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Racconti Erotici Etero

La sirena

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Hector Estarte aveva un torace grande come un armadio quattro ante. Forse anche qualcosa in più.
Il resto del suo corpo era proporzionato, ovviamente. Muscoli potenti, sodi, guizzanti sotto la pelle resa lucida dal sudore e scura dal sole. Quel sole che lo bruciava senza sosta tutto il giorno, da tempo imemorabile.
Immemorabile almeno per lui, che non ricordava mai da quanto tempo uscisse in mare a pesca.
Veramente non ricordava molte altre cose, Hector.
Ad essere sinceri non era una questione di ricordarsi le cose… per dirla tutta, Hector era… no, non diciamo stupido.
Solo un po’ semplice, ecco.
Non era un campione di intelligenza, e riusciva a malapena a leggere le lettere scritte in stampatello, o fare la propria firma. O qualcosa che, con un po’ di buona volontà, ci si avvicinasse abbastanza da somigliare ad una firma.
Ma che non ci si provasse a dirglielo. Hector aveva dei modi un po’… bruschi, se si tirava in ballo la sua intelligenza.
In paese lo sapevano, e da quando Paco e Julio si erano fatti un mese di gesso tutti decisero di comune accordo di non fare più alcun accenno al quoziente intellettivo del pescatore.
Tanto comunque per il resto il buon gigante non dava alcun fastidio e, come diceva lui stesso, “… i pesci non sanno mica leggere, per cui a me non serve scrivergli!”.
E così, da questo tempo indefinito, il buon Hector tutte le mattine che il Signore mandava sulla Terra si alzava, infilava un paio di pantaloni ed usciva in mare quando ancora il sole non era sorto oltre l’orizzonte.
E li, da solo, si faceva dei lunghi ed elaborati discorsi, in attesa che quei pesci che non sapevano leggere fossero così gentili da andarsi ad impigliare nelle sue reti.
“Sono il migliore, il miglior pescatore di tutto il villaggio. Ed anche di quello vicino. Sicuro, diamine, lo sono senza ombra di dubbio!”
Lui non ne aveva, di dubbi.
La mattina era l’unico capace di mettere in acqua la barca da solo, e la sera di riportarla in secco.
Le reti le ritirava da solo, senza argani e senza l’aiuto di nessuno.
Anche perché, comunque, nessuno avrebbe voluto uscire in mare con lui.
E così quel giorno nessuno ebbe la ventura di vedere quello che successe.

La posizione del sole, lo stomaco che brontolava, un sesto senso o qualsiasi cosa fosse fece decidere anche per quel giorno ad Hector che il momento di tornare a casa era arrivato.
Con gesti calmi, lenti e misurati si portò a poppa della barca, impugnò saldamente le reti ed iniziò a tirarle a bordo, pronto a scaricarle del frutto quotidiano della sua fatica.
“Cavolo, oggi si che pesano…” si disse, mentre sbuffava e tirava.
Una bracciata dopo l’altra le reti risalivano a bordo, e ben presto le prime code argentee e guizzanti fecero capolino dalle acque oceaniche.
“Eccovi qui, piccoli miei…” sorrise l’uomo, infondendo nuova energia nel recuperare le reti.
Ad un tratto, in mezzo ai pesci di mille colori e mille forme, insieme alla rete venne a galla una mano.
E poi, attacato alla mano, un braccio. Sottile, longilineo, glabro.
Inizialmente Hector non ci fece caso, impegnato com’era a sbuffare come un mantice nello sforzo di issare a bordo il carico.
Poi però, dopo che al braccio seguì una spalla e ancora dopo una tetta, la faccia del pescatore assunse un’espressione se possibile ancora più tonta del solito.
“E questa da dove arriva?” intendendo per “questa” la tetta, non di certo altro.
Teneva gli occhi fissi sul capezzolo bruno, duro e prominente al centro dell’areola così perfettamente circolare che avrebbe potuto sembrargli disegnata da Giotto, semmai Hector avesse conosciuto Giotto.
