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Racconti Erotici Etero

La chioma di bernice

By 13 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Sui volti delle persone si leggeva stanchezza, paura, fame. Guance incavate, occhi rossi, barbe lunghe, fanciulli col moccio, donne ancor giovani, una volta floride, con abiti troppo larghi, nei quali s’indovinavano seni flaccidi, glutei cascanti. Una lunga teoria di gente malvestita, che s’illudeva di trovare la conclusione delle proprie sventure lasciando la città divenuta un cumulo di macerie. Non v’era casa che non avesse subito l’oltraggio delle bombe nemiche. I negozi, quei pochi non ancora distrutti, erano vuoti. Il cibo mancava, arrivava saltuariamente, finiva prima di contentare tutti.

Tornare al paese. Lì. Almeno, c’é da mangiare. Era come raggiungere l’Eldorado. Non tutti vi sarebbero arrivati, e molti vi avrebbero trovato morte e distruzione.

Ogni tanto riusciva a partire un treno. Stracarico di coloro che erano riusciti a salirvi, e che spesso erano rimasti per ore ed ore, prima che il convoglio, sbuffando e arrancando, decidesse a muoversi.

Antioco, col piccolo tascapane a tracolla, cercava dove potersi arrampicare, ma già molti facevano grappolo alle porte. I vagoni destinati, una volta, al trasporto del bestiame, traboccavano di gente ammassata alla meglio. Era andato su e giù, senza riuscire a salire. Vide una piccola mano bianca fargli cenno, come se lo chiamasse. La piccola suora gli faceva cenno di avvicinarsi. Si rivolgeva agli altri: ‘E’ mio fratello, non posso partire senza lui. Per amore di Dio, un centimetro ognuno, e ci sarà posto anche per lui. Vi prego, fratelli.’

Antioco riuscì ad arrampicarsi sul carro merci, e si trovò tra le braccia della giovane suora, quasi una bambina, che gli sussurrò all’orecchio: ‘Come ti chiami?’ Le disse mormorando: ‘Antioco, sorella, e tu?’ ‘Berenice.’

Si tennero per mano, guardandosi affettuosamente negli occhi, di tanto in tanto. Intorno fiorivano i commenti della gente. Incontrarsi in quel modo, in quelle circostante, fratello e sorella. Un vero miracolo. Una donna corpulenta dal volto pensoso, disse che bisognava ringraziare Dio, la Vergine Santa, bisognava recitare un rosario. Lo avrebbe iniziato lei, al momento opportuno. In un angolo del vagone erano seduti, stanchissimi, alcuni malandati vecchietti, con barbe incolte, di colore incerto, che sembravano sporche, occhi infossati e con qualche dente che aveva disertato la bocca tremolante. Guardavano la scena tra il compiaciuto e lo scettico, con la tipica malizia dei molto anziani.

‘Certo’ ‘disse uno di loro- ‘quel giovane ha avuto culo a ritrovare la sorella.’

Il vicino si raschiò la gola.

‘Preferisco quello della ragazza.’

‘Ma Gaetà, é una suora.’

‘Si, ma sempre culo é.’

E scoppiarono a ridere.

Il convoglio ebbe come un sussulto, un urtarsi e riurtarsi di vagoni mal frenati. Poi s’udì un forte getto di vapore, e il treno cominciò a muoversi, lentissimamente, con sbuffi asmatici, che sembrava dovessero esaurirsi da un momento all’altro.

Antioco prese la ragazza per mano.

‘Vieni, sorella, mettiamoci in quell’angolo, dove non giunge fumo e carbone.’

Sedettero, stanchissimi, sul pavimento, poggiando la schiena sul legno della parete.

Si misero a parlottare, a bassa voce, per non farsi sentire dai vicini.

‘Di dove sei, Antioco?’

‘Di Stazzera.’

‘Siamo quasi paesani, io sono di Marra. Conosci i Reale?’

‘No, perché io al paese ci sono stato poco. Ho studiato in città, ospiti di alcuni zii, poi sono venuto qui, all’Università, ma mi hanno chiamato subito in servizio militare. Dopo tutto il caos dei giorni scorsi, ho gettato la divisa, ho rimediato questi pochi stracci, e ho deciso di andare a casa, se non sarò catturato prima.’

‘Sei militare?’

‘Si, sono, anzi ero, ufficiale, adesso non so come chiamarmi, sbandato, disertore… Comunque, disgraziato.’

‘Non dire così, siamo vivi, abbastanza in salute, e stiamo facendo ritorno a casa, dai nostri affetti. Molti non potranno farlo, mai più. Altri sono infermi.’

‘Hai ragione, sorella, ma sono avvilito, scoraggiato. E tu, Berenice, come mai, così giovane e bella, hai preso i voti? Come sei riuscita ad essere qui, da sola? Voi suore, mi sembra di sapere, dovreste sempre essere almeno due insieme.’

‘E’ una lunga storia.’

‘Perché non me la racconti?’

‘Ti annoierei.’

‘Prova a dirmela, se mi annoierò te lo dirò.’

‘Vedi, io sono ancora novizia, e per questo sono riuscita ad avere il permesso di andare a trovare i miei. Ho anche promesso che, al ritorno, avrei portato un po’ di provviste per le consorelle. L’aver scelto il velo é un altro discorso. Sono andata a studiare dalle suore, e senza accorgermene mi é sembrata una cosa naturale scegliere di restare in quell’ambiente. L’anno scorso ho conseguito il diploma di maestra elementare, ed ho deciso di insegnare in una scuola tenuta dalle suore.’

‘Sei consapevole di cosa lasci, fuori del convento?’

‘Credo di si.’

‘Nessun ripensamento?’

‘Ho ancora tempo per prendere i voti definitivi, ma non ho motivo di credere che muterò parere.’

Il treno procedeva a velocità ridotta, le ruote ritmavano le giunture dei binari, monotonamente, la tensione stava cedendo alla stanchezza che, quasi inavvertitamente, prendeva il sopravvento. A Berenice andavano chiudendosi gli occhi. Ciondolò alquanto, senza accorgersene appoggiò la testa sull’omero di Antioco, s’assopì. Il giovane la cinse col braccio, per le sostenerle il capo, e le sfiorò la guancia con una lieve carezza. Cominciavano a cadere le prime ombre dell’ancor tiepido autunno.

Il convoglio rallentava, le ruote stridevano serrate dai freni, i respingenti dei vagoni urtavano tra loro. Si erano arrestati in aperta campagna, col cielo che diveniva sempre più scuro, le prime stelle apparivano incerte.

Berenice si mosse, cercò di stendersi sull’assito, si coricò su un fianco, alla meno peggio, adagiò la testa sulle gambe del compagno di viaggio, con la mano allargò il soggolo che le copriva il collo e circondava il viso, lo spostò verso la nuca lasciando apparire corte ciocche biondo oro. Antioco prese alcuni capelli tra le dita, erano sottilissimi, come filamenti di seta, con riflessi di platino che nel buio quasi non si distinguevano, e li tenne così, a lungo, strofinandoli delicatamente, con uno strano senso di tenerezza. Passò, timidamente, un dito sul sottile e delicato arco delle sopracciglia dorate, intorno agli occhi chiusi, più lieve d’una piuma, lungo la gota, sulle piccole labbra vermiglie, sul collo d’avorio. Si fermò a percepire il pulsare del sangue nelle piccole vene azzurre, l’accarezzò con la palma aperta. Le prese una mano e la tenne tra le sue.

Il convoglio si rimise in moto, il vagone riprese a dondolare, cullando quella gente speranzosa che cercava di dormire, per non pensare, per non avvertire la lentezza del trascorrere del tempo.

