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Racconti Erotici Etero

Io, puttana … tardiva

By 23 Dicembre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Se non avessi ascoltato quella conversazione in ufficio, tutto questo non sarebbe successo, o forse sarebbe accaduto lo stesso?
Le ricordo benissimo quelle frasi pronunciate da due colleghi.
Io sto tranquillamente passando lungo il corridoio, quando capto dei brandelli di conversazione che mi incuriosiscono.
Loro non mi possono vedere, perché stanno dietro l’angolo, probabilmente nel piccolo locale, dove si trovano i distributori di caffè e merendine.
Stanno parlando di donne ed io, che sono sempre stata curiosa, mi avvicino in silenzio, senza superare l’angolo, che svelerebbe la mia presenza.
è tardi, non deve essere rimasto più nessuno, almeno credono, e parlano a ruota libera ‘ di qualche collega donna, probabilmente.
Sono in disaccordo, uno sostiene che ‘può ancora andare bene’, l’altro dice di no.
Per cosa questa collega possa andare bene è evidente, lo capisco anche io che sono sempre stata una ragazza di buona famiglia, un po’ tontolona.
Ho anche intuito chi sono i due, certo non me lo sarei aspettato: due tranquilli padri di famiglia di mezza età, ma ho imparato presto che gli uomini, quando parlano dell’altro sesso tra di loro, sanno essere stupidamente volgari.
L’ammiratore si è messo a tessere le lodi di questa collega, che ha un gran bel culo, due gambe niente male, ma l’altro ribatte che ha poche tette.
I due si imbarcano in un’accesa discussione sulle dimensioni ottimali dei seni femminili.
Sembrano due ragazzini del ginnasio, puerili ed immaturi.
Ecco adesso faccio rumore, così capiscono che c’è qualcun altro oltre a loro, e la fanno finita, penso, ma non faccio nulla e resto in ascolto.
Poi il denigratore, mentre la discussione si fa più accesa, se ne esce con un ‘nun se può proprio guardà’, ed io faccio un salto.
Sì, ho fatto un salto perché ha aggiunto anche un nome, al soggetto inguardabile, e così realizzo che l’oggetto della loro conversazione ‘ sono proprio io.
Rimango completamente shoccata, e mentre loro, ignari della mia presenza, continuano a discutere, una rabbia sorda sale dentro di me.
Il loro disaccordo fa sì che i loro commenti su di me trascendano sempre più, l’ammiratore vorrebbe piantarmelo in quel culetto rotondo, dice lui, mentre l’altro ribatte che sono una vecchia befana inguardabile e completa il pensiero con una frase che non avevo mai sentito: ‘dietro liceo, davanti museo’, riferendosi evidentemente al mio fisico snello.
Io sono una donna alta, magra ma non ossuta, ho sempre avuto un bel corpo, diciamo che avrei potuto fare la modella, magari qualche anno fa, perché ormai sono tutte di una magrezza anoressica, da far paura, però non sono più giovanissima.
Insomma, quella sentenza atroce mi piomba addosso come una secchiata di acqua ghiacciata, scaricandomi sulle spalle tutti gli anni che finora non mi avevano minimamente pesato.
Sono scappata nel bagno delle donne e mi sono chiusa dentro.
La luce al neon sopra al lavandino, fredda e violenta, mette in risalto tutti i danni che il tempo può aver fatto sulla pelle del viso di una quasi cinquantenne come me.
In genere non mi trucco quando vado al lavoro, lo faccio solo se esco la sera, però vesto elegante ed originale ed ho sempre avuto l’impressione che gli sguardi che mi arrivano dall’altro sesso siano di apprezzamento.
Ma ora mille dubbi mi attanagliano.
Mi passo le dita lunghe, sottili e curate sulla pelle e poi mi sistemo i capelli dietro le orecchie.
Possibile che non avevo mai notato le rughe che costellano il dorso delle mie mani?
Ed i capelli? Il colore è quello mio, che ho sempre avuto, scuro, quasi nero, ora con qualche riflesso ramato, dovuto alla tinta, ma l’aspetto è quello di un cespuglio rinsecchito.
Vorrei piangere ma non mi escono le lacrime.
Quando esco dal bagno i due colleghi sono andati via e non saprò mai come sia finita la discussione, ma il giudizio atroce sul mio decadimento fisico mi pesa come un macigno.
Non mi resta che andare a casa, con l’autostima praticamente sotto i tacchi.
A casa ho messo su della musica per scaricarmi ma ci ho impiegato un bel po’ di tempo per calmarmi.
Poi, quando mi mi sono sentita più tranquilla, mi sono fatta una doccia e sono passata al trucco.
Ho controllato, è abbastanza pesante, da coprire bene le rughe ed i capelli, lavati e pettinati, sembrano meno stoppacciosi del solito.
Ha cominciato a frullarmi nella testa un pensiero strano, si tratta di quelle idee che a volte mi vengono, quando l’uno per cento della mia personalità, prende il sopravvento sul restante novantanove. Sono sempre stata una cosiddetta ragazza di buona famiglia, ma forse perché lo sono troppo, ho dei momenti di folle trasgressione.
Sì, da qualche parte, devo averlo, mi dico mentre inizio a frugare nell’armadio del corridoio, dove tengo i vestiti che non uso mai.
Avendo mantenuto la stessa taglia di quando ero giovanissima, mi posso permettere di non buttare nulla, così a volte, quando la moda si ripete ciclicamente, tiro fuori le vecchie cose.
è un mucchio di tempo che non la metto ‘ ma forse sto esagerando?
Allora si trattava di una festa di carnevale, forse adesso potrebbe essere troppo.
Ma no!
Eccola, l’ho trovata: è la mini più vertiginosa che abbia mai posseduto, di quelle che se non stai attenta a sederti, rischi di mostrare tutto, ma proprio tutto.
Ricordo anche che per l’occasione avevo comprato degli accessori adatti, continuo a frugare nelle scatole di plastica, finché non trovo quello che cerco.
Metto sul letto le cose, mano mano che le scelgo, così alla mini nera si aggiunge prima una camicetta rossa, poi una giacca di lino sempre nera, a seguire un soprabito bianco e, per ultime due bustine di plastica.
Apro la prima e ne tiro fuori il contenuto.
No, non farlo, stai veramente esagerando, mi dicono novantanove vocine, ma sono fioche fioche.
Fallo, fallo, grida forte l’altra vocina.
Il reggicalze è nero e sottilissimo. Lo studio qualche secondo per ricordare come va indossato, poi lo sistemo bene in vita e lascio i nastrini con in fondo le clip pendere lungo le mie gambe.
è la volta dello slip.
A questo punto tiro fuori le calze dall’altra bustina.
Ci passo una mano dentro e ne tendo il tessuto per vedere l’effetto. Non sono in genere il tipo da calze a rete, ma queste hanno una trama abbastanza sottile, da non risultare troppo volgari.
Le clip scattano una dopo l’altra, e ‘ voilà, il gioco è fatto.
La cosa più complicata è sistemare dritta la riga posteriore, ma alla fine, dopo diversi tentativi riesco nell’intento.
La gonna va un filino stretta, evidentemente, anche se di poco, negli anni devo essere ingrassata.
Mi guardo allo specchio: no, non va, si vede il segno delle mutandine sul sedere.
Non voglio rinunciare a quella gonna e, d’altra parte, la mia trasgressione, non arriva ad andarmene in giro con la cosina all’aria, così apro il cassetto della biancheria e tiro fuori l’unico tanga che possiedo.
Non l’ho mai amato, perché quel laccetto in mezzo alle chiappe mi rende nervosa, ma non vedo alternative, così ricomincio da capo: sgancio il reggicalze, tolgo le mutandine, metto il tanga e infine rimetto a posto le calze.
Perfetto, ora il segno non si vede più.
Finisco di vestirmi e chiudo bene il soprabito, perché non voglio mostrare ai vicini di casa, come sono vestita sotto. Trasgressiva sì, ma c’è un limite a tutto.
Come ultima cosa ho preso dalla scarpiera dell’ingresso le scarpe rosse con il tacco alto e sono uscita.
Sono andata al centro commerciale nuovo, quello che sta in periferia, perché avevo voglia di fare due passi in un posto illuminato ed affollato, ma lontano dal mio quartiere, volevo camminare in mezzo a gente che non conosco, e vedere l’effetto che fa, come recita una vecchia canzone.
Ad ogni uomo che incrocio mi chiedo se mi considera una bella donna oppure una befana inguardabile, no, non posso andare avanti così, sta diventando un’ossessione, allora mi fermo in uno dei bar all’interno del centro commerciale.
Si trova proprio nel punto più frequentato, vicino all’ingresso del supermercato, in una specie di piazzetta, da dove partono le scale mobili che collegano il piano principale con quello superiore. Mi sono seduta ad un tavolino ed ho ordinato una tazza di tè.
Me ne sto tranquillamente seduta, con le gambe accavallate, ad osservare il passaggio della gente.
Nel fare questo movimento, la gonna, già molto corta, è salita scoprendo la fine della calza ed un pezzo di giarrettiera con la relativa clip.
Dovrei rimettere giù la gamba e sistemare la gonna, ma non lo faccio.
Ce n’è di tutti i tipi, ma la maggior parte sono giovani.
Il posto è molto illuminato, perché proprio sopra di me, una grande cupola vetrata diffonde la luce del tardo pomeriggio, così decido di mettere gli occhiali da sole.
All’inizio l’ho fatto per coprire il viso: le donne non più giovani spesso ricorrono a questo stratagemma per nascondere le rughe.
Però torna utile anche per osservare gli altri senza essere notata.
Le mie gambe funzionano ancora, mi dico.
Sì, una sbirciatina, ma spesso più di una, la danno quasi tutti gli uomini che passano.
Una coppia di mezza età, lui basso e pelato e lei decisamente sovrappeso mi passano a pochi metri.
Stanno parlando ed il marito, distratto dalle mie gambe, si prende dalla consorte un bello strattone.
Per un soffio non gli ho riso in faccia mentre mi passavano davanti, poi l’ho visto.
Se ne sta appoggiato alla balaustra che cinge la grande apertura circolare che conduce ai parcheggi.
Chissà da quanto tempo sta lì.
