‘Benvenuta tra noi signorina.’ Esordì il direttore con un ghigno a trentadue denti cercando di spegnere frettolosamente la sigaretta nel posacenere bianco con le iniziali della banca. ‘Spero che questa grande azienda sia per lei come una seconda famiglia.’ Incespicò la lingua sudata su ‘famiglia’, infilando furtivamente gli occhi a palla di bue sotto la mia gonna corta del tailleur rosso comprato apposta per l’occasione.
Si sforzò di assumere immediatamente un’aria più professionale, ma le mani sudate dalle dita corte e grasse lasciarono impronte indelebili sul vetro della scrivania. Pensai che non avrei mai potuto avere alcun timore reverenziale verso chi, nonostante il grado, si comportava da piccolo impiegatuccio con mansioni da ragioniere. Ma a quel tempo non potevo certo sapere che la vista di un paio di gambe livellava tutti gli uomini e senza differenza di grado iniziavano quel lavorio di occhi e posizione del corpo per racimolare qualche centimetro di pelle oltre l’orlo della gonna. Nonostante l’imbarazzo lo lasciai fare, cercando una posizione più comoda sulla poltroncina di stoffa a scacchi grigi e neri””’
Così era iniziata e così sarebbe finita se la mia voglia di carriera e quel desiderio irrefrenabile di arrivare chissà dove, non m’avesse costretta nel tempo ad accettare situazioni che andavano oltre un lecito e un regolare percorso professionale.
Solo dopo qualche giorno capii che ero stata convocata dal Direttore massimo, e salita fino al settimo piano nella stanza dove è consentito accedere soltanto ad una stretta cerchia di collaboratori.
Ma evidentemente non me ne rendevo conto, visto che solo qualche settimana dopo non mi destò alcun effetto tornare fin lassù.
‘Venga signorina Eva.’ Disse con voce strisciante, palesando, alla mia vista, una sottile soddisfazione.
‘Mi congratulo con lei, signorina.’ Fatturò un cappello di adulazioni cucendo ghirigori di complimenti. ‘Sa, mi sono arrivate ottime notizie nei suoi confronti.’ Disse allungando la mano tozza e grassoccia verso un vassoio colmo di caramelle alla menta.
‘Prenda, prenda pure non faccia complimenti.’
‘No grazie.’ Declinai netta senza alcuna possibilità di replica.
‘Si rilassi. In fin dei conti, mica l’ho chiamata per farle degli appunti!’ Tentò ancora con aria pseudo familiare.
‘Ho solo un leggero mal di testa.’ Cercai di rimediare aggiustando il mio precedente ghigno di schifo.
‘I miei collaboratori mi hanno parlato a lungo di lei. La sua capo ufficio ne è addirittura entusiasta che definirei, vista la vostra amicizia, ai limiti di un naturale sospetto.’
Rise compiaciuto per la battuta aspettando senza successo un sorrisino di sintonia.
Continuò per altri cinque minuti buoni su questa falsariga finché, visto il mio riserbo, passò al dunque.
Contornandolo di altre lusinghe sfacciatamente allettanti mi fece digerire un trasferimento temporaneo ad un altro ufficio in sostituzione di una collega in maternità.
‘La scelta non poteva non cadere su di lei.’ Disse serrando le tapparelle alle sue spalle. ‘Forse lei non si rende conto, ma le stiamo offrendo un’opportunità da non lasciarsi scappare. Quante altre sue colleghe in questo momento vorrebbero essere al suo posto! Sono sicuro che in questo preciso momento si stanno domandando il motivo di questa convocazione.’
‘Signorina Eva.’ Riprese con tono complice. ‘Lei è ancora nuova dell’ambiente e non può immaginare quanta bile fa secernere dai loro fegati! Scommetto che la maggior parte delle sue colleghe è fuori da quella porta in attesa di notizie di prima mano. Vedrà quante invidie si porterà appresso!’
Nella penombra della stanza cercai qualche parola di compiacenza, ma non venne. Del resto non avevo niente da dire né sulle nuove mansioni e né sulle colleghe invidiose, delle quali avevo fatto a meno sin dal primo giorno.
Senza aspettare risposta passò subito ad altro facendo mostra di non accorgersi della mia faccia gelida e senza espressione.
‘Cara signorina.’ Disse emettendo un grosso respiro farcito di menta e residui di frittata con le cipolle della sera precedente. ‘Niente da dire sulla mia povera moglie, ma penso che si soffre più la solitudine nel matrimonio che quando si è soli.’