Antioco non vedeva quasi più la ragazza, ma ne sentiva il tepore, il dolce peso del capo, i piccoli involontari moti della mano che accoglieva tra le sue dita. Rimasero così alquanto a lungo, e anche lui, di quando in quando, s’assopiva per brevi periodi.

Berenice si mosse, si mise seduta, rimase intimorita dal buio che la circondava. Riordinò le idee. Avvertì la vicinanza di Antioco, che riusciva a malapena a intravedere nell’oscurità. Lui, già abituato alla notte, le afferrò la mano e sentì contraccambiare la sua stretta, con riconoscenza.

‘Ho dormito molto, Antioco?’

‘Un po’.’

‘Ero stanca, molto stanca. Ti ho dato disturbo?’

‘No, sorella carissima, mi hai fatto compagnia. Dimmi, posso chiamarti Berenice?’

‘Certo, é il mio nome. Chissà dove saremo.’

‘Non credo che sia stata fatta molta strada.’

‘Quanto ci metteremo, di questo passo?’

‘Per arrivare a casa? Molto più di un giorno, se la strada ferrata é intera.’

‘Cosa hai fatto, mentre dormivo?’

‘Un po’ ho riposato anche io, ed ho pensato.’

‘Cosa?’

‘Mille pensieri, coincidenze, speranze.’

Aveva completamente tolto il soggolo e riposto nella grossa sacca che portava con se. S’era seduta accanto a lui, e ora ne scorgeva i tratti del volto.

‘Che pensi che sta male se rimango così? Mi dà fastidio sentirmi fasciata la testa. Tu, però, dimmi qualcuno dei tuoi pensieri.’

‘Non credo che qualcuno abbia a ridire se resti così. Penso che anche la lunga veste ti sia di impaccio. Non hai altro da indossare?’

Non rispose, anzi gli fece una domanda.

‘Allora, cosa hai pensato?’

‘Soprattutto alla tua affettuosa premura. Mi hai salvato, chiamandomi, facendomi passare per tuo fratello.’

‘Siamo tutti fratelli. No?’

‘Ho pensato ai nostri nomi, ho cercato di ricordare le lezioni di Don Alceste, l’insegnante di Religione che, soprattutto, ci parlava della Storia sacra, dei luoghi, dei personaggi. Berenice, figlia di Tolomeo Filadelfo, che si tagliò la lunga e bellissima treccia e la depose nel tempio di Canopo, in voto perché il suo sposo fosse tornato sano e salvo dalla guerra di Siria. La chioma di Berenice, cantata da Callimaco, da Catullo, da Foscolo, che rifulge nel cielo, specie in primavera ed estate, poco lungi dalla Vergine, ad oriente dell’Orsa Maggiore, ad eterno ricordo di un generoso sacrificio per amore dello sposo. E lo sposo di Berenice era Antioco.

La donna l’aveva ascoltato attentamente, in assoluto silenzio, Ad un tratto s’era ancor più avvicinata a lui e gli s’era messa sottobraccio.

‘E’ bello quello che hai pensato, Antioco. Anch’io ho sacrificato la mia treccia al mio sposo, a Gesù.’

E gli carezzò la mano.

Il treno s’era fermato nuovamente, sempre lontano dalle stazioni. Due ferrovieri camminavano lungo il convoglio, informando che la sosta sarebbe durata un’ora e che tre minuti prima di ripartire il macchinista avrebbe avvisato con tre lunghi fischi.

Molti cominciarono a scendere dal vagone.

Berenice sussurrò qualcosa all’orecchio di Antioco. Il tono della voce esprimeva disagio, ma il buio non ne rivelava il rossore del volto.

‘Scendiamo anche noi, Berenice. Siamo in campagna, ci saranno delle siepi, ci sono io a garantirti da qualsiasi importunità o indiscrezione.’

Quando furono sulla massicciata, scorsero una lunga fila di arbusti che, in basso, costeggiava un campo arato. Vi si avviarono guardandosi intorno. Non c’era nessuno.

Antioco si fermò e diede le spalle agli arbusti.

‘Sembra fatta apposta, bambina, Ti aspetto qui.’

Mentre la ragazza, timorosa, si appartava dietro la fratta, Antioco ne profittò per analoga necessità.

Dopo poco, Berenice riapparve, e s’aggrappò al braccio dell’uomo.

‘Scusami, ma non potevo farne a meno.’

Lui le sorrise e le sfiorò il volto col dorso della mano. Le parlò con tono scherzoso.

‘A questo non può sottrarsi neppure il Papa, ed anche se le Scritture non ne parlano, ovviamente, era in uso anche ai tempi dei Patriarchi. A un’altra cosa non potevano esimersi. Io ho un po’ fame, e nel tascapane ho da mangiare. Tu?’

‘Anch’io ho appetito, e anche nella mia borsa ci sono delle provviste.’

‘Allora, torniamo su.’

L’aiutò a salire sul vagone, prendendola per la cintola e sollevandola. Un corpicino ben fatto, sodo e scattante.

Profittando che c’era poca gente, tornarono nel loro angolo. Antioco disse che avrebbero cominciato dalle sue riserve. Aprì il tascapane ne estrasse due belle pagnotte, del salame, del formaggio, un coltello a serramanico, due mele, una borraccia.

‘Non ho bicchiere, Berenice, dovrai bere direttamente dalla borraccia, dove berrà anche Antioco.’

‘Se avvicinerai le tue labbra al recipiente, dopo di me, leggerai i miei pensieri, ed io sono molto riservata. Perciò, bevi prima tu.’

Mangiarono quasi allegramente, in un breve intermezzo spensierato, e bevvero il vinello frizzante di Antioco. La bottiglia dell’acqua rimase al suo posto.

‘Allora, Berenice, hai appreso il mio pensiero?’

‘Si.’

‘Perdonami, non potevo farne a meno.’

‘E tu, hai conosciuto il mio?’

‘Si.’

‘Meno male che siamo al buio, così non vedi il mio volto. Sono piena di vergogna.’

‘Per aver mangiato con me, con un uomo?’

‘Mettiamola così, ma non sono con un uomo, sono con te.’

‘Cambia?’

‘Dev’essere il vinello. Non sono abituata a berne. Ma era ottimo, invitante, tentatore, stuzzicante, gradevole. E io sono caduta in tentazione. Ora sono un po’ euforica, come mai so stata. Fuori del comune, in questa tragedia che ci circonda.’

‘Serve a sollevarci un po’ lo spirito.’

‘Sono un po’ ebbra, e anche assonnata. Non dovevo bere tanto.’

‘Non hai bevuto molto. Non pensarci, riposerai meglio. Solo che dovrai contentarti del ruvido pavimento di legno. Mettiti giù, cerca di riposare.’

Tolse dal tascapane un giubbotto morbido, lo piegò e lo mise giù, a modo di cuscino.

‘Poggia il capo su questo, starai meglio.’

Berenice si distese sull’assito, e mise il capo sul giubbotto.

‘Grazie, é soffice. Cercherò di dormire. Ho sonno. Il vinello fa il suo effetto.’

Si girò su un fianco. Lui le si coricò dietro, accogliendola sulle ginocchia, così raggomitolata, come in un rifugio che la proteggesse. L’abbracciò teneramente, e dopo poco ne avvertì il respiro pesante e regolare. Muovendo la mano, aveva trovato un passaggio nella pettina della veste e vi s’era infilato incontrando la leggera cotonina della camiciola che copriva il piccolo seno sodo, perfettamente modellato, col capezzolino che s’inturgidì non appena lo sfiorò. Berenice si mosse un poco, assestandoglisi meglio nella nicchia del grembo.