è molto giovane, diciamo sui diciotto venti, tiene un cellulare in mano ma non sembra interessato al suo display, i suoi occhi puntano dritti in avanti, come se stesse osservando qualcosa di molto interessante.
Sta guardando me, o meglio le mie gambe?
Faccio la prova, approfittando del fatto che non può vedere dove sia puntato il mio sguardo, attraverso gli occhiali da sole, rimetto a posto la gamba accavallata e subito dopo riaccavallo l’altra, facendo in modo di far salire ancora di più la gonna.
Sì, stava proprio guardando le mie gambe, perché l’ho visto trasalire un attimo.
Non molla, è rimasto inchiodato lì, con gli occhi fissi su uno spettacolo che sembra non essere disposto a perdere, anzi, ora sembra quasi ostentare una certa sicurezza, come se avesse capito che io lo sto facendo apposta.
Arriva il cameriere con il conto e sono costretta a togliermi gli occhiali da sole, dopo essermi seduta come una ragazza di buona famiglia.
Quando mi alzo guardo nella direzione della balaustra, non c’è più, deve aver capito che lo spettacolo era finito e magari adesso starà guardando le gambe di qualche donna più giovane di me.
Ho girellato senza meta per il centro commerciale fino alla chiusura, senza più pensare al ragazzo, anche se un paio di volte mi è sembrato di intravederlo in mezzo alla folla.
Quando alla fine mi sono decisa a tornare a casa era parecchio tardi ed il parcheggi quasi vuoto.
Non mi sono mai piaciuti i parcheggi deserti ed il rumore dei tacchi alti e sottili mi sta mettendo un po’ di ansia, mentre cerco di ritrovare la macchina.
Sono stata una stupida, perché dovevo scendere giù nello stesso punto in cui ero salita, ora non è facile orientarsi, perché la conformazione del parcheggio è diversa rispetto al piano superiore, ma alla fine, dopo un po’ di giri, trovo la mia macchina.
Mi è comparso davanti mentre frugavo nella borsetta alla ricerca delle chiavi.
Io ho fatto un salto quando mi ha detto semplicemente ‘ciao’, non mi aspettavo di ritrovarmelo davanti, poi mi ha preso una mano, una stretta decisa, ma non violenta, e mi ha trascinata via.
Veramente non proprio trascinata, mi ha detto ‘vieni’, a bassa voce, ed io l’ho seguito facendomi tirare leggermente.
Lo guardo, è un bel ragazzo, alto e muscoloso, è anche molto giovane, forse non ha neanche diciotto anni ed io ‘ potrei essere sua madre.
Mi ha portata in una specie di anfratto, dietro uno di quei raccoglitori dei carrelli del supermercato, è un angolo defilato ed in penombra dove, probabilmente, non passa mai nessuno.
Ho realizzato la piega che stava prendendo la situazione quando mi ha spinta contro la parete.
Non è stata un’azione violenta, me c’è abbastanza energia da farmi capire le sue intenzioni e che, soprattutto, è determinato.
‘Ehi, aspetta’, riesco a dire solo queste parole, e lui già mi ha infilato le mani sotto la gonna.
Con mia grande sorpresa, mi rendo conto che non mi dispiace affatto.
Il tocco delle sue mani sulla pelle nuda delle cosce è piacevole, lo devo ammettere.
Lui mi tiene stretta a sé, sento il suo respiro affannoso contro il mio petto, mentre le mani continuano a toccarmi, spostandosi dietro.
Lo sento farfugliare qualcosa riguardo al mio culetto delizioso, e mi riviene in mente la conversazione dei due colleghi, mentre mi carezza le chiappe lasciate completamente scoperte dal tanga.
Non ho detto nulla quando, dopo avermi arrotolato la gonna fino alla vita, mi ha sganciato le clip del reggicalze una ad una.
Ho avuto solo un piccolo accenno di protesta quando mi ha infilato le dita sotto il triangolino di tessuto del tanga, ma non deve aver trovato credibili le mie rimostranze, perché ha continuato tranquillamente.
‘Vedi un po’ cosa puoi fare.’
Si è scostato da me e mi accorgo che ha i pantaloni aperti e le mutande abbassate.
Il suo arnese, è di dimensioni ragguardevoli, devo ammettere, ma non è completamente pronto.
Io sono rimasta basita, non me l’aspettavo proprio, e lui allora mi prende una mano e me lo fa impugnare.
Mi chiedo che cavolo ci faccio nel parcheggio del centro commerciale con un ragazzino che ha meno della metà dei miei anni, ma è questione di un attimo, perché il suo coso, a contatto con la mia mano, reagisce con una prontezza ammirevole.
Io allora lo stringo leggermente e prendo a muovere la mano in su ed in giù.
Dopo un po’ mi ferma.
‘Ce l’hai il preservativo?’
Io lo guardo con l’espressione un po’ ebete che ho quando qualcuno fa davanti a me un’allusione sessuale un po’ pesante e non rispondo.
‘Tranquilla, ce li ho i soldi per pagarti.’
Oddio, questo mi ha presa per una prostituta.
Le 99 vocine prendono coraggio e mi suggeriscono di andare via di corsa, ma è troppo tardi, ormai.
‘Va be’, provvedo io’, dice mentre tira fuori dalla tasca un profilattico.
Se lo infila con un gesto agile e veloce, come se passasse tutto il suo tempo a mettersi e togliersi preservativi, poi mi stringe le cosce nude con le mani e mi costringe ad allargare le gambe.
Il suo pene, grande e duro, ricoperto dallo strato sottile del profilattico è a pochi centimetri dal triangolino di stoffa nera del mio tanga, ultima barriera che dovrebbe proteggere la mia vagina, da una penetrazione ormai, temo, inevitabile.
Infila le dita sotto la stoffa e tira forte di lato, sento il laccetto posteriore del tanga incunearsi fastidiosamente in mezzo alle mie chiappe.
‘Aspetta ‘ non …’
Troppo tardi.
Rimane un attimo ad osservare il mio sesso completamente depilato, con le labbra umide e socchiuse, poi me lo ficca dentro di colpo.
Ho gridato, un po’ per la sorpresa, un po’ per il dolore della penetrazione improvvisa, ma lui, una volta dentro, ha cominciato subito a muoversi, senza neanche lasciarmi il tempo di ragionare.
E’ venuto quasi subito e devo dire che, nonostante la rapidità, non mi è dispiaciuto, poi in rapida sequenza, la ho tirato fuori, si è tolto il profilattico buttandolo per terra, si è asciugato il pene con un fazzolettino e si è richiuso i pantaloni.
In tutto ciò io sono rimasta immobile, a gambe larghe, con le calze calate fino alle ginocchia ed il tanga spostato completamente di lato, a guardarmi le impronte rosse lasciate dalle sue dita sulle mie cosce nude.
‘Venti vanno bene per una cosa veloce, vero?’
Non ha aspettato la mia risposta e mi ha messo in mano una banconota da 20 ‘ ed un foglietto di carta.
‘C’è il mio telefono, sabato ho casa libera e facciamo una festa, ci sarà da divertirsi e da guadagnare parecchio, chiamami se ti interessa.’
Se ne è andato aggiungendo, come complimento, che per essere una puttana un po’ anziana non sono messa troppo male.
Ho messo in tasca soldi e bigliettino, ho chiuso il soprabito e mi sono diretta verso la mia macchina.
Sono tornata a casa con la testa in subbuglio.
Hai fatto una cazzata enorme, ma pensa se passava qualcuno e ti beccavi una denuncia.
Ma non è passato nessuno.
Ti poteva fare del male.
Sono ancora tutta intera.
Non si va con gli sconosciuti, e se ti sei presa qualche malattia?
Si è messo il profilattico.
Ho continuato così per tutto il tragitto e mi sono calmata solo quando sono arrivata a casa e mi sono tolta i vestiti, per mettermi la tuta che uso per casa.
Solo quando stavo per andare a dormire mi sono ricordata della tasca del soprabito ed ho recuperato i 20 ‘ ed il bigliettino.
I tuoi primi venti euro guadagnati con la fica, che fai, li incornici?
Su, non essere volgare, e poi sono uguali agli altri, i soldi sono soldi.
Il biglietto, quello lo devi buttare, lui non sa come ti chiami, dove abiti, in una città grande come questa è molto improbabile che lo incontri di nuovo.
Insomma, mi basta buttare quel foglietto nella spazzatura per mettere la parola fine alla mia folle esperienza di questo pomeriggio.
Così ho messo i 20 euro nel portafogli e ‘ non ho buttato il bigliettino, l’ho semplicemente rimesso nella tasca del soprabito.
Nei giorni successivi ho cercato di non pensarci, ma la mente tornava sempre lì, a quel pomeriggio folle del centro commerciale, ripensavo alle sensazioni forti e contrastanti scaturite da quella strana esperienza: la paura che quel ragazzo potesse farmi del male, il piacere di essere guardata dagli uomini, la vergogna di mostrarmi nuda davanti ad uno sconosciuto, il piacere fisico di essere toccata ‘
Arrivata al pomeriggio del sabato, ho aperto l’armadio ed ho infilato la mano nella tasca del soprabito.
Sono rimasta a lungo a rigirarmi il foglietto tra le dita, lo voltavo e rivoltavo nervosamente, poi lo arrotolavo stretto e subito dopo lo srotolavo.
Alla fine ho fatto quella telefonata.
‘Sì, pronto?’
‘Sono …’, mi rendo conto che l’altra volta non abbiamo fatto le presentazioni. Cerco di trovare una frase adatta, mentre passano i secondi. Quella che si è fatta scopare nel parcheggio non mi sembra elegante, provo a pensare ancora.
‘Pronto? …’
‘Sono ‘ il centro commerciale ”
‘Ah, certo. La puttana con le giarrettiere’, prosegue lui spiccio e tranquillo.
Vorrei ribattere che non sono una puttana, non avevo certo bisogno dei suoi 20 euro, ma non me ne lascia il tempo.
‘Se hai chiamato vuol dire che sei interessata. Sono 200 euro, anche di più se sei brava. Ora ti do l’indirizzo.’
Ho preso carta e penna ed ho trascritto il suo indirizzo, l’appuntamento è per questa sera alle nove.
E subito mi prendono le paure.
Ha parlato di festa, quindi non si tratterà di andare solo con lui. è un gran bel ragazzo, passarci una notte intera a letto ripristinerebbe completamente la mia autostima ferita da quei due stronzi di colleghi, ma ci sarà anche altra gente.
