I nuovi arrivati
La famiglia S. arrivò nella villetta a schiera di fronte appena
una settimana dopo la partenza dei precedente inquilini, carichi di
bagagli e scatoloni. Era inizio luglio e il sole sembrava doverci
cuocere il cervello.
Io avevo quattordici anni e il cuore infranto. La figlia degli inquilini
andati via, Sara G., era stata la mia prima cotta ed ero pronto a
giurare che era la donna della mia vita.
Ma la novità dell’arrivo della nuova famigliola era troppo eccitante perchè me ne ricordassi ancora.
Arrivarono preceduti da ben due camion traslochi, pieni di scatoloni e
bagagli. I traslocatori ci misero delle ore per finire di trasportare
tutta quella roba all’interno della casa, coordinati diligentemente
dalla signora S., che agitava le braccia come un vigile che cerca di
governare il traffico.
Era una bella donna, sui quaranta, i capelli tinti di rosso, un
tailleur bianco addosso e scarpe col tacco ai piadi. Sembrava essere
uscita da una rivista patinata degli anni ’50, con quelle calze bianche
che le fasciavano le gambe slanciate. Senza dubbio non avrebbe avuto
problemi a entrare nel Club del Libro del quartiere, dove le mogli dei
capofamiglia si riunivano, non tanto per discutere di letteratura,
quanto per spettegolare e scambiarsi ricette.
Il capofamiglia, il singor S., era un imprenditore edile e non usciva
mai fuori dalla porta di casa se non era vestito di tutto punto, in
giacca e cravatta e con i capelli tirati all’indietro. Era impeccabile
in tutto, perfino quando portava a passeggio il vecchio botolo di
famiglia, che doveva avere ormai 15 anni.
I coniugi S. avevano due figlie: Sara e Rebecca S. Le guardavi e
pensavi che non potessero essere sorelle, perchè in comune non
avevano nulla, se non la corporatura in generale. Ma per il resto erano
completamente differenti, sia caratterialmente che fisicamente. Una era una
bellazza bionda ed eterea, l’altra con la chioma rossa e le lentiggini.
Però erano entrambe stupende.
Immediatamente mi dimenticai di Sara G., il mio primo amore, e di tutto
quello che la concerneva. E mi innamorai perdutamente di quelle fate.
I contatti con i nuovi vicini, però, erano praticamente
inesistenti, e lo rimasero fino a metà agosto, un lungo lasso di
tempo che io passai guardandole da lontanto quando andavano o tornavano
da scuola. Quelle ragazze uscivano solo in quell’occasione e non
sembrava avessero una minima vita sociale.
Tutto accadde grazie a zio Osvaldo, che si fece gravemente male sul
lavoro. Questo allarmò mio padre, che volle subito partire alla
volta di Genova per andare a trovarlo. Ci fu una lunga discussione per
quanto riguardava mia madre: anche lei voleva andarci, d’altronde era
suo cognato e voleva sapere come stava, ma mio padre era contrario,
perchè non potevano portarmi con loro e di certo non mi avrebbero
nemmeno fatto stare a casa da solo. Chissà cosa avrei potuto combinare?!
Mia madre, testarda come un mulo, decise che non sarebbe rimasta
lì ad aspettare con le braccia conserte e si mise pazientemente
a chidere alle famiglie del vicinato se potevano ospitarmi in casa
loro. Una coppia di novelli sposini disse che non c’erano problemi, solo
che erano entrambi assenti tutto il giorno per lavoro, quindi sarebbe
stato un po’ la stessa cosa che rimanere a casa mia senza i miei
genitori. Le altre famiglie o non avevano il posto dove mettermi o non
avevano comunque voglia di avere un intruso in casa.
Mia madre, allora, semi-disperata, decise che era ora di fare
conoscenza con i nuovi vicini. Si presentò alla loro porta e,
con la voce più mielosa possibile chiese se, per caso, molto
gentilmente, potevano ospitarmi a casa loro per un po’. Davvero
pochissimo tempo, solo qualche giorno, giuro, è un ragazzo
così responsabile, non vi darà il minimo problema.
Anche loro dissero che non erano quasi mai in casa, ma che le figlie,
dopo scuola, non uscivano quasi mai, quindi avrebbero potuto farmi
compagnia. Però non c’era il posto per farmi dormire.
