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Racconti Erotici Etero

La signora in rosso

By 22 Aprile 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Sono solo le dieci del mattino e se penso che devo stare qui, in questa grande sala, ad ascoltare gente che parla di cose che non mi interessano, fino alle cinque del pomeriggio, mi viene il mal di pancia.
Sono sempre così questi seminari di aggiornamento.
Mi guardo intorno alla ricerca di qualche diversivo piacevole.
Siamo in tutto solo poche decine di persone, per la gran parte uomini, e il grande auditorium appare desolatamente vuoto.
Davanti a me due vecchie befane, che si sono messe in ghingheri per l’occasione, chiacchierano amabilmente a voce bassa.
Mi giro verso sinistra, e in fondo, vedo un gruppetto. Le ho viste altre volte a questi seminari, vengono da un’altra sede della mia città, perché in ufficio le incontro solo in queste occasioni.
Niente di speciale, a parte una con un grazioso caschetto di capelli castani, lo sguardo malizioso appena nascosto da un paio di occhiali ed un nasino impertinente, comunque degna giusto di qualche sguardo, ma non da passarci la giornata.
Alla fine mi giro verso destra e la vedo.
Anche lei l’ho vista altre volte in queste occasioni, ricordo il suo viso un po’ irregolare, con due occhi scuri e vivaci, circondato da una massa di capelli neri ed ondulati che arrivano fino alle spalle.
Non riesco a ricordarmi il suo corpo, e così decido di studiarla un po’.
Mi ha attirato il rosso, chiaro e vivace, del suo abbigliamento.
Un completo, giacca e gonna, che forse ho intravisto anche in altre occasioni.
è parecchio lontana da me, ma siede alla fine di una fila completamente vuota ed ho la visuale completamente libera.
La gonna è corta e lascia scoperte le gambe per quattro dita buone sopra le ginocchia.
Anche lei si deve annoiare e vedo le sue ginocchia che si muovono nervosamente, poi ad un certo punto si gira e i nostri sguardi si incontrano.
Ha capito che la sto guardando? Forse no perché lei si trova più un meno sulla linea visiva tra me ed il podio dell’oratore, quindi io potrei benissimo seguire la conferenza e non essermi accorto di lei.
E poi forse lei si è voltata dalla mia parte ma non mi ha notato, magari sta guardando le due befane davanti a me.
Io non mollo, anzi, la metto al centro del mio sguardo, girando la testa verso di lei.
A questo punto, se veramente sta guardando me, potrebbe accorgersi che io la sto osservando.
Forse è un caso, ma ha accavallato le gambe.
La gonna, inevitabilmente sale e le scopre quasi completamente le cosce.
Cerco di capire come è fatta, ma non è facile farsi un’idea del corpo di una donna seduta a più di venti metri di distanza.
Mi tiro un po’ su per vedere la parte inferiore delle gambe: non deve essere un tipo longilineo, anzi mi sembra che abbia dei polpacci decisamente robusti.
Le cosce sembrano forti e bene in carne, poi lo spettacolo finisce e, dopo essersi messa composta, provvede pure a tirare il bordo della gonna, fin quasi a coprire le ginocchia.
Naturalmente dura poco ed è sufficiente che lei affondi un po’ nella poltroncina, per tornare a mostrarmi le gambe.
La storia va avanti per tutta la mattinata e sono sicuro che lei si è accorta che la sto guardando.
Alla fine, evidentemente stanca ed annoiata, comincia a dondolarsi leggermente sul sedile, con le gambe un po’ allargate, mentre si massaggia dolcemente le ginocchia.
Mi sorprendo a pensare che vorrei farglielo io quel massaggio. Accidenti, se sono arrivato a questo punto, significa che il seminario è veramente palloso.
Alla fine, ringraziando dio, lo strazio finisce.
Mi attardo perché la voglio vedere da vicino e lei mi passa davanti mollandomi un’occhiata enigmatica, almeno mi sembra.
Rimango un po’ deluso, perché è più bassa e più larga di quello che mi ero immaginato.
Due gambe corte e grosse, anche se sono tutto sommato ben modellate, mentre il viso, visto da vicino, appare meno giovane, una quarantina d’anni buoni con un accenno di borse sotto agli occhi.
La lascio passare e mi accodo per uscire dalla sala.
Cammina sicura davanti a me, muovendo il sedere che riempie completamente la gonna rossa, poi sparisce nel bagno delle donne.
Durante il pranzo non ho fatto altro che pensare che, nonostante non sia un granché, ha qualcosa che mi attira. Strano perché a me sono piaciute sempre le donne magre e slanciate, forse invecchiando i miei gusti stanno cambiando.