Già, ma una festa a cui si invitano le puttane, anche se non ho esperienza in merito, dovrebbe definirsi orgia.
Ecco, mi immagino circondata da uomini che mi spogliano e poi iniziano a toccarmi e poi mi scopano uno dopo l’altro e mi prende il panico.
Posso telefonargli di nuovo e dirgli che non posso andarci.
Poi penso che ho fatto una fesseria: l’ho chiamato dal telefono di casa ed il numero è sull’elenco, ora sa chi sono e dove abito.
Il tempo passa e non faccio nulla, basta, rimango a casa a guardare la televisione, se squilla il telefono, non rispondo.
Invece, verso le 8,30 vado a prepararmi.
La mini dell’altra volta la sostituisco con una gonna grigia leggermente più lunga ma anche più comoda, perché non voglio rimettermi il tanga.
Per le calze invece tutto invariato, visto che si aspetta la puttana con le giarrettiere, sopra sostituisco la camicetta con una maglietta rosa molto scollata e ci metto un bel reggiseno pushup per cercare di evidenziare le mie piccole tette.
Trucco bello pesante, le stesse scarpe rosse e lo stesso soprabito che avevo al centro commerciale e sono pronta.
Sono in ritardo, il posto è lontano e c’è traffico, ma per fortuna il navigatore mi aiuta, perché altrimenti avrei sbagliato strada dieci volte.
è in periferia, uno di quei quartieri cresciuti negli ultimi anni ed il palazzo ha l’aspetto pretenzioso e pacchiano delle case che scelgono gli arricchiti.
Ho parcheggiato lontano e mentre percorro i duecento metri che mi separano dal portone ho un ultimo ripensamento, ma poi rifletto che se sono arrivata fino qui sarebbe stupido rinunciare.
Rimango sorpresa quando la porta di casa si apre e mi trovo davanti una donna.
E’ una bionda sulla trentina ed indossa una canottiera semi trasparente senza reggiseno ed un paio di stivali bianchi che le arrivano a metà coscia.
Nient’altro.
Io rimango come imbambolata a fissare la fessura della sua vagina chiusa, allora lei mi tira dentro prendendomi per un braccio e richiude svelta la porta.
La seguo attraverso l’ampio salone, cammina ancheggiando vistosamente ed il suo posteriore, largo ed un po’ piatto segue, con una certa ostentazione, il movimento delle gambe.
Mi porta in una stanza e mi dice di spogliarmi.
Buttato su una poltrona c’è un giaccone bianco di piume, con il colletto di pelliccia di un colore rosa acceso, probabilmente è suo, e così mi tolgo il soprabito che va a fargli compagnia.
‘Io sono Anna …’
Io rimango un po’ indecisa, poi: ‘Eva, mi chiamo Eva.’
Naturalmente non è vero, le ho detto il primo nome che mi è passato per la testa.
‘Fatti vedere …’
Mi sembra di passare un esame.
‘Questa è meglio che la togli, già hai poca roba …’
Mi tolgo la maglietta e resto in reggiseno, lei mi fa voltare e sento le sue dita carezzarmi la schiena, poi mi slaccia il reggiseno e me lo toglie.
Rimango con le tette di fuori e Anna mi passa velocemente le dita sui capezzoli, poi si allontana di un passo.
‘Così va molto meglio.’
Si avvicina di nuovo e mi solleva la gonna.
Deve essere rimasta colpita dalle calze e dal reggicalze, è una donna e si deve essere resa conto che è roba costosa, non certo presa su una bancarella come i suoi vestiti.
‘Le mutande è meglio che le levi e le conservi per quando avremo finito.
Ma non ti sei portata un cambio?’
Io la guardo stupita e faccio segno di no con la testa.
‘Ma dove credi di stare? Pensi che sia una festicciola tra amici?’
Comincio a preoccuparmi, non dovevo andarci a questa maledetta festa e lei se ne è accorta.
‘Tu non sei del mestiere, a me non mi freghi. Qual’è il problema? Ti servono soldi per pagare l’affitto?’
Decido che questa è la risposta giusta, per evitare troppe spiegazioni e, piagnucolando, emetto un flebile sì.
‘Adesso ti rivesti e fili via di corsa, prima che arrivino gli altri. Me la spiccio io, non ti preoccupare.’
Mi ha convinta, così mi rimetto in fretta il soprabito e lei apre la porta della stanza i mi spinge velocemente verso la porta dell’appartamento.
Sono sgusciata fuori proprio mentre due persone uscivano dall’ascensore, non ne sono sicura ma uno dei due mi è sembrato proprio il tipo del centro commerciale, comunque non mi sono fermata a controllare ed ho preso velocemente le scale.
Ho dovuto rallentare quasi subito, perché i tacchi alti non sono molto indicati per scendere i gradini a due a due.
Solo dopo qualche rampa mi rendo conto di aver lasciato la borsetta nella casa.
Se il tizio che usciva dall’ascensore era lui, non posso certo tornare su a recuperarla e questo è un guaio, perché dentro ho tutto: cellulare, documenti, soldi, chiavi di casa e chiavi della macchina.
Per completare il disastro, sotto il soprabito sto con le tette di fuori, visto che Anna mi aveva fatto togliere maglietta e reggiseno.
Appena fuori dal portone il fresco che avverto in mezzo alle gambe, mi rammenta che ho lasciato su anche lo slip.
Non sono mai andata in giro senza mutandine, sono sempre stata una ragazza per bene, ora mi sento nuda e ogni persona che incrocio per strada ma da l’impressione che abbia intuito il mio segreto.
Mi fermo un attimo, provo a calmarmi, perché sono veramente agitata, e cerco di fare un piano.
A casa, sul pianerottolo, nascoste dentro un grande vaso, ho le chiavi di riserva, buona precauzione per una donna che vive sola, quindi non dovrò passare la notte su una panchina come i barboni, ma per il resto è un disastro: saranno almeno dieci chilometri, che non posso fare in macchina, perché le seconde chiavi ovviamente sono in casa, non posso prendere un autobus o un taxi perché non ho soldi.
Va bene, prendo l’autobus e non faccio il biglietto, certo, becco il controllore e quello mi dice: ‘signora devo farle la multa, favorisca i documenti.’
‘Non li ho con me.’
‘Mi dispiace ma devo portarla in commissariato per l’identificazione.’
Mi immagino il finale, con i poliziotti che mi fanno togliere il soprabito e ‘
L’unica è farla a piedi.
Ma sei matta? Dieci chilometri, di notte e con queste scarpe?
Intanto sto camminando, ho superato la mia auto parcheggiata, che non posso prendere e comincio a percorrere a ritroso la strada che mi ha fatto fare poco prima il navigatore, cercando di non sbagliare.
Cammino veloce, così mi scaldo, perché già ero vestita leggera prima, ora, senza il riparo della macchina e con l’aria che si sta facendo più fredda, se mi fermo comincio subito a rabbrividire.
I capezzoli mi strusciano sulla stoffa del soprabito e devo dire che è una sensazione piacevole.
Cammino abbastanza veloce e ogni tanto guardo l’orologio, ci vorrà un mucchio di tempo e devo sbrigarmi a completare la parte più periferica del percorso prima che si faccia troppo tardi.
Incrocio un tizio che guarda con insistenza le mie lunghe gambe che avanzano a passi veloci sul marciapiede, facendo aprire il soprabito.
Una volta che mi ha superata fa un commento volgare sul mio sedere, a voce alta, ed io accelero il passo.
In questa maniera lo strusciamento della stoffa del soprabito sui capezzoli aumenta e più aumenta e più si fanno duri.
Si sono induriti perché fa freddo.
No.
Mi fermo un attimo, passo leggermente le mani sui seni, attraverso il soprabito e ripenso a prima quando Anna mi ha toccato, poi riprendo il cammino, c’è ancora tanta, troppa strada da fare.
Durante il tragitto altri uomini fanno degli apprezzamenti ad alta voce, alcuni decisamente volgari, e sono stupita perché in genere non mi capita.
Certo che non mi capita, di solito non vado mica in giro da sola a piedi di notte, di solito non mostro le gambe in questa maniera, di solito non sono mezza nuda sotto il soprabito e porto le mutandine, ma queste ultime due cose non le possono sapere.
Un paio di ragazzi giovani, con le bottiglie di birra in mano, mi seguono per un po’, svolto in una strada illuminata e piena di locali, con parecchia gente in giro e per fortuna desistono.
Rallento, poi mi fermo per riprendere fiato.
Sono stanca e mi fanno male i piedi, vorrei togliermi un attimo queste maledette scarpe ma ho i piedi gonfi e temo che una volta sfilate non riuscirei più a rimettermele.
In compenso, la lunga camminata mi ha scaldato, poi guardo l’ora, è tardissimo e non ho idea di quanto manchi ancora.
Quando finalmente imbocco la strada dove abito mi rendo conto che c’è un altro problema: per recuperare le chiavi di casa, devo superare il portone.
Beh, suono a qualche vicino, poi guardo l’ora, certo, suonare a qualcuno in piena notte non è una buona idea.
Questa volta però sono fortunata: vedo una sagoma alta e goffa, infagottata in un cappotto, trainata praticamente da due grassi cani che si sta avviando al portone.
Allungo il passo, mettendomi quasi a correre, mi sbraccio per attirare la sua attenzione e per fortuna la tizia dei cani, quella malvista da tutti i condomini perché i suoi animali lasciano sempre ciuffi di pelo sulla guida di moquette stesa nell’androne, si ferma e mi aspetta.
‘Tutto bene?’, mi fa, perché deve avermi trovata almeno un po’ stravolta.
Uno dei cani mi si avvicina e infila il muso sotto il soprabito.
Il pelo ispido mi fa il solletico sulla pelle nuda delle cosce, oltre la fine delle calze, sostenute dalle giarrettiere.
Resto immobile, pensando ‘oddio, adesso me la lecca.’
Mi ha sempre fatto un po’ schifo la lingua dei cani sulla pelle, ma lì non la sopporterei proprio.
‘Buono Rick, non essere maleducato.’
lo allontana con uno strattone ed io tiro un sospiro di sollievo.