Il treno riprese il suo cammino, con lentezza esasperante. Il dondolio del vagone cadenzava ritmicamente la pressione delle natiche di Berenice sulle ginocchia di Antioco che avvertiva il progredire d’una insistente e piacevole eccitazione. Avrebbe dovuto scostarsi da Berenice, ed invece s’accorse di avvicinarla ancor più a sé, stringendole il seno. Il lieve muoversi della ragazza aumentò tormentosamente la sua erezione.

Accanto alla testa di Berenice era stato deposto un fagottello che nascondeva il volto paffuto e sereno d’un piccolo bambino, di pochi mesi, beatamente addormentato dopo aver poppato al seno della madre. I genitori erano sdraiati, riparati da una coperta che rivelava un singolare intreccio di corpi. La donna poggiata sul fianco destro, di fronte al marito, dava la schiena ad Antioco, e si capiva che la sua gamba sinistra era sul fianco dell’uomo mentre la destra giaceva sotto di lui. Muoveva il bacino, lentamente, mormorando qualcosa di incomprensibile, forse era solo un flebile gemito. Il moto andava sempre più incalzando e il bisbiglio diveniva parola, Giusé… haaaa… Giusé… , terminando con un profondo sospiro d’appagamento. Restarono così, mentre Antioco aveva prepotentemente ghermito la tettina di Berenice, e, pur con l’odiosa barriera dei vestiti, spingeva prepotentemente il suo sesso tra le virginee natiche della fanciulla.

Il respiro di Berenice s’interrompeva ogni tanto, per riprendere quasi agitato, come se, avida d’aria, volesse inspirarne il più possibile. Forse non se ne rendeva conto, ma reagiva alla pressione d’Antioco, protendendo istintivamente il fondo della schiena, portandosi le mani tra le gambe.

Il giovane, turbato, eccitato e infiammato dai sospiri orgasmici della donna di Giuseppe, stava pensando di alzarsi. In quel momento, Berenice si girò verso di lui e, seguitando a dormire pesantemente, l’abbracciò, con la bocca accanto al suo volto, quasi a sfiorargli le labbra. Tanto vicina che gli bastò sporgere la lingua per lambirla e gustarne la saliva.

Cominciava ad albeggiare, Antioco, improvvisamente era stato vinto dal sonno. Era da molto che non dormiva. Ma il riposo non durò a lungo. Si destò di soprassalto. Berenice era sveglia, seduta al suo fianco, e lo guardava in un modo che gli apparve strano.

‘Buon giorno, sorellina, qualcosa che non va?’

Lei strinse le labbra e annuì piano con la testa contornata di corti riccioli d’oro.

‘Forse si. Mi sono svegliata che ero quasi abbracciata a te.’

‘Allora?’

‘Non scherzare, Antioco, ti sembra bello che una suora dorma stretta a uno sconosciuto che ha incontrato solo poche ore prima?’

‘Perché, doveva conoscerlo da tempo?’

‘Non scherzare, é una cosa seria.’

‘Dammi la mano, piccola Berenice, ed esaminiamo gli eventi. Ieri, alla stazione, hai visto un giovane, smarrito, che invano cercava di salire sul treno, mosso da un desiderio, da una necessità che tu ben conoscevi e che ti aveva spinta a partire. Ti sei commossa, hai aiutato un fratello e, forse involontariamente, hai cercato una protezione. Di questi tempi non é certo il vestito da suora che ti soccorre. Non é un caso, credo, che siamo quasi compaesani, abbiamo sentito una certa fiducia che ci ha attratto, fatti incontrare. Esausta, affaticata, emozionata, sei riuscita a dormire proprio perché ti sentivi sicura, perché avevi ritenuto, e giustamente, di aver trovato un custode, e a quel custode ti sei istintivamente affidata, aggrappata. Dimmi perché vogliamo trovare della sconvenienza in ciò.’

‘Perché sono una suora.’

‘Intanto, precisiamo che non lo sei ancora, hai tempo un anno per prendere meglio coscienza della tua vocazione. Se non ricordo male é quanto esposto nel Diritto canonico. Questi eventi servono anche per operare le scelte con perfetta consapevolezza. Facciamo un esempio. Sei mai stata fidanzata? Hai mai avuto simpatia per un ragazzo?’

‘Cosa c’entra tutto questo. Comunque, ho studiato dalle suore, e lì ragazzi non ci sono.’

‘Quindi rinunci a qualcosa che non conosci.’

‘Discorsi senza senso, caro mio. Io ho scelto d’essere la sposa di Cristo, dedicarmi a lui, e solamente a lui, per tutta la vita, cercando di fare del mio meglio per insegnare e testimoniare la sua parola.’

‘Scusa, ma una madre di famiglia non può insegnare e testimoniare la parola di Cristo, oltre ad essere brava sposa di un uomo e ottima madre di figli che aumentano il popolo di Dio? E credi proprio che la vita di una suora sia più pesante e sacrificata di quella di una madre? Non c’é il pericolo che sopravvalutiate la rinuncia di qualcosa che, in fondo, ignorate? Pensa a tua madre, ai suoi rapporti col marito, coi figli, col mondo, al suo lavoro, ai suoi sacrifici.’

‘Stai sviando l’argomento. Io voglio dire solo che é sconveniente che io abbia dormito abbracciata a te.’

‘Si può ravvisare malizia in tutto, quando si vuole, o quando si é portati a pensare in un certo modo.’

‘Non penso, ma constato, e concludo.’

‘Cosa hai constatato, cosa concludi?’

‘Non é bene che te ne parli… Anzi, no, te ne accennerò perché nella tua onestà di giudizio tu comprenda se una mia certa confusione sia infondata o meno. Ho sognato qualcosa, risparmiami i particolari, che mi ha turbata, una vicinanza eccessiva, troppo confidenziale, ed ho conosciuto sensazioni che non si addicono a chi rinuncia alla vita secolare, alla mondanità. Non deve accadermi, mai più. Lo ripeto sempre, nelle mie preghiere, non indurmi in tentazione.’

‘E si prosegue, liberami dal male, quindi ci si riferisce alla tentazione del male, all’opera del maligno, non a desideri naturali e legittimi, come quello di nutrirsi, di vestirsi, d’amore.’

‘Mi sembra un modo semplicistico di vedere le cose.’

‘Semplice, non semplicistico. Senza infingimenti, senza distorsioni, senza riserve mentali. Dare alle cose il proprio nome. Riconoscere serenamente, pulitamente, i propri sentimenti.’

‘Dimentichi che sono una novizia e devo sapermi controllare.’

‘Non credo che dalle novizie si pretenda che considerino male ciò che male non é. Mi sembra, però, che si tenda a ravvisare della malizia anche nelle cose più ingenue e naturali.’

‘E’ naturale che una suora dorma abbracciata ad un uomo?’

‘E’ naturale che una ragazza sola, impaurita, in un drammatico viaggio tra tanta gente sconosciuta, si affidi a un giovane in cui sente di poter avere fiducia e cerchi rifugio accanto a lui?’

‘Va bene, mettiamola così. Ma non credo che la gente non sorrida vedendo una vestita da suora troppo vicina a un ragazzo.’

‘E tu, perché indossi quella veste?’

‘Mi da un senso di sicurezza. Nella sacca, però, ho il vestito e le scarpe che i miei mi hanno regalato l’anno scorso, quando sono andata a casa in vacanza.’

‘Metti quello.’

‘Come faccio.’

‘Aspetta.’

Si avvicinò alla moglie di Giuseppe, che stava seduta col bimbo in braccio.