Solo dopo un po’ di tempo passato a rimirare quel globo di carne di notevoli dimensioni l’uomo fu scosso dall’idea che di solito quelle cose viaggiano in coppia, come i gendarmi del suo paese.
Riprese a tirare la rete, ansimando come la locomotiva che una volta al giorno suo nonno lo portava a guadrare quando lui era piccolo, e poco dopo i suoi sforzi e le sue teorie furono premiate dallo spuntare dell’altra tetta, intrappolata nelle maglie della rete.
Quando Hector comprese che non si trattava solo dei due seni, ma che il tutto era compreso della loro proprietaria, per lo stupore per poco non rischiò di far ricadere in acqua la rete ed il suo presioso carico.
Moltiplicò i suoi sforzi e poco dopo l’intero contenuto dello strascico si riversò all’interno della barca.
Immediatamente il pescatore iniziò a liberare dalle maglie tutti i pesci che si agitavano boccheggiando sul ponte, dimenandosi negli ultimi movimenti della loro vita.
Rovistando a piene mani in mezzo a quell’orgia di guizzi, lampi argentati e schizzi di acqua salata immediatamente le mani si posarono su una tetta.
Hector ritirò la mano come se fosse stato colpito da una scossa elettrica, poi si fece coraggio e spostando la fauna ittica con la delicatezza che contraddistingue il bue dall’ippopotamo liberò le tette e con esse le spalle, il collo ed infine il volto della proprietaria di quel ben di dio.
Un ovale perfetto, incorniciato da capelli rossi fuoco lunghissimi, setosi, dall’apparenza mobida e dalla cosistenza di un cuscino di piume, stranamente non bagnati.
Qualche goccia dell’oceano che li circondava scorreva sulle gote della ragazza che se ne stava li, con gli occhi chiusi in mezzo ad un mucchio di pesce oramai agonizzante.
“Madonna quant’è… quant’è… quant’è….” Hector non riusciva a trovare una parola adatta a rendere giustizia alla bellezza della donna.
“Che pezzo di fica!” sentenziò alla fine, decidendo che tale complimento fosse il più adatto alla situazione, e tenendo anche conto che comunque la soggetta in questione non poteva di certo sentirlo.
E qui ebbe la seconda intuizione della giornata.
Era morta la tipa?
Da dove cazzo arrivava una strafica come quella, nuda come l’ha fatta la mamma, a molte miglia dalla costa?
Forse era caduta da una nave, oppure mentre faceva il bagno era stata trascinata al largo dalla corrente…
Poi la mente di Hector riprese a funzionare nel modo a lei più congeniale.
gli occhi dell’uomo ritornarono sulle tette, maestosamente svettanti tra i pesci ormai morti.
I grossi capezzoli sembravano due fari dai quali lo sguardo del povero giovane non riusciva a staccarsi.
Rapidamente, o perlomeno con tutta la rapidità a lui possibile prese a paragonare le tette in mostra con quelle che conosceva.
Helena, la puttana del paese, le aveva così grosse. Forse anche più grosse, ma erano più in basso.
Quelle stavano appena sotto le spalle, Helena le aveva quasi sulla pancia.
forse Rosaria, la nuova puttana appena arrivata le aveva sotto le spalle come quelle, ma non erano così grosse…
Hector allungò una mano, titubante. La ragazza non si muoveva, e lui era indeciso.
Non era ancora riuscito a stabilire se stava per toccare una morta o una che non ci sarebbe stata a farsi toccare.
Helena e Rosaria si facevano toccare, ma poi volevano soldi per andare avanti.
E quella li?
Lui non aveva soldi con se… cosa se ne faceva in barca dei soldi?
Oh, beh, decise.
Se si svegliava e voleva dei soldi glieli avrebbe dati una volta tornati a terra, e se non si svegliava meglio, avrebbe risparmiato.
E se poi era morta… meglio ancora, si disse. Di certo non avrebbe potuto reclamare.
Presa la decisione allungò una mano, stringendo nel grosso palmo la tetta ed assaporandone la morbidezza e la consistenza.
