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Racconti Erotici Etero

Il censore

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Luca Sanna voltò più volte tra le mani la gialla busta che recava l’intestazione ‘Ministero della Guerra ‘ Distretto di’.’.

Era diretta proprio a lui, l’indirizzo non ammetteva incertezze. Cognome, nome, indirizzo.

La perplessità, comunque, era più che altro l’aggrapparsi alla speranza che non dovesse toccare a lui, almeno per il momento, quello che, del resto, andava rapidamente interessando e coinvolgendo tutto il Paese: richiamo alle armi.

Proprio adesso che, finalmente, poteva considerarsi a posto. Vincita del concorso per il conseguimento della qualifica superiore, superamento del periodo di prova, assegnazione a una gradita sede in continente, prospettive di carriera abbastanza lusinghiere.

Era ancora giovane, aveva appena (lui insisteva su quell’appena) quarant’anni, e stava pensando che era ben l’ora di formare una famiglia. Intanto saltava di fiore in fiore, anche se, a volte, le spine non mancavano.

Aprì la busta.

Lo informavano, col solito linguaggio burocratico, che il tale giorno doveva presentarsi al Distretto Militare di’.. (la sua città natale) dove gli sarebbe stata comunicata la destinazione da raggiungere immediatamente.

Il tale giorno era dopodomani.

Il Direttore Generale asserì di essere rammaricatissimo per dover fare a meno di una così preziosa collaborazione, ma era fiducioso, anzi certo, che le cose si sarebbero risolte presto e bene e che lui, il dottor Sanna, sarebbe stato fra breve di ritorno. Concluse con tanti auguri e gli disse di fargli avere notizie.

Il tempo di preparare la valigia, di spolverare la divisa, che per fortuna aveva messa da parte, e di avvertire il portiere che sarebbe stato fuori non sapeva quanto a lungo. Dette un po’ di soldi a Concettina, la donna che lo accudiva, affidò a lei le chiavi dell’appartamento, e assicurò che le avrebbe fatto avere notizie non appena possibile.

Civitavecchia’., poi a casa.

A casa per modo di dire. I vecchi genitori erano andati a vivere con la sorella, la prima figlia, in Valle d’Aosta, e, quando lui aveva telefonato per avvertirli della novità, s’erano raccomandati di far pulire bene l’appartamento, chiuso da tanto tempo, incaricando Cecilia, la figlia della loro domestica d’un tempo. Era una donna fidatissima, e conosceva casa e abitudini.

Buon viaggio e tanta fortuna.

Quale sarebbe stata la destinazione da raggiungere immediatamente?

Nel Distretto Militare c’era molto movimento, per fortuna la ‘matricola ufficiali’ non era affollata, anzi.

Lo accolse il capo ufficio, un vecchio maggiore che aveva fatto la guerra 15-18, decorato, molto compenetrato del suo lavoro. Lo salutò cordialmente, gli dette una nuova busta gialla, che oltre al suo cognome e nome, preceduto dal grado (capitano di cpl ‘complemento-) recava un vistoso timbro: SEGRETO.

Il Maggiore, però, questo segreto lo conosceva.

Gli disse di aprire la busta.

Luca eseguì, lesse ansiosamente, desideroso di conoscere dove sarebbe andato a finire.

Sorpresa, il Capitano di fanteria di complemento Luca Sanna era destinato all’ufficio censura di quel capoluogo.

Luca chiese quale delucidazione, se possibile.

‘Certo’ ‘rispose sorridendo il maggiore- ‘comprendo che voi non siate contento, vi sarebbe piaciuto raggiungere un reparto in zona operativa, come si dice, ma bisogna obbedire.’

Luca, in effetti, non ambiva affatto la zona operativa.

‘L’ufficio censura &egrave sistemato nel Palazzo delle Poste. L’incarico, in ogni caso, &egrave delicato. Si tratta di aprire la corrispondenza in arrivo e partenza, comunque di leggere anche quella su cartolina, per evitare che vengano trasmesse o ricevute informazioni che devono essere considerate riservate, anzi segrete, ai fini della sicurezza della Patria. Dicevo delicato perché, oltre a cancellare, ricoprendo parole e frasi sospette di infrangere la riservatezza, con apposito inchiostro indelebile, bisogna anche valutare se si possa sospettare la non buona fede di destinatario e/o mittente. Chiaro?’

Luca annuì, più per cortesia che per convincimento.

‘Voi, Sanna, sarete il più elevato in grado, quindi avrete più lavoro che gli altri. Ora vi accompagno dal colonnello comandante del Distretto, e sarà lui stesso, domattina, a insediarvi nell’incarico. Buon lavoro.’

Ultimo piano del Palazzo delle Poste, ampie finestre, bella vista sul mare. A Luca era stata assegnata una discreta stanza, spartanamente arredata. Gli altri lavoravano in due ampi vani, dall’altra parte del corridoio.

Avevano già stabilito di suddividere subito la corrispondenza in quella ‘imbustata’ e l’altra, sia in partenza che in arrivo. Ogni gruppo controllava una sezione: ‘arrivi’, ‘partenze’.

Il colonnello indisse una piccola riunione, pregando di informare delle sue raccomandazioni anche quelli attualmente assento perché di turno.

La prese da lontano.

Censori erano coloro che si interessavano del censimento patrimoniale, sovrintendevano la finanza pubblica, ma anche controllavano il comportamento pubblico e i costumi dei cittadini. Ricordò Catone, il ‘censore’, appunto che aveva l’idea fissa ‘delenda Cartago’, distruggere, cancellare, Cartagine, pericolo, minaccia per Roma.

A loro, novelli censori, il compito di cancellare quanto poteva costituire pericolo, minaccia, per la sicurezza del Paese.

Ci fu perfino un cenno di applausi di chiara matrice ruffianeggiante. Era sempre il Comandante del Distretto’

‘Ed ora, caro Sanna, al lavoro!’

Il colonnello si avviò all’uscita, accompagnato dallo zelante e ossequioso aiutante e da Sanna fino allo scalone.

Un lato positivo era la non obbligatorietà di vestire la divisa, anzi per sviare mancanze di fiducia in merito al controllo della corrispondenza, era vivamente raccomandato (leggesi ‘ordinato’) di indossare abiti borghesi.

Luca, rimasto solo, tirò un lungo sospiro liberatorio.

Il colonnello gli aveva detto che poteva fruire della mensa ufficiali, al Distretto, ma lui preferiva andare a casa, non lontana, dove Cecilia gli faceva trovare pranzo e cena.

Gran parte della corrispondenza che doveva controllare lo coinvolgeva. Non riusciva a rimanere indifferente alle confidenze, ai sentimenti, alle passioni, a tutto quanto gli scritti testimoniavano. Specie quelli provenienti da impersonali numeri di ‘Posta Militare’, o indirizzati a quella arida sigla: P:M:’..

Dov’era?

Le frasi, dalle più raffinate alle più rozze, erano sempre simili nella sostanza: mi manchi’ i bambini chiedono dove sei’ la notte non passa mai’ smanio i tuoi baci, le tue carezze, la voluttà che sai darmi’

Grafie eleganti o incerte.

Pensieri realistici nella loro crudezza: addurmire sulle tue zinne bianche’ sentire il calore della tua’. Il vuoto che hai lasciato mi tormenta’ smanio’. Impazzisco’

Qualche accenno al luogo dove lui era: censurato!

Un commento negativo, un improperio sulla situazione che aveva imposto la lontananza: censurato!

Questo governo’: censurato!.

E, ad essere burocratici, si dovrebbe anche segnalare il nominativo al locale segretario politico.

Luca cancellava la frase, scuoteva il capo, anzi in genere annuiva, e dimenticava il tutto.

Ogni tanto era lei che mandava una fotografia, da sola o coi bambini. In genere erano persone modeste, lo si vedeva anche dal vestire, ma spesso c’erano splendidi esemplari di ragazze, di donne nel fiore degli anni e lontane dal loro uomo.

La busta, del sergente Gavino Ruma, era più voluminosa del normale. Una lunga lettera appassionata, piena di ricordi, di speranze, di frasi appassionate, e la fotografia del giovane sottufficiale, con casco e giubba di pelle, accanto a un piccolo carro armato, un ‘L3′. Sullo sfondo s’intravedevano alcune case. Quella foto era assolutamente proibita, includeva un mezzo bellico, lasciava scorgere un panorama’ Quella dedica: ‘A Lucia, nel primo anno del nostro matrimonio’ sarebbe finita in cenere. Del resto, non era prudente chiudere un occhio, far finta di non aver visto. Intanto c’era il timbro, sulla busta, che provava il controllo della censura, e poi non si può escludere che un postino fanatico e zelante non si prenda la briga di indagare sul contenuto e denunciare a chi di dovere l’omissione.

Luca aprì il cassetto della scrivania e vi mise la foto. Rilesse la lettera. No, non si accennava alla foto. Non se la sentiva di distruggerla.

