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Racconti Erotici Etero

Emy

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Aveva, più o meno, la stessa età di mia madre.

Bruna, capelli nerissimi, alta come me, con forme armoniose, gambe splendide, fianchi proporzionati, e, per quello che avevo osservato insistentemente fin da quando allattava Francesco, dieci anni prima, e che s’intravedeva dalle copiose scollature, un seno deliziosamente modellato, con piccole vene azzurro cupo sulla pelle scura, luminosa come seta, quasi fosse cosparsa di balsami preziosi. Ricordo che, allora, tesi la mano, e la carezzai, particolarmente affascinato dalla lucentezza, e rimasi sorpreso nel sentirla asciutta.

Nella vecchia casa di campagna, la doccia consisteva in uno sgabuzzino, sulla terrazza, accanto alla cucina, sovrastato da una larghissima tinozza, sul fondo della quale era avvitata una specie di cipolla metallica, forata, che si apriva e chiudeva tirando appositamente una lunga catenella, in modo da far cadere l’acqua intiepidita dal sole. Le pareti erano di legno, e la porta si chiudeva con un chiavistello malfermo. Nell’interno, era stata ricavata una specie d’intercapedine, sufficientemente larga per porvi due attaccapanni, dove appendere il vestiario che uno si levava, e quanto necessitava per asciugarsi. I sandali, più spesso gli zoccoli, si lasciavano fuori. Il sapone era appoggiato sulla piccola mensola, anch’essa di legno.

Zia Emy ‘la chiamavo così- dopo aver gironzolato a lungo per la casa, sull’aia, un po’ dovunque, si ritirava nella sua camera per comparire sulla terrazza appena passate le undici, dopo essersi assicurata che l’acqua non era del tutto gelida.

Indossava il solito accappatoio bianco, e portava con sé il suo sapone speciale e il grosso pettine nero.

Quella mattina ero rimasto a casa, e m’ero messo a leggere sotto il grosso ombrellone arancione, in terrazza, a fianco dello sgabuzzino promosso a doccia. Un libro di Edgar Wallace, un romanzo poliziesco che mi attraeva, facendomi fare mille ipotesi sul probabile colpevole.

Zia Emy mi sorrise e mi chiese se leggevo qualcosa d’interessate.

‘Molto’ ‘le risposi- ‘a me piacciono questi racconti. Se riesco a scoprire il colpevole, poi, mi sento anche intelligente…!’

‘Buona lettura.’

‘Buona doccia.’

Entrò, chiuse la porta, dopo poco s’udì il debole cadere dell’acqua.

‘Brrrr… é abbastanza fredda, oggi. Però é bella.’

La voce di zia Emy era allegra. Guardai verso la doccia. Le assi delle pareti di legno non combaciavano perfettamente, e da una era saltato un nodo, forse a causa del dilatarsi della tavola per il continuo bagnarsi. Era abbastanza buio, nello sgabuzzino, la luce che entrava dall’alto, dalla parte non coperta dalla tinozza, illuminava debolmente l’interno. Si vedeva qualcosa di chiaro che si muoveva. Mi guardai intorno. Non c’era nessuno. M’accostai a quella fessura, dove una volta c’era il nodo, vi posi l’occhio.

Zia Emy si lasciava carezzare da qualche filo d’acqua che cadeva dalla cipolla, con le braccia e la testa rivolte in alto, i capelli le scendevano lungo la schiena, lambendole il bel culetto tondo. Rimasi a guardare, curioso, incantato. La pelle era molto scura, come per lunga abbronzatura. Non avevo mai visto così una donna. Al mare avevo scorto la piccola Lucia, mentre si cambiava il costume. Ma aveva sei anni. Il turbine m’assalì quando, lentamente, si voltò. Muovevo il capo cercando di sfruttare al massimo la possibile visuale. Le sode tette di seta ‘andavo rimuginando- gli occhi chiusi, l’acqua che le scorreva addosso, e proprio all’altezza del mio occhio, un folto cespuglio, che lei, aprendo alquanto le gambe, prese a insaponare, lentamente, sì che qualche schizzo di schiuma giunse fino al mio occhio, senza, per fortuna, obbligarmi a chiuderlo. E poi l’acqua, a togliere il sapone, con la mano che cercava di sciacquare la parte, lentamente, molto lentamente, insistentemente. Mi sorpresi a tendere la mano, istintivamente, per toccare, carezzare… e mi sentii turbato, infiammato, eccitato.