A questo punto le nostre strade si dividono, perché lei imbocca le scale, visto che abita al primo piano, mentre io prendo l’ascensore.
l’ultimo momento di apprensione ce l’ho quando inizio a scavare con le mani nella terra del vaso, ma la chiavi, per fortuna, solo al loro posto, protette da una bustina di plastica e posso finalmente rientrare a casa, levarmi le scarpe e mettere i piedi a mollo.
Dopo un lungo pediluvio me ne sono andata a dormire pensando che domani è domenica e posso dormire quanto mi pare.
Errore, sono stata svegliata dal suono insistente del citofono.
Accidenti ma sono le sette, lasciatemi dormire.
Però il citofono insiste, così mi alzo.
”Pronto.’
‘Sono Anna, aprimi.’
‘Anna chi, non conosco nessuna Anna.’
‘La borsetta, ti ho portato la borsetta.’
Lentamente, come se si stesse diradando la nebbia, mi ricordo della sera precedente.
‘Sì, scusa, ti apro, quarto piano.’
Anna, sotto il giaccone indossa una tuta sportiva, sembra un’altra donna rispetto a quella che mi aveva accolto la sera prima con indosso soltanto una maglietta ed un paio di stivali.
Non ha un filo di trucco ed il suo viso ha l’aria stanca come ‘ come se avesse passato tutta la notte a fare sesso con diversi uomini, concludo dentro di me.
Mi restituisce subito la borsetta e aggiunge un busta con dentro maglietta, reggiseno e slip, accuratamente piegati.
A questo punto, visto che ormai mi sono svegliata, preparo il caffè per tutte e due e ci mettiamo a parlare.
Le chiedo come è andata la serata, devo ammettere che sono curiosa.
‘Beh, da sola è stato molto faticoso, però ho guadagnato parecchi soldi. Comunque non era un lavoro adatto a te, almeno per ora.’
‘Però? Hai una bella casa’, mi dice ad un certo punto, ‘lo credo che hai problemi economici, chissà quanto ti costa di affitto.’
Mi sono ben guardata dal dirle che l’appartamento è mio e non ho alcun bisogno di arrotondare le entrate prostituendomi, ma non volevo deluderla.
Mi ha raccontato parecchie cose delle sua vita: ha 34 anni, viene da un piccolo paese del sud e ufficialmente si guadagna da vivere facendo la cassiera part time in un supermercato, ma in realtà integra con il secondo lavoro in casa.
‘Solo clienti sicuri e conosciuti, non voglio guai, poi qualche volta mi concedo una serata come quella di ieri.’
Al momento di andare via ha sparato una proposta che mi ha lasciata basita.
‘Senti, tu mi sei simpatica, qualche volta potresti darmi il cambio a casa, quando torno al paese dai miei. Non voglio nulla, tutto quello che guadagni te lo puoi tenere, sempre meglio tenere in caldo i propri clienti, così non vanno a cercare altrove.’
Le ho detto che ci avrei pensato, poi se n’è andata ed io mi sono rimessa a dormire.
Si è rifatta viva dopo tre giorni e mi ha portato in regalo un bustino nero.
Ha insistito perché lo provassi subito davanti a lei.
è aderente è trasparente e sopra arriva proprio a metà dei seni, con i capezzoli che spuntano dal bordo superiore, in basso invece si ferma quattro dita sotto la vita, lasciandomi completamente nuda, avanti e dietro.
Ha anche incorporate le clip del reggicalze e facciamo le prove con diverse calze che si è portata appresso.
Ad un certo punto mi lascia sola e va in bagno, e quando torna mi accorgo che è completamente nuda tranne ‘
‘ un enorme cazzo finto di gomma nera, legato al corpo con delle cinghie.
Mi dice di leccarlo, così entrerà meglio ed io mi chino ed eseguo senza battere ciglio.
Prima di ficcarmelo dentro ha cominciato a passarmi sulle labbra della vagina ed ogni dubbio è scomparso dalla mia mente.
Mi sono fatta scopare da Billy, lei lo chiama scherzosamente così, più volte, poi se l’è sfilato e si è rivestita.
‘Ora devo andare, sennò faccio tardi al supermercato. Allora d’accordo, per la sostituzione di questo fine settimana.’
Ma che mi succede?
Mi sto trasformando in una puttana.
E perché poi?
Non mi servono certo quei soldi, e nessuno mi costringe a farlo.
Lo faccio per accontentare Anna?
Ma se la conosco appena!
Mi sono guardata allo specchio con il bustino e le calze nere, devo ammettere che faccio ancora una discreta figura.
Poi mi è tornato in mente un vecchio film con Catherine Deneuve, che avevo visto diversi anni fa: una donna bella, giovane e ricca, intraprende una doppia vita, prostituendosi in una casa di appuntamenti di Parigi.
Beh, io non non sono bionda e neanche così bella come la Denueve di allora, e non ho neanche problemi di frigidità, come il personaggio del film, però devo ammettere che qualche pensiero inconfessabile di questo tipo l’ho sempre avuto.
Mi ricordo, ero ancora adolescente, delle volte, in macchina con i miei, si passava su una strada dove stazionavano delle donne vestite in maniera succinta, loro smettevano di parlare di colpo ed il loro sguardo si fissava in avanti, verso il parabrezza, io invece, seduta dietro, non vista, me le studiavo una ad una, incuriosita e anche un po’ attratta.

Anna abita in periferia, in un piccolo appartamento al piano terra, con l’ingresso separato dal resto dell’edificio.
Non dovrei essere qui, mi sarebbe bastato dire alla mia nuova amica che non volevo e che sarebbe stato meglio non rivederci più, invece sono arrivata in perfetto orario con il trolley piccolo con dentro i vestiti, sia per uscire che ‘ per il resto.
Oltre al bustino ho preso altri due cambi, una vestaglia rossa trasparente e delle pantofole con il tacco alto.
Anna tornerà domenica sera, quindi dovrò lavorare le notti di oggi, cioè venerdì e sabato, oltre alla mattina della domenica, poi nel pomeriggio mi darà il cambio.
Mi ha spiegato i gusti dei clienti, mentre sfogliava l’agenda con gli appuntamenti, riempendomi di raccomandazioni.
Quando è andata via mi sono accorta di non ricordare niente, beh, vorrà dire che dovrò improvvisare.
Ho fatto in modo di tenere le luci un po’ basse, perché il commento crudele dei miei colleghi d’ufficio, ogni tanto mi ritorna su, come una cena pesante che non si riesce a digerire.
Ho eseguito un po’ di prove con la vestaglia, la mia figura è ancora impeccabile, non ho un filo di grasso e le mie gambe sono perfette, mi siedo sul letto a provo ad accavallarle, come quella prima volta al bar del centro commerciale, apro e chiudo la vestaglia fino a trovare il punto giusto, in cui si vede la clip del bustino e la parte finale della calza scura.
Non voglio che il suo sguardo si posi troppo sul mio viso, dovesse farmi anche lui discorsi sui musei, certo, io rispetto ad Anna sono meglio di corpo, ma lei è molto più giovane.
Proprio mentre mi chiedo se un uomo che va con una puttana si interessi anche al suo viso, suona il citofono.
Spingo il pulsante senza dire nulla, poi vado alla porta di casa e la lascio socchiusa.
Sento lo scatto leggero della porta che si richiude mentre mi siedo sul letto e sistemo la vestaglia.
Il mio primo cliente è un commesso viaggiatore, un uomo piccolo, grassoccio ed insignificante, con un vestito grigio ed una valigetta di finta pelle nera.
‘E tu chi sei?’
E’ sorpreso, evidentemente Anna non gli aveva detto della sostituzione. Cerco di capire, nella penombra della stanza, se è contento o contrariato.
Io balbetto qualcosa sul fatto che Anna aveva un impegno, poi mi alzo.
L’ho provata almeno venti volte questa scena: i lembi della vestaglia erano solo appoggiati, così quando mi metto in piedi si aprono completamente mostrando le mie lunghe gambe e tutto il resto.
Vedo i suoi occhi che si puntano lì.
Ho avuto una lunga discussione con Anna riguardo ai peli pubici. Io non avevo mai dato molto peso a questo dettaglio e ricorrevo a frequenti depilazioni solo d’estate, per poter indossare il costume, lasciandoli crescere liberamente d’inverno.
Lei sostiene che ad alcuni uomini piace la pelliccia perché le donne completamente depilate sembrano delle bambine, altri invece non sopportano le donne pelose, e poi, da quelle parti c’è un problema d’igiene, specialmente se hai rapporti con molti uomini.
Così ho optato per un ciuffetto piccolo e ben rasato, appena un accenno, depilando perfettamente tutto il resto.
Il suo sguardo non si è più mosso, ho capito di aver superato la prova.
‘Se non vado bene ‘ non importa …’, dico a mezza voce, con falsa timidezza.
‘No, no, vai benissimo’, si affretta a dire lui, ed inizia subito a liberarsi del vestito grigio.
E’ stato facile, più facile del previsto, aveva anche un bell’arnese, chissà perché vedendolo così, piccolo e grasso, avevo pensato che avesse un affarino minuscolo e molliccio.
L’idea di dovermi dare parecchio da fare per farlo rizzare, come a volte succede (questo me lo aveva spiegato bene Anna), mi preoccupava, invece una volta spogliato era già pronto.
Insomma è andato tutto liscio: è durato abbastanza, mi è anche piaciuto, e su questo Anna era stata chiara: a molti uomini piace se gli fai capire che anche tu stai provando piacere, quindi anche se non te ne frega niente, un po’ di soddisfazione dagliela, ma senza esagerare, se invece vedi che non gradiscono la tua partecipazione, morditi la lingua e lasciali fare.
Ha voluto finire con io sopra che lo cavalcavo, mi premeva con le mani sulle chiappe nude per farmi muovere al ritmo che lui preferiva e mi diceva che avevo un culo meraviglioso e che la prossima volta me lo avrebbe ficcato lì.
Sono rimasta cinque minuti sdraiata sul letto a riprendere fiato, dopo che lui se n’è andato poi ho guardato l’orologio.
Accidenti, tra poco ne arriva un altro, deve darmi una rassettata.
Il secondo è più giovane, sulla trentina, non male, mi dico, mentre si spoglia.
Invece è andata così così, non per colpa mia, ma proprio non voleva saperne di diventare duro, così mi ha detto che mi avrebbe dato un supplemento se glie lo avessi succhiato.