Copiò su un foglietto l’indirizzo della destinataria, Signora Lucia Ruma, San Gavino, Via’n. ‘ e lo conservò nello stesso cassetto.

Il giorno dopo, sabato, prima di uscire, la sera, prese foto e foglietto li mise in una busta, e conservò il tutto nella tasca della giacca.

L’indomani, domenica, era di riposo.

Si era a metà maggio, il tempo era splendido, invitava a fare un salto alla spiaggia.

Scese al piano terra, andò alle ‘partenze’, salutò gli impiegati di turno, gironzolò distrattamente, si fermò al quadro degli orari di inoltro.

Il treno per San Gavino partiva alle otto e dieci, e impiegava poco più di un’ora per coprire i cinquanta chilometri che lo separavano da quel paese, che era a metà strada per Oristano.

Il treno fermava a tutte le stazioni:Elmas,Assemini,DecimomannuVillasor, Serramanno, Samassi, Sanluri e finalmente San Gavino, sul colle si stagliavano i ruderi d’un castello.

Poca gente era scesa, o salita, nelle altre stazioni. Qui i passeggeri erano più numerosi.

Appena fuori della stazione, comprese il perché delle numerose persone che erano scese dal treno con lui. Il paese era in festa. Il manifesto, a cura del ‘Comitato’ premetteva che data la situazione i festeggiamenti sarebbero stati molto ridotti, ma non si poteva rinunciare alla processione, e si ringraziava l’Associazione ‘Crocus’ per il generoso contributo.

Si fece indicare la strada dove voleva andare, era poco distante dalla piazza, sul lato destro della Chiesa, quella adornata con lampadine e festoni.

Incontrò una guardia comunale, chiese della Signora Lucia Ruma.

‘La maestra Ruma abita nella casa del marito, ma lui &egrave alle armi.’

La guardia lo guardò preoccupato.

‘Qualche brutta notizia?’

‘No, devo solo fare un’ambasciata alla signora.’

Salutò e proseguì.

La casa era abbastanza vecchia ma ben tenuta, sul portoncino verde scuro la targhetta d’ottone indicava, su due righe. ‘Gavino Ruma – geometra’. A fianco il tirante della campanella.

Luca guardò l’orologio. Poco più delle dieci. Forse era troppo presto per bussare alla casa di una signora. In quel momento l’uscio si aprì ed apparve una donna vestita di nero, alla foggia del paese. Era abbastanza anziana.

‘Volete qualcosa?’

‘Cerco la maestra Ruma, ma’ forse &egrave troppo presto”

‘No, oggi &egrave festa, e si va tutti in piazza, in chiesa, ci si incontra coi parenti, cogli amici’ Voi chi siete?’

‘Devo consegnare alla signora una lettera del marito.’

‘Aspettate, la chiamo subito.’

Si affacciò alla scala interna e chiamò:

‘Lucia c’&egrave un signore con una lettera di Gavino.’

Si voltò a Luca.

‘Io sono la zia, la sorella della madre, l’aiuto per le piccole faccende della casa, Lei non vorrebbe, ma io sono più cocciuta”

Sulla porta, intanto, era apparsa una giovane, bruna, dall’aspetto decisamente bello.

Prima ancora che Luca potesse parlare, lo invitò a salire.

‘Venga, non resti sul portone. La precedo’

Iniziò a salire le scale, offrendo allo sguardo di Luca l’affascinante spettacolo delle sue tonde e nervose natiche che si muovevano nell’aderente vestitino di cotone. Uno splendido culetto proprio all’altezza degli occhi di lui, che suscitava comprensibili pensieri e desideri. Più giù, due snelle gambe, nude, i cui polpacci ingrandivano e rimpicciolivano col salire dei gradini. Luca non aveva ancora fatto caso alle tette, ma da quel che si vedeva dovevano essere incantevolmente in armonia col resto.

Non s’attendeva di essere ricevuto da una ragazza di quel tipo. Aveva pensato a una donnetta di paese, magari un po’ sfiorita, in modesti abiti da mercatino.

Questo era un gran bel tocco di figliola.

Erano arrivati nella stanza adibita a ingresso-tinello. Arredata con semplicità ma con buon gusto, e si comprendeva il desiderio di contornarsi di oggetti graziosi, di fiori.

Lucia si voltò sorridendo.

Un volto ovale, con neri occhi profondi, sopracciglia fine e ben disegnate, labbra piccole, appena carnose. Tutto in regola, e tutto decisamente attraente.

Il petto, poi, era evidentemente eccitante, chissà se se ne rendeva conto. Forse si.

‘Prego, si sieda.’

Gli indicò il divano, sedette accanto a lui.

Luca aveva notato che, malgrado le severe direttive del partito, che imponevano l’uso del ‘voi’, la ragazza parlava rivolgendosi col ‘lei’.

‘Dunque, Sig.?’

‘Sanna’ Luca Sanna. Scusi se non mi sono ancora presentato.’

‘Lei ha una lettera di Gavino.’

‘Veramente non &egrave proprio una lettera’ si tratta di una fotografia’. Comunque, eccola.’

Trasse di tasca la busta e la dette a Lucia.

La donna la guardò, notò che era senza indirizzo, per di più aperta. Interrogò Luca con lo sguardo e, senza attendere oltre, estrasse la foto e la osservò. La girò, lesse la dedica, la voltò di nuovo. Nessuna particolare espressione nel suo viso, tanto meno di sorpresa, gioia, contentezza.

‘Gliela ha data Gavino?’

‘Come ha certamente notato dalla dedicata &egrave destinata a lei. Non mi chieda di più perché in materia non posso esserle preciso.’

‘Lei conosce Gavino?’

‘Mi scusi, Signora, sentivo il dovere di consegnarle la foto e l’ho fatto. Se la importuno vado via subito.’

Lucia si alzò, mise la foto sul tavolo che era al centro della stanza. Si voltò verso Luca.

‘Scusi i modi, ma non capisco.. Vorrei poterle offrire qualcosa da bere. Una malvasia? Ho degli ottimi sospiri di Ozieri, o una specie di caff&egrave di guerra?’

‘Non si disturbi”

‘Nessun disturbo, tutt’altro.’

‘Allora un caff&egrave.’

Lucia andò nella cucina, la stanza accanto, e dopo qualche minuto tornò col vassoio, due tazzine, zuccheriera e piattino con dei lunghi biscotti, tipo savoiardi. Appoggiò tutto sul tavolinetto accanto al divano e tornò a sedere. Porse una tazzina a Luca, chiese quanto zucchero, ne versò un cucchiaino, un altro lo mise nella sua tazzina, offrì i biscotti che Luca rifiutò garbatamente.

‘Sono curiosa di apprendere come sia venuto in possesso della fotografia. Di sapere qualcosa di lei, della sua strana visita. Chi &egrave, da dove viene, cosa fa. Dal cognome direi che &egrave Sardo.’

‘Sono Sardo, si, ma da molto tempo vivo a Roma, ora sono a Cagliari per ragioni di un incarico che spero sia di breve durata. Mi scusi, ma non posso dirle altro sul come sia in possesso della foto. Le assicuro, niente di misterioso, e tanto meno di inquietante. Ma non mi sembra che l’abbia accolta con particolare entusiasmo.’

Lucia alzò le spalle.

‘Né entusiasmo né disapprovazione.’

Luca cercò di sviare il discorso.

‘So che lei &egrave maestra. Insegna?’

‘Per fortuna si, almeno sono occupata.’

‘Da quel che vedo &egrave giovanissima, come ha fatto ad avere subito il posto?’

‘Grazie per il giovanissima, ma il mese scorso ho compiuto i venti. In quanto al posto, sono supplente, l’ho avuto subito per la mancanza di maestri quasi tutti chiamati alle armi. Sa, io ho studiato, a Cagliari, alle magistrali, all’Eleonora d’Arborea ed ero a pensione dalle Suore Rosminiane. Avrei voluto seguitare, perché mi piaceva, e mi piace ancora, studiare, specie le materie letterarie. Ero bravina’ ma i miei non sono stati d’accordo.’

‘E poi, immagino, c’era il fidanzato.’

‘Allora non lo conoscevo nemmeno Gavino. L’ho incontrato proprio alla festa per il mio diploma. Era riuscito, qualche anno prima, a diventare geometra e lavorava col fratello di mio padre, ingegnere, che ha un’impresa edile. Non ho capito subito che lo avevano adocchiato come possibile marito. Io non ci pensavo proprio, anche se sapevo, con un certo fatalismo rassegnato, che la mia strada era quella: sposalizio, figli, casa”

‘Non l’attirava avere una sua famiglia?’

‘Si, ma quando l’avessi deciso io e con chi avessi scelto io. Questo sapevo che era scritto nel mio destino, come nel destino della pecora &egrave scritto che prima o poi andrà al macello.’

‘Perché, allora, non si &egrave opposta ai disegni dei suoi?’

