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Racconti Erotici Etero

Fra cuoco e cameriera

By 9 Agosto 2025No Comments

Mi chiamo Alessandro e sono un cuoco in un Paese del nord Europa. Le cucine e i ristoranti sono sempre stati covi di grandi scopate, i colleghi in cucina, le colleghe a servire in sala e poi grandi feste quando il padrone non è sul posto di lavoro ma da qualche parte a godersi i soldi che noi gli facciamo guadagnare.
Alla vigilia delle feste di Natale, il locale dove lavoravo si stava preparando alla chiusura invernale di due settimane e una grande frenesia permeava il personale. Io ero nuovo sia del locale sia delle tradizioni del posto, avevo appena trasferito il mio appartamento dall’Italia, scappando da un clima asfissiante e pieno di contraddizioni. Qui a Natale il personale di ogni azienda, grande o piccola che sia, viene invitato dal capo a fare una festa a base di alcool e divertimento prima delle vacanze invernali, un vero incubo per ogni coppia sposata che tollera, suo malgrado, le marachelle che possono accadere quando si è pieni di alcool in corpo.
Mentre il personale si dedicava alle ultime pulizie del locale prima della chiusura, io cercavo di fare ordine nei freezer e accatastare tutto quello che avrebbe potuto reggere due settimane di chiusura, prima di prepararmi a partecipare alla festa. Bastian, uno dei colleghi di sala stava mettendo a punto gli ultimi collegamenti all’impianto stereo mentre una sua collega faceva il punto di quello che avremmo potuto bere durante la serata: ogni bottiglia cominciata era da finire, e i vuoti da buttare nella campana del vetro, mentre i fusti delle 8 spine di birra erano tutti da svuotare: un compito non indifferente per una comitiva di circa dieci persone…molte delle quali, però, grandi ed esperti bevitori. A me il compito di accompagnare questa lussuria con tutto quello che in cucina non si poteva tenere per due settimane in frigorifero o che non trovava spazio nel congelatore. Insomma, tutto era pronto per una festa a sbaffo in un locale alle porte della periferia di Copenaghen. In quel periodo con la mia donna le cose non andavano molto bene. Ci eravamo appena trasferiti e il cambiamento era stato molto violento… trovare un lavoro senza conoscere la lingua per me è stato molto difficoltoso, e quando trovai un posto come aiuto cuoco ad Amager mi si sono aperti i sensi. Dalla cucina vedevo la responsabile di sala, Christine, una ragazza dai capelli rossi e piena di lentiggini, muoversi sinuosamente fra i clienti. La sera, con la maggioranza dei clienti maschi, il suo servizio era impeccabile e serviva calici di vino e caraffe di birra sempre con quel sorriso malizioso stampato sulle labbra contornato da erotiche lentiggini su occhi color nocciola. Il suo culo, fasciato sempre da un paio di fuseaux neri, si strofinava sui bordi dei tavoli e sugli schienali delle sedie evidenziando sempre immancabili tanga che lasciavano intravedere un panorama mozzafiato su cui fantasticavo ogni sera.
Un giorno, negli spogliatoi, un suo perizoma nero spuntava dalla sua borsa lasciata incurante fuori dal suo armadietto. Mi guardai furtivamente intorno e lo presi prima di masturbarmi violentemente in bagno, pensando alle sue chiappe sode e alle sue tette piccole ma altrettanto dure. Finito, rimisi le mutandine al loro posto piene della mia sborra lasciata ad asciugare durante il turno di sera. Mi sono sempre chiesto che risposta avrebbe potuto trovare Christine a quelle macchie appiccicose sulle sue mutande.
La sera della festa non era consentito l’ingresso né ai clienti, né ai partner del personale: il locale era solo nostro e Bastian cominciò subito a mettere musica ballabile mentre i colleghi cominciavano a servirsi dal bancone con ogni ben di dio alcolico. La cena e la serata correvano, mentre frasi sempre più senza senso si ascoltavano attorno al tavolo e fuori sul marciapiede, fra chi si era preso una pausa sigaretta. Il mio “progetto” con Christine era ben chiaro nella mia mente: scoparla verso la fine della serata, in bagno o negli spogliatoi, mentre tutti gli altri se ne erano andati. Era da tempo che ci scambiavamo battutine a doppio senso, lei non era contenta del suo fidanzato, io di mia moglie, ed entrambi passavamo minuti piacevoli fuori al gelo a fumare mentre la sala era tranquilla. Molte volte, alla fine del mio turno, mi fermavo di più per aiutarla a sistemare i tavoli fuori e lei mi ha sempre ripagato con quel sorriso sornione che ancora ricordo.
Mentre i colleghi scivolavano verso casa, Christine mi si avvicina per chiedermi come sarei tornato a casa, visto che dopo un certo orario i treni smettono di funzionare. Le rispose come sarebbe tornata a casa lei visto che, anche se abitava a due isolati dal locale, sembrava non reggersi molto sulle proprie gambe. A festa finita gli orologi sul marciapiede segnavano le tre e mezza. Il vapore usciva dalle narici di tutti i colleghi che intorpiditi dal caldo del locale prendevano la loro via verso casa.
