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Racconti Erotici Etero

Io sono fatta così

By 11 Settembre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Il titolo spiega tutto.
Non mi riferisco al mio carattere, ma al mio fisico.
E come sei fatta?
Diversa.
Che vuol dire diversa?
Ecco, per chiarire provo ad andare indietro nel tempo, quando in casa ero affettuosamente chiamata la sederona.
No, non ero una bambina grassa, avevo solo il sedere un po’ grande che fra l’altro, tornava utile, perché i bambini cadono spesso, mentre giocano, e quel cuscino naturale mi evitava di farmi troppo male.
Naturalmente non me ne preoccupavo, i problemi vennero più tardi, durante lo sviluppo.
Insieme alle mie amichette controllavamo spesso i cambiamenti in atto nel nostro corpo.
Io e Cinzia, la mia amica del cuore, nell’intimità della mia o della sua cameretta ci sollevavamo la maglietta per vedere se erano cresciute.
A quell’età, le ragazzine al massimo hanno due bozzetti più o meno grandi come una prugna e buona parte della sporgenza è dovuta al capezzolo.
Io no.
‘Madonna! Le tue sono enormi, più grandi di quelle delle mia mamma.’
Anche il mio sedere, di conseguenza, aveva proporzioni simili, come se la sporgenza posteriore dovesse bilanciare in qualche modo quella anteriore.
Insomma ero una specie rara di adolescente tettona ‘ ed anche culona, se vogliamo dire tutto.
No, non erano tette finte, figuriamoci che mia madre aveva pure chiesto in giro se fosse possibile ridurle con un intervento chirurgico, perché io ne soffrivo molto.
A scuola le compagne mi sfottevano, mi chiamavano elefante, balena ed altri simili appellativi, ma non c’era verso di nascondere questa vergogna.
Considerate che a quattordici anni portavo la settima di reggiseno, anzi, per essere più precisi, avrei dovuto portare la settima, nel senso che ci sarebbe voluta una settima per contenere le mie tettone, che però non potevo indossare.
I reggiseni vengono prodotti su base statistica e i fabbricanti danno per scontato che una taglia grande sia indossata da una donnona grassa e non da una adolescente magra.
Si certo, le misure sono differenziate per dimensione della coppa e per circonferenza sottoseno, ma non si trovano tutte le combinazioni.
Inoltre, per descrivermi meglio, vi dico che il mio corpo era tutto sommato minuto, ma con le curve particolarmente accentuate, quindi avevo oltre alle tettone, un sedere grande e sporgente che si raccordava perfettamente con la mia vita sottile. Anche le gambe erano robuste ma ben tornite, con le cosce carnose, i polpacci modellati e terminavano con delle caviglie molto fini.
Quindi, la circonferenza dei reggiseni che potevano contenere la mia latteria (come la chiamava scherzosamente la mia mamma), era incompatibile con il mio busto magro.
L’unica possibilità era comprare un reggiseno grande e farlo accorciare, per poterlo chiudere dietro.
Ma c’era un altro problema, non riuscivo a trovare dei modelli adatti ad una adolescente o, al massimo, ad una donna giovane. Insomma era tutta roba triste, da vecchie ciccione cadenti, pesante da portare ed inutile, perché le mie cose, nuove nuove, si reggevano molto bene da sole, nonostante le dimensioni ragguardevoli.
La soluzione sarebbe stata farsi fare i reggiseni su misura da una bustaia, ma costavano un botto di soldi, così, spesso uscivo senza, piuttosto che mettere quella roba brutta, regolarmente di nascosto di mia madre che diceva che non era il caso che una ragazzina come me andasse in giro in quelle condizioni.
Insomma, quando uscivo di casa, invece di scendere le scale, salivo le ultime due rampe (io abitavo all’ultimo piano) e sul pianerottolo di accesso al terrazzo, dove non veniva mai nessuno, mi spogliavo, toglievo il reggiseno e mi rivestivo.
Il pomeriggio, prima di rientrare a casa, facevo la stessa cosa al contrario.
D’inverno, tutto sommato, la cosa passava inosservata e bastava camminare piano, evitando di saltellare, ma d’estate, con una maglietta o una camicia leggera, le mie tettone sembravano animarsi ad ogni passo, suscitando l’ilarità delle compagne e, soprattutto, dei compagni di scuola.
Mi vergognavo da morire, mi sentivo brutta e sbagliata, ma un giorno accadde un fatto che fece precipitare la situazione.
