Hammett tirò su la lampo mentre Monroe, dopo aver tamponato alla meglio con la gonna, raccolse lo slip e lo indossò scostandosi dall’angolo di muro cui si era appoggiata. Hammett le andò incontro per accarezzarla, ma Monroe allontanò brusca la mano tesa e corse via dalla stanza. Hammett rimase interdetto per un istante, poi, riavutosi, le corse dietro, ma riuscì solo a vederla al volante mentre faceva correre l’auto.
S’incontrarono la settimana dopo a casa di amici.
L’avvenimento era importante per entrambi, ma passò in secondo piano non appena si riconobbero.
Monroe riprese a parlare con foga con un’amica, tramortendola con un fiotto appassionato di parole per lo più di scarso senso, mentre Hammett voltava la testa dall’altra parte, rivivendo la serie di interrogativi che l’avevano assillato nei giorni precedenti e da cui era stato distolto solo quel giorno.
Cercò qualcuno con cui parlare, ma i suoi conoscenti, quelli con cui non avrebbe avuto difficoltà ad intavolare una conversazione su non importa quale argomento, erano tutti impegnati in altre conversazioni e lui non era in grado di piombare nel bel mezzo.
Decise di lasciare la stanza e infilò la prima porta. Si ritrovò in cucina, dove la padrona di casa preparava tartine e si offrì di aiutarla. Il lavoro gli piacque ed anche la compagnia.
Parlarono di feste e buffet e bevande senza mai smettere di lavorare finché le tartine si accumularono occupando tutto lo spazio disponibile; bisognava portarle di là – era quello lo scopo per cui le si preparavano – e Hammett avrebbe dovuto offrirsi, ma proprio non se la sentiva di tornarci. Fu salvato dal marito che entrò come un turbine e, afferrato un vassoio, scomparve lasciando parecchio spazio che Hammett s’ingegnò a riempire con rinnovato vigore, mentre la donna si dedicava alle bevande sempre parlando con entusiasmo, questa volta del marito e della sua straordinaria energia. Entrò altra gente per reclamare cibo e bevande e per trovare sollievo alla noia dei discorsi in un’improvvisata seduta terapeutico-culinaria.
Si era in troppi lì dentro e Hammett dovette lasciare posto ai nuovi venuti.
Tornato nella stanza, lanciò un rapido sguardo circolare che lo confermò nella speranza di non trovarvi Monroe, e corse verso una conoscente che, uscendo dal bagno, si trovava sola e pronta a riattaccare discorso. Parlarono a lungo, guadagnando nel frattempo metri preziosi verso il buffet, e si stavano preparando a dare l’assalto alla barriera umana che lo nascondeva, quando Hammett si sentì toccare la spalla mentre la voce di Monroe chiedeva spazio.
Questa volta Hammett non si fece sorprendere: le tenne dietro fin sulla strada e le impedì l’ingresso in auto.
Monroe: Cazzo vuoi, adesso?
Hammett: Sapere che ti ha preso, se non è troppo disturbo. Magari, sapendo dove ho sbagliato, potrei anche rimediare; o cercare di farlo.
Monroe: Non mi hai fatto niente, stai tranquillo, non hai nulla da rimproverarti.
Hammett: Diamine! se cerchi di sfuggirmi vuol dire che qualcosa ti ho fatto.
Monroe abbandonò l’aspetto irrigidito e mosse qualche passo in giro prima di parlare. Parlò a voce bassa, tenendo lo sguardo basso, dondolando sui talloni e agitando poco le mani, a rilevare il disagio in cui la metteva affrontare certi argomenti.
Monroe: Non lo so’ trovarmi così, in piedi contro un muro, con’ che scorreva tra le gambe…sapendo che uno sconosciuto era’ mi aveva’ e io che’ sì’ spontaneamente’ una cosa mai pensata prima’ sai: adolescenti che leggono o guardano la TV ‘ io, mi sono sentita ‘ cacchio ne so: stupida ad aver obbedito ad un impulso così’ UFF!
Cosa dire?
Hammett avrebbe voluto prenderla per le spalle e, sorridendo, dirle che non doveva crearsi stupidi problemi; che non aveva fatto nulla di stupido o dannoso; che obbedire ad un impulso piacevole per sé e per un altro contemporaneamente era un evento raro di cui bisognava rallegrarsi. Ma sapeva che quelle parole, pronunciate in quel momento, avrebbero avuto un effetto spiacevole per lei, così, cercando di non lasciar trapelare troppo sollievo, si limitò ad alzare le spalle in un gesto di generica solidarietà e mormorare un cupo “capisco ciò che provi”.