Soddisfatto del concetto filosofico prese coraggio facendomi qualche domanda extra-lavorativa.
S’informò su cosa ne pensassi della città, sulla simpatia dei veronesi, su come passavo le ore dopo il lavoro e se in qualche modo mi ero già inserita nella trama dei divertimenti, salotti e discoteche del dopo cena.
Lo squillo del telefono mi tolse dall’impaccio. Sentivo il mio cuore battere. Pensai: ‘Ecco lì, ci siamo.’ Mentre parlava col suo interlocutore infilò sfacciatamente gli occhi a palla nell’incurvatura tra il secondo e terzo bottone della mia camicetta di seta beige.
Quella mattina portavo i pantaloni!
Durante l’intera telefonata tornò più volte ad incollare gli occhi sul ricamino della camicetta proprio all’altezza del seno con la speranza di intravedere in trasparenza almeno il colore del reggiseno. Tentò ancora qualche approccio lodando di nuovo la mia intelligenza e mettendo in cattiva luce la quasi totalità dei miei colleghi maschi, visto che sulle colleghe donne ci era andato giù pesante poco prima. Mi risparmiò, ma forse solo per l’emozione, una circumnavigazione verbale del tipo ‘se sarà carina con me…’, ma mentre uscivo da quella stanza mi bloccò di nuovo.
‘Signorina Eva!’ Cercò di prendere tempo, vincendo la palpitazione del suo cuore ormai fuori giri. ‘Stavo pensando che lei è proprio il tipo che fa al caso nostro. Se non le dispiace prenderò in considerazione un eventuale trasferimento definitivo all’ufficio del personale.’
Era arrivato al dunque, mi voleva praticamente come segretaria e nel gergo bancario era il segnale inconfondibile del primo attacco.
Per il secondo dovetti aspettare solo qualche ora. Fingendo un incontro casuale me lo ritrovai sotto il portone all’ora di uscita: ‘Io vado verso la stazione degli autobus, lei?’ Sapeva che abitavo da quella parte. ‘Potremmo fare quattro passi insieme?’ Accettai sapendo di sbagliare. La mattina dopo mi trovai un mazzo di rose gialle senza biglietto sulla mia scrivania e così per giorni e giorni intervallate da una serie di telefonate per i più disparati motivi.
E la mia mente perfida cominciò a lavorare sotto sotto con soddisfazione. Essere così vicino al sole avrebbe portato enormi vantaggi, non ultimo ferie e permessi per tornare più spesso nella mia Roma. E da perfetta segretaria cominciai a dare un tocco più appariscente alla mia faccia, dimenticando ogni volta di mettermi la maglietta sotto le mie camicette trasparenti o di chiudere l’ultimo bottone.
Fino a che una mattina presto, tra un’istruttoria di fido e un cliente da ricevere, me lo ritrovai in piedi nella mia stanza: ‘Eva, mi sono innamorato di te!’ Rimasi impietrita, più per il tu che per altro. Non sapevo cosa fare, prendere in mano la penna o premere i tasti del computer. Cercai di non guardarlo negli occhi, era lì che aspettava qualche mia reazione con la sua camicia celeste imbottita di grasso e bagnata di sudore sotto le ascelle. ‘Ma direttore cosa dice?’ ‘Eva non dormo da una settimana, passo le notti a pensarti, a trovare il modo di come dirtelo senza essere troppo ridicolo.’ Un cliente che reclamava ad alta voce mi tolse dall’imbarazzo, presi un permesso e andai a casa. Non sapevo proprio come uscire da quella situazione. Brutto grasso con oltre 20 anni più di me e le orecchie piene di peli, non avrei mai potuto accettare la corte da quell’essere viscido e grondante di sudore. Ma era un uomo importante e mio malgrado cominciava a salire la mia ambizione. I miei pensieri di repulsione intervallati da dubbi s’interruppero allo squillo del telefono. ‘Eva sono ancora in attesa di una risposta!’ Sentivo rumori di strada, mi aveva seguita ed ora era in attesa sotto il mio portone. Lo feci salire.