‘Le ho detto, fatalismo, rassegnazione. Visto che non potevo studiare, tanto valeva la pena contentarli, i miei. Mio zio non aveva figli, e Gavino poteva rappresentare, per lui, la continuazione dell’impresa. Per Gavino era come vincere la lotteria. Per me era liberarmi dalle pressioni familiari, pur sapendo che sarei sempre stata vincolata all’autorità maritale che come lei, Sardo, sa bene, &egrave molto forte, specie in queste campagne. Per fortuna, Gavino &egrave partito ben presto, richiamato alle armi. Come sergente, perché, a suo tempo, non era riuscito a superare il corso per allievi ufficiali di complemento! Tutto qui, caro signor Sanna’ o devo chiamarla dottor Sanna?’

‘Ci sarebbe differenza?’

Alzò le spalle.

Mentre Lucia parlava, senza particolari accenti della voce, Luca la esaminava attentamente.

Si, era veramente una bellissima ragazza, con qualcosa di malinconico nel volto, negli occhi, e un corpicino deliziosamente armonioso, meravigliosamente proporzionato.

Quando era andata in cucina, era tornata, s’era seduta sul divano, chinata per porgergli la tazzina, lo zucchero’ era stato possibile valutarne la grazia, l’avvenenza, la sensualità provocante. Piccole tette ben appuntite, ventre piatto, e del culetto già si era accertato.

Si, lo attraeva. Moltissimo. Quello che temeva era che la sua progressiva e incontrollabile eccitazione non divenisse evidente.

Luca si arrapava facilmente.

Era una delle sue caratteristiche, nota agli amici.

L’altra era una certa, come dire, la persistenza di tale stato, anche dopo aver cominciato ad appagare i suoi sensi. Gli dicevano che univa l’eccitabilità del mandrillo alla solidità e resistenza del toro. Per questo lo chiamavano scherzosamente ‘manro’: mandrillo toro!

‘Scusi, signora, forse sono indiscreto e indelicato, ma sarei indotto a ritenere che non ci sia, tra lei e suo marito, quel sentimento che generalmente unisce due coniugi. Misto di amore e passione”

‘Diciamo che io da studentessa sapevo che dovevo studiare. Da maestra conosco ciò che mi compete, e da moglie osservo ‘stavo per dire subisco- i doveri del mio stato. Credo di aver detto già troppo, specie con una persona che conosco da pochi minuti. Mi meraviglio con me stessa, perché &egrave una cosa che non ho mai rivelato, neppure in confessione.’

‘Allora &egrave una’ tortura.’

‘Forse &egrave esagerato usare tale parola. Diciamo che &egrave un doveroso adempimento”

Quella confidenza aveva su Luca uno strano effetto, era spinto a confortarla. A modo suo, stringendola tra le braccia, carezzandola, baciandola e’.

Si schiarì la voce.

‘Non intendevo rattristarla, forse era meglio se non fossi venuto, vero?’

‘E’ lei che si &egrave importunato a fare una gita fuori programma”

‘No, io sono stato ampiamente premiato dall’aver fatto la sua conoscenza.’

Lucia accennò un fugace sorriso.

Quant’era bella, desiderabile.

‘E’ la prima volta che viene a San Gavino?’

‘Si. E’ un bel paese, abbastanza grande. Ho visto i resti di un castello, e ho letto che oggi si festeggia il Santo Patrono.’

‘Si, San Gavino, festeggiamenti in tono minore, a causa della guerra. Quello che lei ha visto &egrave il Castello dei Monreale, ha una lunga storia, nella quale entrano pure i Giudici di Arborea. Qui ci sono vecchie iscrizioni in lingua sarda arborense. Ma la sto tediando.’

‘E’ interessante, e poi lei &egrave così precisa, e la sua voce si scalda a parlare della sua terra.

Passando ho visto la sede del Comune, &egrave bella.’

‘E’ del 1861.’

‘C’&egrave qualcosa di caratteristico del paese?’

La coltivazione del crocus sativus, lo zafferano, ma ora i consumi sono precipitati. E poi i piatti tipici locali.’

Lo guardò fissamente.

‘Perché non si ferma a pranzo da noi? A casa dei miei. Potrà assaggiare l’agnello allo zafferano e il dolce al formaggio fresco il pardulas.’

‘Sarei certamente di troppo.’

‘Assolutamente no. Lei mi ha portato una lettera di Gavino, che poi &egrave quasi la verità.’

‘Mi tempesteranno di domande.’

‘Lei sa bene come cavarsela, ho visto!’

‘Accetterei ma a una condizione.’

‘Quale?’

‘Che possa ricambiarle la cortesia a Cagliari.’

‘Ci vado raramente.’

‘Questa sarebbe l’occasione per farlo.’

‘Con quale scusa?’

‘Andare al Provveditorato agli Studi. Conosco qualcuno’ sa, io a Roma sono al Ministero della Educazione Nazionale, in Viale Trastevere.’

‘Ma no?’

‘Si.’

‘E’ professore?’

‘No, dirigo la sezione affari legali.’

‘Un pezzo grosso.’

‘Una delle tante rotelline.’

‘Lo sapevo che avrei dovuto chiamarla ‘dottore’!’

‘Ecco, adesso mi piace, quando scherza.’

‘Ma, a Cagliari, cosa fa?’

‘Quando verrà a trovarmi glielo dico.’

‘Ha casa sua?’

‘Quella dei miei genitori. In via Regina Margherita, all’angolo dia Via Bonaria. Le scrivo il numero del telefono, se non mi trova c’&egrave Cecilia, una specie di governante tuttofare, che viene per alcune ore al giorno a tenere in regola le mie cose.’

Cercò in tasca un foglietto, scrisse il numero del telefono. Lo dette a Lucia.

‘Senta, cominci a venire a pranzo da noi, e io penserò se e come accettare il suo invito.’

‘Può venire con una parente, un’amica.’

Lo guardò in modo enigmatico.

‘Primum meditari deinde deliberare.’

‘Fido in te.’

Quel breve scambio di frasi, ambigue e trasparenti nel contempo, concluse una schermaglia sempre più velata di accenni interessati e maliziosi.

La natura, a volte, purtroppo quasi mai, fa incontrare esseri che evidentemente si completano a vicenda. Sono, come si dice, fatti l’uno per l’altro. Dicevano i latini: facillime perficere. Più realisticamente, in alcuni paesi dell’Africa orientale, si dice che ogni toppa vuole la sua chiave. Il colorito dialetto napoletano, fa dire ad Aniello, rivolto alla donna che desidera, tengo i cunfietti che fanno pe’ te.

Luca era sorpreso della sua reazione. Non gli era capitato mai che una donna lo attraesse in quel modo. Era una frenesia.

Lucia gli parlò amabilmente.

‘Lei comprende che, pur desiderando farle vedere ciò che di bello può offrirle il mio paese, non posso uscire con lei. Le suggerisco di bighellonare un po’, per conto suo, di andare a visitare l’antica chiesa di Santa Lucia ‘la mia santa- che &egrave la più antica del paese, e di rivederci qui alle dodici e trenta. Ci sarà mio padre, e insieme andremo nella villetta dei miei.’

Quella voce lo accarezzava, gli dava i brividi.

Luca si alzò, per prendere commiato.

Gli tese la mano.

Lui la tenne tra le sue, guardandola negli occhi.

Scese le scale.

Al portone, nel muro, notò una maiolica, che recava una frase, come se fosse scritta a mano: ‘De mei no ti pighis mai sentimentu’.

Luca era rientrato in sede, al lavoro.

Non riusciva a distogliere il pensiero da quanto aveva vissuto la domenica precedente.

Lucia, a tavola, era seduta accanto a lui, sembrava abbastanza serena. Ogni tanto gli sorrideva. Quando, con semplicità e naturalezza, le posò una mano sulla coscia, sul leggero tessuto di cotone che le fasciava, la sentì irrigidire, poi rilassarsi. Con delicatezza, quasi con una carezza, la donna allontanò quella mano da lei. Ma lui percepì il tepore della gamba che s’era accostata alla sua.

Luca era turbato. E non dimenticava di riflettere sui vent’anni di età che lo separavano. Gli sembravano più importanti del fatto che lei era sposata.

Si sorprese a tale pensiero. Che voleva dire l’età? Mica doveva sposarla. Ma si accorse che stava fantasticando su un ipotetico futuro, come se Lucia dovesse essere la donna della sua vita.

Forse lo era.

Che fare? Doveva telefonarle? Non sapeva nemmeno se avesse il telefono. L’impresa paterna, però, di sicuro l’aveva.

Spulciò gli elenchi. Ruma Gavino, geometra, aveva il telefono.

Avrebbe dovuto chiamare il centralino e farsi passare quel determinato numero.

Troppa pubblicità, troppe tracce: numero del telefono di partenza’.

Era in pena. Lucia non si sarebbe fatta viva.

Lui poteva andarla a trovare di nuovo?

Era giovedì.