Si scostò lentamente dall’auto mostrandole che, se voleva, poteva anche andarsene, che non l’avrebbe più trattenuta. Monroe era rimasta ferma al suo posto, ma non dondolava più, giocherellava con le chiavi dell’auto (a quanto pare parlare le aveva fatto bene) indecisa sul da fare.
Hammett, sempre restandole distante, pensò che, scegliendo bene le parole, avrebbe potuto anche convincerla a restare e magari’
Hammett: Se la mia presenza ti crea problemi…Vado, non vorrei che’
Monroe ebbe un sussulto, come se si fosse svegliata per un rumore, poi, fissandolo, parlò lentamente.
Monroe: No, non è il caso che tu’ Stavo andando’
Hammett: Ti prego, non fare altri sacrifici. Vado io. Oltre tutto: è già quasi ora’
Monroe: No, ma…anch’io dovevo comunque’
Avrebbero probabilmente continuato così per un bel pezzo, se la comicità di quel batti e ribatti non fosse stata notata da Hammett, che non poté più trattenere la risata.
Monroe, dopo un istante di risentimento, fu anch’essa costretta al riso.
Occorsero un bel po’ di minuti prima che la risata si esaurisse. Hammett, mentre riprendeva fiato, si era di nuovo appoggiato all’auto e Monroe l’aveva raggiunto per lo stesso motivo. Si ritrovarono così a fianco a fianco nell’allegro imbarazzo che segue una risata vera senza saper che dire e fare. A Hammett non restò che tentare di sfruttare quella breccia per abbattere anche le ultime difese di Monroe
Hammett: beh, dato che entrambi abbiamo qualcos’altro da fare, potremmo anche provare a farlo insieme, no?
Monroe: Potrebbe essere un’idea, sì.
Il silenzio che seguì fece temere a Hammett che l’incanto si fosse già rotto, e forse era proprio così. Occorreva una proposta che escludesse qualunque secondo fine oltre quello di approfondire una conoscenza nata sotto cattivi auspici e magari trasformarla in amicizia.
Hammett: Beh, se il tuo impegno improrogabile era quello di far fuori una pizza colossale, di quelle che ti costringono a meditare sul senso della vita per almeno due giorni, allora siamo a cavallo.
Monroe: Direi che viaggiamo sulla stessa orbita.
Hammett: Andiamo, allora! Con la tua o la mia? Di auto.
Monroe: La mia. Poi ti riporto qui. Va bene?
Hammett: Perfetto.
Era chiaro che Monroe voleva cautelarsi, che non tutte le barriere erano state abbattute, ma il fatto che avesse accettato indicava la volontà di arrendersi prima dell’assalto finale; magari era solo restia a cedere così facilmente dopo tutta quella scena sul rimorso.
Entrati in auto Monroe gli chiese di accendere la radio e cercare una stazione decente; Hammett eseguì rapidamente sapendo che era solo un mezzo per tenerlo impegnato fino alla prima pizzeria. Cominciò a girare per l’FM commentando le scialbe canzoni che incontrava e le ancora più insulse e sgrammaticate parole dei vari conduttori. Decise di compiere un altro piccolo passo.
Hammett: Non è facile trovare una stazione decente non conoscendo i tuoi gusti e conoscendo i miei, ti devo confessare che nella tua auto è capitato un jazzomane folle. Se adesso vuoi inchiodare l’auto e ordinarmi di scendere con un gesto, ti capirò e non te ne farò una colpa.
Il tono, naturalmente, era quello del protagonista di un fumettone televisivo che confessa alla donna che ama un qualche tremendo peccato di gioventù e servì allo scopo.
Monroe rise e scosse la testa più volte mentre pensava alla risposta più adatta.
Monroe: Non capirò mai cosa ci troviate nel jazz: è solo rumore.
Hammett: Guarda che potrei anche diventare violento, sai?