Zia Emy ebbe come un sussulto. Chiuse l’acqua, prese l’ascugamano, lo gettò sulle spalle, indossò l’accappatoio.

Tornai di corsa, senza far rumore, a leggere il mio libro, non accorgendomi di tenerlo alla rovescia.

Zia Emy uscì, fece un lungo respiro, scosse la testa.

‘Quasi quasi siedo un po’ qui e mi faccio asciugare i capelli dal sole. Che dici, si rovinano?’

‘Non credo,se non ci rimarrai a lungo. Aspetta, dispongo la sdraia in modo che i capelli pendano dalla spalliera.’

Mi alzai, voltai la sedia. Zia Emy vi si adagiò lentamente, le sollevai i capelli lasciandoli scendere, ancora bagnati. Non potei resistere al desiderio di carezzarli, delicatamente. Chissà se zia Emy se ne é accorta.

‘Allora, Chicco, come va la lettura del tuo libro? Hai scoperto l’assassino? Siedi di fronte a me. Raccontami la storia.’

Cominciai a narrarle la vicenda, lentamente. Lei era distesa, mollemente, con le mani in grembo, gli occhi chiusi, rilassata. L’accappatoio appena aperto sul seno ‘ricordavo le belle tette viste prima- e lievemente scostato sulle ginocchia ‘mi sentivo bruciare ripensando alla improvvisa scoperta del corpo femminile-.

Chissà se c’era un filo logico in quello che dicevo, ma a zia Emy non interessava molto, perché s’era addormentata. Il volto disteso, sorridente.

Seguitando a parlare, con la massima prudenza allungai il piede e cercai di scostare i lembi dell’accappatoio, che scesero lentamente, lasciando scoperte due magnifiche cosce brune. Insistei più che potei, e restai a sogguardare, curioso, eccitato, tentando d’intrufolare lo sguardo, di trasformare le mie pupille in sonde ottiche, sognando di carezzarla.

Che stupido, Chicco, pensa che potrebbe essere tua madre!

Si, ma non lo era.

Zia Emy si svegliò presto. Mi guardò sorridendo.

‘Scusami, mi sono appisolata. Eppure il tuo racconto era interessantissimo. Meglio che vada a vestirmi, Edo non tarderà molto.

Edo, il marito, aveva vent’anni più di lei. Un tipo pacioso, prodigo di audaci apprezzamenti verso le prosperose campagnole che incontrava, di impertinenti accostamenti quando visitava una giumenta o una mucca, o doveva intervenire per insoddisfacenti prestazioni di tori o altri riproduttori. Era veterinario molto stimato, apprezzato, e non sollevava alcuna protesta nei mariti, vecchi o giovani, perché tutti sapevano che tutta la sua provocazione finiva lì. Non aveva mai osato neppure sfiorare quella grazia di dio che, a volte, non sarebbe stata contraria a farsi …ripassare da quel pacioccone del dottore.

‘Dottore’ ‘gli diceva qualcuna delle più disponibili- ‘ma quella medicina che ha fatto dare al toro, non potrebbe servire un po’ anche al mio Ciccillo?’

‘Ma hai visto quante mucche deve servire un toro? Possibile che tu da sola lo svuoti tutto, Ciccio?’

E giù delle gran risate.

Edo era amante della cucina, di un bicchiere di quello buono, e lunghe e sonore ronfate, pomeriggio e notte.

Se proprio Emy insisteva, lui si metteva supino, e lasciava alla donna ogni ulteriore iniziativa, cercando di essere sempre sveglio.

^^^

‘Zia Emy, posso entrare?’

‘Entra, Chicco.’