‘Scusate, mi chiamo Antioco. Mia sorella vorrebbe cambiarsi, mettere un vestito che non sia da suora, per essere meno impacciata nei movimenti, per salire e scendere dal vagone. Voi avete una coperta, se la manteniamo come un paravento, lei dietro, potrà cambiarsi. Mi fate questo favore.’

Si alzò. Una bella e formosa bruna. Porse il bambino al marito, che le era a lato.

‘Mantieni, Giusé, che devo aiutare questi giovani.’

Prese la coperta e ne diede un angolo ad Antioco, si rivolse a Berenice, invitandola ad andarvi dietro, per cambiarsi. Berenice prese la sacca e si appartò nell’angolo formato dai lati del vagone e la coperta, tenuta distesa dalla donna e dal giovane. Si sentì un fruscio di vesti e Berenice comparve in un semplice e grazioso vestito rosa, a fiori, che poneva in risalto il suo bel corpo, fino ad allora nascosto nella lunga veste nera.

Antioco ringraziò la donna, e l’aiutò a piegare la coperta.

Era giorno fatto, e il treno sembrava voler acquistare un po’ di velocità. S’udiva un sordo rumore, dapprima lontano, che s’avvicinava rapidamente. Chi era vicino alla porta scorrevole guardava in cielo, indicava qualcosa. Il rumore aumentò, qualcosa passò rombando, sul treno. Antioco s’affacciò dall’apertura e vide un aeroplano che s’allontanava verso nord. Si volse alle persone che lo guardavano interrogativamente.

‘E’ un ricognitore’ ‘disse- ‘credo che richiederà l’intervento di altri apparecchi. Se riterrà che questo convoglio trasporti persone verranno a mitragliarlo, se, invece crederà che sia solo un treno merci dovremo attenderci dei bombardieri.’

La gente si guardava l’un l’altro, spaurita, preoccupata.

Evidentemente, l’aereo era stato notato anche dai macchinisti. La velocità aumentò sensibilmente. Il pericolo maggiore, più che dai binari malfermi, veniva dal cielo.

Erano trascorsi solo pochi minuti e s’udì, in lontananza, un sordo e pesante rombo di aeroplani che s’avvicinavano.

Antioco disse che erano bombardieri.

Il treno correva all’impazzata, e riuscì ad infilarsi in una galleria prima d’essere raggiunto dagli aerei. Rallentò rapidamente, si fermò.

Nel buio profondo, s’udirono voci, richiami.

Qualcuno osservò che erano salvi.

Antioco prese Berenice per mano.

‘Stammi vicina, prendi la sacca. Io prenderò il mio bagaglio.’

Gli si accostò, vicinissima. Lui la cinse col braccio.

‘Siamo fortunati, Antioco.’

‘Speriamo che non colpiscano gli imbocchi della galleria, intrappolandoci. Vieni, cerchiamo di scendere, ma senza darlo ad intendere agli altri, per non creare confusione.’

Si sentì una voce di donna.

‘Giusé, nun me lassà sola, statte azzeccato a me.’

Tenendosi per mano, nel buio rotto da qualche sigaretta accesa, raggiunsero il portello del vagone, sedettero con le gambe penzoli all’esterno. Antioco balzò per terra, con grande prudenza, cercando di vedere dove metteva i piedi, si fece dare il tascapane e la sacca dalla ragazza e la mise giù, afferrò le gambe di Berenice, sopra le ginocchia.

‘Lasciati andare, ti tengo io, cerca d’aggrapparti al mio collo appena puoi.’

La manovra riuscì perfettamente. La donna aveva poggiato i piedi per terra e ancora restava con le mani intrecciate dietro la nuca del giovane.

‘E’ destino che debba abbracciarti.’

E lentamente sciolse quella stretta.

Antioco mise in spalla il bagaglio che, per fortuna, aveva lunghi manici, prese la mano di Berenice.

‘Vieni dietro a me, piano, cerca di vedere dove metti i piedi.’

‘E’ buio.’

‘La viuzza accanto al binario é chiara, si scorge appena. Fa attenzione. Cercheremo di raggiungere l’uscita della galleria. Siamo il penultimo vagone, non dovrebbe essere molto lontana. Se ci fai caso, s’intravede un chiarore, é la luce che entra dall’imbocco, fra poco c’é una curva, vedremo meglio.’

Dopo un centinaio di metri, il binario voltava. Una volta giunti alla svolta, la luce aumentò, il binario si vedeva chiaramente, l’ingresso della galleria diveniva sempre più grande. Non giungeva alcun rumore dall’esterno. Giunsero all’aria aperta. Degli aerei nessun segno. Forse erano andati dall’altra parte della montagna.

‘Allontaniamoci, Berenice.’

Si guardarono intorno, nessun segno di vita. Poco distante, verso la collina, un boschetto. Si avviarono da quella parte. Quando vi giunsero, dopo pochi passi, Antioco si fermò, mise a terra il bagaglio e restò a guardare, attraverso gli alberi, verso il binario.

Berenice gli si mise di fronte, con gli occhi pieni di lacrime.

‘Non andiamo più a casa?’

Le passò lievemente la mano sulla guancia.

‘Andiamo a casa, sì, ci andiamo, ma non con quel treno, credo che non proseguirà oltre la sua marcia.’

La ragazza s’allontanò alquanto e tornò dopo pochi minuti,

Cominciarono a sentirsi delle esplosioni, non troppo lontane, ma non dalla galleria della quale potevano scorgere l’imbocco.

‘Credo che stiano bombardando il versante opposto, per distruggere la strada ferrata. Se tutto va bene, il treno sarà costretto a retrocedere, a tornare indietro. Ecco, guarda laggiù. Dalla galleria esce qualcuno. Noi, però, affrettiamoci verso quelle colline, mi sembra di aver visto una costruzione.’

Antioco riprese i bagagli, s’avviarono.

Dopo circa un’ora, raggiunsero una capanna. Pietre a secco ricoperte di rami e di frasche, che una sembianza di porta, legata col fil di ferro. Al lato, un pozzo ricoperto con una lamiera e un vecchio secchio attaccato a una catenella. Antioco scoprì il pozzo, vi guardò dentro, vi attinse un secchio d’acqua, ne esaminò il contenuto con la massima attenzione, assaggiò il liquido, e annuì col capo.

‘Se vuoi bere, é limpida e fresca, credo sia potabile.’

Berenice portò il secchio alle labbra e bevve a lungo, poi chiese ad Antioco di versarle dell’acqua sulle mani e se le passò sul volto. Il ragazzo la imitò subito dopo. Mangiarono dei biscotti che Berenice aveva tirato fuori dalla sacca, centellinando l’acqua.

Le esplosioni erano finite. Un sentiero cominciava a inerpicarsi sul fianco della bassa montagnola e lo si vedeva giungere fin dove s’intuiva cominciare un pianoro, sul quale, da lontano, ad Antioco era sembrato aver intravisto un casolare.

‘Sei stanca?’

‘No, é lontano dove dobbiamo andare?’

‘Credo che per raggiungere la costruzione che ho scorto ci voglia più di un’ora.’

‘Andiamo, ora i bagagli li porto io.’

‘Andiamo, ma non pensare ad altro. Non pesano molto e non sono stanco. Va tu avanti, lentamente.’

Berenice s’avviò, muovendo ritmicamente i fianchi rotondi, sui quali erano fissi gli occhi di Antioco.

Ci vollero due ore per raggiungere la vecchia casupola, dinanzi alla quale erano ad attenderli un uomo, molto anziano e una giovane donna con un bambino in braccio. Non si mossero, guardavano sospettosi. Antioco li salutò. Si fermarono, depositò il bagaglio per terra. La donna chiese chi fossero e cosa volessero. Il giovane raccontò la storia quasi in tutta la sua spoglia verità. Disse, però, che erano fratello e sorella. Nominò il loro paese, al quale speravano di arrivare.