Mia madre, che non sapeva minimamente che cosa significava arrendersi,
si fece venire la grande idea: avrei dormito in casa dei novelli
sposini e il pomeriggio le sorelle S., essendo più grandi di me di un anno, mi avrebbero fatto da
baby-sitter. Mi sentivo imbarazzatissimo: ora loro avrebbero creduto
che fossi un ragazzino smidollato che non era capace di badare a se
stesso.
La mia nuova routine partì dalla sera stessa: trascorsi la notte
in casa degli sposini, entusiasti di poter far pratica con me in
previsione di futuri figli. Erano entrambi molto gentili, perfino
troppo. Talmente zuccherosi da far venire la nausea, mi parlavano
tutt’e due con il tono di voce che si usa con i poppanti. Inoltre non
facevano altro che sbaciucchiarsi e abbracciarsi. Lei era una bella
donna: bionda con gli occhi azzurri e un corpo da quindicenne, sembrava
un’attrice. Lui doveva avere solo qualche anno in più di lei,
sembrava appena uscito dall’università.
Cenammo attorno a un tavolino rotondo nel salotto e loro cercarono di
mettermi a mio agio chiedendomi della scuola, delle ragazze e degli amici. Io non
vedevo l’ora di potermi alzare e andare nella stanza dove avrei dormito,
ero stanco della loro zelante premurosità.
Una volta finito di mangiare, vedendomi scappare su per le scale alla
volta della cameretta degli ospiti, si fecero l’idea che fossi un
ragazzo molto timido.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Era cominciato tutto verso
mezzanotte, quando la coppietta si era rifugiata nella loro camera.
Essendo la mia stanza proprio di fianco alla loro, potevo sentire gran
parte della loro conversazione. Prima parlarono di lavoro,
dell’indomani e altri argomenti scarsamente interessanti. Ma poi, una
volta spente le luci, cominciarono ad arrivare dei frequenti mugolii, e
dalla voce sembrava lei ad emetterli. All’inizio pensai che si sentisse
male, e mi chiesi’perchè diavolo lui non si svegliasse e
l’aiutasse. Stetti lì ancora per un po’, nel mio letto, con gli
occhi fissi sul soffitto. I mugolii non accennavano a smettere.
Sbuffai e scostai le coperte, seccato. Facendo attenzione a dove
mettevo i piedi, mi feci largo verso la porta, uscii sul corridoio e
andai verso la loro stanza. Nonostante facessi l’offeso, in cuor mio
già mi immaginavo la scena: io correvo nella stanza e vedevo che
lei stava male, così l’aiutavo e, grazie alla mia bravura, lei
si sarebbe sicuramente sentita meglio. Così si sarebbe stupita
di quanto fossi in gamba, avrebbe capito quanto idiota fosse il marito,
mi avrebbe dato un bacio e mi avrebbe chiesto di scappare via con lei.
All’idea un enorme sorriso sornione mi si dipinse sulla faccia.
Ma i miai piani furono pronti a sfaldarsi come castelli di carta. La
porta della loro stanza era semichiusa e io potevo benissimo vedere
cosa avveniva dentro.
Vidi che lui non stava dormendo, stava sopra di lei, la testa
appoggiata sulla sua spalla. Ansimava forte e muoveva continuamente su
e giù il bacino.
Lei sussurrò, preoccupata: – E se ci sentisse?
Aveva uno strano tono di voce, basso e suadente. Dio, a sentirla in quel
modo sentii chiaramente il mio amichetto lì sotto fare
l’alzabandiera, così che dai miei pantaloni si vedeva un bozzo
abbastanza evidente.
Lui non rispose alla domanda, ma la baciò con una passione quasi
violenta. Le prendeva le labbra con i denti, gliele mordicchiava, poi
le umettava con la sua lingua. Passò a baciarle il collo con una
voglia quasi rapace, sembrava dovesse sbranarla. Con la mani le
accarezzava la schiena e i fianchi, stringendola contro il suo corpo.
Si abbassò un po’ e cominciò a succhiarle i capezzoli,
mentre con la mano che aveva libera le stringeva i seni nei palmi.