“Cazzo, cazzo… con una tetta così questa se si sveglia sai quanto mi chiede?”
Poi, presa confidenza, posò anche l’altra mano sulla gemella rimasta libera, e restò a pastrugnare quei globi di carne per un po’, fin quando si rese conto che il dolore che sentiva tra le gambe era dovuto al cazzo che induritosi premeva contro la stoffa dei pantaloni.
Si tirò su, e mentre con le mani spostava il grosso uccello premendolo attraverso la stoffa gli venne l’Idea.
Lei era a bordo della sua barca, se voleva tornare a terra doveva pagare, si disse.
E siccome era nuda, non doveva avere tasche, e quindi niente soldi.
Poteva pagare solo in un modo…
Poi, se addirittura era morta, non sarebbe stato neanche più un problema.
Rapidamente Hector si tolse i pantaloni, unico indumento indossato, e brandendo il cazzo duro e nodoso come una grossa clava si girò verso la ragazza esamine.
Fu attraversato da un moto di stizza quando si rese conto che non l’aveva disseppellita tutta dal pesce.
Prese la donna sotto le ascelle, poi senza sforzo apparente tirò il corpo fuori dal mucchio di pesce sparso sul ponte della barca, poi preso dalla foga si precipitò verso le gambe per aprirle… le gambe.
“Dove cazzo sono le gambe?” si disse.
In effetti non c’erano le gambe. In fondo a quel tronco depositario di due tette da favola non si allargava un bacino corredato dalle due gambe regolamentari, ma c’era… c’era… un pezzo di pesce?!
“porca puttana, la stava ingoiando…”
Poi guardò meglio, e vide che il pesce non aveva la bocca.
Anzi, non aveva la testa.
“Ma che cazzo…”
Lentamente, dal profondo del ricordo di chissà quale storia marinara sentita in qualche serata tra pescatori ubriachi, si rese conto di cosa stava guardando.
“una… una… una comecazzosichiama… una sirena!”
Il cazzo si ammosciò lesto, come un idrante al quale manchi la pressione dell’acqua tutto di colpo.
Hector restò paralizzato, con il grande dubbio scolpito in mente: “come cazzo me la scopo una sirena?”
Più la guardava e più si rendeva conto che gli mancava… il necessario.
“Ma porca puttana, proprio a me doveva capitare?” si disse, “una volta che pesco una donna ne pesco una a metà!”
Mentre era li che rifletteva sulla sua sciagura, la sirena riaprì gli occhi e lo fissò, terrorizzata.
“AAAAAAAAHHHHHHH!!!” urlò lei.
“AAAAAAAAHHHHHHH!!!” urlò Hector, facendo un balzo all’indietro e cadendo con il culo in mezzo al cumulo del pesce. Un paio di grosse spigole schizzarono verso l’alto come saponette bagnate da sotto le chiappe dell’uomo e caddero un paio di metri più in la, sul legno lucido e consunto di quella barca che adesso poteva davvero dire di averle viste tutte.
Dopo il tempo necessario alla sirena per riprendersi ed ad Hector per riuscire a formulare un pensiero decente, il mondo sembrò uscire dal fermo immagine che si era venuto a creare.
“Chi sei tu?!” La voce melodiosa della donna risuonò brillante e chiara nell’aria di quel tardo pomeriggio.
Hector ebbe un sussulto, non tanto per aver scoperto che quella roba strana parlasse, quanto perché non era pronto a sentirne la voce.
“Mi.. mi chiamo Hector…” e poi aggiunse “guardi che l’avrei pagata!”
gli occhi verdi della sirena si aprirono in uno sguardo di stupore, illuminandosi al sole che iniziava ad abbassarsi sull’orizzonte.
“Pagata? cosa?”
Non si era accorta di nulla… bene, pensò Hector.
“Cosa ci faccio qui su io?” disse la voce melodiosa.
“beh, era nella mia rete…” rispose l’armadio a quattro ante.
“come ti sei permesso di catturarmi, maledetto… maledetto… ” la sirena cercava un termine abbastanza spregievole per definire il suo rapitore.
