola. Tieni presente la tua educazione: ricordati che lo splendore del corpo rispecchia quello dell’animo. Ora sei la signorina baronessa: sii sempre degna di te stessa’. In un impeto di gioia le buttai le braccia al collo, baciandola con trasporto sulla guancia. Mi staccai; e lei, con gli occhi luminosi, la voce semiseria, il dito minaccioso disse: ‘Sei una signorina, queste cose in pubblico non le puoi fare più’. Ridendo aggiunse: ‘Ma noi non siamo in pubblico’. Per nascondere l’emozione che la turbava mi abbracciò, tenendomi stretta a sé. E due gocce tiepide mi caddero sul collo-. Le ultime parole di Camilla erano state un bisbiglio e restò silenziosa, con lo sguardo chino sulle gambe ripiegate sul canapè. Mauro la guardò a lungo, in muta riflessione. Svanita e dimenticata l’ira, affiorava il ricordo del momento d’amore vissuto. Delle tante donne avute, d’ogni età e condizione sociale, nessu-na gli aveva dato il piacere, il trasporto, la gioia, l’intimità goduti con lei. Innamorarsene sarebbe facile; averla vicino una dolcezza immensa; essere suo marito una felicità perenne. Amare quella donna equivarrebbe adorare la divinità. Per la prima volta sentiva di guardare una donna con il pensiero di non aver una moglie; non aveva mai pensato di essere solo; non aveva mai capito di essere incompleto. Cercava di sfuggire alla fantasia che gli poneva a fianco quella donna incantevole: con lei avrebbe formato una coppia stupenda, un bino-mio altisonante, l’emblema dell’aristocrazia e della nobiltà. Non riusciva a scacciare la serenità, la dolcezza, la forza interiore che ispirava e le aleggiava intorno; né a cancellare dagli occhi la visione bellissima: lei, distesa sul letto, tutta aperta dal favoloso amplesso, ancora rossa della verginità goduta, ispirava soltanto purezza, innocenza, candore. Camilla, la deliziosa fatina delle fiabe, era lì vicino a lui, ma già al sentiva dentro di sé. Per evitare il pensiero che cominciava a farsi strada, le disse:
-Hai ricordi molto belli. Anche Giorgio parlava sempre di nonna Grazia: per lui era la personificazione della bellezza e della bontà; e il’ come si chiamava’?- Alle sue parole, Camilla alzò gli occhi su di lui: erano tornati sereni, anche se un po’ lucidi. E subito rispose:
-La nostra villa?… il Casino delle Rose-.
-Giusto!… era il giardino dell’Eden-.
-E’ vero: era un paradiso. Non avevamo i genitori; i nonni però ci hanno dato ugualmen-te un’infanzia felice e serena; e un’educazione superiore. Peccato ci hanno lasciato troppo presto. Giorgio è diventato il ragazzo che essi sognavano e io’ sono stata’ molto sfortu-nata. Mi regge la forza che loro hanno saputo infondermi da piccola-.
-Sono molto sorpreso: è la prima volta che sento parlare di parenti elettivi, più amati di quelli veri-.
-L’amore non nasce dalle molecole del sangue che ci scorre nelle vene: è un sentimento simpatetico. Si genera, cresce, ingigantisce, si alimenta con l’amore, l’affetto e gli insegna-menti che ogni giorno ci vengono dati-.
-Forse è vero: non è il seme o il latte che ci rende figli; ma plasma lo spirito e modella la mente la dedizione completa di sé che si assimila con l’età, spingendoci a ricambiare con devozione l’amore che riceviamo-. La fissò con uno sguardo profondo e le chiese: -Perché l’hai fatto?-
-Ti avevo scelto sabato mattina. L’ho deciso nel pomeriggio al tennis: Se non fosse capi-tata questa occasione ne avrei costruita una la settimana prossima, dopo la tesi-.