‘Io sono Antioco’ ‘concluse- ‘e questa é Berenice.’

Senza muoversi, la donna disse che era Maria, quello era il suocero, Nicola, e il bambino, suo figlio, si chiamava Nicolino.

‘Mia sorella ed io abbiamo bisogno di aiuto, siamo stanchi. Siate gentili, abbiamo anche i soldi per pagarvi.’

Fossero state o meno queste ultime parole, la donna guardò prima l’uomo e poi l’invitò ad entrare.

Una casa modesta, ma non povera.

‘Noi mangiamo fra poco, pasta e patate e frittata. Se volete, potete farci compagnia. Intanto rinfrescatevi pure, in quella stanza, c’é tutto quello che volete, anche per asciugarvi, a parlare ci pensiamo dopo.’

Nicola era rimasto fuori, ad impagliare una sedia. Nicolino, che poteva avere poco più di un anno, giuocava, per terra, con dei pezzi di legno. Maria s’avvicinò al focolare.

‘Va prima tu, Berenice.’

La ragazza andò nel locale che era stato loro indicato.

Antioco si rivolse alla donna.

‘Posso aiutarvi?’

Lei si alzò a guardarlo. Era bella e molto giovane, con un volto regolare incorniciato da capelli neri, abbastanza alta. Nella gonna un po’ larga s’indovinavano forme attraenti, la blusa stringeva un seno rigoglioso che premeva prepotente. L’esame doveva averla soddisfatta. Gli sorrise.

‘Che volete aiutare. Sedetevi, riposatevi. Volete un bicchiere di vino?’

‘No, grazie, adesso non ho sete.’

‘Di dove siete?’

Antioco le disse il nome del paese.

‘E dove rimane?’

Glielo spiegò.

‘E’ lontano assai, come farete ad arrivarci?’

‘Non lo so.’

‘Qui potete stare quanto vi pare. Papà Nicola sarà contento, e il piccino si divertirà con gente nuova.’

‘Grazie, ma cercheremo di togliere il disturbo appena possibile.’

Berenice era tornata. Il volto fresco, i corti capelli ravviati. Sembrava un’altra. Antioco stava per farle un fischio d’ammirazione, ma si trattenne, notando la sorpresa di Maria.

‘Ma quanto sei bella, Berenice. Beato lo sposo che ti si piglia.’

Berenice sorrise appena, senza dir nulla.

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Pasta e patate e la frittata furono gustati con evidente soddisfazione, specie da parte di Antioco e Berenice. Nicola insisteva perché bevessero il vino fatto da lui, sottolineando che era uva, solo uva.

Restarono un po’ a chiacchierare, intorno alla tavola, profittando anche che Nicolino dormiva saporitamente nella culla di legno.

Decisero che dovevano darsi del tu, anche Nicola, contrariamente alle abitudini del luogo, si disse d’accordo. Ma tutti seguitarono a chiamarlo papà Nicola.

Il marito di Maria, figlio di Nicola, era stato chiamato alle armi poco prima della nascita del bambino, e solo di rado giungeva qualche laconica cartolina, col timbro di una Posta Militare che non si sapeva dove fosse. Quattordici mesi di lontananza, lamentava la donna. Lavori campestri trascurati, aggiungeva il vecchio. Maria era praticamente sola, la madre e la sorella Teresa abitavano abbastanza lontano, e Nicola non aveva altri figli.

Vollero conoscere la storia di Antioco e sorella.

Il giovane disse tutta la verità di si sé, parlò dell’Università del servizio militare, riscuotendo un ammirato sorriso da Maria quando disse d’essere ufficiale, raccontò della prossima fine degli studi, ma non sapeva cosa l’attendesse nel futuro. Di Berenice modificò solo una parte. Viveva dalle suore, dov’era restata dopo il diploma magistrale. Non confermò né smentì il fatto che fosse sua sorella.

Nicola aveva seguito tutto con attenzione. Si rivolse ad Antioco.

‘Io ho fatto l’altra guerra, e prima ero stato in Libia. Brutta cosa la guerra. Sono stato promosso caporale e m’hanno dato la Croce di guerra, te la devo far vedere. Maria ve l’ha detto. Potete restare qui quanto volete, anche se la casa é vecchia, posto ce ne sta. Tua sorella può dormire con Maria e tu ti puoi arrangiare nella stanza a fianco. Nell’altra ci dormo io. Domani, o dopo, vi faccio vedere il paese, La Rocca, é a quasi dieci chilometri, ci andiamo tutti quanti, col carretto’

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Quando riuscirono a restare soli, Berenice si disse preoccupata. Come avrebbero potuto fare per raggiungere le loro case, così lontane? E la Superiora, alla quale aveva promesso di scrivere subito, cosa avrebbe detto non vedendo giungere nulla?

Antioco la rassicurò. La linea ferroviaria era certamente interrotta, i loro paesi molto lontani, bisognava vedere come organizzarsi, forse a La Rocca potevano informarsi. Per fortuna, al giovane non mancavano soldi.

‘Potremmo rivolgerci al Parroco.’

‘Si, ma con cautela, io sono sempre uno che si é arbitrariamente allontanato dal servizio militare. Non essere così triste, vedrai che si aggiusterà tutto. Vieni qui.’

L’accolse tra le sue braccia, amorevolmente.

Maria li colmava di premure, specie Antioco. La loro presenza l’aveva sollevata, distesa, sorrideva, curava maggiormente la persona. Nicolino era divenuto amico di tutti, sempre pronto a ridere, a tendere le braccia, trotterellando incerto sulle sue gambe grassocce.

‘Hai detto che sai fare i biscotti al miele, Berenice, noi abbiamo tutto, latte, farina, uova, miele e papà Nicola é bravissimo ad accendere il forno. Perché non li fai?’

‘Volentieri, ma ci vorrà un po’ di tempo.’

‘Non ti preoccupare, ne abbiamo.’

Preparò gli ingredienti che servivano, mise un tagliere sulla madia e vi pose sopra il mattarello e un grosso coltello.

‘Papà Nicola, per favore, accendete il forno e date un occhio al piccolo, io vado a rassettare la stalla. Antioco, mi aiuti?’

Si avviarono dov’erano custoditi gli animali, di notte, e rimesso il carretto tutto fare. Non c’era molta luce, specie dopo che Maria chiuse la porta.

Antioco si guardò intorno.

‘Non c’é confusione, a quanto vedo.’

La donna andò verso il grosso mucchio di fieno, e restò immobile, col capo chino.

‘C’é in me disordine. E aumenta sempre più. Sono sola da tempo infinito, Antioco, lo capisci? Sola, senza chi mi mostri il suo amore, mi stringa tra le sue braccia.’

Il giovane cercò di prenderla in tono scherzoso.

‘Come? Con tutti gli uomini del paese che certo ti fanno la corte?’

Senza voltarsi, lei gli tese la mano. L’uomo si avvicinò, alle spalle, le prese le dita tremanti. Lei gli accostò, scuotendo la testa.

‘Uomini del paese, e chi li guarda, per divenire, eventualmente, lo zimbello di tutti, e poi, chi é come te.’

Si voltò di scatto, gli prese la testa tra le mani, lo baciò avidamente, ansando. Si gettò riversa sul fieno. Dalla blusa aperta, prorompeva, proteso, il seno rigoglioso. Sollevò la gonna, mostrando le gambe, incantevoli, attraenti, invitanti, bianchissime fino ai folti riccioli neri che sembravano splendere e vibrare.

