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Racconti Erotici Etero

Il peggio che chiamano amore

By 17 Novembre 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

I lacci stringono i miei poveri polsi, mi tagliano il sangue se tento d’alzarmi. Ma poi perché dovrei tentare? Se io l’ho voluto e invocato per giorni? Essere qui distesa sul letto, vestita di sera con i capelli raccolti, col mio corpo in penombra che chiede che suda, perché poco prima qualcuno per bene, l’ha preparato con cura per questo martirio, per ampliare i miei sensi dai piedi ai capelli, senza finirlo del tutto e lasciarlo in sospeso.
Di là si sentono chiare le voci, di un uomo e una donna che parlano fitti, lei ride svampita e lui s’accalora, a dirle che mai ha vissuto una sera, e mille ti amo sarebbero niente, a spiegare l’ardore che sente e che vuole, nei baci che dà e quelli che tiene, nei bicchieri che sento tintinnare all’evento. E poi gridarle quasi sincero: ‘Cecilia sei un sogno, ma dove sei stata finora?’, in tutti questi anni che mi sentivo da solo, che cercavo quest’anima di carne e di pelle’, che ora la tocca e la tocca per bene, sopra il vestito che s’è fatto di carta, nel punto preciso dove sgorga il bisogno.

E lei smarrita non sa cosa dire, s’interroga muta sul divano che accoglie, il vapore d’un fiato che s’è fatto più denso, la voglia che sale come la gonna, che ad arte si spacca alla mano che copre, con quel vezzo di donna che ci sta sempre bene.
So come è vestita per filo e per segno, quanto è grande il suo seno che si mostra rigonfio, morbido agli occhi di chi vorrebbe baciarlo, sfiorarlo tra i pizzi tra l’effimero e il certo, sul ricamo che corre lungo l’abito nero. Perché per giorni con lui ci siamo promessi, quale era poi il modo per sentirmi gelosa, per provare fin dove riesco a inoltrarmi, nei meandri di cuore che si ribella e ribolle, fino a sentire nel ventre un rigurgito intenso, e convincermi tutta che nonostante i miei sforzi, mai e poi mai sarò amata davvero, se l’anima in fondo non suda e non vibra.

Conosco le scarpe col filo di oro, conosco le gambe civette e leziose, col laccetto sfrangiato che scende sul tacco, il piede 40 le mani di guanti, che sfiorano intatti la seta che fruscia, sulla onde di luce che filtra da fuori. So come sorride e come mette le labbra, che ha adagiato la giacca sopra la sedia, senza sapere che ad un passo soltanto, dietro la porta proprio davanti ai suoi occhi, c’è una donna che ora immagina in parte, la scena che adesso s’è fatta più calda. Perché lui galante le offre da bere, mi pare di vederlo come si scalda, fa sempre così quando ci prova per bene, quando sa che la meta è tra quel nylon nero, che s’arriccia e s’increspa e non finisce ai fianchi, ma lascia scoperto quel regalo che ora, non avrebbe alcun senso tenerlo coperto. Sento il suo cuore che batte e ribatte, la vedo ci siamo che ora s’arrende! Mancano solo le parole nutrite, da quella passione che cambia ogni senso, e mai e poi mai si faranno volgari, se bruciano insieme alla voglia che ora, si fa rantolo caldo tra gli sguardi che incontra.

Sarà che ogni tanto mi viene da dire, perché mai mi riduco nei cunicoli stretti, dove sento il bisogno di sentire l’amore, tra il cuore che brucia geloso e impotente, e sentirmi umiliata perché non conto poi niente, e se anche volessi sarebbe inutile andare, se anche volessi i miei polsi legati, mi ricordano stretti che non c’è nulla da fare. Sarà che ogni tanto mi viene da urlare, perché ci ripenso e non sono convinta, che quello che faccio fa bene all’amore, al nostro rapporto insaporito dal sogno, dal suo sesso voglioso che ora si inoltra, o aspetta secondi per essere certo, che quello che trova è un taglio già aperto, un nido d’uccelli lasciato da poco, un rifugio d’inverno dove trovi già il fuoco, di legna che arde e chiudi la porta.