Avevo fatto tardi e vidi passare l’autobus, così, senza pensare che ero senza reggiseno mi misi a correre disperatamente verso la fermata.
L’autista fu gentile e mi aspettò, ma proprio mentre percorrevo gli ultimi metri, mi vidi riflessa nel vetro scuro di una banca.
Le mie grandi tette, completamente libere sotto una maglietta un po’ attillata (le mie magliette erano attillate per lo stesso motivo per cui non trovavo i reggiseni: o le prendevo che mi calavano sulle spalle o mi andavano strette lì), si muovevano alternativamente al ritmo della mia corsa.
Una volta salita a bordo, i sorrisetti e le occhiatine dei passeggeri mi fecero capire che tutti avevano assistito al mio spettacolo fuori programma.
Da quel giorno iniziai ad andare in depressione e così, per scacciare la tristezza, presi a mangiare di tutto.
No, non ingrassai, nonostante sia stata sempre di molto appetito, il mio peso non si spostava di un etto, e per fortuna, perché se fossi pure diventata cicciona, sarebbe stata la fine.
I compagni di scuola mi evitavano come se le mie tettone fossero sintomo di una malattia infettiva, mentre il sogno di ogni mia compagna era quello di diventare un giorno una modella famosa, naturalmente secca come un chiodo e quasi senza seno.
Il guaio era che questo stesso standard era adottato anche dai maschietti, che si comportavano come se non esistessi, tranne quando iniziavano a sfottermi.
Fui salvata da un’amica di mia madre, che la convinse a mandarmi da una psicologa.
Nel giro di un paio di mesi, con modi un po’ bruschi all’inizio, per scuotermi dal torpore in cui ero caduta, mi fece comprendere che io ero fatta così e che mi dovevo accettare per quel che ero.
Basta nascondersi, quindi cominciai a indossare vestiti aderenti e scollati e abbandonai ogni idea di ridurre il mio seno abbondante.
Tra l’altro avevo una paura folle di farmi l’operazione e poi, mi fece notare la psicologa, che era una bella signora alta e magra, tutto il contrario di me, non potresti mica ridurre anche il sedere.
Mi immaginai con due tettine come la mia amica Cinzia ed il mio culone voluminoso ‘ no, proprio non sarebbe andato bene.
Il penultimo anno delle superiori andò meglio, rispetto a quelli precedenti.
Diciamo che mi sfottevano un po’ meno, o forse ero io che non ci facevo caso, però ero sempre discretamente emarginata rispetto al gruppo classe.
La svolta.
Si proprio nell’estate tra il quarto ed il quinto, subito prima dell’inizio della scuola, ci fu una svolta clamorosa.
Una mia compagna organizzò la festa dei diciotto anni nella sua villa al mare ed invitò tutta la classe, compresa Carolina.
Ah, già, non ve l’avevo detto, io mi chiamo Carolina.
Come la mucca.
Questa della mucca Carolina è una storia vecchia che mi raccontava spesso mia madre e risale a tanti anni fa. Si trattava di un cartone pubblicitario di quando lei era piccola, per fortuna i miei compagni di scuola non lo conoscevano, altrimenti avrebbero avuto un altro argomento per tormentarmi.
Torniamo alla festa, io ci andai anche se sapevo già che sarei rimasta in disparte, più o meno ignorata da tutti.
Era accaduto proprio così, la serata stava finendo, erano rimaste poche persone ed io dovevo aspettare il padre di Cinzia che ci avrebbe riaccompagnate in città.
Insomma, me ne stavo fuori da sola, sorseggiando un bicchiere di spumante, ne avevo bevuti diversi, lo ammetto, quando si avvicinò a me Matteo.
Matteo era il più figo di tutti. Era l’inarrivabile: bello, alto, atletico, sportivo, brillante a scuola e pure pieno di soldi.
Diciamo che tutte le ragazze della classe (io no, perché neanche lontanamente avrei potuto immaginare di avvicinarmi a lui) gli giravano intorno ma inutilmente, visto che lui era fidanzatissimo con una strafiga, praticamente la versione femminile di Matteo.
Insomma arrivato di fronte a me mi guardò e ‘
‘Ti va di ballare, Carolina?’
Lo guardai come si può guardare un marziano che ti ha appena proposto di fare un giro sulla sua astronave e Matteo ripeté la domanda.