-Perché non potresti sposarmi’mai?-
-Tra poco’ sta venendo Giorgio e spiegherò anche a lui il motivo per cui ero mascherata da drogata’- * * *
* * *
-Vogliamo riprendere dove eravamo prima? Avrei qualcosa da dirti-. Camilla lo guar-dava con i suoi grandi occhi luminosi e un sorriso ineffabile sulle labbra; senza rispondere, fissandolo intensamente, assentiva con la testa. La guidò al canapè e la fece sedere; egli si sistemò sulla poltrona, di fronte a lei. Guardandola intensamente cominciò: -Prima, sedu-to come ora, ho avuto una rapida visione: sul mio letto sono passati tanti corpi bellissimi, nessuno aveva il viso, solo il sesso. Poi sul guanciale è apparso un volto raggiante e sul letto delle forme divine, splendenti di candore e di purezza. Ammiravo estasiato quel volto e mi sono accorto che lo avevo difronte e lo guardavo, come in questo momento. Nella stanza si era diffusa una luminosità da fiaba ed emanava un dolce tepore; ma il mio corpo era infreddolito dal gelo della solitudine. La paura di un triste futuro, fatto di solitudine, mi stringeva il cuore in una morsa di ghiaccio. Percepivo che sarebbe stato facile, facilissimo innamorarmi di te; sarebbe una gioia adorare la copia fedele della divinità. Dentro di me, nel regno dei desideri, una voce come un eco, martellava spietatamente la mia anima ripe-tendo senza sosta. ‘non potrò essere mai tua moglie”- Mauro fece un attimo di pausa; e fissandola intensamente chiese: -Dimmi: ora sei dello stesso parere?-. Camilla dondolava la testa come risposta negativa e lo guardava con gli occhi colmi di felicità; gli prese le mani e cominciò:
-Prima ti ho detto la verità per scriverla nel mio cuore e leggerla nei momenti tristi: ‘mentre ti osservavo’ sentii una mano che mi stringeva il cuor’. Ti avevo scelto, ma non avevo il diritto di amarti: ciascuno dei miei genitori mi aveva venduta in moglie al proprio amante. Oggi sono venuta per consegnarti il mio regalo; non potevo dirlo. Seduta qui mi sono sentita come la piccola cenerentola nel castello incantato del principe azzurro. Mi eri vicino: avrei dato la vita per poterti stringere a me; non dovevo innamorarmi. Mi hai fatto visitare il castello dei sogni, tenendomi per un braccio mentre parlavi; io non ho sentito una parola: dentro di me c’era una lotta feroce tra me e Camilla. Le parole, il tocco della tua mano hanno suscitato in me sensazioni e impressioni nuove, mai provate prima: mi sentivo diversa, leggera, pervasa da un dolce tepore nel corpo e nello spirito, illanguidita nei sensi da un insolito calore. Camilla mi ha ripreso in modo duro, spietato, senza misericordia: esigeva che dimenticassi la dolcezza che mi colmava e tenessi presente che mi avvicinavo in sala operatoria’ un piccolo intervento, possibilmente indolore; nessuna partecipazione né implicazione, di nessun genere. Entrata nel tempio, stupendo, magico’ Camilla non voleva che ammirassi la dea che troneggia sullo sfondo; con uno sforzo sovrumano sono riuscita a scacciarla dalla sala del sacrificio. Sola mi sono abbandonata nelle tue braccia: tu sei l’unico uomo che ha visto il mio corpo nudo. Con gioia, senza arrossire, mi sono offerta al tuo sguardo ammirato. Con tenerezza mi hai innalzata al confine estremo dell’umana delizia, percorrendo estasiata il regno immenso del sublime. Di nuovo nel buio, annaspan-do nel pelago dei tristi ricordi. Sprazzi di luce; una forza misteriosa, un fulgore improvviso mi hanno spinto su di una isoletta di sogno, ai piedi di un faro immenso che svetta all’in-finito il bagliore del sole-. Lo guardò con amore, portò le mani di lui vicino alla bocca e in sussurro continuò: -Se ne hai la forza, ti prego, resta il mio faro.-


F I N E
Scendendo la scalinata Camilla cinse con un braccio la vita di Giorgio, quasi aggrappandosi a lui e disse:
‘Non puoi immaginare quanta gioia ho provato nel vederti’.
‘Anch’io. Incontrarti dopo tanti anni mi dà l’illusione di tornare in parte nel passato’.
‘Sono passati’nove anni. Sono cambiate tante cose dopo la morte della nonna: l’ultima volta che ci siamo visti’.
‘Sei fidanzata?’
‘Non lo so”, vedendo Giorgio sorprendersi alla sua risposta, continuò: ‘Sinceramente non lo so. Secondo papà, dopo la laurea, dovrei prendere in considerazione un suo collaboratore, nominato primo segretario e in partenza per una sede estera, allo scopo di accelerare la sua carriera di ambasciatore. Ho visto questo aspirante fidanzato due volte. Secondo la mamma invece dovrei prendere in considerazione il mio futuro e accettare la corte degli uomini per scegliere un fidanzato. Con i tempi che corrono sarebbe meglio un ragazzo serio, di provincia. Lei consiglierebbe di prendere in considerazione Franco”, vedendo che Giorgio non aveva afferrato, riprese: ‘il nipote del”
‘Ho capito’ Secondo te?’