“Maledetto totano!” si decise alla fine.
“Guardi che non ho catturato nessuno, io!”
“Beh, io di certo non ci sono salita da sola qui…”
“E cosa ne so, io? me ne stavo a tirare su la mia rete e ad un tratto mi trovo davanti agli occhi quelle… quelle…” il rossore ricoprì le gote dell’uomo, in imbarazzo davanti ad una donna sconosciuta. Anzi, rifletté, mezza donna sconosciuta.
Lei si guardò il petto, poi tornò a posare lo sguardo sull’uomo.
“Ed allora? Mai visto delle tette?”
“ehm… veramente… così mai…”
Hector si rizzò in piedi, per cercare di ridarsi un contegno. Nel farlo posò un piede su un pesce che come per vendicarsi della sua morte lo fece scivolare nuovamente a terra, in un mulinare di braccia, gambe e pisello moscio.
“Perché sei nudo?” chiese la sirena con fare naturalissimo.
Una grossa orata sostituì al volo la canonica foglia di fico, mentre Hector riprovò ad alzare la sua mole dal ponte bagnato e scivoloso.
“Cosa c’è, ti vergogni?”
“Perché, non dovrei? non sono mica uno che se ne va in giro a pisello di fuori davanti alla prima donna…”
“Appunto, per questo chiedevo… perché sei nudo?”
Per un po’ si sentirono chiaramente gli ingranaggi del cervello di Hector ruotare, cozzando gli uni contro gli altri. Poi lui scelse tra tutte le risposte trovate quella che a suo avviso sembrva la migliore.
“Fatti miei”, rispose.
“Qualcosa mi dice che stavano per essere anche fatti miei…”
“Per chi mi hai preso?” lui cominciava a sentirsi un po’ a disagio, in piedi al centro di un mucchio di pesci morti, nudo, in pieno oceano, e con una orata che copriva le sue parti intime.
“Non lo so, ad occhio e croce mi sembri un pescatore… giusto?”
“Giusto…”
La sirena curvò la coda, sollevando nel contempo il busto ed appoggiandosi su un braccio. Riflessi di luce tra il dorato e l’azzurro elettrico sottolinearono l’eleganza del gesto. I seni sembrarono non risentire della forza di gravità, lasciandosi ricoprire, senza muoversi minimamente, dalla massa dei capelli rossi come il fuoco che stavano tornando a scaldare le pelvi di Hector.
“Va bene, signor pescatore… come hai detto di chiamarti?”
“He… Hector”
“Va bene, pescatore Hector, piacere di aver fatto la tua conoscenza. Cosa ne dici di rimettermi in acqua adesso?”
L’uomo, che si stava voltando alla ricerca dei suoi pantaloni, si girò bruscamente. Gli occhi della sirena, che si stavano soffermando sulle gambe del pescatore ed erano arrivati al sedere, si ritrovarono a fissare il gioiello che l’orata oramai non nascondeva più, lasciata ricadere sul ponte.
“Che cosa? Ributtarti in acqua? ma che cosa dici?” l’indignazione traspariva dalla voce dell’uomo. Ma come, un pescatore che ributta in acqua il frutto della sua fatica? Ma dove mai si era vista una follia del genere?
“Non se ne parla nemmeno per scherzo!”
Era come se… se…
Hector riflettè a lungo, poi si decise. Era come se lui avesse chiesto a Pedro, il barbiere, di riattaccargli i capelli.
“no”, bofonchiò, “nemmeno per sogno… è innaturale!”. Ebbe un sussulto al pensiero di aver utilizzato una parola così lunga.
La sirena colse per la prima volta in quel pomeriggio la realtà della situazione.
Sola, con le forze che non la sarebbero bastate per staccare il guizzo necessario per scavalcare la murata e tuffarsi nelle acque che la circondavano, ed in balìa di un uomo che avrebbe potuto farle qualsiasi cosa.
Ebbe un brivido, che la scosse facendole battere ritmicamente la coda sull’assito.
“Hai freddo?” chiese Hector.