Quando tornò a casa per il pranzo, Cecilia gli disse che aveva telefonato la signora Lucia Ruma. Sarebbe stata a Cagliari domenica mattina, arrivava col treno.

‘Non ha detto niente altro?’

‘Niente.’

Altro dilemma: doveva far preparare un pranzo a casa o era meglio invitarla al ristorante?

Altra incertezza: sarebbe stata sola o in compagnia?

Ancora un interrogativo: se aveva detto di andare al Provveditorato, perché di domenica?

Lui, così tranquillo, di solito, mai ansioso, si sentiva in preda ad una smania che non aveva avvertito nemmeno prima di incontrare la donna con la quale doveva affrontare la prima esperienza sessuale della sua vita.

Raccomandò a Cecilia di tenere tutto in ordine, di essere preparata per un pranzo speciale per la domenica’. E mille altri superflui suggerimenti che la donna ascoltava con rassegnata pazienza.

La stazione ferroviaria era poco lontana dalla sua abitazione, meno di ottocento metri. Vi si precipitò per consultare l’orario. Nei giorni festivi c’era un treno da San Gavino che arrivava alle 10,30, quello successivo nel primo pomeriggio Con quale sarebbe arrivata?

In un momento di’ lucido intervallo’ si rese conto di quanto fosse scriteriato. Ma come, di pomeriggio? E che ci sarebbe andata a fare? Per pochi minuti!

Fin dal sabato Luca si assicurò che ci fosse un taxi alla stazione. Poi pensò che era meglio noleggiare un’auto, senza autista. Sempre per rispetto alla riservatezza. Ormai, segretezza, riservatezza discrezione, stavano quasi diventando una idea fissa per lui. Altra idea fisse, ma secondaria. Lucia sovrastava tutto e tutti.

E così, domenica alle 10 del mattino, parcheggiata la 508 scura, ben tirata a lucido, già era in attesa del treno.

^^^

Lucia fu la prima a scendere dalla littorina.

Appariva ancora più giovane. Una giovinetta dal volto serio ma dalle movenze agili, sembrava non toccare la terra. L’abito chiaro, a grossi fiori, la rendeva ancor più radiosa, quasi allegra. Una grossa sacca di pelle le pendeva dalla spalla.

Vide subito Luca. Gli sorrise, lo salutò con la mano, come a un vecchio amico, un parente, un’

Luca le tolse la sacca, con cortese insistenza. Strinse la mano curata che gli veniva porta. Sentiva il desiderio di abbracciarla.

La ringraziò per essere venuta.

‘Sola?’

‘Ho dovuto vincere qualche perplessità, ma poi ho ricordato tutte le volte che nel passato ho viaggiato senza scorta o chaperon, e me la sono cavata benissimo.’

‘Venga, fuori ho l’auto, vorrà certo darsi una rinfrescatina, anche se il viaggio non &egrave troppo lungo, ma alla fine si sente sempre la necessità di ristorarsi, in un certo senso. Un buon caff&egrave o una bibita completeranno il tutto.’

‘Ha un’auto?’

‘In un certo senso. La prendo quando mi serve.’

‘E dove andremmo?’

‘Se non ha niente in contrario, a casa mia. Pochissimi minuti.’

‘Lei &egrave solo?’

‘A quest’ora dovrebbe esserci Cecilia.’

‘Forse sarebbe meglio che vada direttamente dalle Suore, sono certa che per me avranno posto.’

‘Sono informate del suo arrivo?’

‘No, ma non credo che trovino difficoltà ad ospitarmi.’

Erano, intanto, già saliti in auto e stavano quasi arrivando a casa di Luca.

‘Guardi, siamo, qui. Salga un momento, alle monache può telefonare e, se crede, può anche rassicurare i suoi che sta benissimo.’

Stette in forse per qualche istante, poi si rivolse a lui, che intanto s’era fermato accanto al portone.

‘D’accordo.’

Il vecchio ascensore, cigolante, li portò fino all’ultimo piano.

Luca aprì la porta di casa, avvertì Cecilia che erano arrivati, la fece accomodare nel salottino che in quel periodo fungeva anche da studio. Posò la sacca sul divano.

‘Prego, si accomodi, faccia come se fosse a casa sua. Questa é casa sua. Non faccia complimenti.’

Lucia si avviò ad uno dei due grandi balconi.

‘Posso aprire?’

‘Certo.’

Fu lui ad affrettarsi a spalancare la porta-finestra. Era tutto pulitissimo, le piante ben curate. Cecilia era preziosa.

Lucia si affacciò, guardò intorno, a sinistra il molo chiudeva il porto, oltre c’era Santa Maria Bonaria, a destra la stazione Ferroviaria.

‘Ma sa che &egrave un incanto? Una vista stupenda. Ma, così vicini al porto, non teme per eventuali azioni militari?’

‘Spero di sfuggirne le conseguenze.’

‘Affascinante, veramente affascinante.’

‘Ora lo &egrave molto di più.’

Lo guardò interrogativamente.

‘C’&egrave lei a rendere insuperabile la visione.’

‘Grazie, ma non &egrave obbligato a galanti bugie.’

‘Mi sono concesse serene e obiettive constatazioni?’

‘Ho capito, vuole scherzare.’

‘Mi creda, mai più serio.’

Rientrarono. Lucia si guardava in giro, interessata, forse semplicemente curiosa.

Luca le chiese se preferisse un caff&egrave o una bibita.

‘Prima vorrei profittare della sua offerta e darmi una rinfrescata. Devo prendere la sacca.’

‘Venga, le mostro dove. La sacca gliela porto io.’

Quando Lucia tornò nel salotto era più fresca e fiorente che mai.

Un corpo meraviglioso.

Splendido volto, incorniciato dai lunghi capelli corvini su un collo scultoreo che continuava nelle spalle perfettamente disegnate, nel provocante piccolo seno appuntito, nei fianchi deliziosi, nelle snelle gambe tornite.

Manro si riaffacciava prepotentemente.

Luca le andò incontro, le prese entrambe le mani, rimase in muta contemplazione, che lei non sfuggì. Anzi poggiò tutto il peso del corpo su un’anca, come in posa. Luca lasciò una mano e le girò intorno, come in un passo di danza. Che fianchi, che magico fondo schiena. (Lui, in effetti, pensò: che culo!).

Lucia non disse nulla. E quando lui le chiese cosa desiderasse da bere, scelse un caff&egrave, aggiungendo che era attratta dalla promessa che fosse ancora quello d’un tempo.

Sedettero sul divano.

Cecilia giunse col vassoio, i caff&egrave, dei biscottini.

Luca aveva preparato un lungo discorso, con preambolo, farsi accurate, parole meticolosamente scelte, e aveva provato anche l’intonazione della voce. Ora, però, aveva dimenticato tutto. Di fronte a quella maestra era uno scolaretto confuso e impappinato.

Cercò un modo per iniziare.

‘Senta”

Non sapeva se doveva dire signora o poteva chiamarla confidenzialmente per nome. Optò per la forma ufficiale.

‘Senta’ signora. Come lei ha visto, la casa &egrave abbastanza grande. Sarei lieto se accettasse la mia ospitalità, invece che quella dell’istituto delle suore. Cecilia le preparerebbe la camera degli ospiti, quella che io occupavo da giovane’.’

Non sapeva come proseguire.

Lei avvertiva quella tensione. L’aveva percepita dal primo momento che l’aveva incontrato, come qualcosa che le era entrata nel sangue: calmante ed eccitante nel contempo. La vicinanza di Luca la faceva sentire pericolosamente protetta. Pericolo? Quale? Non era una minaccia, piuttosto una salvezza. Salvezza? Da cosa?

Sono in un labirinto ‘si diceva Lucia- ma sono io ad esserci entrata. Non riesco a trovare la via d’uscita. Non &egrave vero, sono bugiarda con me stessa, so bene come uscirne, e so anche che potrei tornare indietro, finché non &egrave troppo tardi.

Tornare indietro? Perché?

Ma lui non mi aiuta, almeno mi desse la mano, mi facilitasse il cammino.

Il quel momento sentì che Luca le prendeva la mano, la stringeva tra le sue.

Ecco, l’eccitante distensione. ‘Seguitò a pensare Lucia.- La protezione, la sicurezza. Che delizia, vorrei che non mi abbandonasse mai. Ma come &egrave discosto’ Devo trovare il modo’

Lui le si avvicinò, i loro fianchi si sfioravano.

La guardò come a volerle leggere dentro.

‘Allora? Posso dire a Cecilia di preparare la camera?’

Lucia deglutì a con difficoltà. Annuì, in silenzio.

‘Preferisce pranzare qui o andare in un posticino quieto e appartato?’

Ora stava riprendendo il controllo di sé. Questa decisione le aveva ridato energia.

‘Forse &egrave meglio fuori.’

‘Allora faccio preparare la cena. Ma la servirò io, perché Cecilia a una certa ora torna a casa sua.’

‘Ah! Per servire a tavola ci sono io, non si preoccupi.’

La grande pendola segnava quasi mezzogiorno.