La festa era stata molto rumorosa e per ore il DJ aveva picchiato duro con una serie di brani techno a tutto volume e solo ora, che si era fatto molto tardi aveva messo qualcosa di più tranquillo.
Le note arrivavano lontane ed ovattate mentre io cercavo di capire cosa ci fosse sotto.
Uno scherzo, magari si sono nascosti e quando io accetto di ballare con Matteo escono fuori per prendermi in giro.
Ma no, ultimamente mi sembra che si siano un po’ calmati, così alla fine gli sorrisi e gli dissi di sì.
Anche se non eravamo vicinissimi, non avevo potuto fare a meno di poggiargli le mie tettone sul petto, stavamo lì, nella penombra del giardino della villa e mi stavo facendo cullare dal lento movimento, quando sentii le sue mani, prima appoggiate leggermente sulla mia vita, scendere lentamente.
Insomma mi aveva messo le mani sul culo, sul mio sederone che tutti schernivano, proprio lui, Matteo l’inarrivabile, quello che poteva scegliere liberamente tra tanti bei culetti magri, aveva scelto il mio.
Ma no, si deve essere sbagliato, pensai.
Le sue mani scesero ancora e strinsero la presa, facendomi accostare a lui.
Quella sera indossavo una gonna corta ma non cortissima, con un generoso spacco sul davanti, molto attillata, che fasciava perfettamente le mie forme rotonde.
Ad un certo punto sentii le sue mani scendere sulle cosce, superare il bordo inferiore della gonna, e risalire, questa volta a contatto con la mie pelle nuda.
Parlai solo quando, risalendo, incontrò le mutandine ed infilò le dita sotto il bordo inferiore.
‘Ma che fai?’, dissi io a bassa voce.
‘Oddio, scusa.’
Sembrava confuso, forse anche lui aveva bevuto troppo spumante, però non tolse le mani.
‘Ti da fastidio?’
Cosa dovevo rispondere?
Optai per la verità: ‘No, proprio no, ma perché?’
‘Mi piace.’
‘Ti piace ‘?’
‘Sì, mi piace il tuo ‘ insomma, hai un culo favoloso.’
Aveva detto l’ultima frase tutta d’un fiato, come se si volesse liberare di un peso.
Ero perplessa, non capivo, mi sembrava assurdo che il mio sedere, deriso da tutti, fosse apprezzato proprio da lui.
Temevo sempre lo scherzo in agguato, ma alcuni dettagli mi dicevano che non mi dovevo aspettare brutte sorprese.
Infatti, le sue mani continuavano a carezzarmi dolcemente le chiappe, mentre mi stringeva a sé con tale energia, che le mie tettone erano letteralmente schiacciate contro la sua camicia mezza sbottonata.
L’altro particolare, sicuramente il più convincente, consisteva nel fatto che c’era qualcosa di duro che premeva contro la mia pancia, e che, anche se non mi era mai capitato, sapevo bene, dai racconti delle mie amiche, cosa significasse.
‘Ma come, sono quattro anni che mi sfottete …’
‘Scusa, scusa ma io ora non più, da quando ti vesti così …’
Si riferiva al fatto che da un po’ di tempo avevo smesso di nascondere il mio corpo in abiti larghi ed informi e, dietro consiglio della psicologa, mi ero decisa a mostrare tutte le mie abbondanti forme.
Ora avevamo smesso di ballare e Matteo mi portò in un punto del giardino più lontano dalla casa e meno illuminato.
‘Carolina, ti posso chiedere una cosa?’
E certo, pensai io, mi puoi chiedere tutto quello che vuoi.
‘Me le fai vedere?’
‘Cosa?’
‘Le tue …’, stava per dire tettone, ma poi si corresse al volo, ‘… i tuoi seni, ti prego.’
Matteo, l’inarrivabile, che mi pregava, proprio a me, quella che non si cagava nessuno, neanche di striscio.
‘Ma certo’, e cominciai a sbottonare la camicetta, benedicendo il fatto che da pochi giorni ero riuscita a procurarmi un paio di reggiseni carini della mia taglia.
Veramente li avrei preferiti neri, o meglio, rossi, ma il negoziante mi aveva detto che era già tanto averli trovati e che quindi, era il caso che mi accontentassi del bianco, unico colore disponibile.
Mi passò per la mente un ultimo brutto pensiero: ecco, adesso escono da dietro la siepe i suoi amici che iniziano a sfottermi: scema, ci sei cascata, ed io lì, con la camicetta aperta, che cerco di ricoprirmi frettolosamente.