‘Io sto vivendo un periodo di solitudine e di angoscia: ho tanto bisogno di conforto, di comprensione. Fra un mese discuterò la seconda tesi; poi a casa per affrontare il problema del futuro e prendere una decisione. Al solo pensiero mi sento disperata. Ritrovarti in un momento così nero è stato un miracolo meraviglioso, anche se mi disorienta molto’.
‘Perché?!’
‘Non credo ai miracoli né alle favole. Considero i maghi, i cartomanti e i fattucchieri dei furbi impostori, rubaquattrini; e ritengo idiota chi li consulta. E’ assurdo pensare che un essere umano possa avere inclinazioni e personalità prestabilite dagli astri soltanto perché al momento della nascita essi avevano una particolare congiunzione. E’ da sciocchi pensare di conoscere o influire sul futuro con una sequenza di carte da gioco, come se avessero intelligenza e potere decisionale. Perciò nego che posa esistere un influsso astrale; e ritengo mistificatore chi lo afferma. Ammetto che si passano verificare certi fenomeni paranormali, ma non credo nel modo più assoluto nella premonizione. ……. Questa mattina sono uscita senza meta e mi sono ritrovata nell’università. Non sono mai entrata in una facoltà che non fosse quella che frequento; mi sono accorta ad un tratto che stavo salendo la scalinata di matematica, ma ho proseguito. Attraversato l’atrio, mi sono diretta verso la panca dove mi sono seduta, senza chiedermi: perché? Dopo un po’ sei entrato tu!”
‘Molto strano”
‘Pura coincidenza.’ Lo interruppe Camilla; poi sorridendo proseguì: ‘Non dirmi che credi a delle sciocchezze come la premonizione, la divinazione, i sogni e balle varie: tutta roba da sciamani preistorici’.
* * *
Poi, come parlando a se stessa, riprese: ‘Se fosse viva nonna Grazia mi avrebbe fatto il lavaggio del cervello per farmi innamorare di te’.
‘Se fossero vivi i nonni avremmo celebrato il nostro matrimonio dopo la tua laurea’.
‘Credi?!’
‘Ne sono certo’.
‘Perché?’
‘Nel pomeriggio, prima di venire da te, mi sono abbandonato ai ricordi, rivedendo, come in un film, la mia fanciullezza: il ‘Casino delle Rose’; nonna Grazia; mio nonno Giovanni; te, bimbetta, che muovevi primi passi, aiutata dalla nonna, da me e dal nonno. ……. A volte nonna Grazia mi abbracciava con tanta tenerezza e mi sussurrava di volerti bene e di ricordarmi che ‘lei è la tua sorellina. Da grande la dovrai tenere sempre con te’. Puoi immaginare a quali condizioni’.
‘Forse hai ragione: comincio a ricordare qualcosa anch’io. A proposito: credi che siano stati amanti?’
‘Se ti sentissero arrossirebbero di vergogna e di rabbia!’
‘Perché?… Cosa ho detto di male?!’
‘Nessuno li ha mai sorpresi, neanche in atteggiamenti poco confacenti al proprio ruolo. Nel significato comune la parola può suonare offensiva, perché implica l’idea di un amore rubato commettendo un tradimento; in quello classico essi sono stati due innamorati felici e soddisfatti del loro amore immenso’.
‘Fai disquisizioni linguistiche?!’ chiese Camilla mettendosi a ridere.
‘Non intendo chiosare il vocabolario’, ribatté Giorgio tra il serio e il faceto: ‘ma sono entrato nella loro mentalità e sono convinto che è quella giusta’.
‘In che modo?’chiese sorpresa Camilla.
‘Osserva Mauro e Laura: sono due giovani usciti da una crisi sentimentale; si sono incontrati e sono assieme, anche se non convivono nella stessa casa. Nel linguaggio comune non li definisci né li dichiari amanti”
‘Come li chiami?’
‘Fidanzati, a prescindere dal fatto che nei loro programmi non c’è il matrimonio, non per ora. Se fossero sposati ambedue o uno di loro, non potresti più chiamarli fidanzati; ma obbligatoriamente dovresti qualificarli amanti, perché vivono e rubano un amore cui non avrebbero diritto, commettendo perciò un tradimento”
‘L’esatta situazione dei nonni!’ lo interruppe Camilla.