“Ti porto sulla canna,” dissi a Christine mentre armeggiava con il lucchetto della bicicletta, cercando di aprirlo, “tanto io non ho più treni per tornare, aspetterò il notturno delle 4:15.” Lei mi guarda attraverso la sciarpa arruffata attorno al collo e la nuca e mi sussurra “Il notturno lo puoi aspettare a casa mia.” Anche se a quasi dieci gradi sottozero, fra le gambe e in testa cominciò a muoversi qualcosa di libidinoso. Mentre provavo a non fantasticare troppo su quello che sarebbe potuto accadere “mentre aspettavo il notturno”, aprii il lucchetto della bicicletta e dissi a Christine di sedersi sulla canna. Era totalmente ubriaca, di quella ubriacatura dolce e non molesta.
“Quello stronzo del mio ragazzo non è in casa nemmeno questa sera, rimane a sbronzarsi insieme ai suoi amici del calcio sino a domani mattina di sicuro. E poi se torna, sai che c’è, non gli aprirò la porta. Mi sono stufata di aspettarlo sul divano mentre lui si fa i fatti suoi con i suoi amici.” Mentre pronunciava queste parole mi appannava gli occhiali, rendendo difficile vedere dove stessi andando e costringendomi ad abbassare la testa per vedere meglio. La pedalata non è durata che cinque minuti e, arrivati al suo portone, mi disse:
“Che fai, non sali?”
Era quello che aspettavo da quando avevo cominciato a lavorare lì, un sogno ad un passo dalla realtà. Al contrario del lucchetto della bicicletta, Christine riuscì subito ad aprire la serratura inserendo la chiave nella toppa che, con flebile clic, si aprì su un piccolo appartamento che sapeva di buono.
“Qui si fuma solo sul balcone” mi disse quasi inciampando sullo zerbino, “me la rolli un’ultima sigaretta?”
“Con piacere”, risposi io. Il letto sfatto, la cucina in disordine, non davano l’idea della collega sempre precisa, pulita e ordinata che conoscevo al lavoro, ma questi pensieri vennero subito interrotti dalla sua voce: “Prendi il posacenere che c’è sul tavolo, per favore”. Mentre rollavo la sua sigaretta Christine si avvicinò con le labbra vicino al mio naso “Dimmi che non finiremo a letto come una stupida coppia di colleghi ubriachi!” Quasi mi si gelava il sangue alla prospettiva che, dopo l’ultima sigaretta della sera, avrei dovuto aspettare il notturno delle 4:15 al freddo e soprattutto senza soddisfare il bastone che fra le mie gambe continuava a premere.
“Scherzi?!” risposi io “finita questa ci prepariamo una tisana e guarderemo la TV.”
Scoppiò immediatamente a ridere, non so se per via della tisana o della televisione, che non c’era nel suo appartamento. Invece avvicinò le sue labbra alle mie. Il sapore di tabacco si mescolava a quello dell’alcool. Ci piaceva, eravamo due insoddisfatti dalla vita, presi a calci dalla quotidianità, volevamo una pace solo nostra.
Le sue labbra si avvicinarono alle mie, come a dire, ora tocca a te. Cominciammo a baciarci lentamente mentre le mie mani cominciarono a cercare la sua pelle sotto i vari strati di vestiti che aveva addosso. La sua pelle, liscia, era fredda per la pedalata notturna, mentre le mie mani erano calde e le fecero mugugnare di piacere. Continuai a sollevare maglietta e maglione sino a quando si decise a togliere tutto in una volta. Rimase con il reggiseno mentre cercava goffamente di togliermi il maglione di dosso. Lasciai le sue labbra e cominciai a baciarle il collo mentre con entrambe le mani cercavo le sue tette. I suoi capezzoli, piccoli su due seni modesti, erano già duri, vuoi per l’eccitazione, vuoi per il freddo della notte. Cominciai a morderli prima piano poi sempre più violentemente mentre lei, con mugolii sempre più intensi, mi diceva di non fermarmi. Mentre la lingua era impegnata con i suoi capezzoli turgidi, le mani cominciarono ad esplorare sotto i pantaloni le sue chiappe sode, il suo ventre piatto, e la sua figa già completamente fradicia. Cominciai a massaggiarle il clitoride prima con un dito, poi con due sino a quando lei comincio a muovere sinuosamente il suo culo contro il mio pacco, ormai visibilmente ingrossato. Mentre premeva le sue chiappe contro il mio cazzo rovente, inarcava la schiena facendo cadere la sua immensa chioma rossa sul mio viso e il mio petto. Le sue mani cercarono di slacciarmi la cintura mentre io continuavo a massaggiarle alternativamente la schiena, il collo e quelle meravigliose tettine che non aspettavano altro di essere morse. Appena la cintura fu slacciata, le diedi una mano con il resto mentre si girava e con la bocca, comincio a leccare la mia cappella, prima molto lentamente, poi in modo sempre più vorace. Mi stavo appoggiando al tavolo