Emy era nel gran letto, un po’ in penombra, col volto imbronciato, e l’espressione d’una bambina capricciosa alla quale é stato negato un balocco, o solo un dolce.

‘Come stai, zia Emy?’

‘Male. Come posso stare bene?’

L’aspetto non era proprio quello d’una malata.

Era accuratamente pettinata, la pelle serica più splendente che mai, le labbra, naturalmente rosse, appena dischiuse, mostravano lo scrigno dei suoi piccoli denti perlacei. Poggiata sui cuscini, con le coperte fino al grembo, indossava una leggera camicia da notte, rosa, sorretta da larghe spalline che, incrociandosi sotto il seno, fungevano anche da reggipetto. Ma non ne aveva bisogno. Zia Emy aveva due tette che dovevano essere dure come marmo, giudicando dal modo in cui apparivano, erette sotto il velo che non era fatto certo per nascondere.

‘Cos’hai?’

‘Tachicardia, il cuore batte più celermente di quanto dovrebbe. Sento come un’oppressione al petto. Vieni qui. Avvicinati. Senti se non é vero. Siedi qui.’

Indicò la sponda del letto.

Sedetti vicino a lei, di sbieco. Prese la mia mano e se la posò sul petto, a sinistra.

‘Senti? Forse la stoffa t’impedisce di sentire.’

Infilò la mia mano sotto la bretella.

Che pelle stupenda, calda, che carne soda.

‘Senti?’

Ad essere sincero non sentivo alcun battito, solo l’alzarsi e abbassarsi d’una splendida tetta.

‘Metti l’orecchio, ausculta.’

Posi l’orecchio sul petto. Con la mano spinse la mia testa verso il basso.

‘Ecco, così dovresti sentire il galoppo del mio povero cuore.’

Si, percepivo il battito, regolare, che forse adesso cominciava ad aumentare di frequenza. Le mie labbra erano vicinissime al bruno capezzolo eretto, mi bastò lasciar sortire la lingua, appena un po’, per lambirlo, quasi istintivamente. M’aspettavo la reazione di zia Emy. Avvertii la sua mano carezzarmi il volto e il suo cuore battere più in fretta. Ero col capo sulla sua tetta sinistra, mentre con una mano, impacciata e titubante, cercavo di carezzare l’altra tettaa. Sentii le dita di zia Emy posarvisi sopra, delicatamente, non sapevo se per fermarmi od altro, ma nulla faceva per allontanare la mia bocca che, ormai, le suggeva golosamente un capezzolo. Accompagnò la mia mano verso il basso, sotto le coperte, tra le sue gambe, divaricate, ad incontrare quello che certamente era il paradiso terrestre. Un boschetto che contornava la valle che mai, prima di quel momento, avevo conosciuto. Un palpitare nuovo, per me, un mistero tutto da scoprire. E lei guidava la mia mano, le mie dita, in quel groviglio ardente, mentre cominciavo a intuire le carezze che bramava. Spinse in giù la mia testa, mentre la mia bocca seguitava a baciarla. Sempre più giù, tra le sue gambe smaniose, e la mia lingua l’esplorò a lungo, sentendola sobbalzare, contorcersi, mugolare, e finalmente abbandonarsi, esausta, disfatta.

Prese il mio capo tra le sue mani e mi baciò a lungo, sulle labbra, mentr’io sentivo qualcosa di nuovo che urgeva tra le mie gambe.

Zia Emy se ne accorse, mi carezzò lì.

‘Un’altra volta, Chicco, un’altra volta. Stanno per rientrare tutti. Ciao!’

^^^

Il confine tra interesse e curiosità é quasi sempre identificabile, ma spesso preferiamo ignorarlo ed etichettare tutto come interesse. Specie le curiosità.

L’interesse, dovrebbe coinvolgere la sfera intellettuale, sentimentale, emotiva, e rivolgersi a qualcosa di scientifico, di letterario, per il piacere di accrescere il sapere, di fare nuove esperienze. Chi ha un interesse, conduce una ricerca.