‘Niente affatto, sei del tutto fuori strada. I nonni erano liberi: ambedue vedovi; non avevano bisogno di rubare il loro amore. Hanno dovuto fronteggiare un problema di casta, insormontabile per la mentalità di quei tempi: lei nobile e ricca, lui piccolo possidente. ……. Essi avevano un nido: sono stati sempre due innamorati appassionati e teneri, felici e soddisfatti. Tutti pensavano che fossero amanti, che avessero una tresca mai scoperta. Nessuno ha capito la realtà. ……. Nel capanno essi non sono mai stati amanti bensì sempre e soltanto marito e moglie. La conferma viene dalla vita che si conduceva di domenica. Hanno vissuto una vita coniugale completa: sessuale nel capanno, sociale nei giorni festivi. Tu non sei stata la sua nipotina, ma realmente una seconda figlia; io non ero il figlio di suo marito, ma quello sempre desiderato. Si ritenevano regolarmente sposati consideravano noi i figli del loro amore, anche perché crescevamo come ci desideravano’.
‘Forse hai ragione anche in questo’ Torneremo sull’argomento’.
* * *
‘Non ti seguo più. Riprendiamo l’argomento di prima. Dicevi che la donna deve avere delle virtù: quali sarebbero?’
‘La vera donna -la moglie ideale- deve avere tre virtù che la distinguono da quella comune. Non fraintendere le mie parole. Deve essere la madre dei propri figli; una signora in società; puttana con suo marito’.
‘Giorgio! Diventi volgare?!’, esclamò sorpresa Camilla.
‘Ti avevo avvisato’, rispose sorridendo Giorgio: ‘ma tu hai frainteso ugualmente. Confondi una parola italianissima con quella comune dialettale dal significato volgare’.
‘Ricominciamo con il vocabolario?’
‘Ti ho già detto che non mi ritengo all’altezza di chiosare il vocabolario. Però questa volta devo fare un distinguo perché esso non chiaro in proposito. Il vocabolo è italiano ed è considerato sinonimo di prostituta. Poiché i due termini sono di uso comune, vengono considerati dialettali e volgari’.
‘Secondo te sono due termini italiani dal significato diverso’.
‘Sono due parole italiane che configurano due diversi tipi di donna’.
‘Dammi la definizione o la spiegazione di questa diversità’.
‘Puttana: è la donna regolarmente sposata che tradisce il marito. Di giorno si gode il sesso con l’amante di turno, di notte dorme regolarmente con il marito, al quale nega il proprio dovere coniugale. Così facendo insozza se stessa, sporca il nome dei suoi figli e cerca di distruggere socialmente l’uomo che sposato’.
‘Sbaglio o tu hai un grande disprezzo per questo tipo”
‘Grande?! Profondo, immenso, infinito disprezzo: è l’essere più meschino ed abietto si possa immaginare’.
‘Non vorrei apparire femminista, ma l’uomo che”
‘E’ un marito bastardo e cretino. E bastardo perché non si rende conto che con il suo tradimento autorizza direttamente sua moglie a tradirlo; è cretino perché cerca fuori, in un modo o nell’altro, sempre a pagamento ciò che in casa ha a disposizione con tanto amore. La donna che tradisce un marito’fedigrafo, infedele, non può essere considerata puttana’.
‘Addirittura! Dall’inferno al paradiso’.
‘Sorellina, sotto un certo aspetto sono più femminista della più accanita femminista, anche se disprezzo il movimento. Ma non è questo il motivo: mi piace essere giusto, obiettivo e leale. La donna ha il diritto di cercare altrove ciò che il marito ingiustamente le sottrae: si tratta di parità di diritti e di doveri. Nessuno deve chiedere, tanto meno pretendere, ciò che non è disposto a dare. Se l’uomo vuole fedeltà dalla moglie deve dare l’esempio: essere fedele egli stesso. Dal canto suo la donna, se vuole il marito per sé, deve essere disposta a dare ciò che sarebbe suo diritto avere. Con solidi principi paritetici e una concorde divisione dei compiti è molto facile andare d’accordo, raggiungere il matrimonio perfetto’.