Luca si assentò per dare disposizioni a Cecilia. Tornò immediatamente.

‘Senta, mi permette di chiamarla Lucia?’

Dal volto di Lucia si sarebbe detto che aveva vinto una ‘tappa’.

‘Certo’ certo”

‘Lei, logicamente mi chiami Luca.’

‘Ma”

‘Non mi faccia sentire un matusa”

‘No’ che idea, &egrave un brillante giovane”

‘Grazie per ambedue i complimenti. Li terrò bene a mente. Che dice, vogliamo andare? Dovremmo scegliere tra un tipico ristorante della città vecchia o qualcosa nelle immediate vicinanze. Non sul mare; purtroppo, &egrave occupato dai militari.’

‘Dove vuole lei’ per me va bene tutto.’

Poco fuori dell’abitato, subito dopo il bivio per Capoterra, nel rustico edificio, antica osteria d’un tempo, non c’era tanta gente. Furono subito condotti in un angolino ombroso e appartato. Il grezzo tavolo fu prestamente apparecchiato, alla casalinga, e l’uomo, col pizzo del grembiule raccolto nella cintura, era in attesa della comanda.

Luca chiese a Lucia cosa desiderasse. Lei si chinò all’orecchio dell’uomo e sussurrò qualcosa.

Luca trasmise il desiderio della donna, come fosse il piccolo segreto della bambina: gnocchetti alle arselle e pesce alla griglia. Raccomandò che il vino fosse fresco e buono, e anche della minerale, allo sguardo dispiaciuto dell’oste ripiegò sulla gassosa, ma sempre fresca.

Non aveva compreso quel bisbigliare nell’orecchio, ma Lucia si affrettò a spiegargli che era abituata a sottoporre agli altri, superiora, genitori, marito’ i suoi desideri. Mai direttamente al cameriere.

Strano in una ragazza che sembrava alla moda, spigliata, decisa.

Tutto fu ottimo. Lucia sorseggiò pochissimo vino, piacevolmente, per lei, allungato con la gassosa. Anche Luca bevve poco.

L’oste, dopo il tradizionale bicchierino di mirto, che lei assaggiò appena, suggerì di trattenersi sotto il pergolato, dietro l’edificio.

Era un luogo accogliente, con una specie di divano dondolante, ricoperto di cuscini, sul quale andarono a sedere. Molto vicini.

Durante il pranzo la conversazione era stata futile: ricordi di scuola di Lucia, il suo rammarico per non poter seguitare gli studi, al Magistero. Poche cose da parte di Luca: qualche accenno al lavoro, confidò che era richiamato alle armi, con noioso incarico speciale. Le chiese se conoscesse Roma. No, non si era mai allontanata dall’isola. Certo che le sarebbe piaciuto visitarla, forse anche viverci. Il poco che sapeva le veniva dai giornali illustrati, uno per la verità, e dal Giornale Luce quelle pochissime volte che andava al cinema.

Ora, sul dondolo, Luca, ancora una volta, le teneva la manina tra le sue.

‘Lucia, lei crede al coup de foudre?’

‘Paolo fu folgorato sulla via di Damasco: ebbe un’apparizione divina che trasformò la sua vita. Santa Teresa cadeva in estasi quando aveva paradisiache visioni. Si, ci credo.’

‘Da quello che sto per dirle può dipendere tutto, per me.’

Sentì che la mano di lei lo stringeva. Lo guardava fissamente, attentamente. Proseguì.

‘Io sono affascinato da lei, Lucia, innamorato, incantato, irrefrenabilmente attratto’ ‘

La voce di Lucia tremava, esprimeva una emozione a mala pena contenuta, pur volendo sembrare naturale.’

‘L’avventura con una giovane donna che ha il marito lontano, il passatempo per il periodo di richiamo, una relazione di comodo, mulier temporaria”

‘Basta! Non hai capito nulla’ Scusi, non sono riuscito a farmi intendere”

La sua voce si ammorbidì. Era incerta, ansiosa.

‘Cosa dovrei capire?’

‘Che sono pazzamente innamorato di te, che ti chiedo di lasciare tutto e tutti, di restare con me, per sempre”

‘Si, sei completamente irragionevole.’

‘Da quando si chiede di ragionare all’amore, alla passione?’

Ora era dolce, tenera. La sua manina accarezzava il dorso di quella di Luca.

‘Come puoi chiedermi che dia un taglio netto con la realtà?’

‘Parli della forma, ma rispondi alla mia richiesta: potendolo, rimarresti con me?’

‘Quando mi sei apparso Luca, ho capito che l’estasi divina di Teresa poteva anche essere provocata da una visione umana.’

Si abbracciarono ardentemente, si baciarono freneticamente, a lungo.

Rimasero, poi, a guardarsi negli occhi.

E tornarono a baciarsi, golosamente

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Luca pensava che non doveva forzare i tempi.

Aveva raggiunto un risultato insperato.

Aveva carezzato quel corpo voluttuoso, lievemente, senza indulgere a maggiori tentazioni. Aveva appreso di quel seno turgido, delle natiche sode e tondeggianti, del pube morbido e accogliente. Sfiorando.

Faceva di tutto per contenere la manifestazione del suo essere Manro. Non era facile. Lucia, così, per caso, distrattamente, aveva passato leggermente la mano sulla patta, senza insistere, senza soffermarsi, era forse una istintiva e bramosa ricognizione.

Lucia gli chiese di riprendere l’auto. Prima, però, doveva andare a’ incipriarsi il naso.

Desiderava andare al cinema. A San Gavino non c’era.

Affiorava in lei la parte romantica, sentimentale: andare al cinema con il suo uomo. Come due fidanzatini.

La sala cinematografica era quasi vuota. Lucia preferì andare in galleria, ultima fila. Era un po’ lontano dallo schermo ma ,data la non vastità del locale, si vedeva bene.

Entrarono pochi minuti prima dell’inizio.

Il ‘Giornale Luce’ era tutto un inneggiare alle forze armate, alle prodezze della marina, dell’aviazione, dell’esercito. Le notizie che Luca doveva censurare nelle scarne parole dei militari in zona d’operazione, di contro, erano tutte paurosamente tragiche: ‘mancano le munizioni’, ‘siamo male equipaggiati’, ‘i mezzi del nemico aprono il fuoco da 250 metri, noi dobbiamo arrivare a meno di 100 per essere efficaci’, ‘i nostri carri sembrano fatti burro’, ‘serve benzina e mandano nafta” e così via.

Poi cominciò il film. Lucia s’era soffermata sul titolo, ‘Ossessione’. Gli attori, notissimi, l’attiravano.

Luca era indeciso se avvicinarsi a lei, o meno.

Lucia gli prese la mano e si fece abbracciare. Le dita di lui le sfioravano il seno. Gli poggiò la testa sulla spalla, lo guardò sorridendo, si mise a seguire i fotogrammi che si susseguivano sulla bianca tela, sul palcoscenico.

Di quando in quando un lieve bacio.

Fidanzatini al primo incontro.

Quando uscirono, cominciava ad annottare.

‘Vuoi che restiamo fuori per la cena?’

Lei era rimasta pensosa, dopo aver visto il film.

Qualcosa di quella ossessione era anche in lei. In loro.

‘Se hai qualcosa a casa preferirei tornare. Sei sempre del parere di ospitarmi?’

‘Che domande, se posso’ dico che prima lo desideravo, ora lo chiedo.’

‘Dittatore!’

‘Supplice!’

‘Va bene, hai vinto.’

Lasciarono l’auto dinanzi al portone, entrarono, salirono al loro piano. Cecilia era andata via. Sul tavolo della cucina aveva lasciato un biglietto indicando cosa aveva preparato e dove trovarlo.

‘Scusa, Luca, se potessi vorrei proprio fare una doccia. Servirà anche, spero, a schiarirmi le idee, mi sento confusa, come ubriaca.’

‘Sai dov’&egrave il bagno. Vi troverai tutto il necessario, anche pantofole e accappatoio. Se hai bisogno di qualcosa devi tirare il cordoncino bianco vicino alla doccia.’

‘Grazie. Prenderò l’accappatoio e le pantofole, andrò nella camera che hai fatto preparare e li indosserò. Così non dovrò appendere i vestiti sui ganci della sala da bagno. Scusa ancora, ma a volte sono presa da piccole crisi di claustrofobia, posso lasciare semiaperta la porta?’

‘Fa quello che desideri. Buona doccia.’

Dopo non molto e Luca sentì lo scrosciare dell’acqua.

Passò dinanzi alla porta del bagno, l’aria mossa dal getto d’acqua l’aveva spalancata. Lucia era nell’angolo, rivolta al muro, con le mani, in alto, poggiate sulle ceramiche azzurre, i capelli lungo la schiena, il mirabile spettacolo della pulchritudo pugarum, la bellezza delle natiche, e lo scorcio del seno florido e seducente.

Manro prendeva il sopravvento.