Ridi Cecilia ridi per bene, lasciati andare perché finisca presto il tormento, ridi dai, seduta ti vedo che accavalli le gambe, che spalanchi i tuoi occhi e mordicchi le labbra, senza sapere che lui è il mio amante, ed io sono qui legata che aspetto, perché tu mi credi una donna felice, e mai e poi mai potresti pensare, che è un gioco pensato da mesi di voglie, ogni volta nel letto che facciamo l’amore, lui mi prende e mi dice di regalargli un sogno, fatto di seno di carne e d’incanto, d’una qualunque che s’offre per strada. Ma poi ci ripensa e nel gioco più fitto, mi chiede di te che t’ha vista una volta, e perché a trent’anni sei ancora da sola, e se in una sera cederesti all’amore. E poi giù parole che è un test una prova, per conoscerci a fondo per sapere chi siamo, e quanto vale l’amore che diamo e ci prende, quanto è denso un respiro che strozza la gola, sapendo che un’altra ha preso il mio posto, sapendo che questa è la mia amica migliore.

Ridi Cecilia ridi per bene, come quando l’altra sera per l’imbarazzo, mi hai chiesto gli anni e se era impegnato, ed io di rimando ti convincevo che era un ragazzo, a modo e piacente con tanta voglia d’affetto, sfortunato in amore ed ora da solo, aspettava da tempo d’incontrare una donna, ‘come te Cecilia’ ti ho ripetuto più volte, ‘come te Cecilia’ che sei bella di dentro, finché ti ho convinta a darmi il permesso, di dargli il tuo numero per un invito. Ora saprei dirti quante volte davvero, vi siete sentiti e ti ha chiamata di giorno, per filo e per segno cosa ti ha sospirato, perché io ero lì e gli suggerivo parole, per aprirsi la strada nelle tue difese infiacchite. L’ultima volta è stato di notte, quando hai ceduto e gli hai dato il consenso, sei stata tu a chiamarlo ed io non c’ero, ma lui poco dopo mi ha mandato un messaggio, con scritto ‘Urrà, ci siamo, che bello’, perché sai lui mi dice tutto davvero, come ora mi aspetto che mi dica i dettagli, e cosa è successo da mezz’ora a sta parte, che non vi sento parlare e m’immagino altro.

Immagino il caldo dei vostri respiri, vedo i suoi occhi ridotti a fessura, ed i tuoi Cecilia li conosco da tempo, da quando bambine giocavamo in cortile. Ricordo tua madre che ci chiamava per cena, quando contente giocavamo a campana, e poi il tuo cane che ci aspettava alla porta, il tuo primo diario la mia prima conquista. Oddio se sapessi quanto sono cambiata d’allora, quanto l’amore m’ha resa egoista, e quando ieri sul tardi t’ho rivista felice, nella tua stanza mi hai chiesto s’era lecito o meno. Mi hai chiesto consiglio come quando bambine, ci truccavamo per bene prima di andare alle feste, ma ieri gia sapevo come ti saresti vestita, perché io e lui avevamo deciso, ed io ti ho detto ‘So cosa gli piace, cosa l’attira di una donna elegante!’ E tu come una allieva accettavi i consigli, ti guardavi allo specchio e mi chiedevi ‘Sto bene?’. Ti ho fatta vestire di nero e mistero, perché non c’è altro colore nel tradimento, perché sapevo che anche le scarpe, le calze e nell’intimo tutto, non avresti optato per un colore diverso. Perdonami Cecilia, ma in quel momento non ho pensato per niente, che eri una cavia nelle mie mani, e che eravamo tutte e due in balia di un altro, che ora sta lì ed affonda le mani, nell’intimo nero e nel seno più bianco, che scopre che tocca perché ama il contrasto.

Perdonami Cecilia se non ho scelto un’altra, se sapevo che con te non avrei perso tempo, e ti ho offerta a lui su un piatto d’argento, per misurare se l’amo e quanto davvero, per misurare se m’ama e quanto di questo, è frutto del fatto che mai fino ad ora, ha conosciuto oltre me una donna nel letto. So che ora sta giocando coi tuoi seni, notando stupito che li hai più grandi, che mentre li succhia io sto zitta e tu ridi, e sorpreso s’interroga mentre affonda il suo naso, perché mai non distingue un odore diverso. Perdonalo Cecilia, lui non sa che nel momento di voglia, abbiamo tutte la stessa fragranza, che è voglia che nasce e trasuda la pelle, essenza di femmina pronta per l’uso. Perché io so che tu ora convinta, hai socchiuso le gambe per dargli un segnale, perché io t’ho istruita quando mi hai chiesto a che punto, se al primo incontro o al secondo o al terzo, e quando poi mai e come e quanto, se uno sguardo più intenso sarebbe bastato.