La curiosità, in genere, prescinde dalla elevatezza del fine, ed &egrave mossa dal gusto d’essere informati, soprattutto se ci si riferisce a qualcosa di riservato o indiscreto. Insomma, il curioso é molto spesso solo un impiccione, un ficcanaso.

Ero interessato o curioso?

Non riuscivo, o non volevo, riconoscere ciò che mi attirava della donna. Forse non era nulla di tutto ciò, ma solo naturale istinto. Comunque, volevo conoscere il corpo della donna, cio&egrave della femmina adulta. Ero abbastanza a conoscenza delle differenze anatomiche e funzionali dei due sessi. Le avevo apprese da testi scientifici, corredate da esaurienti illustrazioni.

Mancava la conoscenza diretta. Come avrei potuto vedere, toccare, il corpo d’una donna adulta, come quello di mia madre?

Mi soffermavo a lungo ad ammirare le mamme che allattavano, facevo mille congetture sulle pance delle donne incinte. Ma il resto?

Spiavo mia madre, in mille modi, in ogni occasione.

L’estate precedente, al mare, l’avevo osservata in costume da bagno. Aveva seni robusti e sodi, un bacino accogliente, fianchi tondi, gambe diritte, e in mezzo alle gambe una lieve protuberanza. Eravamo arrivati il giorno prima, e la sue pelle era ancora bianca. Mi chiese di spalmarle un po’ di antisole sulla schiena. Lo feci con particolare accuratezza e, senza esserne richiesto, passai alle braccia, alle gambe, alle cosce, che discostai perché nessuna parte restasse senza protezione. Ero attratto da quel lieve gonfiore sotto la pancia. Ci doveva essere qualcosa di morbido. E questo le tavole anatomiche non me lo avevano saputo indicare.

La sera di domenica papà partì, per tornare in città.

Dissi alla mamma che mi sentivo a disagio, tutto solo, nella cameretta della pensione che, per di più, non era adiacente alla sua.

‘Vieni qui, Chicco. Dormirai al posto di papà. Basta che non ti giri troppo, la notte.’

Faceva caldo.

La leggera luce del lampione filtrava dalle finestre, e piccoli raggi biancastri si posavano su mamma che, supina, s’era addormentata pesantemente. Mi avvicinai a lei lentissimamente, con movimenti impercettibili, sostando spesso per accertarmi, dalla regolarità del respiro, che dormisse. Mi voltai dalla sua parte e la toccai leggermente, sulla spalla. Non si mosse. Scesi lentamente, sul petto, sul fianco, sul ventre. Seguitava a dormire, serenamente. Dovevo rendermi conto di quel suo rigonfiamento. Alzai, pianissimo, la camicia, intrufolai la mano. Fu accolta da una voluminosa matassa di morbidissima lana, che era bello carezzare.

Mamma fece un lungo respiro, ritrassi la mano, cautamente ma decisamente. Si girò, voltandomi le spalle. Malgrado il caldo, le andai vicino, mi incollai a lei, godendo al tepore del suo corpo, delle sue belle natiche sul mio grembo inquieto. Mi addormentai. L’indomani, quando mi svegliai, era già alzata.

‘Chicco, mi sei stato addosso tutta la notte. Come un bambino attaccato alla sua mamma.’

Non aggiunse altro, ma, dato il caldo, disse, era bene dormire ognuno nella sua camera.

Doveva trascorrere del tempo prima di poter tuffare di nuovo le mie dita nel folto crespo tra le gambe d’una donna. Di zia Emy. E non immaginavo che sarebbe stato bello baciarla, lambirla, titillarla, sentirla sussultare e illanguidire. Non conoscevo ancora il significato di allupata. Ma sapevo come cercare di far sbollire, in maniera squallida, la mia eccitazione.

^^^

Era trascorso qualche giorno, da quello sconvolgente episodio che m’aveva stravolto. Zia Emy era stata sempre dolce e affettuosa, come sempre, e sembrava che avesse tutto dimenticato. Non mi rimaneva che spiarla dalle assi sconnesse della doccia, e sognarmela.