Lei era ferma, lasciandosi pigramente carezzare dall’acqua, come se stesse meditando.

Rimase così, Luca, incantato, fin quando lei non sembrò emergere da una specie di trance, e chiuse l’acqua. Prima ancora che lei si voltasse, per prendere l’accappatoio, si allontanò.

Lucia tornò nella sua camera.

‘Posso esserti utile, Lucia?’

‘Vorrei un tuo consiglio sul vestito da indossare”

Lui si affacciò alla porta.

‘Eccomi!’

‘Non &egrave che ne abbia chissà quanti, ma non so se rimettere quello che avevo oggi o”

‘Ti offro un’alternativa.

Nell’armadio ci sono alcune vestaglie di mia sorella, non indossate dopo essere tornate dalla lavanderia. Se ti senti più libera puoi sceglierne una.’

Lucia aprì un’anta dell’armadio. Tra vestaglie, di cui una lunga, particolarmente elegante, facevano bella mostra.

‘Bella questa, celeste, con un ricco collo.E’ come quelle che si vedono nei film americani. Posso?’

‘Certo.’

‘Prese le piccole mutandine che aveva messo sulla poltroncina, e, con un’abile e strana manovra, riuscì a infilarle senza togliere l’accappatoio. Poi, sempre con accorta rapidità, e senza quasi lasciar intravedere nulla del suo stimolante corpo, passò dall’accappatoio alla vestaglia.

Le stava d’incanto. I capelli, lunghi, sulle spalle, incorniciavano il suo visetto bello e capriccioso.

‘Guarda sul piano dell’armadio, Lucia, ci sono le pantofole.

Le prese. Erano graziose, con un grosso pompon davanti.

Luca le si avvicinò, la prese tra le braccia, la baciò con fervore, appassionatamente corrisposto.

Andarono in salotto, sedettero sul divano.

Luca, senza parlare, la invitò a sedere sulle sue ginocchia.

Ora coglieva il tepore di lei, attraverso la morbida e leggera vestaglia.

La patta sembrava esplodere. Il sesso la implorava prepotentemente. Lei, certamente, l’avvertiva. Il suo culetto stuzzicante e affascinante, si muoveva come a volerlo carezzare, promettente.

Mentre la baciava ancora, Luca infilò la mano nella vestaglia, carezzò il seno, strinse i capezzoli, sensibilissimi a quel contatto, scese sul ventre, nelle mutandine, tra il prato di seta che ornava il pube, le grandi tumide labbra che si dischiudevano, per consentirgli di raggiungere la porta del paradiso, col piccolo guardiano rosa che si alzò subito a ricevere quel piacevole esploratore. Ora le tonde natiche di Lucia erano irrequiete, come il grembo. E Luca era entrato con la sua carezza fremente in lei, che aveva perso ogni padronanza di sé, e ansava, mugolava, godeva, fino all’orgasmo che lasciò libero sfogo all’urlo liberatorio troppo a lungo sognato e represso.

Lui seguitò a carezzarla dolcemente, a baciarla, sulle labbra, sugli occhi, a suggerle i capezzoli.

Le sussurrò nell’orecchio.

‘Hai fame?”

‘Si’ di te.’

Si alzò, si avviò verso la grande camera da letto, voltandosi a guardarlo con un’espressione che non destava dubbi, un invito che Luca desiderava da sempre.

Nel mentre lui si liberava impazientemente da ogni indumento, lei, così, in piena luce, aveva scostate le coperte e s’era distesa sul lenzuolo candido, con aria estatica, il capo sorretto dai cuscini, le braccia alte, dietro la testa. Maya desnuda.

No, molto più affascinante.

Le si distese a fianco e iniziò di nuovo a baciarla, dappertutto. Lei gli passava le mani tra i capelli. Alzò le ginocchia, divaricò le gambe, offrendo l’incantevole spettacolo del folto bosco bruno che nascondeva la meta tanto a lungo bramata da Manro.

‘Luca, luce, vieni.

Tu Luca, io Lucia, due raggi che vogliono essere uno solo.’

Il grosso fallo, impaziente, fu dolce nel farsi accettare dalla piccola rosea pulsante vagina, che lo accolse, avida, golosa, vorace. Lo avvolse nel suo delizioso tepore, lo carezzò con lunghe voluttuose contrazioni che ne facilitarono il cammino, fin quando il glande non fu fermato dal piccolo musetto di tinca che lo baciò bramosamente.

Il delicato piacere iniziale, andava trasformandosi in appassionato godimento, specie in lei che, invasa da cotanto gagliardo, nuovo e insperato dono della natura, stava conoscendo sensazioni inimmaginate, orgasmi in concepiti, impreziositi dalla benefica pioggia che dissetò l’intima aridità che l’aveva finora tormentata. C’era l’acqua miracolosa per il suo deserto. Si, c’era. Luca.

Lucia era prodiga e possessiva nel contempo. Si donava con abbandono e pretendeva bramosa. Un maroso impetuoso, crescente, che travolgeva con l’ondeggiamento impetuoso e passionale del suo ventre, ma pretendeva sentirsi solcare dalla prua che si faceva strada in lei, sempre più profondamente, nel suo pelago senza fine.

Come conosceva tanta raffinata maestria?

Da dove traeva la sua inebriante fantasia?

Luca era incantato, senza parole, di fronte alla naturale freschezza e spontaneità di quella splendida creatura, nata per amare, per godere e far godere. Meraviglia del creato.

Le prime luci del giorno, filtrando dalle imposte del balcone, sorpresero Lucia, riversa su Luca, con una appetitosa tettina sul petto dell’uomo, una gamba sul pube di lui, e la mano saldamente impugnante il grosso fallo, a consacrarne il geloso possesso. I neri capelli sulla spalla di Luca, il sodo culetto che si rispecchiava, invitante, nel grosso specchio dell’armadio.

^^^

Si presentava il problema del ritorno al paese.

Luca, con garbo, si avvalse della sua ascendenza, come alto funzionario del Ministero, e ottenne, per Lucia, un distacco temporaneo nel Capoluogo, a disposizione del Provveditorato per l’aggiornamento dei programmi scolastici. Orario comodo, dalle nove alle tredici, pomeriggio libero.

Lucia, nella sua spontaneità, intimamente persuasa che non aveva commesso, né commetteva, alcunché di riprovevole, perché Luca, e solo lui, era il suo uomo. Elaborando a modo suo, canoni e principi etici del suo cristianesimo, era entrata a ringraziare la sua protettrice, Santa Maria Bonaria, e a supplicarla perché mantenesse vivo l’amore per lei nel cuore di Luca.

Trascorrevano, si dicevano spesso tra loro, giorni paradisiaci, gli stessi che certamente avevano vissuto Eva e Adamo, nell’Eden, prima che fosse scoperto il loro peccato.

Loro, però, erano convinti di non meritare alcuna punizione.

La realtà spesso, supera la fantasia.

Un piccolo trafiletto della stampa informava che un nostro convoglio navale, diretto in Africa settentrionale, trasportante reparti di truppe corazzate, era stato attaccato da unità nemiche, di mare e di cielo. Si lamentavano alcune perdite: una nave trasporto affondata e alcuni dispersi.

Le lettere di Gavino, che Luca intercettava regolarmente e dava a Lucia, e che Lucia gettava senza leggere, cessarono di arrivare.

Dopo quattro settimane, il padre di Lucia telefonò da San Gavino.

Chiese alla figlia di tornare, c’era una grave e dolorosa notizia: Gavino figurava tra i dispersi.

Lucia, rispose, senza troppa emozione, che preferiva restare lontana dalle inutili e spesso formali manifestazioni di cordoglio di cui, certamente, sarebbe stata oggetto.

Il padre sapeva tutto.

Era venuto a visitarla. E aveva fatto finta di credere che stava a pensione da Cecilia.

Luca, seduto in poltrona, la guardava, confuso, a disagio. Non sapeva se e cosa dirle.

Lei aveva riagganciato il telefono, dopo la breve conversazione col padre.

Erano quasi le cinque del pomeriggio.

Andò a sedere sulle ginocchia di Luca, abbastanza serena, in volto, Come se nulla fosse accaduto. Lo carezzò, gli sfiorò le labbra con un bacio.

‘Vorrei andare in Chiesa. Ti dispiace?’

‘Ti accompagno.’

‘Grazie.’

Fu pronta in un minuto. Uscirono.

Il Santuario distava circa un chilometro. A quell’ora, il percorso era in ombra. Lucia si mise sottobraccio a Luca. Camminarono in silenzio, per circa un quarto d’ora. Salirono le scale. Entrarono.

Luca si fermò subito dopo l’ingresso. Sedette sul banco dell’ultima fila.

Lucia andò avanti. Prima fila, s’inginocchiò. Guardava l’altare, senza alcuna particolar espressione negli occhi. Rimase così, a lungo, oltre mezz’ora. Poi si alzò, fece il segno della croce, si inchinò. Andò vicino a Luca, sedette accanto a lui. Serena, lineamenti distesi, volto incantevole, quasi avvolto da una luce irreale. Luca pensò che era la suggestione del luogo.