‘Non un pompino completo, solo quel tanto che basta’, mi ha detto, sembrava quasi un bambino che stesse per mettersi a piangere.
Così l’ho accontentato, ma l’ho mandato prima in bagno a lavarselo.
Sono un po’ tesa, perché su queste cose non sono tanto pratica, e non vorrei che scoprisse che io non sono una vera puttana.
Quando torna il suo affare mi sembra già più tonico, forse la sola idea del pompino lo deve aver ringalluzzito.
Comunque me la sono cavata bene, è diventato duro quasi subito e, quando ho staccato la bocca ha provato timidamente a chiedere di continuare, ma sono stata irremovibile: mi sono sdraiata a cosce larghe ed a lui non è restato altro da fare che ficcarmelo dentro.
I successivi sono andati lisci, come se io avessi sempre fatto quel lavoro e quando è andato via l’ultimo mi sono fatta una doccia e mi sono rimessa a dormire.
La prima notte di lavoro non ha lasciato tracce particolari sul mio corpo, se non un leggero arrossamento, dovuto al superlavoro della mia vagina.
La mattina dopo mi sono vestita, non con il bustino, intendo vestita normale e sono tornata a casa mia.
Il giorno successivo, il sabato, il lavoro si è protratto più a lungo e quando l’ultimo ha lasciato l’appartamento di Anna era veramente tardi.
Ho fatto fatica ad alzarmi ma avevo il primo appuntamento alle nove e non volevo far fare brutta figura alla mia amica.
Insomma, quando sono tornata definitivamente a casa mia erano le 14 passato, avevo una fame feroce e non provavo alcun rimorso per quello che avevo fatto.

Sono passati tre mesi dalla prima volta e mi sono abituata. In certi momenti mi chiedo perché faccia una cosa del genere, visto che quei soldi non mi servirebbero, così mi riprometto di dire di no ad Anna quando lei mi chiamerà, poi lei mi telefona ed io accetto puntualmente.
Mi sono preso anche il film della Deneuve e l’ho rivisto.
Intanto mi sono fatta un discreto guardaroba, comprando dei capi di qualità. In genere preferisco i bustini, perché mi mettono in mostra il seno, che è decisamente piccolo, ed evidenziano anche il mio culetto rotondo e sporgente. Ne ho comprati di diversi colori, neri, rossi e perfino uno blu.
In genere lavoro un paio di volte al mese, spesso l’intero fine settimana, ma qualche volta anche una sola sera, mai comunque durante la settimana, perché la mattina dopo devo andare in ufficio e sarebbe troppo faticoso.
I clienti sono carini e gentili, Anna se li è selezionati nel corso degli anni ed accetta qualche persona nuova solo se presentata da uno di loro, insomma un lavoro tranquillo ed accurato, senza i pericoli che corrono le prostitute di strada che ogni tanto finiscono sulla cronaca nera.
Naturalmente le mie amiche non sanno nulla di questa mia attività e sto bene attenta a tenere separate le mie due vite: quando vado a casa di Anna esco vestita normale portando con me diversi cambi di abiti da lavoro e quando ritorno a casa mia faccio lo stesso. Insomma, nessuno dei miei vicini di casa potrebbe supporre che quella signora alta ed elegante che abita al quarto piano, si prostituisce regolarmente nei fine settimana.
Ci sarebbe il rischio, invero molto remoto, che si presentasse qualcuno che conosco, tipo un collega di lavoro, ma la clientela di Anna è ristretta e stabile, e poi la città è grande.

Oggi c’è stato un intoppo nel mio secondo lavoro, e che intoppo!
L’ultimo cliente è appena andato via, guardo l’ora, sono le 13,30, giusto il tempo per farmi una doccia e tornarmene a casa mia.
Mentre penso che non ho sentito chiudersi la porta di casa, me li trovo davanti.
Sono in due, sulla quarantina e dalla corporatura robusta.
Io e Anna riceviamo sempre un cliente alla volta, è una regola inderogabile, e poi questi due non li ho mai visti.
Un brivido di apprensione mi passa per la schiena, penso ad una rapina, visto che ho nella borsetta l’incasso della mattinata.
Potrebbero farmi del male?
Il più grosso dei due mi mette sotto il naso un portadocumenti aperto e mi grida Polizia.
Beh, la polizia non può farmi del male, penso, però potrebbero arrestarmi.
Possono arrestarmi? Non ho fatto niente di male, almeno credo.
Mi ordinano di sedermi ed io ubbidisco.
Solo ora mi rendo conto che sono praticamente nuda, con il bustino rosso che mi strizza le tette e sotto ‘
Stringo le ginocchia in un tentativo tardivo di coprire le mie parti intime, ma loro non sembrano interessati a me.
Tirano fuori ogni cosa dall’armadio buttando tutto alla rinfusa sul letto.
Per ultimo anche il contenuto della mia borsetta finisce sopra i miei vestiti e la mia biancheria.
Quello più grosso continua ad accanirsi con la mia borsetta, poi lo sento emettere un grido di gioia.
Mi sta mostrando un sacchetto di plastica trasparente, con dentro della polvere bianca.
‘E questo che cos’è?’
‘Non lo so.’
‘Come non lo sai, era nella tuia borsetta.’
Comincio a comprendere che mi vogliono incastrare, anche se non capisco il perché.
Ha aperto la busta, ci ha infilato dentro la lama di un temperino e l’ha ritirata fuori con un po’ di polvere in cima.
‘Signora, sei nei guai’, dice dopo averci poggiato la punta della lingua.
Mi sento crollare il mondo addosso, ma come, io che da ragazza neanche gli spinelli fumavo.
‘Ti dobbiamo arrestare.’
Ecco già mi immagino su tutti i giornali, una donna apparentemente per bene ed insospettabile, coinvolta in un giro di prostituzione e droga. Sono spacciata.
‘A meno che …’
‘A meno che cosa?’ rispondo io timidamente.
‘Puoi sempre farci divertire un po’.’
Mi sembra ragionevole: per loro sono una puttana quindi ‘
Se è per questo non lo sono solo per loro, almeno in certi momenti.
‘Va bene’, concludo io abbassando il capo rassegnata. Non è stata una passeggiata con i due poliziotti: sono stati rudi e scortesi, come può esserlo un uomo quando sa che si sta prendendo qualcosa che gli spetta di diritto.
Mi hanno scopata brutalmente più volte, avanti e dietro, tenendomi sempre saldamente, come se avessero paura che potessi scappare.
Quando alla fine decidono che può bastare, mi sento stordita e scombussolata.
Ecco, è finita, avevano voglia di farsi una scopata gratis ed hanno organizzato questa messa in scena della droga.
In fin dei conti mi è andata di lusso, ora se ne vanno ed io mi faccio finalmente la doccia, poi mi cambio e torno a casa.
‘Su mettiti questo che dobbiamo andare’, mi dice l’altro porgendomi il corto giaccone di piume con cui sono arrivata.
‘Mi avevate promesso che non mi avreste arrestato’, piagnucolo io.
‘Ma noi ti portiamo solo a fare un giro.’
‘Almeno fatemi cambiare.’
Mi hanno trascinata fuori con indosso soltanto il bustino rosso e le calze, oltre al giaccone grigio.
Mi permettono solo di infilarmi le scarpe e sono fuori, per strada, in mezzo a loro.
è una giornata fredda, umida e piovosa, per niente adatta a girare praticamente nuda, con indosso soltanto un giaccone corto.
Il busto e le spalle sono belli caldi, ma dalla vita in giù mi sto letteralmente congelando, e poi il giaccone mi arriva un paio di cm oltre l’attaccatura del sedere e si vedono la fine delle calze a rete e le giarrettiere che le sorreggono.
Mi caricano su una berlina nera facendomi sedere dietro insieme ad uno di loro.
Non riesco a capire le loro intenzioni, forse vogliono solo spaventarmi, per evitare che io possa denunciarli a mia volta, ma la cosa non mi convince fino in fondo.
‘Allora, ti senti in forma?’
Io faccio cenno di sì con la testa, ma sono sempre più preoccupata.
‘Io ed il mio collega abbiamo bisogno di un po’ di soldi. Avevi guadagnato discretamente oggi, ma ora dovrai fare un po’ di straordinari per noi, sempre che non preferisci finire in galera per la faccenda della droga.’
Solo ora mi accorgo che la macchina sta attraversando un largo viale in periferia, che costeggia una serie di capannoni, di cui una buona parte abbandonati.
Lungo la strada ogni tanto superiamo delle donne vestite in maniera molto succinta e mi passa per la mente un pensiero: anch’io sono vestita più o meno così.
‘No, non potete farmi questo.’
‘E perché no? Sei una puttana, puoi farlo a casa o sul marciapiede, non cambia nulla, sempre di prendere cazzi si tratta.’
I capannoni sono stati sostituiti da campi a volte coltivati, a volte no, separati da gruppi di alberi.
‘Il posto della rossa è libero?’
‘Certo che è libero, l’abbiamo rimandata al paese suo con il foglio di via.
Quando la macchina si ferma sono così paralizzata dal terrore che faticano un bel po’ per farmi scendere.
Il posto della rossa, ora evidentemente diventato mio, è uno spiazzo di terra circondato da alberi costellato di rifiuti macerati dal sole e dalla pioggia.
Una sedia di plastica grigia, con le zampe di metallo arrugginito è piazzata ad un paio di metri dalla strada.
‘Devi solo sederti qui ed aspettare’, dice quello più grosso mentre rovescia la sedia per liberare la seduta dall’acqua piovana.
Osservo con senso di schifo il rigagnolo giallastro che scola dalla sedia sulla terra e penso che non mi siederò affatto lì.
Invece cinque minuti dopo sono sola, infreddolita e seduta su quella maledetta sedia ad aspettare il primo cliente.
Mi hanno detto quanto devo chiedere, poi mi hanno indicato, qualche decina di metri nell’interno la roulotte dove mi dovrò appartare con i clienti.
Poche istruzioni, terminate con la raccomandazione di non provare a scappare perché loro sono lì intorno.
E coma potrei mai fuggire? Prima di lasciarmi sola hanno tolto dalla mia borsetta chiavi, documenti e cellulare.