mentre lei era in ginocchio davanti a me. Volevo leccare la sua figa, assaggiare il sapore di tutto il suo umore che già mi aveva appiccicato le dita, ma non volevo interrompere quel pompino fenomenale. Appena si fermò per prendere un attimo fiato, presi la sua testa fra le mie mani e la portai sul divano, facendola sdraiare supina. Si accasciò sui cuscini del divano con un piccolo gemito, mentre i capelli rossi le contornavano un viso rilassato e pieno di voglia. Leccare la figa è una mia specialità, e non mancò nemmeno Christine di ripetermelo mentre con la lingua mi facevo strada fra le sue grandi labbra e con le dita le eccitavo la clitoride. Le mie mani correvano lungo i suoi fianchi, le sue cosce. Cominciai ad esercitare una piccola pressione sul suo ano con i miei pollici mentre la lingua continuava a leccare la sua figa ormai diventata una pozza bagnata. Mentre ero indeciso sul da farsi, la sua voce mi invitava a continuare “puoi farlo piano”, mi disse e io cominciai ad inumidire quello stretto buchino prima con la mia lingua, poi con le dita, fradice del suo umore vaginale. Le sue gambe mi avvolgevano la schiena, quasi impedendomi di respirare. Cominciai ad infilare il mio naso nella sua figa mentre le mie dita allargavano il suo buco del culo perfettamente pulito e depilato. Aveva una voglia matta di essere chiavata, ma prima che cominciassi a puntare con la mia verga la sua figa, mi sorprese “questa volta la tua sborra la voglio assaggiare io, non lasciarla seccare sulle mie mutande!” Mi prese un colpo al cuore, ma alla fine era quello che voleva. La penetrai, e il mio cazzo scivolava come un coltello nel burro nella sua figa. Alcuni peli rossicci sormontavano il suo pube e facevano contrasto con i miei peli neri. Appena percepii le prime contrazioni della sua figa, delicatamente cominciai ad estrarre il mio cazzo e, con un atletico 69, gli lasciai cadere il mio cazzo sulla sua faccia mentre io mi prendevo cura del suo culo e della sua figa con la mia lingua e le mie dita.
Prese in bocca tutto il mio cazzo, soffermandosi con la sua lingua sulla mia cappella. Era la prima volta che una donna con un pircing piantato in mezzo alla lingua mi faceva un pompino. Sentivo la mia sborra correre dalle palle attraverso tutto il mio cazzo, non volevo avvertirla di nulla, volevo che prendesse tutta la mia sborra e non ne perdesse nemmeno una goccia.
Dopo un colpo di tosse cominciò ad aprire la sua bocca e piccole gocce cominciarono a cadere sulle sue guance piene di lentiggini. Non disse una parola, ingoiò tutto e mi lasciò prendere fiato prima di ricominciare. Ci eravamo trasferiti finalmente nel suo letto, ora era lei a massaggiare le mie spalle a cavalcioni sulla mia schiena. Potevo ancora sentire la bava che la sua figa lasciava sui miei glutei, e la cosa mi faceva impazzire di piacere. Si stese con tutto il suo corpo sopra la mia schiena, potevo sentire i suoi lunghi capelli tutti attorno a me. La sollevai delicatamente da me e ricominciammo a baciarci sul viso, sul corpo sino a quando non ci ritrovammo di nuovo avvinghiati – e il mio cazzo era di nuovo pronto. Mentre con le sue mani accompagnava la mia verga nella sua figa, i suoi mugulii si facevano più intensi e sensuali. Sopra di me cavalcava le mie palle con grande maestria e leggerezza, inarcava la schiena lasciando le sue tette alle mie labbra. Sembrava non potesse finire mai, ma quando stavo per venire cercai di avvertirla ma mi fermò con un dito dicendomi “prendo le mie precauzioni, puoi venirmi dentro”. Non credo riuscisse a finire la frase che la innondai di sborra per una seconda volta mentre Christine aveva il respiro affannoso di una maratoneta. Rimase accovacciata sopra di me sino a quando il mio cazzo, ormai stanco, non decise da solo di uscire da quella accogliente fighettina, facendo scivolare fuori la mia sborra e il suo umore lungo le sue cosce sino alle lenzuola. Si addormentò così, cercando una coperta al fondo del letto, e ci svegliammo solo la mattina dopo, che fuori faceva ancora buio pesto. Avevamo entrambi il turno di apertura quella mattina ma decidemmo che il mondo avrebbe potuto aspettare ed essere un attimo indulgente verso di noi. Senza dire nemmeno una parola Christine scese dal letto per andare a farsi una doccia. Prima di aprire l’acqua la sentii dire: “preparati, dobbiamo aprire ‘sta mattina, il caffè lo beviamo lì”. Rimasi un po’ interdetto da quella frase e cominciai a raccogliere i miei vestiti, la doccia poteva aspettare, i clienti no.

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