‘Se vuoi, caro, possiamo andare.’

Uscirono, rimasero un istante sull’alto della scalinata. Discesero lentamente, tenendosi per mano.

‘Mi offri un gelato?’

‘Con piacere. Sulla strada di casa, poco più avanti, c’&egrave una gelateria che fa ancora degli ottimi gelati.’

‘Grazie.’

‘Si appese al braccio di lui. Ogni tanto lo guarda, sorridendogli teneramente. Appariva più bambina della sua età. Aveva ripreso l’aria birichina che ogni tanto assumeva. Anche per farsi coccolare, viziare.

Ordinò una coppa di crema e cioccolato. Lui prese fragola e limone.

Lo gustava con golosità, lasciando che il gelato si sciogliesse lentamente in bocca. Sull’angolo della bocca s’era fermata una goccia di cioccolato. Luca prese il suo fazzoletto, e la deterse delicatamente.

Si chinò verso di lui. Gli sussurrò che avrebbe dovuto farlo con la lingua.

‘Qui, in pubblico. Possono vederci.’

‘Ti vergogni di me?’

Aveva un tono decisamente scherzoso e provocatorio.

‘Non voglio destare l’invidia degli altri.’

‘Meglio invidiati, tesoro, che compatiti.’

‘Si, ma potrebbero pensare che sono un maturo, corruttore di minorenni.’

‘Magnifico’. Corruttore”

Per Lucia non era accaduto nulla.

Anzi, sembrava essersi liberata d’un peso.

Strane reazioni, la gente.

Le prese la mano.

‘Stai bene, cara?’

‘E’ terribile, Luca, devo essere un mostro senza sentimenti.’

‘Perché?’

‘Sento di potermi librare con riacquistata leggerezza. Come se mi fossi svincolata da una catena, come se fosse affondata la zavorra che mi rendeva pesante. E’ orribile, vero?’

Le baciò il palmo della mano.

Quando si alzarono, per tornare a casa, fu lui a prenderla sotto braccio, e le sfiorava il seno con le nocche della mano.

Quella notte Lucia volle dimostrargli appassionatamente, cosa significava sentirsi libera, liberissima. Cosa voleva dire, per lei, ascendere sempre più in alto. E volle dormire stretta tra le braccia di lui, sempre impugnando lo scettro del possesso.

^^^

Luca era in ufficio, pensoso.

Cosa poteva significare la notizia che Gavino doveva considerarsi disperso?

Che riflessi avrebbe avuto sulla loro relazione?

Gli sembrava, in un certo senso, di interpretare uno dei personaggi de ‘Il fu Mattia Pascal’.

Pirandello era insuperabile nel descrivere le situazioni e i coinvolgimenti dei singoli.

Lucia, vedova di guerra?

E se Gavino, pescato dal nemico fosse in campo di prigionia, per ricomparire dopo la cessazione delle ostilità?

Ma guarda che razza di ragionamento contorto.

Perché non vivere il presente, anche in considerazione che l’aviazione nemica poteva troncare tutto e tutti da un momento all’altro?

Lucia si comportava come una splendida e innamorata mogliettina. Si era fatta voler bene anche da Cecilia.

Si interessava della casa, del vitto, di tenere in ordine le cose di Luca. Ne precedeva i desideri, ne coltivava le piccole preferenze, lo circondava, senza soffocarlo, del suo amore delle sue premure. Era sempre ardentemente desiderosa di lui. Instancabilmente. Quando la coccolava, faceva le fusa come una gattina innamorata. E i suoi gemiti voluttuosi testimoniavano il piacere di sentirsi sua, di sentirlo suo.

Manro aveva di che sbizzarrirsi.

Lei voleva sentirne il fallo sempre e dovunque.

Anche se lui era intento a leggere il giornale, improvvisamente, si presentava in vestaglia, senza dirgli che indossava solo quella, gli sbottonava i pantaloni, accoglieva il suo ‘sempre pronto’, come lo aveva battezzato, e, alzando la stoffa del vestito, si sedeva, accogliendolo tra le gambe, custodendolo delicatamente tra le natiche sode e tondeggianti.

Era fatale che dovesse giungere quel giorno.

‘Luca, &egrave meraviglioso. Sei il padre di mio figlio!’

E lo guardò. Cera apprensione nei suoi occhi.’

Stava venendo meno per la gioia quando Luca le tese le braccia.

‘Grazie, amore. E’ meraviglioso. Grazie.’

Lei lo ringraziò a modo suo, quella sera. Anche troppo, perfino per Manro. E non pensarono affatto se anche il bambino, nel grembo di lei, prendeva parte al loro piacere.

Lucia era radiosa. Che Gavino potesse tornare non ci pensava nemmeno. E se fosse tornato, infine, chi se ne frega!

Luca rifletté attentamente.

Finì col concludere che la permanenza in quella città, così vicina a San Gavino, era la cosa più inopportuna.

Chiese e ottenne una licenza. Non solo, ma riuscì anche ad avere due passaggi aerei, sui velivoli militari da trasporto, da Elmas a Centocelle e viceversa. Lucia era sua cugina, e necessitava di particolari cure possibili solo a Roma. Tutti fecero finta di crederci, e allorché Lucia salì sull’aereo, un sibilo di ammirata approvazione l’accompagnò fin quando non raggiunse il suo posto. Non troppo comodo, per la verità. Erano poltroncine formate da un telaio metallico con fondo e schienale fatti di quella pesante tela che si usava per le tende. Un lungo e lento decollo. C’era sempre l’incognita del nemico, ma furono fortunati, e atterrarono serenamente.

Era la prima volta che Lucia andava in aereo, la prima volta a Roma.

^^^

Il dottor Sanna parlò a lungo col direttore generale, che era anche un autorevole componente della camera dei fasci e delle Corporazioni.

Lucia lo aveva pregato, mentre lui era a colloquio, di lasciarla bighellonare lungo il Viale del Re. Arrivò fino alla Casa di Dante, alla statua del Belli. Era tutto bello. Per lei, che non conosceva la città prima della guerra, non c’era niente di più attraente. Tornò al Ministero, nella sala d’aspetto.

Luca non tardò troppo. Le disse che il direttore generale se ne sarebbe interessato il giorno stesso. Lui aveva una certa idea. Voleva una ‘divisione’ che organizzasse e coordinasse lezioni per i militari convalescenti,o in istituzioni che si interessavano dell’assistenza degli invalidi. Dato che erano necessari collegamenti con le autorità militari, chi meglio di un funzionario del Ministero richiamato alle armi?

Se ne andarono abbastanza contenti. Salirono sul tram, passione di Lucia, e scesero a Piazza del Risorgimento.

Lucia gli chiese di tornare a casa. Non voleva stancarsi troppo.

Concettina, certamente aveva preparato uno dei suoi soliti pranzetti. Prelibati, malgrado le ristrettezze e il razionamento, e’ inoltre’ dovevano informare il bimbo della bella notizia che attendevano. E quello poteva farlo solo il papà. Il più delicatamente ma profondamente possibile, si raccomandò lei, ed era il caso di ripetere il messaggio’ non si sa mai.

Era lei, ora a voler dirigere i lavori, come le piaceva dire. Ed era brava in tutto, dall’erezione del pilastro a una sorta di delizioso battipalo che la faceva impazzire.

Anche essere penetrata voltandogli le spalle, le piaceva, e non disdegnava sentirsi montata come la pecora dall’ariete. Non doveva dare colpi troppo forte, per favore’ ma neanche troppo deboli.

‘Cospargimi con la tua crema, Luca. Come sai fare tu’

E si accorgeva quando lui stava per eiaculare, palpitava, lo mungeva.

Dopo soli due giorni il segretario del Direttore Generale gli telefonò, per dirgli che Sua Eccellenza ‘lo chiamava così- lo attendeva.

‘Caro Sanna. Fatto tutto. Lei dirigerà la nuova divisione come ufficiale richiamato. Il suo ufficio sarà al primo piano, per facilitare l’accesso degli interessati. Poi le dirò a chi presentarsi. Se deve ritirare delle cose in Sardegna lo faccia presto. La Censura &egrave stata già informata del suo nuovo incarico. La attendo presto. Buon lavoro.’

Perfino lui, gerarca fascista, infranse le norme e gli stese la mano.

^^^

Il via vai tra il continente e l’isola non fu facilissimo, ma riuscirono a far tutto, rapidamente.

La settimana successiva erano in Roma. A casa di Luca.

In una piccola accogliente palazzina di Monteverde. Solo due appartamenti, in verticale, con scala interna. Dal balcone si godeva un bel panorama, e il Ministero, dove era l’ufficio di Luca non distava troppo.

La pancia di Lucia era sempre più evidente. Lei era in aspettativa per motivi di salute.