‘Direttore, non mi sembra il caso.’ Lo accolsi ancora vestita da ufficio. ‘Scusami, ti giuro che è la prima volta, mai finora mi era capitato di fare simile sbadataggini, perché mai sono stato attratto in questo modo da una donna. Scusami ancora.’ Imbarazzata più di prima lo invitai a restare almeno il tempo di riprendersi. ‘Si segga le offro qualcosa.’ Dissi avvertendo nella mia mente un velato dispiacere. Mi descrisse ancora una volta la sua squallida vita da vedovo, senza una meta senza un fine al di fuori dei suoi innesti, della casa e del lavoro. Pianse lacrime vere che si mescolarono al sudore e quella vocina sempre più flebile ed effeminata che non si addiceva alla sua sagoma. E mentre parlava saliva dentro me una voglia di riscatto contro questi uomini che riescono ad essere potenti e spietati solo quando il potere glielo consente, ma che al di fuori del loro ruolo non riuscirebbero a dominare neanche un pesce rosso o un canarino in gabbia. Mi accomodai accanto sul divano accavallando le gambe, la trama lucente delle mie calze nere contrastava con la sua pelle bianco latte. Vidi brillare i suoi occhi di grasso quando gli proposi un the o qualcosa di simile. Mi sentivo in quel momento ossigeno per il suo naso, luce per i suoi occhi, sapore per il suo palato, mi intravidi negli interstizi della cucina anodizzata, ero bella ed attraente, tanto da far cadere ai miei piedi quell’uomo così importante. A quel punto mi scrollai di dosso freni e premure, tornai in salotto convinta che i dettagli non avevano senso quando si è alla ricerca della propria soddisfazione. Non ci volle poi molto, bastò un atteggiamento un po’ più comprensivo per rinvigorire la speranza e scatenargli pensieri di passione proibita. Mi prese la mano baciandola avidamente con le sue labbra umide. ‘Eva non mi dire, non ci posso credere. Sono settimane che penso solo a questo momento’ Mi fissò con i suoi occhi a palla. ‘Sei bellissima! Mi prese la testa nelle sue mani e si avvicinò con la bocca. Un rigurgito improvviso mi si annodò alla gola. Mi lasciai baciare, dapprima sulle labbra, e poi attraverso un’impercettibile fessura che la sua lingua grassa e gocciolante aveva scavato nella mia bocca. Trovata l’entrata non si fece pregare, s’insinuò all’istante premendo sui miei denti ancora serrati. Invece di sfuggirgli risposi ai suoi fibrillanti richiami. La mia lingua impattò con la sua, rasposa da gatto, ed un sapore amaro m’invase accapponandomi la pelle del palato. Stavo perdendo le forze, ma oramai il peggio era passato, ero stata più coraggiosa di quanto potessi pensare. Ora tutto il resto a venire poteva scorrere liscio, difatti dopo neanche un secondo sentii la sua mano intrufolarsi nella mia camicetta e stringere il capezzolo come può stringerlo un bambino. M’alzai di scatto. ‘Ma direttore, non credo che sia il caso.’ ‘Eva, ma io veramente credevo.’ ‘Lei non credeva un bel nulla, mi sta violentando senza il mio consenso!’ Cercai un’aria decisa e disinvolta, ma non del tutto ferma. ‘Ma la tua lingua, la tua bocca.’ Mi vide arrabbiata ed ebbe timore che il tutto finisse in quel modo. ‘Eva, io posso darti quello che vuoi.’ Mi colse impreparata come quando si vincono miliardi e miliardi ad una lotteria o come un bambino in un ipermercato di giocattoli non in grado di scegliere. Notò quel mio momento di smarrimento e si rifece sotto. Appoggiata al tavolo, la gonna salì oltre il bordo della mia autoreggente superando il limite di un formale rapporto tra direttore ed impiegata che fino allora l’aveva reso innocuo. Cadde in ginocchio e mi pregò come una madonna, sgranando rosari di brama e di desideri universali, tentando, tra il pianto e la commozione, di infilare furtivamente la sua faccia tonda tra le mie cosce. Lo lasciai fare poggiandogli una mano sulla testa pelata e cercando di spettinargli almeno i pensieri che avvertivo non ancora del tutto in disordine. Sentii il suo naso premere sui peli del mio sesso finché centrata la passione iniziò ad annusare la mia parte umida che cominciava ad ascoltare in lontananza le sirene ammaliatrici, ma flebili del potere. Lo lasciai fare per minuti e minuti finché si accorse che in quel tragitto di piacere non aveva incontrato alcun ostacolo. ‘Eva, ma tu non porti le mutande!’ Avrei potuto rispondergli che tornata a casa avevo avuto solo il tempo di togliermele, ma ormai presa dal gioco replicai: ‘Direttore, non le portavo neanche il giorno del nostro primo colloquio.’ Fu la classica goccia e dopo neanche un secondo mi ritrovai le sue mani piene di peli per tutto il corpo, giurandomi amore, palazzi e carriera. ‘Ma se vuole le vado a mettere, anzi ne potrei scegliere qualcuna di suo gradimento.’ Avvertii inconfondibile la stonatura della domanda nei confronti di quell’essere oramai ai miei piedi. Ma a quel punto il mio Direttore era partito, si tolse in meno di un attimo camicia, pantaloni, canottiera e mutande. Mi voltai di scatto, non avrei mai potuto reggere ad una visione del genere senza avvertire schifo per me e vergogna per lui. Non ressi. ‘Si rivesta per favore.’ ‘Ma Eva?’ Una palla di grasso bianchiccia coperta di peli mi si avvicinò con aria supplichevole. Il suo sesso si perdeva tra i rotoli di grasso. Corsi in bagno e vomitai occhi, ripugnanza e disgusto per essermi spinta troppo in fondo. Mi ripetevo che non era possibile abbassarsi oltre il limite della decenza. Bussava alla porta ed io, chiusa lì dentro, con la faccia rivolta verso il water, scaricavo gli ultimi residui di ribrezzo. Ma non avevo ancora preso una decisione, la mia ambizione correva parallela alla nausea e cercava indisturbata un lievito per continuare a crescere. Alla fine ebbe la meglio, aiutata dal mio stomaco che oramai vuoto non avrebbe potuto rifiutare altro, mi rifeci la linea delle labbra, allacciai la camicetta fino all’ultimo bottone e aprii la porta. ‘Come stai, Eva?’ Era ancora nudo e simile ad un ippopotamo inconsapevole della sua bruttezza mi accarezzò i capelli. ‘Niente, un piccolo malore, ma è tutto passato.’ Le sue carezze si trasformarono in una spinta verso il basso. Mi lasciai guidare fino ad inginocchiarmi ai suoi piedi che seduto sulla vasca non aspettava altro. ‘Ora fai la bravina, vero?’ La sua voce era tornata professionale e maschile. Avvertii un odore intenso di sudore e vecchiaia. Strinse il suo cazzo tra le mani e lo avvicinò alle mie labbra ancora serrate. Un ultimo sussulto di ragione mi fece indietreggiare. ‘Dai non ti far pregare, sono sicuro che non è il primo, vero?’ Cercai con tutte le mie forze di tenere gli occhi aperti. ‘Chissà quanti cazzi avrai già ospitato tra queste labbra così delicate.’ E così dicendo aprì la mia bocca con leggeri movimenti del pene oramai tinto di rossetto. Non mi feci pregare. Abbracciai il suo corpo nudo e spalancai di scatto la bocca, un essere di carne molliccia e senza muscolo invase il mio cervello. Tentai di ravvivarlo usando tutte le tecniche di mia conoscenza, ma invano. ‘Eva, andrai anche in giro senza mutande, ma ad esperienza lasci a desiderare!’ Cercò di provocarmi insinuando di nuovo sesso e sensi di colpa. ‘Direttore, ma forse lei preferisce dell’altro?’ Con la bocca piena, a malapena scandii le ultime parole. ‘No Eva, a me piace vederti in ginocchio davanti a me che annusi gli odori del mio uccello e ti riempi la bocca di sesso e di disgusto, lo stesso identico schifo che prima ti ha fatto vomitare!’ Ora si stava eccitando. Premette più forte e lo sentii rimbalzare sul palato. ‘Vedi, non a caso ho annusato la tua fica per farti assaporare il potere e non a caso mi sono spogliato per farti salire la nausea fino alla gola. Ora sei qui, eccitata, con la faccia tra le mie gambe e stai cercando in tutti i modi di appagare chi prima ti ha fatto ribrezzo, e totalmente asservita a colui che non hai saputo comandare. Tutto secondo regola per ritrovarti ora in questa posizione sottomessa a me, allo schifo ed al potere che tanto hai accarezzato.’ Aveva ragione il mio padrone e mancato schiavo. Ora mi stavo eccitando veramente. ‘Cara Eva, non sei la prima ragazza che mi capita sai? Conosco ogni vostra mossa e ogni vostra debolezza e so anche che tra qualche secondo mi chiederai di scoparti. Ma potrei andare oltre, se solo lo volessi, potrei infilartelo nel culo, che da come ti muovi, mi sembra ancora vergine.’ Ed era in effetti così. Non potevo replicare perché niente avrei potuto dire e perché quel cazzo oramai alle stelle mi arrivava fino in gola. E avidamente lo stringevo tra le labbra fino a strozzarmi. Ma non volevo finire in quel modo. Per un attimo mi liberai. Lo vidi era immenso. ‘Direttore, per l’amor del cielo non sia egoista!’ Rise scostando la mia bocca. ‘Ora voglio sapere da te cosa chiedi in cambio, anche se la domanda è retorica visto che già so cosa mi domanderai.’ Aveva ragione, non chiedevo ferie o permessi ma solo di essere posseduta, lo volevo dritto e perfetto dentro la mia fica che colava piacere. ‘No Eva ti stai sbagliando ancora! Non puoi volere solo questo, non puoi scadere in una simile banalità.’ Era purtroppo ancora vero, oltre la coltre della mia superficialità mi proponevo con tutte le mie forze di soddisfare il potere, perché solo così avrei soddisfatto me stessa. Chiedevo a lui di continuare a fare il padrone e di non recedere di fronte alle mie stupide pretese di animale senza cervello; chiedevo insomma di rimanere in quella posizione genuflessa al suo potere ed essere riempita di sesso oltre una banale penetrazione. ‘Ora dai, fai la brava, continua.’ M’imbottii la bocca di cazzo più avida di prima, e ad ogni boccata d’aria sentivo il mio desiderio sgocciolare, le mie pareti toccarsi, la mia voglia consumarsi fino all’apice. Per nulla al mondo avrei dato in cambio quel momento, nessuna penetrazione al mondo l’avrei barattata per quella umiliazione dove solo apparentemente io lo accontentavo senza essere corrisposta. Stava entrando nel mio cervello ed io mischiando saliva e pensieri sentivo la mia voglia tracimare. Ero ormai completamente in balia dei suoi voleri, appiattita su quel sesso che non dava cenni di debolezza, e non chiedevo altro se non a me stessa l’energia necessaria per mantenere il suo ritmo sforzandomi di essere perfetta e all’altezza del compito. E facendo leva su ricordi ed esperienze passate, mi chiedevo solo di non sbagliare. Lo succhiavo, lo leccavo, lo bagnavo, per poi strofinarmelo sulla guancia, gli occhi, ed annusarlo come un fiore profumato. Aveva ragione ad ognuno il proprio ruolo. Per un attimo avevo avuto il potere in mano, ma lo schifo mi aveva impedito di esercitarlo sino in fondo. Invece ora mi ritrovavo a subirlo e appagata nella mia dignità speravo che non finisse mai, che non ci fosse limite alla decenza, alla carne e al tempo. Cercavo di spingermi fino alla lunghezza massima della mia bocca rendendomi purtroppo conto che non sarei mai riuscita ad arrivare alla radice del suo corpo, mentre lui accompagnava con le mani il movimento frenetico e veloce della mia testa. ‘Direttore, la prego, non si stanchi, mi dia modo di far valere le mie capacità, di cazzi ne ho presi abbastanza e vedrà che non la deludo.’ Cercavo di comunicargli con lo sguardo tutta la mia riconoscenza. Di colpo si fermò senza arrivare al piacere. ‘Dai bambina ora basta, è tardi devo andare. Sai che non sei la sola ed oggi non sei stata la prima.’ Mi prese il viso arrossato tra le sue mani. ‘Ma perché! E’ così ancora bello ed altezzoso? Ci eravamo quasi riusciti! La prego venga dentro di me, mi schizzi d’orgasmo dove le fa più piacere!’ Delusa appoggiai il mento sulla sua coscia pelosa. ‘Non te la prendere Eva, vedrai che col tempo riusciremo ad acquistare una certa sintonia. Tu sei brava, ti dai da fare, ma pecchi in sentimento. Insomma ti devi abbandonare completamente a lui ed amarlo con tutta te stessa. Per esempio ho notato che ti muovevi di bocca e di testa, ma il corpo rimaneva fermo. Questo significa che stare lì una buona mezz’ora, come hai fatto tu, non serve a niente se non c’è ardore, voglia smisurata di soddisfarlo.’ Ci alzammo in piedi e tornammo in salotto. Completamente nudo e con il suo sesso ancora voglioso mi chiese di rivestirlo. Era bello il mio direttore, mai nessun uomo mi aveva fatto sentire così in difetto e sempre a ricorrere per recuperare. Mi buttai di nuovo su di lui baciandogli morbosamente il viso, il naso, le orecchie, e poi di nuovo lungo la schiena lasciandogli una striscia di saliva tutt’intorno fino a ritrovarmi di nuovo con la mia bocca tumefatta sul suo cazzo ancora maestoso. Avrei fatto sera e continuato per tutta la notte fino a sentirlo pulsare tra le labbra. E poi con liberazione avrei ingoiato il suo sperma ed io il mio benessere per essere riuscita a seguire i suoi consigli. ‘Eva, ora mi stai stancando.’ Mi diede una spinta e precipitai sul tavolo. Le mie cosce s’allargarono per l’impatto. ‘Ma Direttore le mie autoreggenti’..’ Non si curò nemmeno di rispondermi. In preda agli istinti che fanno di una donna un animale tolsi la gonna ed il reggiseno e andai verso la finestra. Mi misi a carponi e spalancai con le mani il mio didietro. ‘Guardi Direttore, non le fa voglia di prendermi come una cagna? Chissà quanti uomini qui sotto in questo momento vorrebbero. Ecco quello lì, chissà cosa darebbe per mettere in caldo il suo sesso affamato, per mettermelo in culo e farmi gridare!’ Si stava annodando la cravatta. ‘Chiamalo Eva, fallo venire su, prendilo in culo, fai un confronto e domani mi racconti.’ Oramai senza speranza gli andai di nuovo vicino strisciando, strinsi con i denti i lacci delle scarpe. ‘Direttore, non vada via la prego. Rimanga con me ancora per un’ora. Prima forse ero troppo emozionata. L’assicuro che non rimarrà deluso né dalla mia bocca e tanto meno dal mio cervello.’ Sembrò convinto. Si rimise sul divano. ‘Allora Eva, tu hai tanto da imparare ed io non ho tempo. Non servirebbe a niente prenderlo ancora. Manca ancora la completa e totale dedizione, ma per il resto credo che tu mi abbia dato ampia dimostrazione di essere pronta ad adulare e soddisfare il potere. Ciò che invece ti manca totalmente è la capacità di esercitarlo e questa purtroppo è la cosa più difficile. Senza questo non potrai mai avere ambizioni di carriera.’ Mi accarezzò dolcemente. ‘Credimi non serve a niente riempirti di nuovo la bocca né a te e né tanto meno a me che di labbra aperte ne posso avere quante ne voglio. Hai presente la Martini, sposata con tre figli? Fa dei pompini da paura. La signora Carla che si concia da puttana e puntualmente alle nove di mattina mi pulisce la patta dei pantaloni sporcata dalla piccola e maldestra Stefania? La Vanessa che ogni giorno mi fa trovare le sue mutandine sporche di voglia del giorno prima nel secondo cassetto della mia scrivania? La signorina Vittoria che venendo a lavoro in ritardo non riesce mai ad essere la prima e pretende invano di vederlo gonfio di piacere? Ecco loro sono uguali a te, non c’è luogo o situazione o tempo che le inibisca ad aprire la bocca, a succhiarmelo per ore come fosse la prima volta. Vogliono gradi ed avanzamenti di carriera, ma non hanno ancora capito che non ci si può limitare a servire. Perché obbedire per tutta la vita non ti dà l’autorità di comandare, ma soltanto il suo preciso contrario. Ed anche tu mia cara, se pretendi di prendere cazzi in bocca per tutta la vita non sarai capace che a questo, rifiutando tutte le situazioni, come la nostra, prima, dove ti troverai dall’altra parte. Non ti eccita perché non stimoli il desiderio di potere. Perché non sei ancora pronta ad accettare un uomo che inginocchiato sulla tua fica annusi i tuoi odori intimi, carichi di sudori e gonfi di una giornata di fatica.’
Rimasi ammutolita. Non sapevo più cosa dire. Strinsi le gambe affondando i pugni sulla mia vergogna. Lentamente mi rivestii decisa a non lasciarmi scappare la prossima occasione.
Grazie Rebis
Bellissima storia, molto realistica
Pisellina… fantastico! Un buon mix di Femdom e umiliazione
Storia molto intrigante. Per favore, continua! :)
In tutte le volte in cui Maria ordina a Serena di spogliarsi, Serena rimane sempre anche a piedi nudi oppure…