Terminate le lezioni del sabato mattina, invece del pranzo ci aspettava un pullman che ci avrebbe condotti alla piscina comunale affittata dai preti per i nostri esercizi sportivi. Dopo un’ora e mezza di riscaldamento e lezioni di tecnica natatoria, si tornava a scuola con lo stesso mezzo.
Per alcune settimane non cambiò nulla nella nostra vita sessuale: quel diversivo era solo un mezzo per avere qualche momento in più di vicinanza, che riempivamo con le nostre chiacchierate e i nostri soliti giochi di mano. Seduti sui sedili del pullman, elaborammo un meticoloso gergo erotico a nostro uso esclusivo: per esempio, quando ci veniva duro, dovevamo flettere le dita della mano in una certa maniera, che ora non ricordo più; a quel punto partiva la caccia ai volatili. Si parlava anche di figa, naturalmente, ma erano tutte storie inventate ‘ esageratamente inventate, poiché l’assoluta mancanza di esperienza ci privava di qualunque senso critico ‘ a cui fingevamo di credere per favorire l’eccitazione e poterci vantare delle dimensioni del nostro cazzo.
Un giorno, proprio sul pullman che ci riportava a scuola, avvenne quel che doveva avvenire: era cioè giunto a maturazione il processo di demolizione dei freni inibitori e dei pregiudizi tribali che ancora ci avevano trattenuti dall’essere fino in fondo quel che desideravamo essere, dall’avere quel che desideravamo avere. Come sempre succede, il crollo era stato silenzioso e inavvertito, e sarebbe bastato un piccolo gesto normale, qualunque, per renderlo manifesto alle nostre coscienze. Avvenne che, particolarmente eccitati dall’esercizio fisico, dall’appetito e dalla costante provocazione reciproca, Antonio si aprì la lampo e fece uscire il suo giovane pene, enormemente duro ai miei occhi. Incapace di resistere, glielo presi in mano, infilandomi addirittura dentro i pantaloni per palpargli ben bene i coglioni. Renato rimase a guardare il mio gesto paralizzato dall’emozione, mentre Antonio rideva maligno e soddisfatto, come se in fondo si fosse aspettato proprio quello. Io avevo il cuore in gola, e credo che la mia mano non abbia nemmeno percepito quello che faceva.
Spaventato dalla situazione, mi ritirai in fretta, per non essere sorpreso da qualche estraneo. Antonio si ricompose, ma con volto più pallido e occhi accesi, ci sussurrò quelle parole fatali che nessuno, per rimuginandole per mesi nella mente, aveva mai avuto il coraggio di tirar fuori: ‘perché non andiamo nei gabinetti’?’. Non rispondemmo, ma nei nostri volti altrettanto pallidi e accesi, si leggeva chiaramente la risposta.
Non parlammo più fino a scuola. Lì giunti, ci dirigemmo con finta indifferenza verso la classe, con la scusa di ritirare la cartella. Nei corridoi non c’era più nessuno. La scuola sembrava deserta. Era come se il destino avesse segnato quella giornata come uno scenario destinato esclusivamente alla rappresentazione del nostro rituale di iniziazione. Tutto era sospeso intorno a noi, nulla avrebbe potuto interferire con le nostre intenzioni ormai penetrate nei nervi come un potente allucinogeno.
Antonio fu il primo a recarsi nel bagni; lasciammo passare qualche interminabile minuto, poi lo raggiungemmo, alla spicciolata. La porta della latrina era semiaperta. Antonio era già lì.
Ci chiudemmo dentro. Non c’era bisogno di dire nulla né di fare alcun gesto di circostanza: Antonio fu il primo ad alzarmi il maglioncino, a slacciarmi la cintura e ad aprirmi la lampo dei calzoni. Rimasi in mutande. Ricordo che mi sentivo la pelle d’oca su tutto il corpo, che le gambe mi tremavano un po’, ma soprattutto che il mio cazzo, ancor prima di essere fiorato, era già così duro da farmi male. Poi mi tolse le mutande. Il mio pene era sparato in avanti come un cannoncino, e io stesso lo guardavo stupito, come sorpreso di vederlo lì, non più in condizione di solitudine ma accarezzato con enorme timore da mani che per la prima volta in vita sua non erano le mie. Non resistevo più: feci ad Antonio lo stesso servizio, mentre lui si catapultava sui pantaloni di Renato. In due minuti, fummo tutti e tre nudi dalla cintola i giù.