Mi trovo a diversi chilometri dalla città, su una strada dove non passano mezzi pubblici, sono combinata in una maniera tale da non poter andare in giro e, se pure riuscissi ad avere un passaggio, non potrei rientrare a casa.
Beh, le chiavi di riserva nel vaso, come no, mi presento a tutto il vicinato combinata così!
La prima macchina si ferma dopo una decina di minuti.
Il tizio mi chiede attraverso il finestrino quanto voglio, poi mi fa cenno di alzarmi e di avvicinarmi.
‘Sei molto alta’, mi dice con fare sospettoso.
‘Fammi vedere cos’hai nelle mutandine, sai, di questi tempi …’
Io lo guardo confusa.
‘tiratele giù, cazzo!’
‘Non ce l’ho.’
‘Non c’hai cosa?’
‘Le mutandine’, rispondo io sempre più confusa.
Allora si è sporto dal finestrino e mi ha sollevato il giaccone sul davanti.
‘Ok, tutto a posto, scusa ma girano parecchie ragazze alte, con la voce rauca ed un bell’uccello tra le gambe.’
Sono un po’ offesa che possa aver pensato che io potessi essere un travestito, ma non c’è molto tempo per riflettere sul malinteso, perché lui ha già parcheggiato e stiamo camminando sul vialetto di terra diretti verso la roulotte.
I tacchi alti e sottili affondano nel terriccio imbevuto di pioggia rendendo incerto il mio cammino.
La roulotte è praticamente un rottame, senza ruote, con i vetri sostituiti da cartoni, l’interno è umido e puzzolente e la temperatura è solo leggermente più alta rispetto a fuori.
Tutta la faccenda è durata pochi minuti, non è certo l’accuratezza del lavoro a casa di Anna, e infatti anche i soldi sono decisamente di meno.
Sono rimasta con la banconota in mano, incapace di muovermi. l’ho sentito uscire, camminare sul vialetto e poi mettere in moto la macchina.
Mi sono scossa solo quando mi sono sentita prendere per una spalla.
‘Ehi, bella, guarda che se rimani qui dentro non guadagni nulla.’
Mi hanno trascinata fuori ed ora ho ripreso il mio posto sulla sedia, mentre inizia a piovere.
Così mi hanno dato anche un ombrello, per fortuna bello grande e, se non fosse per l’acqua fangosa che le macchine mi schizzano sulle gambe, non andrebbe troppo male.
Sta facendo buio, ho percorso già diverse volte la stradina che collega la mia sedia con la roulotte e per fortuna non piove più.
Vorrei darmi una lavata, ma il wc della roulotte è guasto e la porta è stata bloccata, me l’hanno detto i due poliziotti, che ogni tanto tornano a vedere come me la cavo.
Ora è notte fonda ma non so che ora sia, perché mi hanno tolto anche l’orologio.
Poco fa ho svuotato fuori della roulotte il secchiello dei preservativi usati perché emanava un odore pessimo.
Non ricordo neanche con quanti sono andata, già, se non avessi buttato i preservativi, avrei potuto contarli.
Adesso fa veramente freddo, ho le gambe gelate e l’unica maniera per resistere è muoversi. Così cammino avanti e indietro sul bordo della strada e poi, quando sono nella roulotte, cerco di cavalcare i miei clienti.
L’ultimo ha apprezzato molto ed ha cominciato a sculacciarmi per farmi muovere di più, così ora ho anche il sedere rosso.
Prima di uscire di nuovo, mi sono guardata alla specchio, ho un aspetto pessimo, con il trucco sfatto e delle occhiaie enormi, me credo che questo, per i miei clienti, sia l’ultimo dei problemi.
C’è una macchina ferma, proprio davanti alla sedia, oddio basta, fatemi tornare a casa, non ce la faccio più.
è l’auto dei due poliziotti, per fortuna.
‘Per oggi può bastare’, mi dicono ed io salto su nell’auto prima che ci ripensino.
Il tepore dell’abitacolo mi rinfranca, sono così stanca ed infreddolita che mi assopisco.
Quando mi sveglio mi colpisce un odore sottile a sgradevole.
Impiego un po’ a capire che sono io ad emanarlo, è un cocktail di sporco, di sudori vari e di sperma.
Sono tentata di aprire il finestrino ma ho patito così tanto il freddo in queste ore che desisto.
Mi aspettavo che mi avrebbero scaricata davanti a casa di Anna, cioè nello stesso luogo dove mi avevano prelevata, invece, con mia grande sorpresa mi ritrovo davanti al portone di casa mia.
Che stupida, l’indirizzo l’hanno letto sui documenti, quindi sanno anche dove abito.
‘Sogni d’oro, troia e datti una bella lavata, che puzzi da fare schifo, uno di questi giorni passiamo a prenderti e ti facciamo fare un altro giro.’
Io mi sono precipitata fuori della macchina, ho aperto il portone con le chiavi che mi avevano appena restituito e me lo sono chiuso alle spalle.
Salva, sono salva, per ora, perché le loro ultime parole lasciano presagire che potrebbero portarmi di nuovo in quel posto orribile.

Ho chiuso i rapporti con Anna, lei mi ha chiamato diverse volte ma le ho fatto capire che non ero più disposta a sostituirla.
Insomma ho ripreso la mia vita normale anche se quando esco e quando rientro a casa, mi guardo sempre intorno, perché l’idea che possa trovarmi davanti i due poliziotti che vogliono farmi fare un altro giro, come mi hanno detto quella notte, continua a tormentarmi.
Comunque, come per voler scongiurare una mia ricaduta, ho buttato nel cassonetto della Caritas tutto il mio abbigliamento puttanesco, anche se forse distribuire ai poveri bustini sexy e calze a rete non è una buona idea.
Ormai sono, salva, sono passati quasi tre mesi da quando i due poliziotti mi hanno costretta a ‘
Non voglio neanche pensarci, è stato un periodo folle della mia vita, in cui ho rischiato di finire veramente male.
Sì certo, quando entro ed esco di casa mi guardo ancora intorno, ma è solo un’abitudine, sicuramente quei due bastardi avranno trovato qualcun altra, magari più giovane.
Tra un po’ finirà l’inverno, anche se oggi non sembra, visto che c’è un’aria gelida che sembra quasi volerti tagliare la faccia.
Mi sono vestita pesante, con un paio di pantaloni di lana caldissimi, a quadretti, un po’ tipo principe di Galles e sopra un maglione di cachemire a collo alto. Ho completato il tutto con un soprabito lungo ed imbottito ed un cappello di pelliccia, tipo colbacco.
Sì, sono sempre stata freddolosa e mi chiedo come abbia fatto a resistere quella notte all’aperto praticamente nuda.
Sono le sei di sera, mi sono dovuta trattenere al lavoro e sono discretamente stanca, ma resto sempre vigile: nessun movimento sospetto vicino al portone di casa.
Ecco, sono dentro, l’ascensore mi porta fino al quarto piano, apro la porta e ‘
Vengo spinta alle spalle e per poco non cado a faccia avanti.
Poi l’aggressore mi trascina in casa, mettendomi una mano davanti alla bocca per non farmi gridare e richiude la porta alle sue spalle.
Quando accende la luce e mi lascia voltare, mi crolla il mondo addosso: è uno dei due poliziotti.
‘Buona sera, troia. Ti avevo detto che prima o poi ti avremmo fatto fare un altro giro.’
Comincio a piangere, non voglio ricominciare tutto da capo.
‘Tranquilla, se ti dai da fare tra qualche ora ti riportiamo a casa. Ora vatti a cambiare.’
Io lo guardo come se non capissi cosa intende.
‘Ehi, non vorrai mica andarci conciata così. Su levati ‘sta roba e mettiti qualcosa di più adatto alla serata.’
‘No, non è possibile’, rispondo con un filo di voce, ‘non ho più quei vestiti, li ho buttati via.’
‘E’ vero’, e in quel momento esce l’altro poliziotto dalla mia camera da letto, ‘nell’armadio ci sono solo vestiti da brava ragazza, forse sono rimasti a casa dell’altra troia.’
‘Troppo complicato, ci dovremo arrangiare con quello che c’è.’
Mi fanno spogliare e rimango con la maglietta intima di lana ed il collant spesso che avevo messo sotto i pantaloni.
‘Su togliti tutto.’
Io faccio cenno di no con la testa, allora il poliziotto più grosso mi prende da dietro, passandomi un braccio intorno al collo.
Sento qualcosa di freddo sulla guancia.
‘Se non ti finisci di spogliare, ti comincio a tagliare la faccia piano piano e ti assicuro che il tuo musetto non tornerà più come prima.’
Ho sempre avuto orrore dei coltelli e non voglio assolutamente essere sfregiata, così mi tolgo quello che rimane e resto ferma, in piedi di fronte a lui, completamente nuda.
‘Questa dovrebbe andar bene per sopra’, l’altro, che doveva essere tornato in camera da letto a cercare altri vestiti, tiene in mano una mia maglietta estiva, rossa e scollata.
La indosso subito, per cercare di coprirmi.
Era un po’ che non la mettevo e ultimamente devo essere ingrassata, infatti mi stringe il busto ricopiando perfettamente la forma dei miei seni, con i capezzoli che sporgono leggermente.
‘Adesso vai di là e ti scegli un bel paio di calze, che diano nell’occhio, a rete o roba del genere, ma da portare con il reggicalze o autoreggenti, insomma la fica deve rimanere libera.’
Naturalmente non ho nulla di tutto ciò, quelle che avevo comprato quando ho iniziato la collaborazione, sono finite nel cassonetto della Caritas, insieme al paio che avevo indossato quella volta al centro commerciale.
‘La troia ha due cassetti pieni di collant di tutti i colori ma niente calze adatte alla serata.’
L’altro poliziotto sta facendo la spola tra il soggiorno e la mia stanza e sembra divertito nel frugare tra i miei vestiti.
‘Peggio per lei’, risponde l’altro, ‘non può mica battere con le gambe coperte, sono la cosa migliore che ha’, poi, rivolto a me; ‘capisco che oggi fa un po’ freddo, ma dovrai andarci così, se sei brava e ti fai parecchi clienti, vedrai che ti scalderai.’
Mi metto a piangere, l’idea di affrontare una notte così fredda con le gambe completamente nude, mi terrorizza più del dovermi nuovamente prostituire in strada.
L’altra volta faceva meno freddo e comunque avevo addosso delle calze che un po’ mi riparavano.
