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Racconti Erotici Etero

La pagliuzza

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Ci sono due grandi modi di vivere: il religioso e il sessuale. (D.H.Lawrence)

Quanto mi piaccia il maschio e quanto lo desideri, in ogni momento, &egrave cosa che non solo non voglio negare, ma della quale mi compiaccio.

Non sono una fervida credente, ma se quel ‘coso’ che tanto mi attira &egrave stato opera di qualcuno, quello si che &egrave un dio!

C’&egrave chi vive per il potere, chi per la ricchezza, chi per la fama’ io vivo per il sesso!

E ne sono contenta.

Se c’&egrave qualcuno che &egrave già giunto alla diagnosi che sono una ‘ninfomane’, devo smentirlo.

‘Ninfomane’ &egrave chi &egrave affetta da desiderio sessuale continuo e non &egrave mai sessualmente soddisfatta.

Io il mio robusto appetito, in materia, lo appago egregiamente, e’. ogni volta! Si vede che in proposito sono di digestione rapida, perché non passa molto ed ho ‘più fame che pria’.

Ero adolescente quando nei Ragionamenti’ dell’Aretino, lessi qualcosa in merito a quella che veniva definita la fame della bocca di sotto.

Ebbene, in me ha più appetito quella bocca che non l’altra che sta sotto il naso.

E’ chiara a tutti l’analogia anatomica tra le due bocche, entrambe hanno labbra, e i loro interni sono molto simili.

La saggezza popolare ha quasi sempre battezzato il sesso maschile, nei dialetti, con nomi che si riferiscono a cose sfamanti: uccello, pesce, pizza’

Per me lo potete chiamare come vi pare, basta che sia idoneo al servizio cui madre natura, che sia benedetta, l’ha destinato.

Sento che qualcun altro sghignazza, chiedendosi chissà quale genere di menù preferisco in merito.

Non ho motivi per non soddisfare la curiosità.

Premesso che non ho bisogno di aperitivi o stuzzichini, devo dire che le preferenze variano a seconda del luogo, del momento, dell’umore della parte interessata.

Non pretendo ostriche e champagne in una osteria campagnola, dove sono certa di trovare salami e uova che fanno al caso mio.

Se sono nel posto giusto, come a Comacchio, per esempio, non mi faccio mancare un bel bisato, o capitone che dir si voglia.

Ma non disdegno le raffinatezze.

Sono pazza per i dolci, in particolare per i cannoli, siciliani o meno.

Se la fame &egrave tanta, mi adatto anche col primo filoncino che mi passa per le mani.

Ho già detto che non sono insaziabile. Infatti, ripeto che mi sazio sempre.

Anche se non per troppo tempo.

Come dev’essere il fornitore?

Sicuramente non un grossista, perché di solito non si riesce ad esaminare attentamente l’articolo.

Comunque non ho pregiudizi.

L’essenziale &egrave che si tratti di roba genuina, e può comprendere tanto le primizie che prodotti tardivi. Sia gli acerbi che i maturi.

E’ logico che la resa sia diversa. Di solito sono io ad avvalermi della mia esperienza culinaria con gli acerbi, mentre gli altri, sono già pronti.

Si, sono sposata, con Gino, ed ha ben di che levarmi la fame.

Ma ci sono due considerazioni, la prima &egrave che post prandium, dopo il pasto, ci dividiamo e ognuno si dirige al posto dove esplica la propria attività; la seconda &egrave che a me la dieta monotematica non rende quanto quella variata.

Vincenzino &egrave il nuovo garzone del macellaio, un giovanottone che sembra un po’ impacciato. Sorride sempre, cerca di essere gentile, ma ha certamente bisogno di raffinarsi. Gli ho chiesto se può portarmi a casa ciò che ordine per telefono, e gli ho anche indicate certe ore, cio&egrave quando la colf ha finito e mio marito, Gino, non &egrave ancora tornato.

Quando gli ho aperto la porta non mi sembrava lui, senza camice. Molto meglio che dietro il banco.

L’ho fatto entrare, l’ho condotto in cucina e gli ho fatto riporre la carne nel frigo e poi sono passata all’argomento principale.

Ho saputo che era della provincia, che ora, viveva lontano dalla fidanzata, e quando gli ho chiesto se le era fedele, mi ha risposto che ciò dipendeva’

‘Da che, Vincenzino?’

‘Signò, se l’altra &egrave bona, e soprattutto se ce stà!’

‘A me, come mi consideri.’

‘Nun scherza’, signo”’

‘E chi scherza… Vince”.vieni di la.’

Non era nemmeno entrato nella camera da letto che era già nudo come un verme, e quando lasciai cadere la vestaglia, m’afferrò e mi sollevò. Aprii le gambe, e il suo robusto batacchio, duro come l’acciaio e con una capocchia che sembrava un turgido fungo porcino, trovò rapidamente la strada per penetrare in me.