Antonio era decisamente il più intraprendente e arrapato: prese subito i nostri due cazzi nelle sue mani, scappellandoli incredulo e agitato. Con un po’ più di fatica, alla fine anche Renato ed io ci tuffammo nel groviglio genitale che si offriva alla nostra fame. Respiravamo affannati, come se il batticuore ci togliesse il fiato; Antonio poi cominciò ad ansimare nel modo tipico di chi è troppo eccitato, emettendo con le labbra quella specie di risucchio che evoca più la sensazione del terrore che quella del piacere. All’inizio fu un palparsi disordinato e quasi cattivo: cazzo e palle sparivano inghiottiti tra le dita dell’uno e dell’altro, in modo vorticoso e frenetico. Poi Antonio cominciò a chinarsi, posando piccoli baci brucianti sulle nostre pance, poi sulle natiche nervose e tremanti, e finalmente sul pene eretto. Ci baciava accarezzandoci ovunque, con la voracità di una piovra che non mangi da giorni.
Ero sconvolto. Non credo di avere mai più provato un’emozione altrettanto forte, nemmeno la mia prima volta con una donna. No, fu certamente una cosa unica. La prima volta che ti trovi davanti alla figa, il sentimento dominante è l’ansia. Succede quasi inevitabilmente che tu non ti renda neppure conto di che cosa hai davanti, della grandiosità dello spettacolo che la natura ti offre, perché tremi soltanto all’idea di fallire. E così il momento magico passa, se ti va bene te la cavi con onore ma tutto il tuo pensiero non va a lei ma allo scampato pericolo. E la seconda volta è già qualcosa che odora di déja vu.
No, in quel gabinetto maleodorante, le mani dei miei amici su di me mi diedero un brivido di voluttà così intenso e sconosciuto fino ad allora, che fui come sferzato da una frustata nei muscoli di tutto il corpo, alzai la testa come per lanciare un urlo possente di gioia e emisi un sospiro tremante e incontrollabile. Ogni movimento delle loro mani sul mio pene, tra le mie cosce, era come una scossa elettrica che mi sconquassasse fino al midollo: guardavo quel lavorio lussurioso tremando, incredulo, porgendo alle loro mani roventi la mia eccitazione incontenibile.
Nella vita reale, la prima volta con una donna è quasi sempre una reciproca, timorosa scoperta. A meno di non avere chissà quale fortuna, tanto straordinaria quanto unica, la prima scopata avviene con una creatura che non ti conosce, che sa dell’uomo tanto poco quanto tu sai della donna. Quello che potrebbe essere il momento più intenso del piacere umano, si riduce invece ad una impacciata esplorazione di territori misteriosi e intricati ‘ il genitale femminile è un labirinto nel quale, se non si è più che padroni di se stessi, si può rischiare di perdersi clamorosamente, rimanendone non prigionieri ma esclusi con vergogna insopportabile.
Questa fu la differenza: che tutto quello che i miei amici toccavano, e quello che io toccavo su di loro, ci era reciprocamente noto e familiare. Sapevamo cosa toccare, come toccarlo e quanta forza imprimere alla nostra penetrazione tattile. Il loro era mio e il mio era loro, ma l’effetto era una continua, devastante sorpresa, per i sensi e il cervello. Sapevo come andava afferrato quel glande rosso e gonfio, quanto potevo scostarne la pelle e con quanta durezza potevo afferrarne il manico; sapevo dove fermare la pressione sui coglioni di Renato, che andavo a cercare da dietro scivolandogli tra le cosce, perché il gesto è più intimo e volgare. Sentivo la bocca di Antonio posarsi sul punto giusto, le sue mani premere con sapienza la radice del mio cazzo, aumentandone la durezza, e sentivo quelle mani estranee muoversi esattamente come se fossero state le mie nei miei momenti di frenetica ricerca del piacere. Il piacere che provavo, che loro provavano con me, non era interrotto, filtrato, limitato, invaso da alcun altro sentimento, da nessuna distrazione emotiva, da nessun pensiero tangenziale che insinuasse contenuti estranei al suo puro estrinsecarsi: era un piacere senza schemi, senza titubanze, senza paure, senza freni, senza sorprese ma nello stesso tempo pieno di scoperte.
Al parossismo dell’eccitazione, ci inginocchiammo tutti e tre sui talloni, come in una specie di estasi rituale, e cominciammo a masturbarci reciprocamente con un ritmo indiavolato: la mani infilate tra le cosce dei miei amici mi sembrava sparissero nel cuore stesso del paradiso del sesso, e al fondo sentivo quel pezzo di carne grande e morbido nello stesso tempo che mi scivolava tra le dita, gigantesco, palpitante, mio’ lo sperma schizzò dappertutto, dovetti mordermi le labbra per non gridare, e il piacere di quella grande sega collettiva mi è rimasto nelle sinapsi nervose come una bruciatura incancellabile.