‘Vieni, Antioco, vieni, non farmi impazzire di desiderio.’

E quando lui la penetrò, lentamente, dolcemente, sembrò struggersi per la voluttà, precipitare nel piacere che si rinnovava senza fine. In quell’amplesso cercava il compenso della lunga castità che aveva dovuto osservare.

‘Non ti lascio andar via a costo di legarti. Sei stupendo, come non potevo immaginare, sperare. Sei dolcissimo e gagliardo. Facciamolo ancora, ancora.’

Lo stimolò, lo eccitò, lo baciò focosamente, gli fu sopra, come un’amazzone scatenata.

I biscotti erano appena sfornati quando rientrarono nella vasta cucina.

Berenice li accolse sorridente, mostrando il grosso vassoio pieno dei dolci dorati.

‘Doveva esserci un bel disordine, nella stalla. Ci siete stati un sacco di tempo e apparite accaldati e stanchi.’

Maria, coi capelli scompigliati, la guardò annuendo.

‘Si, ma grazie ad Antioco ora é tutto a posto. E’ inutile, ci vuole un giovane per certe cose. Sono accaldata, é vero, ma stanca no. Assaggiamo i biscotti.’

Berenice ne offrì a tutti, e ne dette un pezzo anche a Nicolino.

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Antioco era molto preoccupato. Dovevano andar via al più presto. Quella situazione non poteva e non doveva prolungarsi. Erano trascorsi fin troppi giorni. Maria diveniva sempre meno prudente, sempre più possessiva ed esigente. Lo voleva con sé, per sé, ogni momento, dovunque si trovasse, anche dietro al fienile. Lui temeva che Nicola e Berenice potessero accorgersene e sarebbe stato il finimondo. Era piacevole, certo, ma stava divenendo una persecuzione, un tormento continuo. Si sentiva ridotto al ruolo di stallone. Le aveva anche accennato alla probabilità che lei restasse incinta. Gli aveva risposto che ci avrebbe pensato lei. Una notte, silenziosa e furtiva, gli si era infilata nel letto.

‘Non ti preoccupare, non fa rumore, é solido e resistente, come te.’

Gli si mise sopra, s’impalò sul suo fallo prepotente, ingorda, golosa, rabbrividendo di voluttà quando sentì invadersi dal seme di lui.

E stava per alzarsi papà Nicola, prima che si decidesse a tornare nella sua camera.

Aveva suggerito di far dormire Berenice in un altra cameretta, così loro avrebbero potuto coricarsi insieme.

Quella mattina Antioco affrontò decisamente il vecchio.

‘Don Nicola, quando andremo in paese, vorrei avere qualche informazione su come vanno le cose, sulla possibilità di avviarci verso casa. Voi siete molto ospitali, affettuosi, e mi spiace che non avete accettato di essere in qual modo compensati con un po’ di denaro, ma non possiamo restare qui a tempo indeterminato.’

Nicola annuì, e promise che l’indomani sarebbero andati al paese. Dovevano partire abbastanza presto, perché ci sarebbero volute quasi due ore per arrivarci. Per il resto, però, non dovevano preoccuparsi, loro erano contentissimi di ospitarli.

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Era un piccolo centro agricolo, con traffico scarso, quasi nullo. La maggior parte degli uomini adulti era alle armi, poche cose nei negozi e quelli di alimentari non avevano molta merce, anche perché quasi tutti gli abitanti avevano i propri prodotti della terra. C’era una specie di bar, con una vecchia radio, vi si vendeva di tutto, una specie di emporio, e fungeva anche da osteria dove, volendo, facevano da mangiare. L’ufficio postale, la farmacia e il tabacchino erano sotto il Municipio, di fronte alla Chiesa.

Lasciarono il carretto dal maniscalco, ci avrebbe pensato lui a vedere come stavano i ferri dell’animale e se le ruote richiedevano un po’ di grasso.

Poco distante, Maria s’affacciò ad una porta semiaperta e fu uno scambio di baci, di saluti.

Nicola disse che mentre Maria dava da mangiare al piccolo, profittando della casa della comare, lui andava a comprare del tabacco.

‘Noi’ ‘disse Antioco- ‘facciamo un salto in Chiesa. E’ tanto che non ci andiamo.’

Maria gli sussurrò di tornare presto, Nicola gli accennò la strada che dovevano fare per giungere in piazza.

Era un bell’edificio, antico, ben tenuto. Sul frontone, era scolpita nella pietra, evidentemente in epoca recente, la dedicazione : Santa Maria della Speranza. Sul portale, una scritta, su legno: Venite et videte.

Entrarono, solo in fondo, in un angolo dell’altare, oscillava leggermente un lumicino rosso. Una vecchietta era seduta su una panca in prima fila. Un anziano sacerdote stava affaccendandosi in una cappella laterale. S’era voltato, quando l’aprirsi della porta aveva fatto entrare un raggio di luce e, con un vaso d’ottone tra le mani, attendeva l’avvicinarsi di quei due sconosciuti.

Antioco e Berenice lo salutarono chinandosi a baciargli la mano. Il giovane lo guardò diritto negli occhi.

‘Dobbiamo parlarvi, reverendo.’

‘Venite.’

E s’avviò verso la Sacrestia. La vecchina, curiosa, smise di pregare e guardò di sotto lo scialle. Non li conosceva.

Don Mauro, il Parroco, li fece sedere di fronte alla sua scrivania.

‘Dunque?’

Antioco raccontò minuziosamente la loro storia, a cominciare da quando la piccola suora gli aveva chiamato, facendolo passare per suo fratello.

Il prete aveva ascoltato tutto attentamente e ora li guardava, incerto sul da fare.

Antioco lo rassicurò che non chiedevano denaro e tirò dalla tasca un suo documento di riconoscimento che porse al sacerdote, altrettanto fece la ragazza.

Don Mauro li esaminò accuratamente, si volse alla donna.

‘Tu sei Berenice Calì, di Stazzera?’

‘Si, reverendo.’

‘Io ci conosco un prete, il Rettore del Santuario di Santa Maria della Fonte, Monsignor Rocco Calì. Ha il tuo stesso cognome. Siamo stati compagni di seminario per tanti anni, ma non ci scriviamo da prima della guerra.’

Berenice spalancò gli occhi.

‘Monsignor Rocco é mio zio, il fratello di mio padre.’

Don Mauro si alzò e andò verso di lei. Berenice era in piedi. La strinse tra le sue braccia vigorose.

‘La nipote di Rocco, figlia mia, quante volte mi ha parlato di te quando abbiamo avuto occasione d’incontrarci. Si, ora mi ricordo, Berenice. Mi disse che lui ti aveva battezzato. Tu ti chiamo Maria Berenice, vero?’

‘Berenice scoppiò a piangere.’

‘Calmati, figlia mia, venite, che voglio farvi conoscere a mia sorella. Qui siete a casa vostra, venite qui. E tu veramente vuoi farti suora, Berenice?’

‘Non lo so più…’

‘Non ti preoccupare, farai la scelta che ti detterà il cuore, tu prega lo Spirito Santo perché ti guidi.’

La sorella, Carmela, quando seppe chi era Berenice l’accolse maternamente.

‘Questo bel ragazzo, é tuo marito? Vi siete sposati così giovani!’

Don Mauro l’interruppe.

‘Non é il marito, Carmela. Ti spiegherò. Ho detto a questi due figlioli che possono fermarsi d noi, di posto ce n’é fin troppo, e il mio aiuto, Don Cesare, sarà lieto di avere compagnia.’

Si volse ad Antioco.