Nel pomeriggio mi siedo allo stesso posto e il mio sguardo va subito lì.
La fila è vuota, allora mi guardo intorno e, alla fine, vedo con la coda dell’occhio il rosso del suo vestito.
Si è seduta molto più vicino ma questa volta la mia visuale è coperta da altre persone e poi, per guardarla, dovrei girarmi completamente all’indietro, assumendo una posizione innaturale.
Comunque ogni tanto lo faccio e, quando succede, i miei occhi incontrano i suoi.
Beh, è normale, perché lei guarda in avanti, verso il palco, sono io che mi giro dalla parte sbagliata.
Comunque alla fine, quando mi alzo, ho un’ultima possibilità di guardarla.
è ancora seduta e in mezzo ai suoi capelli neri scorgo qualche filo bianco.
è l’ultima immagine che mi resta di lei. Magari mi capiterà di incontrarla tra un anno, ad un altro di questi seminari.

è passata una settimana e non ci pensato più.
Squilla il telefono.
In ufficio ci hanno dato degli apparecchi nuovissimi, con il display che ti dice chi sta chiamando.
Se la telefonata proviene dall’ufficio, oltre al numero, cioè il prefisso che indica la sede seguito dall’interno, compare anche il cognome di chi chiama.
Il nome è sconosciuto e il prefisso mi dice che sta chiamando da qualche altra parte, magari è uno che telefona dal Piemonte o dalla Sicilia ed ha semplicemente sbagliato numero.
Una voce femminile chiede con chi sta parlando ed io glie lo dico.
‘Salve, sono una collega che era al seminario della settimana scorsa, per la precisione quella con il tailleur rosso, sono sicuro che ti ricordi di me, visto che non hai fatto altro che guardarmi per tutto il tempo.’
Deglutisco a fatica, non so che dire, non mi aspettavo un approccio così deciso, quasi sfacciato.
‘Si, ho capito chi sei.’
‘Perché?’
‘Perché cosa?’
‘Perché mi fissavi così?’
A questo punto, ripreso coraggio, provo a piazzare una frase ad effetto.
‘Ci sono solo due motivi perché un uomo fissa una donna: o la trova molto attraente o la trova veramente brutta, poi, se continua a guardarla, il motivo è solo uno, ti lascio indovinare quale.’
Sembra aver accusato il colpo, perché rimane muta per parecchi secondi, poi: ‘non mi prendere in giro, ho una faccia brutta, il sedere troppo grande e due gambe corte che non meritano di essere guardate.’
Ripenso al suo corpo, ha ragione, da un punto di vista oggettivo ha ragione, ma qualcosa che comincia a diventare duro in mezzo alle gambe, mi fa capire che il mio punto di vista soggettivo è del tutto diverso.
‘Ora esco dall’ufficio e ti vengo a trovare, voglio vedere se hai il coraggio di dirmi le stesse cose, guardandomi in faccia.’
Ha messo giù, lasciandomi confuso e stupito.
Dopo una mezz’ora squilla nuovamente il telefono.
‘Ti sto chiamando dalla portineria, a che piano sei?’
‘Il quarto.’
‘Vienimi incontro agli ascensori.’
Quando si aprono le porte automatiche di uno dei grandi ascensori, me la trovo davanti con lo stesso completo rosso di quel giorno. L’unico elemento diverso sono un paio di stivali neri, con il tacco alto, che la slanciano leggermente.
Mi segue attraverso il corridoio fino alla mia stanza e sento il rumore dei suoi tacchi, attutito dalla moquette.
Entriamo e lei chiude la porta alle sue spalle, appoggiandoci contro la schiena.
Mi sorride con aria ironica ed io mi avvicino.
Sotto la giacca che nel frattempo ha sbottonato, porta una camicetta bianca, intravedo in trasparenza il reggiseno e penso che oltre al sedere, deve avere anche le tette grandi.
No so se sono stato io ad avvicinarmi o se invece lei mi ha attirato a sé.
L’unica cosa di cui sono certo è che ora la sto baciando sul collo e piano piano le mie labbra scendono nella scollatura della camicetta, mentre lei, con le dita piantate nelle mie spalle mi trattiene, caso mai volessi fuggire.
Naturalmente non ci penso per niente a scappare e lei nel frattempo ha allargato leggermente le gambe, in modo che il mio ventre possa aderire perfettamente al suo.
Non può non aver notato la mia erezione, infatti all’improvviso mi allontana bruscamente.
Forse ho esagerato?
‘E se entra qualcuno?’
Accidenti, ha ragione, è difficile, perché a quest’ora l’ufficio è quasi deserto, e poi le persone educate bussano prima di entrare, però la possibilità, anche remota, di un maleducato ritardatario, va presa in considerazione.