‘Ho un dubbio: la donna che tradisce il marito è un’adultera”
‘Nel linguaggio classico, letterario, sembrerebbe che fra i due termini ci sia una sola differenza: la volgarità. Nella vita pratica la differenza è sostanziale: l’adultera si limita a tradire il marito occasionalmente, ma si sente e si comporta sempre da moglie; la puttana invece si innamora del suo amante e con lui si abbandona a tutti i giochi sessuali che non ha mai fatto, né si permetterebbe di fare, con il marito. Tuttavia seguita a vivere con indifferenza al suo fianco, cercando di evitare i doveri coniugali che non sente più per lui. Forse per questo motivo nella parola c’è tutto il disprezzo volgare del buon senso popolano’.
‘Mi piacerebbe sentire cosa pensi dell’altra parola’.
‘Prostituta: parola italiana, non dialettale; anzi in molti dialetti la si usa come vocabolo italiano della parola puttana, considerata parola dialettale volgare. E’ un errore perché questo termine indica esclusivamente la donna, quasi sempre nubile, che vende, o meglio affitta, il proprio corpo dietro compenso. Così facendo non offende nessuno, perché singola, ma si guadagna da vivere, in pratica è una donna che lavora. ……. Sono certo che senza la prostituzione lo stupro sarebbe un fatto di ordinaria amministrazione, non un reato eccezionale’.
‘In sostanza giustifichi l’esistenza della prostituta e condanni senza appello la’ puttana’. Camilla pronunziò la parola con molta riluttanza. ……. Poi riprese: ‘Un’ultima domanda: hai dimostrato tanto disprezzo per un tipo di donna, eppure la prendi a modello della terza virtù che deve possedere la moglie perfetta Come spieghi questa antitesi, come si arriva a questa contraddizione?’
‘Ricapitoliamo’ le idee. Dalla verginità, castità e astinenza, siamo arrivati a tre diverse categorie di donne. La prostituta, categoria a sé, vive commerciando il suo sesso: procura piacere e godimento agli altri dietro compenso, ma senza partecipazione, passivamente. L’adultera e la puttana sono due facce della stessa medaglia: la donna infedele. La prima è la moglie che mette le corna al marito con chiunque riesca a conquistarla: è la vera selvaggina a disposizione del cacciatore; tuttavia si ritiene e si comporta da buona moglie. La seconda è quella che, oltre al marito, ha l’amante con cui godere il sesso. Quindi la vera donna non deve somigliare alla prima categoria: sarebbe una moglie asettica, priva di personalità, una macchina per il sesso senza amore. Non deve confondersi con l’adultera: sarebbe una moglie inaffidabile, senza concetto di famiglia né stima del marito. Infine non deve imitare la puttana, ma essere realmente amante e moglie dell’uomo che ha sposato, facendo tutto quello che ritiene utile e valido per dare ed avere piacere sessuale. E’ difficile, quasi impossibile che la donna raggiunga tale emancipazione: molti, troppi sono i secoli di condizionamento psicologico cui è stata sottopsta, con l’imposizione di leggi contro natura come la verginità, l’astinenza, la castità, il pudore, la vergogna, eccetera, eccetera- ……. Sorvoliamo il resto. Ora facciamo un bagno, un po’ di sole, poi la caccia ad un localino dove trovare del buon pesce. Ti piace il programma?’
‘Accettato all’unanimità. Il localino che cerchi è vicino: ci si può andare anche lungo la battigia’.
‘Perfetto, conosci bene la zona”
‘Abbastanza. Sono venuta sempre qui per prepararmi agli esami. Mi piace la solitudine e questo è un luogo ideale per incontrarla: il silenzio è rotto dal mormorìo del mare e dal sussurro dei pini. Al mattino presto, con la brezza arriva il profumo delizioso di questi alberi secolari; e percepisci cosa sia la pace, la serenità, la dolcezza interiore. Se vai lungo la riva, dove il fruscìo dell’onda lambisce i tuoi piedi, incontri e diventi partecipe dell’infinito; e senti che tu, piccolo uomo, sei grande, immenso: sei un dio”
‘Camilla, tu sei una poetessa!’ sussurrò ammirato e sorpreso Giorgio. Lei rimase un po’ confusa, poi si giustificò:
‘Non lo sono: è il posto che mi affascina. Ogni volta che vengo qui provo sempre una nuova emozione, anche perché sono sempre sola. Tu sei il primo ospite di questa casa’.
‘Te ne sono grato, Sarò per te un vero fratello, E’ il minimo che posso fare per ripagare nonna Grazia della fiducia e del bene che mi ha voluto’.
‘Ti ubbidirò come una sorella’.

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