‘Ci sono brutte notizie. Tra qui e il vostro paese sono in corso combattimenti molto aspri. Una colonna alleata sta cercando di accerchiare i Tedeschi. Non credo che sia possibile attraversare le linee. Dovrete aspettare. Ma, vi ripeto, consideratevi a casa vostra.’

Berenice guardò Antioco, con gli occhi pieni di lacrime. Lui le prese la mano.

Carmela aveva preparato latte e caff&egrave con invitanti biscotti.

‘Favorite, mangiate qualche biscotto, li hanno fatte le monache dell’asilo.’

I ragazzi presero un biscotto ciascuno, lo assaporarono, bevvero il latte e caff&egrave.

Don Mauro cercò di mettere in ordine le idee.

‘Sentite, carissimi, adesso tornate da Nicola e Maria, che conosco benissimo, sono brava gente, e ditegli che domani vi mando a prendere con calesse. Loro potranno venirvi a trovare quando vogliono e voi, a vostra volta, potrete andarvi quando desiderate. Maria é una donna semplice ed onesta e certo non avrà pensato quando inopportuno sia che ospiti un giovane, durante l’assenza dello sposo.’

Antioco sentì di arrossire.

‘Andate, Domani alle dieci Antonio, il sacrestano, sarà da voi per condurvi qui giusto per l’ora della Messa. La prima la celebra Don Cesare, alle sette, la seconda tocca a me.’

Si salutarono affettuosamente e i ragazzi presero la strada per tornare dove avevano lasciato Maria, da Rosaria la giovane comare di nozze, anche lei col marito alle armi, ma senza figli. Abitava con la madre, una casetta modesta e civettuola, con la presunzione d’essere l’abitazione del signor maestro. Rosaria era alta, slanciata, di belle forme, allegra, piena di vita. Accolse calorosamente Antioco e Berenice.

‘Siete proprio una bella coppia, non si direbbe che siate fratello e sorella, sembrate più due fidanzatini. (Maria la fulminò con lo sguardo.) Ma venite, accomodatevi. Maria mi ha parlato di voi, ho saputo che tu, Berenice, sei maestra, come me. Adesso insegno, come supplente, ma quando torneranno gli uomini sono certa che mi rimanderanno a casa. Ora, però, le scuole sono ancora chiuse, riapriranno a giorni. Antioco sarà presto un importante laureato. Posso darti del tu? Cosa ti proponi di fare? In attesa di don Nicola, per mangiare, possiamo fare quattro chiacchiere.’

Antioco le sorrise.

‘Dovrei usare il tu anche io? A una signora sposata?’

‘Si, ma non più vecchia di te.’

‘Grazie, d’accordo. Io spero di avere un impiego sicuro, possibilmente nello Stato. Economia e commercio mi consente anche di insegnare alcune materie, dal diritto, alla ragioneria, perfino lingue straniere. Vedremo. Certo, che vorrei restare il più vicino possibile a casa. Del resto, il nostro Capoluogo non dista molto dal paese. Adesso devo risolvere il problema del servizio militare e consegnare la tesi. Potrei anche restare nelle forze armate, come ufficiale in servizio permanente effettivo, ma non é la cosa che mi attrae di più.’

Maria chiese se fosse piaciuta loro la Chiesa.

Berenice le raccontò l’incontro con Don Mauro e le disse dell’invito a trasferirsi da loro, senza specificare che l’indomani il sacrestano sarebbe andato a prenderli.

Maria si rabbuiò in volto e rivolse lo sguardo, nervosa, ad Antioco. Rosaria li guardò entrambi, perplessa.

Maria s’alzò e andò in cucina.

‘Antioco, vieni qui, per favore, voglio mostrarti una cosa.’

Lui si alzò, chiese permesso e raggiunse la donna. Senza pensare alla possibilità che potesse entrare qualcuno, Maria lo prese tra le braccia, sbigottita.

‘Cos’é ‘sta storia che te ne vai?’

‘Come faccio a rifiutare? Don Mauro ha anche parlato dell’inopportunità che tu mi ospiti, anche pensando a tuo marito.’

‘Don Mauro pensi ai fatti suoi. Che ne può capire del tormento d’una donna sola che, finalmente, ha trovato l’uomo che ha sempre sognato, che ha atteso da sempre. Lo so che é una cosa che non potrà durare a lungo, ma perché tronCarla così? In quanto a mio marito, lasci che ci pensi io. Scusa la volgarità, ma non gli farò ritrovare nulla di consumato, anzi, ogni cosa sarà in regola, allenata e in perfetta efficienza. Non credi?’

‘Dispiace anche a me, credimi.’

‘A me non dispiace, mi uccide. Non é solo questione di fare l’amore. Si, ti desidero, ti voglio, impazzisco tra le tua braccia, ma soprattutto ti amo. Capisci cosa vuol dire che ti amo?’

‘Parla a bassa voce, possono sentirci.’

‘E che m’importa se ci sentono. Adesso m’affaccio alla finestra e lo grido forte. Amo Antioco, lo voglio, sono sua e lui é mio!’

‘Piano, per favore.’

‘Perché, ti vergogni di me?’

‘No. E’ per te. La tua vita non finisce oggi. Hai tuo figlio, tuo marito. Devi stare in questo paese, in questa realtà.’

‘Ma non ti lascio, No, non ti lascio, Sarò qui tutti i giorni, da Rosalia. Le ho raccontato tutto. E tu verrai qui, da me, e staremo insieme, perdutamente, come nei giorni passati.’

‘Va bene, va bene. Ma ora calmati, torniamo di la.’

‘Precedimi tu, dì che sono andata al bagno, ho mal di testa.’

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Le vicende belliche, che sembravano svilupparsi rapidamente, stagnavano, Ognuno restava sulle proprie posizioni. La strada per Stazzera era attraversata dalla guerra.

I giorni si succedevano con la stesso ritmo, stanco, incerto. Le notizie della radio, o del quotidiano che qualche volta giungeva al paese, erano vaghe, generiche, indeterminate, ambigue. Berenice aiutava Carmela, aveva conosciuto un paio di ragazze con le quali scambiava quattro chiacchiere, attendeva ansiosamente i bollettini di guerra. Guardava Antioco con espressione sempre più tenera, quasi di adorante implorazione. S’era sorpresa più volte a chiedergli di non lasciarla, di restarle vicino.

‘Non ti lascerei per nulla al mondo, e non desidero che starti vicino.’

Si sentiva sicura quando le cingeva le spalle, le teneva la mano, la carezzava teneramente. Escogitava motivi per farsi abbracciare. Ora le sembrava d’aver visto un topo, o stava per cadere, o…

Gli incontri con Maria, nella casa di Rosaria, turbavano la vita di Antioco. Era certamente bello fare l’amore con quell’insieme di fuoco e tenerezza, ma l’appagamento dei sensi non poteva compensare il disagio, il senso di colpa. Rosaria gli sorrideva, maliziosa, e gli aveva anche detto che sarebbe stata ben felice di accoglierlo pure quando non c’era Maria. O lui credeva di perderci nel cambio? Anche questo lo sconcertava. Possibile che tutte le femmine fossero così? No, Berenice non lo era e non lo sarebbe stata mai.

Quel giorno, nella penombra del giardino, mentre tutti riposavano, strinse a sé la sua Berenice e la sfiorò con un bacio. Ella si voltò di scatto, e lui la baciò sulle labbra. Timidamente ricambiato, senza esperienza.