Lei cominciò a comprendere la reale portata dell’intelligenza della persona che aveva di fronte… dopo aver pensato di finire in un circo, oppure in un laboratorio chissà dove sulla terraferma, stava intravvedendo una luce di speranza di riacquistare la sua libertà.
“Perché non vuoi liberarmi?”
“Perché non funziona così, signora… signora… come ti chiami?”
“Lascia stare, non potresti pronunciare il mio nome… come vuoi chiamarmi?”
“Boh… per me sirena va bene…”
“Bene, allora sirena. Allora?”
“Allora non funziona così, signora sirena.” Hector rifletté, poi chiese: “Signora o signorina?”
“Che differenza c’è?”
Porca… ed adesso? Ad Hector sembrava di ricordare qualcosa al proposito, ma non ne era sicuro. Non si era mai trovato a dover spiegare nulla a nessuno… e proprio con lei doveva iniziare?
Poi rifletté, in fondo era meglio iniziare con mezza donna che con una donna intera.
Radunò tutte le sue conoscenze e stabilì quale fosse la spiegazione.
“Signora è una che ha già scopato, signorina una ancora vergine.” Gonfiò il petto possente, fiero della risposta inopugnabile.
“Scopato? Vergine? cosa significa, scusa?”
Ecchecazzo… ed adesso? Ma cosa cazzo l’aveva tirata su a fare… Hector si trovò davanti ad una decisione da prendere.
Poteva lasciar perdere tutto, dirle che non erano fatti suoi e riprendere le operazioni che lo avrebbero riportato a casa, oppure… ‘Beh’, si disse, ‘tanto mica è una donna, cosa dovrei vergognarmi a fare?
“Vergine è… è… e quando una non ha ancora scopato, capito?”
“Si, ma cosa significa ‘scopato’?”
Ommadonna…
“Ehr… scopato… dunque… scopato…”
“Su, pescatore Hector… mica mi vuoi far credere che un bel pezzo d’uomo come te non sa rispondere…” disse con voce ancora più melodiosa la sirena, facendo gli occhi dolci al povero armadio di carne. Ed osservando la carne del pover’uomo, muscolosa e tornita, ebbe un inconscio piacere che le fece fremere la voce, rendendola ancora più roca e sensuale.
“Allora, pescatore?”

Hector chiuse gli occhi e disse tutto di un fiato: “Scopare è quando metto il mio cazzo tra le gambe di Helena e dopo le do i soldi.”
La sirena sorrise tra se.
“Oh… tra le gambe… per questo non capivo cosa volessi dire.”
Hector aprì gli occhi e fissò la coda della sirena.
“Cazzo. Voi restate sempre vergini?”
La risata argentina risuonò allegra sulla vastità dell’oceano.
“Na no, marinaio Hector… noi abbiamo un altro modo per … come dite voi? Scopare!”
L’armadio la fissò inebetito, poi iniziò a scrutare la coda dell’essere come per trovarne un varco, per carpire il segreto di quell’altro modo che non capiva possibile.
Lei lo lasciò fare, poi riprese a parlare, con la voce più suadente possibile.
“No, marinaio, non cercare ciò che non c’è… senti… se ti faccio vedere poi mi lasci libera di tornare a casa mia?”
Hector iniziò ad agitarsi. Non era abbastanza stupido per non capire che per la dimostrazione lei avrebbe avuto bisogno di usare lui, ma nello stesso tempo non voleva perdere la sirena.
Poi si decise. Cosa poteva farne della sirena, in fondo?
Mangiarla no, perché anche se per metà era un pesce, l’altra metà era una cristiana come lui, e si sa che i cristiani non si mangiano tra loro.
Venderla? e a chi? e poi chi lo sa quanto pagano le sirene? Nel suo paese non se ne era mai venduta una sirena. Prima che si stabilisse un prezzo, se la prendessero, portassero via… magari gli toccava tenerla a lui, dentro la sua capanna.
Tenerla lui? Ma se non aveva posto nemmeno per se… e se poi iniziava a puzzare?
Cavolo, più ci ragionava più gli sembrava una proposta allettante.