Come spesso accadeva, Francesco era andato a casa dei cugini, e vi sarebbe rimasto tutto il giorno, a giocare. Edo, appena finito di mangiare, informò che andava subito alla masseria Ciulli per un’assistenza assai laboriosa e lunga. La ragazza che aiutava zia Emy chiese il permesso di andare a trovare la madre.

Il caldo pomeriggio si presentava interminabile, specie per me che non amavo fare il riposino che Edo, invece, tanto si rammaricava di dover saltare.

‘Beata te, Emy, che non devi uscire con questo sole.’

Eravamo rimasti, sulla veranda, nell’angolo più fresco della casa, zia Emy ed io, a gustare una granita di limone, cullandoci lentamente sul dondolo.

‘Chicco, mi fai il favore di portarmi uno dei libri gialli?’

‘Vado subito.’

‘Non occorre che ti affretti. Puoi portarmelo in camera, ora che vado a riposare un po’.’

Seguitò a dondolare. Finì la granita, posò il bicchiere sul tavolino e prese a sventagliarsi, lentamente, col giornale, socchiudendo gli occhi.

Indossava dei comodi pantaloncini di cotone e un top fiorato, a pelle. Del resto, il caldo non lasciava troppa scelta. Anch’io ero in shorts e polo.

Dopo qualche minuto, si alzò.

‘Andiamo a prendere il libro, Chicco.’

‘Te lo porto io, zia Emy.’

‘E’ lo stesso. Vengo io, così posso anche scegliere un titolo che mi attira.’

Andammo in fondo al lungo corridoio, a sinistra, nella mia camera. Abbastanza fresca, con una luce tenue che filtrava dalle tapparelle abbassate.

Zia Emy, s’avviò allo scaffale dov’erano i libri, io le stavo dietro.

‘E’ fresco, qui. Più che da me. Dovrei trasferirmi qui, da te, almeno il pomeriggio. Tu riposerai un po’?’

‘Non credo. Mi metterò a leggere, sul letto.’

‘In pigiama?’

‘No, resterò in shorts.’

‘Togli la camiciola, allora. Vieni.’

Mi aiutò a sfilarla, e indugiò a guardarmi.

‘Sei proprio un bel fusto, Chicco. E hai solo diciotto anni, vero?’

‘Vero.’

‘Aiutami a scegliere un libro.’

Si voltò di nuovo dov’erano allineati i volumi, si chinò per esaminare quelli dei ripiani più bassi. Le sue natiche si accostarono a me, e certamente avvertì il mio eccitamento. Ebbi la sensazione che spingesse, provocante. Ma era solo un mio pensiero presuntuoso. Insisté, comunque, nell’agitare il culetto stuzzicante, certamente avvertendo sempre più la prepotenza della mia erezione, mal contenuta negli shorts.

Finalmente, il libro fu scelto. Si alzò, si voltò verso me.

‘Non hai scordato l’altro giorno, vero Chicco?’

Scossi il capo, senza parlare.

‘Sei stato bravissimo, Chicco. Dove hai imparato? Con chi?’

Alzai le spalle.

‘Hai una ragazza?’

Feci cenno di no, con la testa.

‘L’hai avuta?’

Ancora un no.

‘Hai fatto l’amore?’

Doveva essere penosa l’espressione del mio volto mentre scuotevo il capo, ancora.

Emy mi prese il capo tra le mani.

‘Il mio piccolo Chicco che non ha mai fatto l’amore!’

Mi baciò, lievemente, sulle labbra.

Sembrava stimolata da quella notizia. Mi fece retrocedere verso il letto, mi spinse, mi fece sedere sopraa. Con un gesto rapido e deciso mi liberò dagli shorts, da tutto, e rimase, sorridente, a guardare la mia nudità che, ormai, non poteva nascondere il mio incontenibile desiderio.

‘Però, Chicco, sei un uomo fatto, in tutta la sua generosa evidenza! Complimenti. Non é che io abbia grandi esperienze. Anzi, non ne ho affatto. Tutto si é sempre ridotto ad Edo…’

Andava carezzandomi, sempre più intimamente, con occhi sfavillanti.