Sento il sudore lo sento che cola, tra i nodi stretti che non posso slacciare, oddio come vorrei adesso gridare, ma il bavaglio mi stringe e non esce che un filo, di fiato di rabbia di un inutile corpo, preso dai morsi che mi tranciano il ventre. Ecco ora sarà questo il momento! Non mi importa se tu sei inginocchiata davanti, sopporterei davvero qualsiasi bocca, che brava che esperta s’aprisse al piacere, d’un uomo che chiede d’un sesso che spinge. Non mi importa se ora ti sta guardando da dietro, se tu cammini e lui t’apprezza, se tra un attimo solo quei baci si fondono, in un unico fiato di passione e d’amore.

Sono allo stremo dentro un incubo folle, vorrei unire le mani e pregare davvero, perché non ti prenda almeno stasera, perché non succeda senza il mio consenso. Magari un’altra volta magari domani, perché già so che acconsentirò se lui vuole, perché già so che non potrei sopportare i suoi occhi, che languidi mi chiedono ancora una volta, perché m’ama e m’adora ed io ne sono convinta, perché dopo stasera lo amerò per sempre. Ma giuro e prego che non sia stasera, che per qualche motivo tu debba andare via di corsa, che ne so tua madre sta male, un ricovero urgente un incidente stradale. Ma non sento il tuo telefono che squilla, sento solo dei colpi diretti, dei tonfi grassi profondi contro un muro di stoffa, come fosse il divano o la sua poltrona imbottita, la sua preferita per farci l’amore. Oddio non può farmi questo! Eravamo rimasti che le sue mani leggere, quelle mani calde che ora bramo sul seno, si fossero fermate ad un centimetro esatto, da quando convinte di non avere barriere, perché m’ha giurato che il resto non conta, perché non era un’altra tana che andava cercando, ma solo il potere di sentirsi più maschio.

Ma i colpi ci sono e non posso ignorarli, sono quelli d’amore d’un secondo e poi un altro, e dopo un minuto una pausa breve, e poi che riprendono più intensi di prima. Li sento veloci non posso sbagliare, sono colpi di sesso secchi e più duri, d’un uomo che entra d’una donna che accetta, che prona e supina s’arriccia e s’incurva, per sentirsi l’alcova più ampia e capiente, come una villa sul mare arredata con gusto. Se avessi almeno le mani slegate! Almeno le dita per accompagnare quei colpi, potrei sentire cosa provi mentre lui si accanisce, nel punto preciso dove ora ti prende, e m’illudo che questa voragine dentro, possa esser colmata dai rumori che sento.

D’improvviso il silenzio.
Mi sveglio e non c’è nessun laccio, che mi lega le mani che mi stringe la bocca, nessuna corda all’altezza del cuore, nessun uomo che dorme tranquillo e la parte di fianco è fredda ed intatta. Mi alzo e sono tutta sudata, vado in cucina a bere un po’ d’acqua, in sala da pranzo non c’è traccia d’amore, di Cecilia che ride ed accavalla le gambe, della poltrona di fiori che sbatte sul muro. Rido, rido sollevata pensando, che anche stanotte era un sogno soltanto, ed ogni notte lo penso perché puntuale poi torna, compresa Cecilia che non vedo da tempo, compreso quell’uomo che somiglia perfetto, ad un altro che mi chiama soltanto a Natale.

Guardo di fuori e l’alba è già alta, scuoto la faccia e stringo le spalle, e non riesco a capire perché ogni volta, devo arrivare fino in fondo a quel sogno, fino a quel vortice di colpi e lamenti, fino ad attendere quando mi bacia la fronte, e mi dice ‘Amore, era solo uno scherzo’, mi lecca il sudore e piano mi slega, come se ogni volta per conquistarmi l’amore, debba andare più a fondo e sentirmi uno straccio, scavandomi dove il mio cuore resiste, affidandomi ad un uomo che mi fa male davvero, che mi protegge ed a suo modo mi ama, sottoponendomi a prove che in partenza rifiuto, come se ciò che offro non fosse mai abbastanza, come se valessi meno di nulla, e in confronto alle altre che sono femmine belle, devo superarmi ogni volta convinta, che dentro i miei occhi non ci vedono laghi, che sopra i capelli non si adagia la luce, e l’anima dentro non suda e non vibra.

Perché un uomo lo avevo e se ne è andato col vento, senza mai farmi accorgere cosa covava di dentro, se l’avessi saputo se l’avessi intuito, non mi sarei sentita come ora mi sento, che non ho fatto abbastanza che non ho fatto poi niente, per questo ci provo a legarmi nel letto, per questo lo sogno dentro un’altra che gode, per sentire lo strazio della carne e del cuore, finché la mia mente non s’avviluppa convinta, finché il mio cervello non recepisca il dolore, e s’abitui al peggio che chiamano amore.

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