Non accadde nulla di tutto ciò, anzi Matteo, lesto, infilò le mani dietro la mia schiena ed iniziò ad armeggiare con i ganci del reggiseno.
Doveva essere pratico di questo genere di indumenti, però non aveva fatto i conti con le dimensioni ed il peso delle mie tette, che tiravano di brutto rendendo lo sgancio meno agevole, anche perché, per contenere tutto quel ben di Dio, non bastava un gancino, ma ne occorrevano ben quattro.
Alla fine lo aiutai e, una volta aperto dietro il reggiseno, infilai le mani sotto le coppe e lo feci salire.
Matteo fissava estasiato i miei seni enormi per metà abbronzati e per metà bianchi.
Ero stata spesso al mare ed avevo finalmente abbandonato i soliti costumi interi, in favore di un due pezzi rosso.
Avevo scelto un modello di quelli che si legano dietro la schiena, unico in grado di contenere (più o meno) delle tette della mia taglia, ma dovevo passare gran parte del tempo sdraiata, perché dopo un po’ mi faceva male il collo, così andavo a fare il bagno, perché la spinta dell’acqua verso l’alto alleggeriva la pressione del costume e poi mi sdraiavo sull’asciugamano, magari slacciando pure il pezzo di sopra.
Matteo affondò il viso in mezzo al mio seno e cominciò a baciarmi e leccarmi, sembrava impazzito.
Finì tutto, (purtroppo) all’improvviso, vidi i fari di una macchina e poi sentii la voce di Cinzia che mi chiamava, perché doveva essere arrivato suo padre. Il lunedì successivo iniziava la scuola, ma la cosa a cui pensavo di più era lo strano incontro avuto con Matteo due giorni prima.
Aveva bevuto di sicuro, mi dicevo, vedrai che di giorno, in classe, non ti si filerà minimamente.
Però, lo ammetto, un pochino ci speravo, mi sarebbe bastato un sorriso, una parola gentile, mica pretendevo che mi baciasse davanti a tutti.
Per tutta la mattina i suoi occhi sembrarono voler evitare accuratamente di incrociare il mio sguardo, così quando uscimmo da scuola quasi non ci pensavo più.
Stavo parlando con Cinzia ed un’altra ragazza, quando ci arrivò alle orecchie il suono di una conversazione molto animata.
A qualche decina di metri da noi, due persone stavano litigando, o meglio, una donna stava insultando qualcuno.
Le parole mi arrivavano un po’ smozzicate, a causa dei rumori del traffico, ma udii chiaramente tre o quattro frasi, di cui la più gentile era pezzo di merda.
Ci voltammo tutte e tre nella direzione dell’alterco e scoprimmo che la proprietaria della voce femminile era la strafiga ragazza di Matteo, che intanto se ne stava zitto, poggiato alla sua moto fiammante, senza minimamente reagire alla sfuriata.
Lei terminò la conversazione scaraventando in terra il casco da moto che aveva in mano, voltò le spalle a Matteo e se ne andò rapidamente, agitando il suo culetto magro, arrampicato in cima alle sue gambe lunghissime, lasciate quasi completamente scoperte da una minigonna mozzafiato.
‘Cazzo’, sentii esclamare da qualcuno alle mie spalle, nel silenzio innaturale che si era improvvisamente creato.
Poi successe una cosa incredibile, che non potrò mai dimenticare.
Matteo raccolse da terra il casco, si infilò il suo, e salì sulla moto. Percorse lentamente le poche decine di metri che lo separavano dell’ingresso della scuola, dove si trovavano tutti, tenendo il secondo casco infilato nel braccio e si fermò proprio di fronte a me.
‘Carolina, mettiti questo’, disse porgendomi il casco che la sua ragazza aveva poco prima scaraventato in terra, ‘ti accompagno a casa.’
Cinzia e la sua amica mi guardavano incredule, mentre io mi allacciavo il casco.
La cosa più complicata fu salire sulla moto, perché Matteo aveva una moto sportiva, di quelle in cui il posto del passeggero è proprio di fortuna.
Comunque riuscii a sistemarmi sulla sella rigida e piccola che saliva molto in alto, arrampicandosi quasi sul parafango posteriore, mi abbracciai a lui, poggiandogli le mie tettone sulla schiena, perché lo spazio era veramente poco e partimmo sfilando davanti agli sguardi allibiti di tutti.