Glieli baciava, glieli leccava, poi le mordicchiava i capezzoli eretti
e durissimi. Lei mandava la testa all’indietro e respirava sempre
più forte, inarcandosi con la schiena e premendosi la tsta di
lui sui seni.
– Oddio – mormorò, in preda al desiderio.
Lei si scostò un po’ da lui, mentre lo spingeva un po’ in basso.
Lui sparì sotto le coperte, la sua testa formava una piccola
collinetta che si spostava e si fermò in cincidenza della fighetta. Lei divaricò completamente le gambe, scoprendole un po’, e mandò indietro la testa, facendo dei versi vogliosi.
– Oh, sì – sussurrava, estatica. Appoggiò una mano sulla
testa di lui, incitandolo a continuare, mentre con l’altra si
aggrappava alla testiera del letto, quasi si preparasse a lottare
contro un tornado.
Lui, dopo un po’, dato che la coperta gli ostacola i movimenti, se ne
liberò e la gettò sul pavimento. Ora avevo una visuale
completa. Lui la stava leccando tra le gambe, con la stessa vogliosa
voracità con cui le aveva leccato i seni. Lei aveva una leggera
peluria bionda lì, che premeva contro la bocca di lui. Mise le
lunghe gambe bianche appoggiate sulla schiena di lui e mosse il bacino
contro la sua bocca, invitandolo a non smettere. Lui le sfiorava le piccole labbra con la punta della lingua e si metteva a titillare il clitoride. Poi lo succhiava delicatamente, stringendolo tra le labbra.
A quei contatti, lei perse pian piano ogni inibizione. Scuotendo la testa da una parte all’altra, in preda a una voglia irrefrenabile, si fece più spinta e, con voce implorante, gli disse:
– Lo voglio, lo voglio adesso, mettimelo dentro, ti prego.
I gemiti si facevano sempre più alti e, apparentemente, non si preoccupava più che io sentissi o meno.
Dal canto mio, rimasi fermo lì a guardare come un allocco, trovando lo spettacolo estremamente eccitante,
anche se il mio amichetto lì sotto cominciava a farmi male. Mi
misi istintivamente una mano sul bozzo, sperando di calmare il dolore,
ma ogni piccolo’contatto sembrava incitarlo ancora di più a
rimanere in posizione eretta. Sapendo ancora poco o nulla, però,
dell’autoerotismo, non sapevo minimamente come calmare le acque. Il
risultato fu che, dopo un po’, alla vista dei suoi seni alti e sodi e
dei capezzoli eretti, non ce la feci più e mi lasciai sfuggire
un piccolo lamento. Che a lei non sfuggì. Subito si
fermò, facendo fermare anche il suo compagno.
– Aspetta, hai sentito? – chiese.
Io ero sgattaiolato più veloce che potevo in camera mia, per
quanto la situazione non mi permettesse proprio di correre liberamente.
Mi sdraiai nel mio letto di lato, in modo che, se lei fosse entrata,
non si vedesse nulla. Chiusi gli occhi e feci finta di dormire un sonno
profondo. Il sangue mi pulsava nelle tempie e le orecchie erano assordate dal rumore del battito del mio cuore. Avevo perfino paura che potessero sentirlo dalla loro camera.
Come immaginavo, sentii dei passi dietro la porta qualche momento dopo. Era lei, l’avevo intuito dal passo leggero.
Sbirciò dentro e, vedendomi tranquillo nel mio letto, si
rassicurò.
Tornò a letto anche lei. Lui cercò di convincerla a
continuare da dove avevano interrotto, ma lei si sentiva insicura.
– Non era il ragazzo, stava dormendo. Che strano però, mi
sembrava di averla chiusa la porta della sua stanza, quando gli avevo
dato la buonanotte.
Mah, scritto malissimo
Buongiorno. Ottimo inizio del tuo racconto. Aspetto di leggere il tuo prossimo racconto in qui tu e il tuo amico…
Ciao purtroppo non sono brava nello scritto, Se vuoi scrivermi in privato . delo.susanna@gmail.com
Per un bohemienne come me, che ama l’abbandono completo al piacere e alle trasgressioni senza limiti, questa è forse la…
Ho temuto che non continuassi… sarebbe stato un vero peccato, il racconto è davvero interessante