Non era violento, ma sentivo che anche lui in quanto a fame di sesso non scherzava.

Ci muovevamo all’unisono, si ritirava e rientrava con una tecnica meravigliosa.

Mi sembrava l’arnese che usa lo spazzacamino per rimuovere la fuliggine nella canna.

Il suo grosso glande mi carezzava sempre più deliziosamente, e sarei caduta, quando l’orgasmo mi travolse, se non m’avesse sorretto con le sue robuste mani.

All’improvviso sentii come se fosse crollata una diga, perché il calore del suo seme non cessava mai di scorrere in me, poi iniziò a colare dalle mie gambe.

Magnifica scorpacciata di fallo.

Annotai nella mia mente che dovevo sempre scegliere di essere servita dal commesso e non dal titolare, in quella macelleria.

Mi accontentava di più.

Speravo di resistere fino al rientro di Gino.

Di solito il pomeriggio del sabato la facoltà é proprio chiusa. Non capivo, quindi, perché il Preside disse che aveva bisogno di parlarmi proprio in quel giorno e a quell’ora.

Non &egrave che avessi altro da fare, ma con Gino avevamo fissato il campo di tennis per allenarci. Mi disse che avrebbe telefonato ad un suo amico, ci saremmo rivisti a casa, per la cena.

Il parcheggio era deserto, c’era solo l’auto del Preside, malgrado mancasse circa mezz’ora all’appuntamento.

Quello era il primo anni di presidenza di Mario Marelli, abbastanza giovane per quell’incarico, ma molto accurato e preciso in ogni sua azione. Un bell’uomo, non c’&egrave che dire, elegante o sportivo, anche nell’abito, a seconda delle circostanze. Non avevo avuto molte occasioni per parlarci, al di fuori dei normali contatti a causa della sua funzione e della mia docenza.

La porta del suo studio era aperta, lui era alla scrivania, indossava una polo moderna e firmata. Era intento a leggere qualcosa. Quando sentì il mio passo, alzò gli occhi e mi sorrise.

‘Venga quando vuole, Beatrice.’

Era la prima volta che mi chiamava per nome, di solito si rivolgeva a me dicendo ‘professoressa’ o, se doveva essere accattivante, ‘collega’.

Lasciai la borsa nel mio studiolo e lo raggiunsi.

Si alzò, mi stese la mano, con particolare cordialità, e m’invitò a sedere sul divanetto che era nell’angolo, col tavolino basso e due poltroncine.

Sedette di fronte.

Lo guardavo, curiosa, in attesa di conoscere il motivo di quella convocazione.

Accavallai le gambe e la corta gonna salì ancora di più sulle mie cosce che, a detta di tutti, ed anche mia, erano di pregevole fattura.

Quel pomicione d Pino, il segretario di facoltà, dicevano che erano gli incantevoli versanti che conducevano alla più attraente della gallerie, a lui, purtroppo, ancora sconosciuta.

Gli avevo risposto, sorridendo, che non doveva mai disperare!

Torniamo al Preside Marelli.

Mi prese le mani, si sporse verso me, ma guardava soprattutto sotto il mio gonnellino.

‘Cara Beatrice, posso chiamarti così, vero?’

Quindi, mi dava anche il ‘tu’.

‘Certo, Preside.’

‘Che fa, mi prendi in giro? Lo sai che mi chiamo Mario, e ti ho pregato di venire fuori del normale orario proprio per togliere di mezzo ogni ufficialità. Fa conto che sia un tuo collega anziano.’

‘Beh, mica tanto anziano!’

‘Diciamo di dieci anni, va bene?’

Alzai le spalle.

‘Allora, collega Mario?’

‘Non essere ironica, ho in mente di organizzare un convegno di un certo tono e vorrei che fossi tu ad occupartene.’

‘Credi che ne sia capace?’

‘Sicuramente, e poi hai garbo e un ‘appeal’ al quale non ci si può sottrarre.’

Lo guardai sorniona.

‘Sex appeal?’

‘Anche.’

‘Per via della mini?’

Mario sorrise, allegro.

‘La ‘mini’? Sai che &egrave definita la ‘mantovana’ della fica?’

Linguaggio chiaro, aperto, senza perifrasi ne ipocrita uso di termini scientifici o meno.

‘Perché, mi sta male?’

‘Tutt’altro, ma &egrave ben modesto ornamento per la preziosità che cela.’

Quel discorso mi eccitava, e non avevo certo bisogno di stimoli per esserlo.

Pensai che stavamo sulla buona strada.

‘Che fa, suggerisci miglior decorazione?’