‘Certo che se le prende un accidente è un peccato, e poi se le vengono le gambe blu per il freddo, non sarà un bello spettacolo, mi è venuta un’idea.
Su mettiti questo.’
Mi porge un collant rosso a rete sottile, che neanche mi ricordavo più di avere.
Mentre seduta sulla spalliera della poltrona me lo infilo, mi sento addosso gli sguardi dei due uomini.
So benissimo che una donna, mentre si carezza leggermente le gambe per sistemarsi le calze sulla pelle ha una discreta carica di sensualità, specie se ha delle gambe belle come le mie, e per un attimo penso che magari piaccio loro abbastanza da decidere di restare con me in casa.
Ma non andrà così.
Mi fanno alzare, guardo in basso, la stoffa, anche sull’inguine dove c’è un piccolo rinforzo, è leggera e trasparente e la fessura della mia vagina si nota in maniera evidente, per non parlare dei peli che, da quando ho smesso di frequentare casa di Anna, ho lasciato crescere liberamente.
Il poliziotto che finora si è occupato del mio cosiddetto abbigliamento ha in mano un paio di grosse forbici che deve aver trovato in cucina.
Quando me le avvicina alla pancia, ho un piccolo sussulto.
‘Tranquilla, che non te la sciupo.’
Pizzica leggermente la stoffa, proprio in corrispondenza del mio ciuffo di peli, sollevandola dalla pelle, ed inizia a tagliare.
Mi fa allargare le gambe e scende in basso, ogni tanto avverto il contatto della lama fredda sulla pelle, mentre lui continua a tagliare.
Mi fa girare ed esegue la stessa operazione dietro, risalendo fin quasi alla vita.
Alla fine gli resta in mano una striscia lunga e sottile di stoffa rossa, ed io sono pronta, con le gambe coperte dalle calze ma con l’inguine completamente libero.
Penso che poi dovrò buttarlo, il collant, perché con quel taglio si smaglierà completamente.
‘Aspetta’, fa l’altro, quello più grosso, ‘Mica possiamo mandarla in giro co’ tutta ‘sta pelliccia.
Ehi, troia, ce l’hai un rasoio o qualcosa del genere per fare la barba alla tua fica?’
Io gli rispondo che in bagno, sul bordo della vasca, c’è un rasoio usa e getta e il poliziotto guardarobiere lo va a prendere.
Mi porta anche un paio di forbicine per le unghie.
‘Fai da te o ce ne occupiamo noi?’
Prendo rasoio e forbicine, mi siedo nuovamente sul bracciolo a gambe aperte e comincio a sfoltire la pelliccia, finché non è abbastanza corta da usare il rasoio.
A questo punto mi porge una spugna bagnata, dicendomi che serve ad evitare arrossamenti della pelle.
Accidenti a loro, come sono premurosi.
Alla fine la pelle del mio ventre è perfettamente liscia, al punto che passandoci sopra le dita non si sente la minima ruvidità.
Sono pronta, mi porgono un paio di scarpe con il tacco alto che non uso quasi mai, vorrei dire che sono estive, ma tanto non servirebbe a niente e poi il problema scarpe mi sembra niente rispetto a tutto il resto.
Alla fine mi danno il giaccone di piume che avevo l’altra volta perché è abbastanza corto da lasciarmi scoperte le gambe.
‘Una troia perfetta, e poi è abbastanza buio per non vedere che è un po’ stagionata.’
Si mette a ridere e mi torna in mente la battuta dei miei colleghi che ha involontariamente causato i miei guai.
‘Aspetta’, fa l’altro, ‘prima la collaudiamo.’
Mi spinge contro il muro mentre si apre i pantaloni.
Sento il suo pene bello duro, perché le operazioni di taglio del collant e eliminazione della pelliccia devono averlo parecchio eccitato, che cerca la strada giusta.
Mi sussurra nell’orecchio di allargare le gambe ed io obbedisco.
Stringo i denti mentre le labbra del mio sesso, secche e serrate, sono costrette ad aprirsi davanti all’intruso, poi è tutto più facile.
Le mie mani hanno stretto le sue spalle mentre gradualmente aumentava il ritmo ed io iniziavo ad aprirmi.
Mi è venuto dentro, senza preservativo e quando si è staccato da me, lo sperma ha cominciato a sgocciolare per terra.
Poi è stata la volta dell’altro.
Mi hanno permesso di pulirmi sommariamente con un fazzolettino e mi hanno portata fuori.
Ora sono in ascensore, in mezzo a loro due, e mi sto avviando verso un’esperienza terribile, specie perché l’ho già provata.
Appena uscita dal portone, l’impatto con la prima ventata è decisamente spiacevole: l’aria gelida si infila sotto il giaccone colpendo le mie gambe scarsamente protette dal collant rosso, ma il peggio e lì, perché l’umido dello sperma dei due poliziotti, malamente tamponato con il fazzolettino, mi da la sensazione che mi abbiano messo un cubetto di ghiaccio tra le gambe.
Per fortuna la loro macchina è vicina ed il tepore dell’abitacolo mi rinfranca, ma so già che il peggio deve venire. Siamo nello stesso posto dell’altra volta, riconosco la strada.
Dovrei essere spaventata, preoccupata, e invece mi sento stranamente tranquilla, l’unica cosa che mi angoscia è il freddo.
‘Senti, puttana, noi ti stiamo facendo un favore.’
Un favore? Io mi faccio scopare da decine di uomini e loro si prendono i soldi, dove sarebbe questo favore?
‘Tu non hai bisogno di fare la puttana. Abbiamo fatto qualche indagine per capire con chi avevamo a che fare.
Hai un buon lavoro, una bella casa di proprietà ed un discreto gruzzoletto in banca.
La bionda che lavora con te ha problemi economici, è una poveraccia e quando era più giovane ha pure battuto il marciapiede, ma tu no.
Tu sei puttana dentro, magari da ragazzina guardavi le puttane per strada e pensavi che da grande saresti stata una di loro.
Naturalmente non l’hai mai confessato a nessuno, forse solo alla tua amichetta del cuore.
Avevi un’amichetta del cuore?’
Non aspetta che io risponda e continua: ‘ci sei arrivata tardi, ma ci sei arrivata.
Solo che la vita della puttana è piena di pericoli, se tu provassi a venire qui da sola avresti un bel po’ di problemi.
Questa zona è in mano a dei montenegrini e ti assicuro che la vita delle loro ragazze non è facile.
Noi ti proteggiamo da loro e anche da qualche cliente pericoloso, capisci, puttana, noi vegliamo su di te e ti permettiamo di esprimere la tua vera natura.
In cambio ci dai i soldi che guadagni, che tanto a te non servono.’
Sono rimasta senza parole, ha fatto un’analisi perfetta, come se avesse scavato nel mio cervello ed io non nulla da controbattere.
Così mi ritrovo di nuovo sul marciapiede, mezza nuda, pronta ad essere scopata dal primo che passa.
Mi guardo, le calze rosse a rete sono terribilmente vistose, esattamente quanto ci vuole per attirare l’attenzione dei possibili clienti, è come se fossi fosforescente, infatti quasi subito si ferma ferma una macchina, il finestrino si abbassa, non riesco a vedere dentro, ma sicuramente mi sta guardando, gli piacerò?
Il finestrino si alza e la macchina riparte veloce.
Decido di alzarmi dalla sedia, fa troppo freddo e poi così forse le mie gambe si noteranno di più.
è importante che qualcuno si fermi.
Per i miei poliziotti protettori, perché non vorrei che se incasso pochi soldi poi mi possano picchiare, come ho visto fare a volte al cinema.
Perché così me ne sto un po’ nella roulotte, risparmiandomi le folate gelide che mi colpiscono come frustate.
Perché ‘, fatico ad ammetterlo a me stessa, forse aveva ragione il poliziotto: sono puttana dentro.
Questo si è fermato.
Non l’ho visto arrivare, stavo passeggiando avanti ed indietro, lungo il mio pezzetto di territorio e gli voltavo le spalle.
Il colpo di clacson mi ha fatto sobbalzare e mi sono voltata.
Un camion rosso enorme.
Il camionista si affaccia al finestrino e mi dice di salire.
Io gli indico la roulotte in mezzo agli alberi e lui ribatte che non si fida a lasciare il camion.
Non ero mai salita su un camion, la cabina mi sembra che si trovi in cima ad una montagna e le mie gambe infreddolite faticano ad inerpicarsi per i gradini, ma alla fine sono dentro.
Il camionista è un omone enorme, con capoccione pelato e mi saluta con un bel sorriso ‘ sdentato.
Ecco, penso, questo è il guaio del mestiere della puttana, non te li puoi scegliere.
Mi dice di accomodarmi nella cuccetta mentre cerca un parcheggio.
Così mi tolgo il giaccone e rimango con la maglietta, mi guardo i seni, forse è il freddo, oppure l’eccitazione, perché, devo ammetterlo, sono eccitata, ed ho i capezzoli così duri che quasi sembrano voler bucare la stoffa.
Mi siedo sul materasso della cuccetta a gambe incrociate ed aspetto.
Nudo è ancora più grosso e più brutto, indossa solo una canottiera da cui spunta una pancia enorme e, sotto la pancia, il più grande pene che abbia mai visto.
Mi fa tirare su e mi osserva a lungo.
‘Girati’, mi dice con un vocione che puzza di aglio e di birra ed io mi volto.
Stranamente, il tocco delle sue mani sul sedere ricoperto solo dal tessuto leggero delle calze rosse, mi appare leggero, quasi dolce.
Me lo ha ficcato dietro, dopo aver lubrificato il suo arnese con qualcosa che credo sia vasellina.
Alle mie timide proteste ha ribattuto che a lui non serve il preservativo perché è forte e non si prende niente, neanche dalla più sudicia delle puttane.
Non ho potuto far altro che starmene buona buona, con il viso schiacciato contro il finestrino laterale del camion, mentre mi sodomizzava brutalmente.
All’inizio faceva parecchio male, nonostante il mio ano, in queste mie ultime esperienze, sia stato parecchio sollecitato, poi però mi sono rilassata, quel movimento di va e vieni dentro di me non mi dispiaceva per niente, come le sue manone che mi stringevano forte le natiche, finché non è venuto dentro di me.