Tiro fuori dalla tasca il mazzo di chiavi e trovo quella della mia stanza d’ufficio. Non la uso mai, perché mi sembra stupido chiudere a chiave la stanza, ma ora torna utile.
‘Ecco fatto.’
Lei sorride e solleva leggermente la gonna.
Ha ragione: due gambe corte, tozze e troppo grosse, ma io, non mi chiedete perché, inizio a carezzarle le cosce.
Lei finisce di sollevarsi la gonna e con una mano sul capo mi fa abbassare.
Quando le mie labbra si posano sul suo sesso, ne sento tutto il calore e l’umidità, nonostante l’interposizione delle calze e della stoffa dello slip.
Lei emette un gemito profondo mentre io infilo una mano dentro i pantaloni e riesco finalmente a liberare il mio coso incastrato nelle mutande.
Mi allontana di nuovo e si dirige verso la mia scrivania.
Con un gesto rapido ne ripulisce una bella porzione dai fogli di carta che la ingombrano.
Sì, lo so, sono sempre stato molto disordinato e me lo sono meritato.
Vedo diversi fogli di carta svolazzare e finire a terra, poi lei si solleva facendo forza con le braccia e si issa a sedere sulla scrivania.
Apre la lampo degli stivali e allunga i piedi verso di me, facendoli oscillare in maniera evidente, così le tolgo le scarpe e le poso a terra.
è scesa dalla scrivania, scalza appare decisamente più tozza di corporatura, eppure ho ancora più voglia di lei.
Si toglie rapidamente le calze, le arrotola e le mette dentro uno stivale, poi è la volta delle mutandine, che finiscono nell’altra scarpa.
A questo punto non resisto più e, dopo averla presa sotto le ascelle la rimetto a sedere sulla scrivania.
Lei si spinge il più avanti possibile, avvicinandosi al bordo ed allarga le gambe, mentre io mi apro i pantaloni e li abbasso insieme alle mutande.
Glie lo infilo subito e lei prima fa un grido soffocato, poi comincia a gemere, mentre con le gambe allargate mi tiene stretto, puntando i talloni contro la mia schiena.
Stiamo facendo un sacco di casino: la scrivania cigola, io grugnisco come un animale e la mia signora in rosso mugola senza alcun ritegno.
Mi viene in mente che se qualcuno dovesse passare lungo il corridoio sentirebbe tutto, nonostante la porta chiusa, ma decido che non me ne frega nulla.
Intanto le ho sbottonato la camicetta ed abbassato le spalline del reggiseno, mi sbagliavo, le sue tette non sono così grandi, ma, in contrasto con il suo viso un po’ sciupato, che tradisce l’età che avanza, sono sode e rotonde.
Poi succede. Veniamo tutti e due, quasi contemporaneamente. Sento le sue unghie piantate nelle mie spalle mentre partono le mie contrazioni.
Rimaniamo immobili, stupiti di quanto accaduto, mentre il mio pene lentamente si affloscia dentro di lei.
Quando finalmente mi stacco dal suo corpo, ci rendiamo subito conto del casino che abbiamo combinato.
La sua gonna è piena di macchie, ma i miei pantaloni non sono da meno.
Non possiamo certo uscire dalla stanza in quelle condizioni, per fortuna ho un pacchetto di fazzolettini nuovo ed una bottiglietta di acqua minerale quasi piena.
Ci strofiniamo a vicenda gli abiti, dopo aver bagnato i fazzolettini con l’acqua, sperando che quando la stoffa si sarà asciugata, non si veda nulla.
Le passo un fazzolettino per asciugarle le cosce ma quando risalgo fino alla sua fica, ancora completamente spalancata, lei mi ferma.
‘Meglio che faccio io, sennò ricominciamo, ed è già tardi, devo andare a prendere la mia bambina che esce da scuola.’
Gli ultimi due li usiamo per eliminare il laghetto che si è formato sulla scrivania e per tamponare quello che è colato sul pavimento, lasciando un bella macchia sulla moquette rossiccia.
Si rimette mutandine e calze, si sistema il reggiseno e la camicetta, poi si infila nuovamente gli stivali.
‘Ora devo proprio scappare. Ci vediamo domani, cerco di venire un po’ prima.’
Mi molla un bacio sulla guancia e se ne va.
L’ultima immagine che ho di lei è quella del suo sederone, fasciato dalla gonna rossa, sostenuto dalle gambe corte e tozze, che si muovono agilmente, nonostante i tacchi alti degli stivali, diretto verso l’atrio.
Sparisce inghiottita dall’ascensore ma prima che le porte automatiche si chiudano, si volta verso di me e fa ciao con la manina.

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