Monroe: D’accordo, starò zitta! ‘ Capisco che per te non deve essere facile convivere con questa atroce realtà e posso immaginare quello che avranno provato i tuoi genitori quando scoprirono che nella loro famiglia viveva un tale individuo, ma, non temere, non fuggirò da te come immagino avranno fatto gli altri: mi farò leggere tutte le tue lettere e, ma questo non posso prometterlo, ti manderò una cartolina, se avrò tempo.
Risero e risero parecchio, tanto che ebbero il tempo di parcheggiare e scendere dall’auto .
A tavola parlarono poco – le pizze ordinate erano talmente cariche di roba che mangiare si rivelò un’impresa non da poco -, però risero molto a causa delle evoluzioni cui erano costretti per non far cadere il contenuto delle pizze nel portarle alla bocca. Per tutta la cena, Hammett cercò d’essere spiritoso, senza esagerare, temendo di suscitare in lei l’idea che fosse un tipo superficiale. Il suo intento era mostrarle che stava bene in sua compagnia.
Pioveva quando uscirono.
La tentazione fu troppo forte: Hammett cominciò a cantare “Singing in the rain” e accennò qualche passo di danza piuttosto goffo; Monroe rise e si unì al canto, ma non alla danza.
Entrarono in auto che erano fradici e la cosa li fece ridere per qualche minuto, prima che Monroe avviasse.
Guidare non era facile e Monroe vi si dedicò interamente; Hammett taceva, fissando i palazzi scorrergli al fianco.
Monroe avrebbe dovuto svoltare per portarlo alla sua auto, ma tirò dritta; Hammett accennò una protesta.
Monroe: Sei zuppo, casa mia è vicina: ci asciughiamo e poi ti accompagno.
Aveva capitolato. Hammett dovette faticare non poco per trattenere l’entusiasmo di cui era preda e si aiutò cercando una stazione decente alla radio.
Entrati, Monroe si diresse in camera.
Monroe: Dovrai accontentarti di un accappatoio da donna, non ne ho di maschili.
Hammett: Avremmo dovuto andare a casa mia: le donne in pigiama maschile sono irresistibili.
Monroe: Solo al cinema: in realtà sono altrettanto ridicole.
Hammett: Va’ pure tu per prima: non credo che qualche minuto in più con gli abiti bagnati mi causerà una polmonite.
Monroe: Sciocchezze! Andiamoci insieme: ci conosciamo abbastanza per asciugarci a vicenda.
Hammett: Giusto, dimenticavo.
Monroe: Dimenticavi? Guarda che potrei anche diventare violenta.
Risero ed entrarono in bagno dove si spogliarono e si asciugarono con gli accappatoi. Strofinandosi, il corpo di Monroe avvertì il membro eretto di Hammett, che si scostò rapido, mormorando qualche scusa. Monroe Sorrise e gli si avvicinò, stringendosi.
Monroe: Non scusarti: rimane sempre il miglior complimento.
Si baciarono e gli accappatoi finirono sul pavimento. Hammett stava per spingerla contro la parete, ma Monroe lo fermò con dolcezza.
Monroe: Non qui, andiamo a letto.
Hammett decise che gli occorreva agire in maniera adeguata e la sollevò, portandola sul letto. Monroe non era molto più leggera di lui, ma l’impresa gli riuscì bene, anche se temette seriamente per la schiena. Cominciò a baciarle il seno, ma il corpo di Monroe, con piccoli gesti, gli comunicò di essere già pronto. Hammett la interpretò come una vittoria su tutta la linea: Monroe aveva pensato a quel momento per tutta la sera, probabilmente, se non fosse piovuto, gli sarebbe saltata addosso in auto.
Quando Hammett uscì da lei e si sdraiò, Monroe gli si accoccolò sul fianco e mormorò: “Così mi piace!”
Sempre più pazzesca..vorrei conoscervi..anche solo scrivervi..sono un bohemienne, cerco l’abbandono completo ai piaceri.. e voi.. Scrivimi a grossgiulio@yahoo.com
Grazie per i complimenti. Ma non so come consigliarti per cercarli.
Adoro i tuoi racconti! c'è ancora modo di trovarli raccolti per autore? con la nuova versione del sito non ci…
Grazie mille, sapere che il mio racconto sta piacendo mi riempie di soddisfazione! Se non vuoi aspettare i tempi di…
Ma che bello vedere la complicità, l'erotismo e l'affinità costruirsi così! Davvero ben scritto! Attendo il seguito! E ho già…