Uscimmo di scuola con grande circospezione, dopo aver preso accordi per l’immediato futuro. Ormai, i giochi erano fatti’
Gli accordi erano molto semplici. Ci saremmo trovati almeno tre volte alla settimana a casa mia ‘per studiare’, nel pomeriggio. Non di più, perché quell’anno c’era l’esame e guai al mondo avessi dovuto fallire. Ma quei tre pomeriggi, diventarono per mesi un film porno a puntate. Casa mia era sempre libera poiché i miei lavoravano entrambi; le nostre possibilità erano quindi totali e incondizionate. Ora racconterò un pomeriggio tipico, magari combinando insieme alcune variabili.
Antonio e Renato arrivavano insieme. Appena entrati infilavo le mani nei loro calzoni, cercando subito i cazzi. Stavamo a lungo così vicino alla porta: io toccavo tutto quel che potevo, loro si agitavano provocanti dicendo parolacce. A quell’età, la rottura dei freni è spasmodica e brutale: quel che da adulti bisogna ‘creare’ con la fantasia e un bel po’ di concentrazione volontaria, a quindici anni viene fuori come da un pozzo infinito di energia vitale. Andando verso la mia camera, cominciavamo a spogliarci. Finivamo per metterci completamente nudi. Per un bel po’ stavamo sul lettone grande dei miei, toccandoci e baciandoci frenetici dappertutto. Quei cazzi duri che volavano disordinatamente attorno a me, che mi trovavo sulla faccia o tra le mani, spesso tra le cosce come se fossi stata la loro donna, mi mettevano in uno stato di agitazione totale. Dopo un po’ giacevamo stanchi e affannati uno accanto all’altro, e le mani si fermavano calde e ‘proprietarie’ sui reciproci genitali, in carezze lente e minuziose. Chiudevo gli occhi, non mi interessava altro che la sensazione erotica concentrata sul mio pene e tra le mie mani. Poi uno dei due ospiti si alzava e andava a prendere il giornale porno della settimana, comprato in società. Accovacciati sul letto col giornale in mezzo, guardavamo la figa palpandoci ognuno il suo, e, dietro richiesta, con reciproci scambi di attenzione. Quando l’eccitazione era pericolosamente vicina al limite, facevamo qualche gioco di rilassamento: ci mettevamo a fare cose per casa, qualunque, nudi. Ci piaceva guardarci, contemplare lo spettacolo dei cazzi, dei culi, delle cosce. Ogni tanto qualcuno non resisteva più e si dedicava a mistici palpamenti, ad adorazioni della carne. Inoltre, se la prima volta nel cesso non era stata detta una parola, finalmente anche la voce entrava nel gioco dell’eccitazione e della provocazione, aumentando le dosi di adrenalina. Era un rosario sussurrato di invocazioni erotiche: ‘dammi il tuo cazzo’ ti tocco ti tocco’ mi piace palparti le palle, porcone’ ciucciami la minchia, ciuccia’ ti voglio scapellare il cazzone duro” ecc. ecc.
Alla lunga non resistevamo più. E allora ci organizzavamo per bene, senza correre il rischio di lasciare tracce. Il luogo della sborrata era la vasca da bagno. Seduti sul bordo, col giornale appoggiato davanti a noi sul portasapone. Sceglievamo la figa del giorno, e cominciava il palpamento. A turno uno dei tre sedeva al centro, per godere di due cazzi alla volta. Quando sentivamo di stare per venire, uno per volta ci si alzava al centro della vasca: gli altri due manovravano sul suo cazzo. Uno pompava sul glande, l’altro palpava leggero i coglioni; le altre mani libere si davano da fare sul culo, cercando anche di penetrare leggermente il buco nero. La sborrata poteva venire senza freni, anche vocali: sentire il grido di piacere aumentava a dismisura anche in noi la tensione erotica del momento. E così si passava all’estasi finale uno per volta, con grande piacere reciproco.
Tutto quello che so sul mio piacere, su come esso si manifesta e si esprime, l’ho imparato in quei pomeriggi. Se ho potuto dare alle mie donne la parte migliore di me con tutto me stesso, è stato perché avevo rotto i freni nel modo più radicale e la gioia di godere si manifesta in me allo stato puro.
L’anno scolastico finì: Antonio fu bocciato, Renato ed io ce la cavammo con due o tre materie a settembre. Poi cambiai scuola. L’anno successivo ero finalmente in una classe mista, e capii che una stagione della vita era finita. Ero un imbranato con le ragazze, non le conoscevo per nulla, ma avevo dalla mia il vantaggio di non scoraggiarmi mai. Entro un anno ebbi la fidanzata, e credo di averla sorpresa con le mie energie vitali. Ma questa è un’altra storia’
Fine.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…