‘Sdraiati, Chicco, sdraiati.’

Mentre mi distendevo, si tolse gli abiti, e apparve in tutta la sua carnosa e aggressiva nudità.

‘Adesso t’insegno, Chicco. Sarò sempre la tua maestra, come quando eri piccolo. Ricordi?’

I lunghi capelli le ricadevano sulle spalle nude.

Salì su di me, sorreggendosi sulle ginocchia, a gambe divaricate. Prese il mio fallo e lo portò nel suo boschetto nero, all’ingresso della grotta ignota e, lentamente, deliziosamente, m’accolse in lei, mugolando di piacere, donandomi godimenti mai immaginati, in un abbandono che solo lei sapeva e poteva darmi, mai più raggiunti. Se non con lei. La natura l’aveva dotata d’una rara particolarità, quella che potremmo definire iperperistalticità vaginale. Quando ne parlai col mio professore, all’università, da buon Virginiano, mi raccontò che anche a un suo avo era capitata una donna del genere, una giovane negra, che avevano soprannominato Suckie, perché era proprio una sucking cunt. Una fica succhiatrice.

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Sono trascorsi dieci anni da quella volta.

Anche se ho conosciuto tante altre donne, durante quel periodo, cercavo, ogni volta che potevo, di rifugiarmi tra le braccia ‘diciamo così- di zia Emy. Non invecchiava mai, per me, e il suo corpo sembrava aver attraversato indenne due lunghi lustri, forse i più difficili per una donna. Era, ormai, sui quarantacinque. Io stavo per concludere la mia specializzazione, negli Stati Uniti, e avevo da poco superato i ventotto..

Dieci anni di attese, di incontri impazienti, di allontanamenti amari. Con la scusa di farsi visitare da esperti di fama mondiale, per inesistenti mali, era venuta ogni due mesi in America, dove studiavo. Ted Joie, il mio professore, aveva compreso tutto. Mi batteva la mano sulla spalla, sorridendo, e mi raccomandava di trattar bene la mia ‘zietta’, your sexy auntie, una splendida donna, ‘But, Kikko, save your big tit…! She’s going to drain you!’

‘risparmia il tuo grosso capezzolo’! Quella ti svuota!

Edo era felice. D’essere lasciato in pace. S’era molto appesantito.

Mia madre mi guardava con un’aria strana, spesso scuoteva la testa.

‘Pensa a finire gli studi, Chicco, e cerca una brava ragazza per mettere su famiglia. Lo sai che qui, in ospedale, ti attendono a braccia aperte. Tu sai navigare da solo, in tutti i sensi, non hai bisogno di una nave scuola.’

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E’ sempre bella, molto bella, la mia mamma. Chissà quanti, ancora, le fanno la corte. Anche molto più giovani di lei.

Una donna piacevole, aggraziata, gentile, costituisce sempre una notevole attrazione. La mia clinica -solo in parte mia- é un centro di vita di società che ruota intorno a zia Emy. Sempre splendida, elegante. Edo ha piena fiducia in me, ha sottoscritto il sessantasei per cento del capitale, di cui metà a nome della moglie, l’altro terzo é frutto dei sacrifici della mia famiglia. Edo, come socio di maggioranza, ha chiesto, con molto garbo, per la verità, di battezzarla Villa Emy. Mia madre non ne é molto entusiasta.

Edo ed Emy hanno lasciato la loro casa di campagna, sono qui, in città, in un casolare cinquecentesco che hanno trasformato in un posto splendido, non lontanissimo dal centro e abbastanza vicino a Villa Emy, con un parco molto curato e una stalla ben fornita.

Io abito in una dependance della clinica, una casetta civettuola, dove spesso viene a trovarmi Emy, quando Edo é fuori sede per impegni professionali.

E’ la femmina impetuosa e passionale di sempre, piena di entusiasmi travolgenti, di languida voluttà, possessiva, instancabile.

Poi, sfinita ma non doma, si rannicchia tra le mie braccia e s’appisola, come una bambina, sempre bella.

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