Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Certo che c’era la luna

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Certo che c’era la luna a sfibrarmi i capelli, a scontornare la mia ombra solcata da mani. Lui m’accarezzava leggero, quasi a confondersi con il riflesso che veniva da fuori, sfumato accompagnava il profilo del seno per non farmi rendere conto, per rimanere distante, in disparte, se per caso ne avessi riconosciuto l’odore, il sapore fitto dei baci sul collo che via via si facevano caldi e si muovevano a salti lungo la schiena come grilli su un prato.

Certo che c’era la luna a rischiararmi quel viso, a vederlo nitido tra le penombra e la coscienza di sapere chi fosse. Aveva bussato di notte e poi senza temere un indugio improvviso s’era fatto saliva e materia accanto al mio corpo. L’aspettavo da mesi e da mesi ero pronta a scacciare le colpe che ora si muovevano sulla mia carne, giravano attorno lungo il muro che diventa soffitto e lasciavano tracce, lasciavano segni come orme mute sul fango di chi fugge convinto d’essere sparito nel nulla.

Non doveva chiedermi niente che già non sapesse, risposte di sguardi a cena la sera, davanti a mia madre che stava capendo, che inesorabile si sarebbe fatto largo il destino, spalancato le porte e richiuso alle spalle, quel segreto che ora sbatteva su un fascio di luna, contro la parte più morbida che al buio stava cercando.

Certo che c’era la luna a rischiarare i miei appena vent’anni , i suoi pochi capelli che ogni notte nel letto mi rubavano mani materne, respiri e dolori che non sentivo da tempo.

Certo che c’era, ad accogliere promesse e lo giuro che nessuna altra volta ci sarebbe mai stata. Capiente come pancia gravida attutivo i rimorsi che mano mano avvertivo nella curiosità d’essere grande, d’essere fame e sete, d’essere preda d’un ignoto segreto dove non conoscevo la fine. Conoscevo l’amore che slabbra il cuore e le vene, che mi faceva sentire diverso il profumo di una rosa comune. Conoscevo l’amore che mi faceva vegliare la notte e sotto un treno che passa ripensavo a quel sogno che non conosceva nessuno, che l’aspettavo in attesa di essere pronta a scaldarmi con gli occhi che m’avevano gelata in un sogno soltanto.

Ma ora era diverso e c’era la luna che faceva le pieghe al lenzuolo e moriva più scura ai bordi del letto per riservarmi una nicchia di ombra, una culla di scuro per imbrogliare vergogne che di giorno m’arrossavano il viso, più di quanto il quel momento mi sentivo soffocare, dagli occhi, le mani e dal sesso, da un piacere enorme che cercava la strada.

Certo che c’era la luna a scavallarmi le gambe, a spararmi di dentro pallottole vere, a ferirmi la fica intatta ed obbediente mentre uno sbocco di sangue gli dava il permesso. Era più grande dell’idea che ogni notte veniva a trovarmi, più intenso di tutte le albe che morivano dentro il mio sonno, più convincente di quando convinta m’infiacchivo le gambe che stringevano vuoto.

Ora m’aggrappo alla mente per ritrovare dettagli, per risentire l’ebbrezza d’un letto che cigola piano, d’una gatta che miagola perché di null’altro sono stata capace di dire. Nessuna parola che avesse l’accento d’amore, che fosse distante dall’ardore avido che mi stava scopando, fottendo per tutte le volte che muta l’avevo invitato nell’andirivieni che spinge, che sale che esce, che si rituffa ammantato da pareti di spugna, da sponde di fiume dove si sgretola terra. Ed ogni fiotto d’acqua che passa allarga il percorso, dilata il suo letto nell’immenso terrore che mia madre potesse salire, sorprenderlo, mentre immobile si riposava dentro sua figlia, mentre invasata mugugnavo sospiri perché mai finisse di raschiarmi quel fondo, trapassarmi quel ventre di fegato e reni, di polmoni, di mani e di braccia, fino dove natura mi concedeva di propagare la brama.

Certo che c’era la luna che ogni volta fissavo per sentirla materna, per guardarla negli occhi e rimediare un consenso, una tacita carezza che nulla di male stavo compiendo, che poco dopo, comunque, lui sarebbe sceso giù in basso, da mia madre che lo stava aspettando, per accarezzarla di baci, per non saltare una notte.

Leave a Reply