Sono fuori dal camion, la discesa è stata più facile, nonostante il forte indolenzimento dietro.
Stringo ancora in mano i soldi che ho appena guadagnato, mentre lo sperma continua a colarmi in mezzo alle gambe.
Non mi ha riaccompagnato al mio posto, perché ha detto che era complicato fare manovra con il camion, così devo farmi qualche centinaio di metri a piedi, lungo la strada.
Nel camion c’era un bel tepore mentre adesso batto i denti dal freddo, mentre cerco di accelerare il passo.
Passo accanto a due negre vestite di rosso, che mi guardano male, almeno mi sembra.
In quel momento si ferma una macchina.
‘E tu chi cazzo sei?’
Oddio, i montenegrini!
Ha un accento straniero, sicuramente è uno dei protettori di cui mi aveva parlato il poliziotto.
Un’altra voce da dentro dice: ‘no, lasciala stare, deve essere troia di poliziotti.’
Così posso tornare di nuovo al mio posto, pronta per il prossimo cliente, ma prima vado a darmi una sistemata nella roulotte.
Cerco di darmi una sciacquata in mezzo al sedere con una bottiglietta d’acqua, riesco a pulirmi un po’ ma continua a farmi discretamente male.
Riprendo a camminare avanti e indietro nel tentativo di scaldarmi, ma stasera passa poca gente, o forse è ancora presto.
Finalmente si ferma una macchina, dentro sono in due.
Contrattiamo un po’ perché io non mi fido ed insisto perché facciano uno alla volta e alla fine la spunto.
Così mi ritrovo nella roulotte con il primo che me lo mette di nuovo dietro, questa volta con il profilattico per fortuna, mentre l’altro aspetta fuori.
Quando se ne va gli dico di aspettare un minuto, l’altro lo chiamerò io.
Spero tanto che l’altro decida di non seguire la stessa strada perché sono veramente indolenzita, accidenti al camionista.
Il collant, dove il poliziotto ha tagliato con le forbici, si sta smagliando in più punti, è diventato una vera schifezza.
Mi affaccio alla porta per chiamare l’altro che entra già con i pantaloni aperti.
L’interno della roulotte, malamente illuminato da una lampada a gas da campeggio, appare ancora più squallido di quando è giorno.
Io cerco di non voltargli le spalle perché vorrei evitare la terza inculata consecutiva, poi mi sdraio sul letto, con le gambe aperte e mi carezzo le cosce, nella maniera più invitante possibile.
Mi dice che ha dovuto aspettar troppo tempo al freddo e vuole che io rimedi.
Mi infila le mani gelate sotto la maglietta e comincia a carezzarmi a capezzoli, mentre io mi do da fare con le mani.
Ecco ha finito anche lui, mi paga e se ne va, guardo i primi due profilattici nel secchio a fianco al letto e mi preparo ad affrontare nuovamente il freddo della notte.
Mentre aspetto penso che dovrei trovare un abbigliamento più adatto, che mi metta in mostra ma che anche mi ripari dal freddo.
Ora il traffico è aumentato, capisco dall’andatura chi passa lì per altri motivi e chi è invece alla ricerca di sesso. I primi passano veloci e danno appena una sbirciata, mentre i secondi non si fanno certo scrupolo di rallentare, a volte fin quasi a fermarsi, per osservare meglio se la merce è di loro gradimento.
Mi rendo conto che questo atteggiamento mi eccita, sì, mi ha sempre fatto piacere quando qualche uomo mi guardava per strada, ma questa volta è diverso, perché non ci sono dubbi, io sono lì per loro, basta pagare e mi possono scopare tutte le volte che mi desiderano.
Continuo a camminare, poi mi siedo, ma non resisto molto ferma sulla sedia, e riprendo le mie passeggiate, i fari delle macchine illuminano le mie gambe, fa un freddo cane, per favore fermatevi, sono qui, tutta per voi.
Mi chino in avanti per prendere la borsetta, proprio mentre un’altra macchina passa.
Il giaccone è risalito scoprendo completamente il mio posteriore, ma l’auto non si ferma.
Si ferma invece la successiva.
Tira giù il finestrino ed io mi affaccio, dentro c’è un negro con il cranio rasato e istintivamente mi ritraggo.
‘Che c’è, non ti fai scopare dall’uomo nero?’
Si è messo a ridere e non ho potuto far altro che accettare.
Sono di nuovo diretta verso la roulotte, seguita dal mio scuro cliente, cammino ancheggiando leggermente, mi fermo solo un attimo sulla porta, mi giro ed apro il giaccone, per mostrargli come sono fatta, poi entro dentro e riaccendo la lampada.
‘Che puzza’, fa lui una volta entrato.
Come dargli torto, dentro la roulotte l’aria è decisamente viziata.
‘Meglio fuori’, e mi prende per un braccio e mi trascina all’aperto.
Accidenti, non ce la faccio più di prendere il freddo, preferisco la puzza della roulotte, ma lui non è d’accordo e mi trascina tra gli alberi.
Ho cercato di resistere ma è troppo grosso per me, così mi sono ritrovata in ginocchio in mezzo alla terra. Mi sono rialzata subito ed ho cercato di correre via ma mi ha afferrato per una manica del giaccone.
Siccome lo avevo sbottonato, io sono sgusciata fuori lasciando il giaccone nelle sue mani.
Mi sono messa a correre al buio in mezzo agli alberi, ma mi ha ripresa subito.
La vista del mio sedere nudo e delle mie lunghe gambe foderate dalle calze rosse, che correvano nel bosco, devono averlo parecchio eccitato, perché mi ha spinto contro un tronco e mi ha allargato le cosce.
Ha un coso enorme, forse più grande del camionista, ed io protesto perché me ne è bastato uno senza profilattico, non voglio correre altri rischi, ma è troppo tardi, è già dentro di me e mi sta scopando con così tanta energia, come se volesse inchiodarmi all’albero a cui sono appoggiata, con la sua spada di carne.
Lo supplico di tirarlo fuori ma lui non mi sente,è troppo occupato a prendersi il suo piacere.
Ansima, sembra un animale dai versi che fa, poi si ferma un attimo e riprende con rinnovata energia, finché non viene.
Una, due, tre ‘ le contrazioni si susseguono e sento netto il getto di sperma, che ogni volta mi spara dentro, poi si affievoliscono e, finalmente lo tira fuori.
Sono sfinita, stremata, ed il freddo che non ho sentito in questi ultimi minuti, torna di nuovo ad attanagliarmi, mentre lentamente scivolo e finisco in ginocchio.
‘Succhia, che lo rifacciamo.’
Non dovrei, troppo pericoloso, ma lui mi afferra per il collo, ed io apro la bocca.
Stringo le labbra su quel serpente nero che improvvisamente si ridesta.
Mi rimette in piedi e mi fa girare.
Ho no, ci risiamo!
Grido mentre me lo ficca in mezzo alle natiche e lo spinge dentro senza tante cerimonie.
Continuo a gridare, il mio ano cede di schianto ed il suo ventre si schiaccia contro il mio sedere, poi ho smesso di gridare.
Sono rimasta aggrappata all’albero per qualche minuto, dopo che lui ha finito, non riesco a muovermi, sento solo lo sperma che continua a defluire dal mio ano sfondato.
Mi ha dato i soldi e se ne è andato, sono anche di più di quanto stabilito, ma per me è uguale, non mi entrerà nulla in tasca, i soldi andranno tutti ai poliziotti.
Così non mi resta che tornare sulla strada.
Cammino a fatica ed a gambe larghe, ho le calze strappate sulle ginocchia e zoppico perché mi si è spezzato un tacco.
Mi lascio cadere sulla sedia e spero che per un po’ non si fermi nessuno.
Quando vedo una macchina fermarsi senza esitazioni di fronte a me, resto con gli occhi chiusi, vorrei riaprirli e trovarmi a casa.
‘Dai alzati, per oggi basta, ti riportiamo a casa. Hai finito in bellezza con il re della foresta, vero?’
Loro ridono, ma io sono distrutta, vedo le prime luci dell’alba e penso che fra un paio d’ore dovrò andare in ufficio.
Oggi è il mio compleanno.
Ho festeggiato nel pomeriggio con un paio di amiche, poi sono tornata a casa per cambiarmi.
Già, ormai la mia doppia vita è diventata qualcosa di stabile, sono due anni che mi prostituisco regolarmente per strada, tutti i sabato sera.
Con i due poliziotti sono riuscita a trattare: ho detto loro che potevo farlo il sabato, perché così il giorno dopo, non andando a lavorare, mi sarei riposata, ed hanno accettato.
Si sono fatti più gentili e non mi trattano affatto male, mi hanno anche permesso di migliorare il guardaroba e l’arredamento della roulotte.
Per queste serate d’inverno ho comprato delle autoreggenti colorate e parecchio pesanti, certo dove finiscono non c’è niente da fare, ma almeno il resto delle gambe un po’ è al riparo.
Metto sul letto i capi mano mano che li scelgo: maglioncino aderente bianco, minigonna rossa e calze a fasce orizzontali colorate.
Prima il trucco però, ho imparato a farlo pesante abbastanza da mischiare le carte, così le mie rughe da cinquantenne magra si noteranno di meno, sempre che i clienti siano interessati al mio viso e non ad altro.
Ripasso in camera e prendo la parrucca.
Anche per rendermi meno riconoscibile, ultimamente ho tagliato corti i miei capelli neri, così in genere esibisco un caschetto elegante, mentre per queste sere mi trasformo in una rossa piena di ricci.
Esco di casa con un soprabito lungo che copre la mia tenuta da puttana ed una busta con dentro un giaccone corto e la parrucca.
Ora ci vado con la mia macchina, i poliziotti si limitano a tenere d’occhio la situazione.
Quando sono abbastanza lontana, metto via il soprabito e indosso il giaccone corto, per ultimo mi metto la parrucca.
Solo un breve controllo nello specchietto retrovisore per vedere se non spuntano sotto i miei capelli neri e posso ripartire.
Parcheggio la macchina un po’ nascosta e mi dirigo verso la roulotte per controllare che dentro sia tutto in ordine, perché gli altri giorni viene usata da altre mie colleghe.
Benissimo, posso cominciare, mi siedo sulla sedia ed accavallo le gambe.
Certo, ne è passato di tempo da quel pomeriggio al centro commerciale.

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