‘Ho la sfacciata presunzione di ritenere che potrei fornirtela.’

‘Vuoi provare?’

Il Preside mi guardò fisso, non sapeva se scherzassi o meno.

Dovevo chiarirgli come stavano le cose.

Mi alzai, chiusi la porta a chiave, abbassai le tende alla finestra, mi avvicinai alla scrivania, lasciai cadere la mini, tolsi la blusetta, rimasi in perizoma e reggiseno.

Lui non aveva perduto tempo, aveva levato perfino le scarpe, e si avvicinò a me col suo fallo ben rigido e fremente.

Mi slacciò il reggiseno, mi sfilò il perizoma.

Con naturalezza, ma con golosa attesa, mi posi carponi sul tappeto, senza alcuna necessità di preliminari, eventualmente ci saremmo attardati nel post-ludio.

S’inginocchiò, dietro me, e con studiata maestria, me lo infilò nella vagina, piano paino, fino a quando non sentii i suoi testicoli battere sulle mie chiappe frementi.

Come Preside era abbastanza bravo ma come scopatore era un fenomeno. Mi strizzava le tette, titillava il clitoride, e il suo pistone ci dava dentro con tutta la necessaria e deliziosa energia.

Godevo da matta. La solita fame si andava lentamente estinguendo, poi il suo empirmi divenne sempre più appassionato, impaziente, e poco prima che mi dissetasse con la sua lava incandescente, mi sentì, certamente, sconvolta dall’orgasmo che mi travolgeva. Non volevo, però, che uscisse da me, speravo che ci sarebbe stato un bis senza tregua, e fui accontentata.

Doppia meravigliosa razione.

Avrei certamente resistito fino alla cena.

Gino mi raccontò del suo ‘palleggio’, molto negligente, delle ore trascorso al Circolo del Tennis, di chi aveva veduto’ di tante piccole cose che non mi interessavano affatto.

Mi parlò anche del nuovo ‘maestro’, un certo Loris, uno che, a quanto gli sembrava di aver capito, veniva da un paese dell’Est.

Mi propose di andare a cena fuori, senza pretese, una pizza e un boccale di birra, al solito posto.

Quando fummo seduto al tavolo, lui chiese una ‘margherita’, io, forse freudianamente, optai per il ‘calzone ripieno’.

Mio marito mi guardò significativamente quando disse al cameriere che voleva dissetarsi con una ‘bionda’, io, che lo sono di natura, il tipo ‘extra strong’.

Al cine poco distante proiettavano una novità della stagione: ‘Fu King’. Dai manifesti si capiva che doveva trattarsi di un re dell’antica Cina, ma accettai con entusiasmo perché, con la solita mia idea fissa, avevo letto a modo mio: ‘Fucking’, ‘scopatore’, cio&egrave uno che scopa.

Per me il film era una solenne scocciatura.

Cercai di far passare il tempo infilando una mano nei pantaloni di Gino, nel boxer, e carezzandogli dolcemente il suo ordigno che mi ripromettevo di far esplodere, dopo non molto, nella mia cosamatta (scusate, volevo dire casamatta, il termine militare).

Gino decifrò intelligentemente il messaggio, che mettendomi a letto completamente nuda avevo confermato, e non mi deluse , afferrandomi per le natiche, sollevando il mio bacino portandolo all’altezza del suo fallo, e introducendolo in me, con la sua solita perizia.

Con le mani guidava il mio movimento e lo sincronizzava col suo.

Poi non ce ne fu bisogno, il mio grembo palpitava come una pompa aspirante, e lo suggeva golosamente.

Lo sentiva entrare e uscire sempre più impegnato r volonteroso. Lui ben sapeva come, quando, e quanto farmi godere, e non si risparmiò. Ne io lesinai la mia entusiasta ed interessata collaborazione.

Fu bellissimo, poi, rannicchiarmi tra le sue braccia e dormire, piena di lui.

Mattino, soliti preparativi: caff&egrave, doccia, colazione, accertarsi che nella borsa c’era quanto dovevamo portare con noi, bacetto di saluto, commiato.

Io sarei andata all’università dopo le undici.

Non appena Gino uscì, tornai col pensiero alle sue piacevoli attenzioni della notte prima. Già belle e digerite’!

Dovevo fare qualcosa per scacciare dalla testa quell’eccitante ricordo.

Forse era meglio passare al Tennis, e, se possibile, fare un po’ di moto.

Ah, già, avrei trovato il nuovo maestro, Loris. Ragione di più per andarci. E feci benissimo, perché Loris era l’incarnazione di un atleta di Mirone: alto, biondo, incantevole.

Ho detto che feci benissimo, ma credo che mi sbaglio, perché quella visione, invece che calmarmi, m’eccitò.