La prima a telefonarmi a casa fu Cinzia: ‘mi spieghi che cavolo è successo?’
‘Beh, lo hai visto, Matteo mi ha dato un passaggio a casa.’
‘Dai, non fare la scema, come hai fatto? Proprio tu?’
‘Che vuol dire proprio tu? Intendi forse che rispetto a te o alle altre mi manca qualcosa?’, e mentre dicevo queste parole pensavo che forse ero io ad avere qualcosa di più.
Capendo che stava incamminandosi su un terreno minato, Cinzia cambiò registro ma alla fine dovetti dirle la storia della festa.
‘Senti, ora passo da te così mi racconti meglio.’
‘Non è possibile mi sto preparando,esco tra mezz’ora.’
‘Dai, vengo anch’io.’
‘Ma io esco con Matteo, mi passa a prendere tra poco.’
L’anno della maturità fu molto particolare. Avevo il mio primo ragazzo, buona ultima tra tutte le mie amiche, ma avevo accalappiato il più ambito e questo mi spinse a cercare di recuperare il tempo perduto.
In realtà non eravamo profondamente innamorati l’uno dell’altra, ma ci legava fortemente un’attrazione fisica, fortissima ed improvvisa da parte sua, tanto da averlo portato a piantare bruscamente e platealmente la strafiga, altrettanto forte ma maturata nei giorni successivi da parte mia.
I compagni di classe, superato il primo sbigottimento, avevano fatto finta di niente, visto che Matteo era una specie di leader, però era strano che Carolina, considerata fino ad ora una balena inguardabile, ora venisse considerata una ragazza normale.
Studiavamo (si fa per dire) spesso a casa sua, ma devo dire che il rendimento non fu massimo, visto che i genitori di Matteo non erano mai in casa.
Piaceva a tutti e due toccarci.
Per anni avevo desiderato disperatamente ed inutilmente, che qualche ragazzo apprezzasse il mio corpo ed ora avevo trovato un ardente ammiratore.
Matteo era instancabile, avrebbe passato tutto il pomeriggio a carezzare e baciare le mie le mie chiappe e le mie cosce, ma quello che più lo mandava in visibilio era quando mi sbottonavo la camicetta o mi arrotolavo completamente la maglietta.
Per le mie tettone avrebbe fatto qualsiasi cosa gli chiedessi.
Mi confessò che a scuola, negli ultimi tempi, quando avevo iniziato a portare magliette aderenti, mi osservava spesso di nascosto degli altri, quando passavo tra le file dei banchi rimaneva come estasiato nel vederle muoversi sotto i vestiti, mentre quando io tiravo indietro le spalle per stiracchiarmi, seduta nel banco, i capezzoli premevano così forte che quasi sembrava volessero bucare la stoffa.
Dopo un po’ di tempo passato a giocare con le mie tettone, arrivava la richiesta di Matteo.
Io lo facevo penare un poco, ma era un gioco, e lo sapevamo tutti e due, alla fine cedevo e lo premiavo.
‘Ah, la spagnola’, mi aveva detto Cinzia quando gli avevo raccontato del nostro gioco preferito, ‘non mi piace troppo, perché finisce sempre che mi sporco la faccia’, aveva aggiunto con il tono di chi sapeva il fatto suo.
‘A me non succede’, avevo ribattuto, e poi ci eravamo messere a ridere.
Mi immaginavo la mia amica con un uccello in mezzo alle sue tettine minuscole, certo che ti sporchi.
A me non capitava, perché le mie tettone avvolgevano completamente l’arnese di Matteo (che era ben dotato, ma questo l’ho scoperto in seguito, quando ho potuto fare dei confronti) e quando lui veniva, rimaneva tutto lì.
Poi andavamo in bagno, lui prendeva una spugna ed iniziava a lavarmi, ma resisteva ben poco e riprendeva subito a leccarmi e baciarmi le tette, così tornavamo in camera, io mi sdraiavo sul letto, Matteo mi levava le mutandine, che nel frattempo erano diventate zuppe e cominciava a leccarmi, finché non venivo.
Facevamo così, quasi tutti i giorni, una volta per uno, ci davamo il piacere a vicenda e, più lo facevamo e più avremmo voluto farlo.
Un giorno Matteo mi propose una cosa diversa.
‘No, Matteo, questo no, non me la sento, capisco che ti piace il mio culo, ma ho troppa paura di farmi male.’
