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Racconti Erotici Etero

Due labbra

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Stanco, ecco come mi sento.
Stanco e stufo, non vedo l’ora che anche questa giornata finisca per potermi coricare.
Si avvicinano le feste, ed in queste terre per quelli come me le feste sono solo occasioni di mal di testa, lavoro in più e nulla di buono.
Tutte le persone che sono arrivate in città non sembrano avere altra volontà che cercare lite, rubare o scatenare risse.
I miei soldati pattugliano in continuazione le strade polverose, ma ciò serve solo a far spostare i tumulti in altre zone di questo luogo assurdo, come assurda adesso mi sembra l’idea di gestire il potere e la gloria di Roma in questi covi di barbari.
Da ore non faccio altro che giudicare uomini che si stanno rendendo colpevoli un po’ di tutto, liberare quelli più stupidi perché le carceri sono lì per esplodere, e diventano un posto ancora più pericoloso delle strade e delle taverne.
Stufo, stufo, stufo.
Darei qualsiasi cosa per una buona coppa di vino gelido, che neanche il mio potere quasi assoluto sembra riuscire a procurarmi.
Le due guardie sono immobili ai lati della porta, anche se la luce delle torce si riflette sulla loro pelle sudata.
Soffrono, sotto il pettorale metallico lavorato a sbalzo, con la tunica zuppa, ed il pesante elmo a coprire la loro testa.
Si stanno agitando, il cuoio ed il metallo che li coprono fanno rumore sfregando.
Sento le lance muoversi, le vedo piegarsi ad occupare l’uscio sorrette dalle braccia muscolose, scurite dal sole implacabile di questi posti.
Il centurione entra e saluta, portandosi il pugno al petto. Claudio, con me da tanto di quel tempo che non riesco quasi a ricordare.
“Ave…” un colpo di tosse, è imbarazzato. “C’è… lei.”
Lei.
Maddalena.
“Che passi”
Sento che la mia voce non riesce a non tradire l’eccitazione del momento.
Claudio indietreggia, lo vedo fare un cenno col capo e le lance si aprono. E poi lei.
Il centurione saluta, tirandosi alle spalle le tende.
Maddalena avanza verso di me alla luce delle torcie, la sera è calata veloce.
Il peplo di stoffa leggera e trasparente ondeggia intorno al suo corpo, svelandone le curve ad ogni passo. L’incedere è sinuoso, è sicura di sé.
“Vostra schiava, mio Signore…”

Ancora una volta quella voce ha il potere di rendere il mondo intorno inesistente, come ascoltato attraverso un muro d’acqua.
“Vieni, Maddalena. Ti aspettavo.”
E’ la mia voce, quella che sento, ma non la riconosco. Questa donna ha il potere di rapirmi, di annullarmi.
“Lo so, mio Signore. Anch’io ho atteso tanto questo momento…”
Avanza, e con un gesto elegante apre la spilla l’oro che tiene uniti i lembi del vestito sulla sua spalla.
Il frusciare della stoffa che si posa ai suoi piedi, come a riverirne la bellezza, riempie la sala.
Lei scavalca il fardello inutile con un passo che sembra danza, la pelle della gamba lucida di olii ed essenze brilla alla luce delle torce.
Ora è a un passo da me, ne sento forte l’odore del sesso, quell’odore che conosco perfettamente.
So che è bagnata, come so che non lo è per me. Si è toccata a lungo, prima di entrare.
Non è qui per me, ma per il potere che rappresento. Ma non mi importa, quello che voglio è lei.
E se il mio potere è il mezzo per arrivare a lei, ben venga.
E’ ferma, allunga una mano e mi sfiora.
Sotto la tunica sono pronto, teso, gonfio.
Sorride, e poi si porta un dito tra le gambe, lo intinge in lei e se lo passa lentamente sulle labbra.
Ora sono lucide, gonfie, odorano di lei.
Immaginarle intorno a me mi fa avere un fremito che la fa sorridere.
Le sue labbra… potrei fare pazzie per loro.
Claudio si annuncia con colpo di tosse, discreto come sempre. E’ fermo appena dietro le tende socchiuse, attende solo un cenno.
Lo faccio entrare, ignorando la nudità della donna, come per castigarla, punirla per il potere che esercita su di me.
Claudio ne osserva le natiche perfette, lei è a suo agio come se fosse sola in casa sua. Le piace questa sfida, in questo momento sa di avere un potere più forte di quello di Roma.
“Hanno riportato il prigioniero, Signore. Non sappiamo più cosa farne…”
“Vai, mio signore… il tuo dovere ti chiama…” la sua voce è ironica.
Esco sul balcone, Claudio mi segue.
Il prigioniero è li, fermo, coperto di sangue, sotto di noi la folla rumoreggia.
Non so perché ma quest’uomo mi incute rispetto, forse perché sento l’odio assurdo che lo perseguita, forse perché in qualche modo mi colpisce l’aria di innocenza che la sua figura mi trasmette.
Cerco di placare la folla, la voglia di liberarlo è forte.
Lo guardo ancora una volta, i miei occhi si posano sulle sue labbra. Sono gonfie dalle botte, spaccate in più punti, grumidi sangue rappreso ne storpiano le forme.
In un attimo ripenso alle labbra di Maddalena, che mi attendono dietro la tenda.
Sono stanco.
“Claudio, portate quest’uomo dalla giustizia locale, per Roma non c’è più nulla da fare. ”
Mi volto senza guardarlo più, l’unico pensiero sono Maddalena e le sua labbra.
Labbra da perderci la testa. Per un momento mi sfiora l’idea che per una donna così ci si possa dannare per l’eternità.
Scosto le tende e la vedo, già sdraiata, le labbra socchiuse.
Mi chiudo la tenda dietro le spalle, Claudio sta portando via il Nazzareno.
Maddalena mi saluta, mentre la mia tunica segue la toga per terra.
“Vieni, Pilato… vieni da me.”

‘ Sandro – 2001

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