E anche dopo attendevano con ansia di restare soli, sulla panchina, al riparo da occhi indiscreti. Non s’erano accorti che Don Mauro occhieggiava da dietro gli scuri. La prese sulle ginocchia e la baciò a lungo, stringendo dolcemente tra le sue dita il tepore del piccolo seno sodo. Berenice ricambiò il bacio, sempre più partecipe. Istintivamente, naturalmente.

Il pomeriggio del sabato era tempo di confessioni, l’indomani i fedeli si sarebbero accostati all’Eucaristia.

Carmela preparò il pranzo speciale della Domenica, col dolce fatto da Berenice.

Dopo aver bevuto quello che ancora s’intestardivano a chiamare caff&egrave, Don Mauro disse ai ragazzi che doveva parlare con loro. E si fece seguire nel suo piccolo studio. Seduto di fronte a loro, assunse un’aria bonaria ma seria.

‘Come ho sempre pensato, figlioli miei, voi vi volete bene, vi cercate, desiderate stare insieme. Non agitatevi, potete ben capire che so tutto ed ho veduto di persona qualcosa che me lo conferma. Non c’é niente di male, ed é naturale tra giovani, sani e belli, quali siete. Quello che dovete valutare, con estrema cura ed onestà, attentamente, é se trattasi di un semplice richiamo sensuale, favorito dalle circostanze, e che si può comprendere, o se é qualcosa di più profondo un sentimento che vi lega e che, in genere, si definisce amore, logicamente con tutto quello che comporta, affetto intenso, assiduo, tenerezza, devozione, dedizione, coscienza della solidità e stabilità. E’ vero amore, infatti, solo quello che induce l’uomo e la donna a stabilire tra loro la comunità di tutta la vita, ad accettare la prole che Dio manda loro, allevarla, e impartirle un’educazione, sia fisica, sociale culturale, sia morale religiosa. E’ naturale che una coppia che si ama abbia il reciproco desiderio di divenire una sola carne, ma il fatto é che tale desiderio a volte prevale sulla ragione, sulla morale, divenendo imperioso e impudente sì che i sensi prendono il sopravvento e l’amore degenera in amorazzo. Squallido e degradante. Tutto qua. Vi ascolto, se volete dirmi qualcosa a tale proposito.’

Berenice era con gli occhi bassi. Antioco ri raschiò la voce.

‘Anche se non é molto che conosco Berenice, io la amo, proprio nel senso che avete detto voi, onestamente, fedelmente, e per sempre.’

Il prete guardò la ragazza.

‘Io sono una novizia e…’

‘Eri, figlia mia, eri, e come sai, se non rientri in convento entro tre mesi la tua rinuncia é tacita. Cosa rispondi a me e ad Antioco?’

‘I miei genitori non sanno neppure che sono qua.’

‘Questo riguarda, eventualmente, il consenso, la benedizione dei genitori. Io, invece, voglio conoscere i tuoi sentimenti verso questo giovane, che ha detto chiaramente di amarti e di desiderare di trascorrere con te il resto della vita. Per te é solo un capriccio del momento, o sei attratta da lui perché é il primo uomo che ti corteggia?’

‘No!’

‘No cosa?’

‘Non é un capriccio, un’infatuazione, e non credo solo di volergli bene, ma di amarlo con tutto il cuore, perché é il primo che…’

‘Ti ha baciata?’

Berenice annuì, diventando rossa, e riempiendo gli occhi di lacrime.

‘Allora?’

‘Lo amo più della mia vita e vorrei dedicarla a lui, per sempre.’

‘Quindi, é una cosa seria, bella, nobile. Bravi. Ma non posso sottrarmi a qualche raccomandazione. La devo a tutti, specie alla nipote del mio vecchio e caro compagno di seminario. State attenti a non scherzare col fuoco, si finisce col bruciarsi. Certe cose, mi capite, si fanno dopo il matrimonio, devono e possono avvenire solo tra sposi. Tu, inoltre, caro ragazzo, devi dimenticare quanto possa essere accaduto in passato. Quello che stato é stato, senza andare a cercare colpe o responsabilità. Tu ben sai di cosa io parli. Vogliatevi bene e state vicini nei limiti consentiti a due fidanzati che sono vicini alla santa Chiesa di Roma. Intesi?’

I due giovani annuirono con prontezza. Parlottarono brevemente tra loro.

Il Parroco chiese se avessero da aggiungere qualcosa.

Berenice era rossa in volto e si tormentava le mani.

‘Don Mauro, non potremmo sposarci qui, e subito?’

Don Mauro balzò sulla poltrona.

‘Qui e subito?’

‘Perché, é peccato?’

‘No, figlia mia, non é peccato, ma ci sono certi adempimenti da osservare.’

‘Ma noi siamo lontani dai nostri paesi, non possiamo esibire documenti di sorta. Dovete crederci sulla parola. Se quanto diremo non risponderà al vero, allorché si potrà accertarlo, sappiamo bene che il matrimonio potrà essere considerato nullo. Inoltre, perché farci vivere con la spada del peccato che pende sul nostro capo? Perché rimandare il sogno delle nostre vite dato che non sappiamo quello che gli eventi bellici ci riservano domani? Perché non considerare tutto ciò una grave e urgente causa?’

Antioco strinse la mano alla ragazza.

‘Mi avete chiarito tante cose, figli miei, anche dei vostri caratteri. Non avrei mai immaginato tanta foga in Berenice, in chi aveva cominciato col dire che era una novizia. Né potevo sospettare in lei la capacità dei sottili accenni che ha fatto al Diritto Canonico. Lasciate che vi pensi, che, potendo, mi consigli col Vescovo. Vi farò sapere.’

Ogni tanto, Bartolomeo Baretti si avventurava sulle sconnesse strade, fino ai paesi non troppo distanti. Si dichiarò a disposizione di Don Mauro, e l’indomani venne a prenderlo, con la sua traballante Balilla a tre marce. Caricarono alcune ceste di vettovaglie e partirono col motore tossicchiante.

Berenice e Antioco ne profittarono per andare, col compiacente consenso di Carmela, nel frutteto della Chiesa, e passarono momenti di serena intimità, baciandosi e carezzandosi sempre più audacemente.

Era buio quando Don Mauro tornò.

Era silenzioso, ma non cupo. Si dette una rinfrescata e andò a chiudersi nel suo studio col giovane sacerdote che l’aiutava. Disse di chiamarlo solo per la cena.

A tavola, dopo la preghiera di ringraziamento, parlò della prossima festa patronale, e di due giovani che si sarebbero sposati la settimana successiva, con uno stuolo d’invitati.

‘Fanno prevalere il pranzo al Sacramento.’

Sentenziò, scuotendo la testa.

‘E voi, ragazzi, chi vorreste al vostro matrimonio?’

Antioco e Berenice si guardarono colti di sorpresa. Alzarono le spalle.

Berenice si riprese subito.

‘Dipende da dove stiamo.’

Antioco approvò laconicamente.

‘Giusto.’

Don Mauro proseguì, inesorabile.

‘Se foste qui, ad esempio?’

Berenice s’era fatta più ardita.

‘Qui tutta la nostra famiglia siete voi. Forse inviterei il sacrestano.’

‘Bene, una bella rinfrescata ai vestiti, una candeggiata alla coscienza, con l’aiuto di Don Cesare, e alle dieci di dopodomani sarete marito e moglie. Ho avuto il consenso del Vescovo. Carmela, con l’aiuto di qualche amica allestirà un bel pranzo, e preparerà la vostra camera, quella che chiamiamo del Cardinale. Ora ho da fare.’

Si alzò, seguito dal sorridente Don Cesare.

Antioco e Berenice si guardarono attoniti, e grosse lacrime rigavano i loro volti.

La radio gracchiava le ultime notizie: il fronte era immobile, le strade interrotte.

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