Così, per farmi perdonare questo rifiuto, presi una iniziativa che lo stupì.
Avevo preso tra le mani le mie tettone ed avevo cominciato a strofinargli i capezzoli sull’uccello, sapevo che aveva un effetto fulminante, infatti si alzò subito, dritto e duro.
Lui già si aspettava che io mi sdraiassi sul letto per fargli l’ennesima spagnola, quando invece mi abbassai e glie lo strinsi tra le labbra.
Cinzia mi aveva istruito su come comportarmi ma temevo che mi avrebbe fatto schifo, invece il mio primo pompino uscì benissimo, sentivo il mio Matteo gemere di piacere mentre mi sembrava che gli diventasse sempre più grande e sempre più duro. Il momento finale fu bellissimo, avevo paura che lo sperma in bocca mi facesse schifo, Cinzia mi diceva che aveva un pessimo sapore e che lei cercava di togliersi all’ultimo, ma il suo ragazzo si incazzava perché diceva che così gli rovinava il momento più bello. Per me non fu affatto così, evidentemente avevamo gusti diversi, infatti mi lasciai riempire completamente la bocca e poi con calma andai a sputare in bagno.
Già dalla seconda volta, però, iniziai ad ingoiare un po’ di sperma e scoprii che non mi dispiaceva affatto, era come se Matteo fosse ancora più mio.
A questo punto il nuovo gioco diventò che lui cominciava a carezzarmi le chiappe.
‘Dai Carolina, fammi entrare dietro, solo per questa volta.’
Lo sapeva benissimo che io gli avrei detto di no, ma lui continuava per un po’ la manfrina, finché non glie lo prendevo in bocca.
Un giorno, ero appena arrivata in casa sua, mi mostrò una cosa con aria molto seria.
Certo, sapevo di cosa si trattava, Cinzia me li aveva fatti vedere, ne teneva sempre una confezione nella borsetta, della serie non si sa mai, visto che nessuna voleva fare la fine di Arianna, una nostra ex compagna di classe, scemotta e pluriripetente, che era rimasta incinta ed aveva cercato stupidamente di nascondere la cosa, finché la pancia non era diventata così evidente che se ne era accorta anche sua madre.
Arianna aveva abbandonato la scuola a metà anno, si era sposata in fretta e furia, ma il suo matrimonio era finito solo tre mesi dopo la nascita della sua bambina. Insomma una vita rovinata.
Beh, non l’avevo mai fatto prima, ed un po’ di paura l’avevo.
‘Certo, Matteo, sono vergine, lo sai che non ho avuto nessuno prima di te.’
il massaggio della sua lingua fu molto convincente a farmi superare le paure e quando mi infilò il suo arnese, rivestito da quella sottile pellicola semitrasparente non pensai che avrei potuto sentire dolore.
Ero così bagnata, così eccitata, che entrò dentro senza il minimo sforzo, poi Matteo spinse un po’ di più e sentii una fitta dolorosa, ma molto meno di quello che temevo.
Accidenti che mi ero persa finora.
Cinzia mi aveva raccontato di una sua prima esperienza brutta, perché aveva provato solo dolore, visto che era tesa da morire. Io no, eravamo così in sintonia io a Matteo, che fu per me uno dei migliori orgasmi (almeno fino a quel momento).
L’avrei anche rifatto subito, ma siccome continuavo ad avere qualche perdita di sangue, a malincuore decidemmo di evitare.
Quella sera al telefono, raccontai tutto a Cinzia.
‘Benvenuta nel club’, mi disse, ‘una di queste sere dovremo festeggiare con le altre.’
Da quel giorno cominciammo a farlo con frequenza e così succedeva che quando andavo via da casa sua, mi portavo appresso, in una bustina di plastica, i preservativi usati, meglio evitare che la madre li trovasse nella spazzatura.
Purtroppo la storia tra me e Matteo finì improvvisamente dopo sei mesi perché lui fu costretto a trasferirsi all’estero con la famiglia, per motivi di lavoro del padre.
Ci siamo scritti per un po’, poi, piano piano la nostra corrispondenza si è diradata, fino a cessare del tutto.
Delle volte mi chiedo come sarebbe andata a finire se Matteo non fosse dovuto partire, poi penso che sono una trentaduenne formosa, soddisfatta ed apprezzata, lo penso specie la sera, mentre mi spoglio sotto gli occhi interessati del mio compagno, che mi ha scelto proprio perché sono fatta così.

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