Come lo stomaco s’agita allorché gli occhi scorgono una ghiottoneria, così fu per il mio grembo a quella vista, ed ancor più allorché, con un sorriso meraviglioso, mi strinse vigorosamente la mano.

Inutile dire che lo sguardo indagò curioso sul rigonfio dei suoi calzoncini.

Era disponibile per un breve allenamento.

Del resto il dovevo lasciare il campo non più tardi delle dieci e quindici.

Tutta intenta a guardare lui, non presi palla.

Lui se ne accorse e mi disse che ero troppo distratta.

Gli risposi che era vero, pensavo ad altro.

Meglio una bella doccia e avviarsi all’università.

Mi diressi agli spogliatoi, deserti a quell’ora.

Le solite cose: in un vano gli armadietti, nell’altro il lettino per i massaggi e poi le docce.

Presi un telo a spugna, misi gonnellino e blusa all’attaccapanni, vi aggiunsi reggiseno e perizoma, tolsi le scarpe e stavo per entrare nella doccia, quando sentii chiudere l’uscio.

Mi voltai, era Loris, forse anche lui voleva fare una doccia perché non indossava nulla.

Era splendido e appetitoso nella sua nudità.

Ma era proprio la doccia che voleva fare?

L’evidenza della sua prepotente erezione mi faceva sorgere qualche dubbio.

Il dubbio fu immediatamente risolto dal suo avvicinarsi a me spingermi sul lettino, alzare le mie gambe fino a porre i talloni sulle sue spalle, e poi prendere il suo glande violaceo e porlo all’ingresso della mia più che rugiadosa vagina che, pur in parte sorpresa, lo attendeva ansiosamente, avida e vorace.

Cibo delizioso per la mia ingorda bocca che lo ingurgitò fin quanto pot&egrave.

Poggiato con le mani sul lettino, Loris cominciò una serie di sospensioni lente e lunghe che in proposito gli avrei conferito la medaglia olimpica.

A mano a mano che sentiva crescere il mio palpitare, e che i miei gemiti gli indicavano che stavo per tagliare il traguardo, si esibì in uno sprint che mi stava travolgendo, non capivo più niente.

Le mie chiappe si beavano al ‘ciac’ ciac” dei suoi testicoli, e allorché mi strizzò energicamente le tette, la mia vagina lo imprigionò possessiva, trasmettendogli il segnale della vittoria.

Quando m’invase col suo seme caldo, pensai al Don, ai cosacchi, alla carica all’arma bianca.

La sua era rossa, ma sommamente appagante.

Il pomeriggio ero a casa.

Trillo del telefono, andai a rispondere.

Voce di donna, calda, un po’ roca, con forte accento straniero, evidentemente inglese.

‘Vorrei parlare con Gino, per favore.’

La mia voce, invece, era abbastanza aspra.

‘Chi sei?’

‘Una sua amica, Eileen.’

Risposta secca e scortese.

‘Non c’&egrave!’

Tolsi la comunicazione

Quando Gino tornò a casa mi feci trovare con tanto di muso.

Risposi freddamente al suo bacio, anzi voltai la testa per riceverlo sulla gota, non sulle labbra.

Mi astenni alla consuetudinaria palpatina di patta e allontanai la sua mano dal mio sedere.

Mi guardò, tra il divertito e il sorpreso.

‘Qualcosa non va?’

Mi dimostrai distaccata, disinteressata.

‘No, va tutto bene”

Feci finta di allontanarmi, verso lo studio.

” a proposito, ha telefonato Eileen”

‘Ah.. si’ l’aspettavo’ &egrave la moglie del mio collega di Londra che &egrave arrivata in Italia per la prima volta, mi &egrave stata raccomandata dal marito per non farla sentire troppo sola..’

‘Com’é?’

‘Mai vista.’

Me ne andai nello studio.

Gino si &egrave sempre dimostrato tenero ed affettuoso e pronto ai miei desideri.

Certo ignora’ gli spuntini’ che faccio fuori casa.

Ma devo tenermi sulle mie, dimostrarmi rigorosamente gelosa.

Dopo non molto mi raggiunse.

Aveva un libro in mano, lo depose sulla mia scrivania, dinanzi a me. Se ne andò.

Una copia dei Vangeli, in inglese e in italiano.

Il segnalibro era inserito in una certa pagina.

Lo aprii.

A sinistra il versetto inglese con una lieve aggiunta, una ‘s’ dinanzi alla prima parola:

she sees the mote in others’ eyes but not the beam in his own

Nella pagina di destra, in bei caratteri, dizione italiana:

‘ guardi la pagliuzza che &egrave nell’occhio di tuo fratello,

e non ti accorgi della trave che &egrave nel tuo

(Lc.6,41)

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