Luca ne aveva scritto alla madre. Non era sceso in particolari, e aveva anche sorvolato sui venti anni di età che li dividevano. Le aveva detto, però, che erano in attesa di un bambino e che per certe ragioni burocratiche non ancora potevano sposarsi.

Lucia ne aveva anche informato i genitori. Cautamente, a piccole dosi. Ma non sembrarono sorpresi. Non commentarono. Temevano che la figlia si allontanasse da loro.

Lucia, ogni tanto, tornava sulla coincidenza dei nomi: Luca, Lucia, ricordava la Luca etrusca, oggi Lucca, Lucina la dea della luce, perfino la luxuria, l’ardore, come diceva lei, che li univa sempre. Sempre più. Pur nella doverosa cautela dei loro appaganti amplessi.

Voleva sentire Manro sempre vicino a sé. L’origine della sua maternità.

Quello che sfuggiva era la scelta del nome del nascituro.

‘Vediamone il sesso, e poi decideremo.’

Era in sala parto, a Villa Bianca, quando le fortezze volanti seminarono la distruzione a San Lorenzo, sconvolsero le tombe del cimitero, nel primo luttuoso bombardamento aereo della capitale: 19 luglio 1943.

Da Villa Bianca sentirono tutto. Non erano molto lontani dal bersaglio dell’aviazione statunitense.

Il bambino stava benissimo, grassottello ma non troppo, di pelame scuro, perfetto in ogni particolare. Un bel maschietto.

‘Bello come la mamma.’

Disse Luca, baciandola e ringraziandola.

‘Tale e quale al padre, con la sua stessa marcata caratteristica, e gli indicava il pipì.

Parto regolarissimo, puerpera in ottime condizioni, eccezionale per una primipara.

‘La nostra razza non mente.’

Diceva orgogliosamente Lucia. Luca le carezzava la mano.

Il seno, ancor più rigoglioso, era, ora, dominio del piccolo Lucio.

Si, Lucia aveva detto che da Luca e Lucia, luci parentes, genitori del giorno, non poteva che essere nato Lucio.

E fu così.

Le loro famiglie erano state informate.

La sera prima che i medici avessero deciso di rimandarla a casa, un evento sconvolse l’Italia.

Benito Mussolini, Duce del Fascismo, Capo del Governo, era stato deposto dal piccolo Re Imperatore, ma, quello che sgomentava, era il tradimento dei suoi fedelissimi.

Luca era sempre stato critico verso il fascismo, ma sperava sempre che, soprattutto, ci potesse essere un distacco dal barbarismo nazista. Ora, gli eventi bellici facevano rinascere molte speranze. Lui, con molta cautela, aveva partecipato a qualche riunione molto riservata, in casa di un ex esponente del partito liberale.

Lucia era tutta presa dalla sua piccola graziosa e serena creatura.

Aveva compreso l’importanza di quanto era accaduto, ma era tutta presa da Lucio, aveva bisogno di lei. Per vivere.

Al Ministero c’era una gran confusione, come altrove.

I proclami del nuovo Governo, invitavano tutti a restare al proprio posto.

Migliaia di camicie nere, di militi della MVSN (milizia volontaria sicurezza nazionale) sfoggiavano, ora, rivoluzionari bracciali rossi o vermigli fazzoletti che coprivano il nero delle camicie fino ad allora indossate.

Si voleva cacciare questo e quello, soprattutto sulla base di vendette e rancori personali.

Il Direttore Generale, gerarca del fascio, rimase a casa alcuni giorni, ma fu presto richiamato per essere stato persona sempre retta e onesta e aver sempre contemperato il proprio dovere con le esigenze degli altri.

Comunque, aveva un’aria abbattuta.

Confidò a Luca, che era andato a confermargli la propria stima, che meditava di ritirarsi, se possibile in pensione.

Si tirò avanti, alla meno peggio, fin quando fu annunciato l’armistizio.

8 settembre 1943.

La famiglia reale e parte del governò fuggì da Roma, dopo superficiali e irrealizzabili direttive.

Lucio cominciava a sorridere.

Lucia, forte del convincimento che durante l’allattamento non avrebbe concepito, era più affettuosa che mai.

Il suo personalino era immediatamente tornato alle misure antecedenti alla maternità. Solo le belle tette erano più turgide che mai, felici del lungo ingordo succhio del figlio, ed ancor più delle lunghe tenere carezze del padre, che precedevano sempre altre e più gradite attenzioni.

Come prima: sempre, dovunque. Dappertutto, senza respiro.

A Manro sembrava che dopo l’esperienza del parto, la vagina avesse acquistato maggior sensibilità e vigore. Era incantevole sentirsi ardentemente mungere. L’alternanza delle posizioni, le sempre nuove fantasie di Lucia, lo esaltavano. E facevano voluttuosamente godere lei.

Non era trascorso molto tempo, dall’8 settembre, quando un colonnello tedesco si presentò al Ministero, con altri ufficiali e insediò a capo della Direzione Generale, una persona di loro fiducia Per fortuna si dimostrò serio ed equilibrato.

Anche Luca fu convocato. Era un ufficiale in servizio, anche se di complemento, anche se in borghese. Gli sottoposero un documento, un specie di atto di fedeltà. I suoi amici del gruppo liberale gli avevano detto di firmarlo, per rimanere nell’organizzazione ad arginare eventuali eccessi.

Dopo la firma gli consegnarono un aussweiss, lasciapassare da esibire in caso di controllo nazi-fascista. E gli assegnarono anche delle carte annonarie privilegiate.

Vita triste, con futuro incerto.

Per fortuna Lucio diveniva sempre più grande e più bello.

E Lucia lo coccolava, gli faceva dimenticare ogni preoccupazione.

Era felice di accoglierlo nella sua calda theca deliciarum. Ogni tanto tirava fuori espressioni latine. Gli ripeteva che lo bramava, cupio te et caudam tuam, concupisco te e’la tua coda! Mellitus cunni liba, assaggia il miele della vagina. Semen tuum effundi in me, spandi in me il tuo seme’ Ego te cupio’ cupio’cupio.

E, gemendo, s’abbandonava a irrefrenabili orgasmi.

Manro non finiva mai di contemplarla.

‘Resta così, nuda’ cammina’ va allo specchio’ voltati’ torna verso me’ così’ girati ancora’ chinati’ di più’ di più”

E lei già sapeva che era il momento che l’avrebbe penetrata con suo grosso e delizioso arnese, ghermendole le tette, incantevolmente tormentandole il clitoride.

Poi era lei a prendere le redini.

‘Giù, bello’ giù tu’ non lui.. sul letto”

E si faceva impalare con sempre rinnova voluttà.

Poi si voltava e si rifugiava tra le sue braccia, con il bellissimo culetto sulle ginocchia di lui e il fallo stretto tra le natiche.

Tanto tuonò che piovve’

Tanto sentì stimolare il suo buchetto dal prepotente fallo ancora intriso del seme che aveva sparso in lei, che fu tentata, di soddisfare quel tipo di avance fino ad allora dolcemente evitata. Si spinse verso lui, sentì che era entrata la punta del glande e che il suo sfintere andava lentamente rilassandosi. Ora la stava dilatando a dismisura, provava un certo doloretto che, però, andava attenuandosi rapidamente, a mano a mano che si sentiva invadere da quello stantuffo infuocato.

Quanto era lungo, però, e grosso. Non finiva mai. Già, lì non c’era nulla che lo fermava. Sentiva i testicoli battere sul perineo. Intanto, anche la vagina aveva cominciato a palpitare, sempre più, stimolata dalle splendide dita di lui che la penetravano, titillavano il clitoride. Incredibile, stava godendo. Eccome! Ecco, stava venendo’ si’ veniva.. il suo solito gemito era più intenso che mai, roco. Chi lo avrebbe mai detto che le sarebbe piaciuto anche così. Era una raffinatezza. Qualcosa di nuovo. E sentì la violenta scarica di lui che l’infuocava ancor più. Rimase a lungo in lei, senza alcuna riduzione delle dimensioni, il suo piccolo delizioso sfintere fungeva da cockring, il tipico anello cinese che si poneva in fondo al fallo per impedire il deflusso del sangue e prolungarne l’erezione.

Era stato bello, ed era certo che adesso Manro avrebbe soddisfatto anche la sua topina che reclamava la sua parte.

Quell’esperimento non doveva restare isolato, pensava Lucia mentre Luca la cavalcava magistralmente. Anche perché, bisbigliavano molti, farlo in quel modo’ portava fortuna.

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Forse fu solo una coincidenza, ma il giorno dopo, per strane vie di comunicazione, Luca venne a sapere che la Croce Rossa Internazionale aveva informato il comando italiano di essere in possesso del piastrino del sergente Gavino Ruma, il cui cadavere, ripescato da una unità navale inglese, era stato tumulato nel cimitero militare di Malta.

Il piastrino, unitamente a pochi effetti personali, sarebbe stato recapito alla famiglia non appena possibile.

Anche il problema di Lucio era risolto.

Sarebbe stato un Sanna.

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