Sai che roba, al bar la sera?
Sarebbe stato l’unico a sapere come scopano le sirene… gli avrebbe fruttato una notorietà incredibile.
Tutti avrebbero fatto la fila per pagargli da bere. Sarebbe stato più famoso di Pepe, coi suoi racconti sulla guerra.
Cazzo, forse perfino Helena gli avrebbe fatto fare l’amore gratis!
“Uhm… Va bene, proviamo a vedere com’è questo segreto…” disse infine, pensando anche che avrebbe potuto sempre fare come don Alejandro quando non gli pagava mai il pesce come decidevano prima… “la merce non si è rivelata all’altezza delle aspettative”, o una cosa simile. Chissà se lui sarebbe riuscito a dirlo nello stesso modo.
La sirena sorrise con la più bella esposizione di denti che Hector avesse visto. Quindi si tirò su col busto, ed i capezzoli eretti vibrarono, facendo tremare con loro il povero pescatore che non aveva occhi che per i due globi di carne.
“Avvicinati, allora, marinaio Hector… io non posso mica camminare fin li…”
L’uomo prese il coraggio a due mani, e si portò vicino alla sirena. Appena fu vicino lei appoggiò il busto alla murata, scosse i capelli che si sparsero intorno al suo capo come una corona luminosa nelle luci del tramonto, poi si umettò le labbra con la lingua e allungò una mano, delicatamente, fino ad impugnare il grosso cazzo gonfio a metà.
Lo strinse con dolcezza, e lo tirò verso di se, facendo avvicinare l’uomo che ora la guardava con aria inebetita.
La sirena sapeva che da quello che stava per fare ne andava della sua libertà.
Riportò alla mente tutte le leggende che si raccontavano tra piccole sirene sugli uomini, sulle differenze con i tritoni, e tutto quello che aveva spiato dal pelo dell’acqua nelle notti in cui andava a guardare le grosse barche ancorate al largo, con i loro occupanti che facevano l’amore sulla coperta alla luce della luna.
Strinse con maggior forza il cazzo, che prese subito vigore tra le piccole dita, poi posò le sue labbra sulla grossa cappella rossa.
al contatto Hector ebbe un sobbalzo, ma si sforzò di restare li, fermo.
Lei prese a muovere lentamente la mano su e giù, ed ogni movimento sembrava accrescere le dimensioni dell’uccello, già possente.
Lo baciò di nuovo, prima sulla punta, poi sul fusto.
Con l’altra mano soppesava i grossi coglioni, oramai duri di voglia.
Hector fissava con gli occhi di fuori la massa di capelli rossi che si muovevano all’altezza del suo bacino. Quando la sirena aprì la bocca e tirò fuori la lingua, lui smise di respirare. Il contatto con il muscolo morbido e bagnato gli sembrò far cedere le gambe, ma restò fermo ed impalato al suo posto come una statua.
Lei sentì l’uccello tremare, e ci mise ancora più impegno.
Non solo perché ne andava della sua libertà, si disse. Sentire quel palo di carne caldo tra le sue mani le piaceva…
Ricoprì di saliva la cappella, spalmandola sulla pelle liscia con la punta della lingua, poi prese a passarvi sopra le labbra, iniziando ad ansimare, e non solo per lo sforzo.
L’uomo si ricordò di respirare, e quando ci provò iniziò a soffiare come un mantice, rosso in viso.
La sirena si tirò un po’ più su, poggiando le labbra sul ventre del pescatore, ricamando con la lingua oscuri arabeschi tra le fasce muscolari perfettamente definite di quel corpo allenato dalla fatica quotidiana.
Prese a passare la punta dell’uccello sui suoi capezzoli, mentre contemporaneamente con i denti mordeva la pelle bruna dell’uomo, che oramai non aveva più idea di cosa stesse succedendo.
In un ultimo lampo di lucidità sentì la sirena parlare.
“Per favore, appoggiami sul bordo della murata, sdraiata a terra non posso fare tutto…”
Hector la prese sotto le braccia e la sollevò senza sforzo apparente. Il grosso cazzo vibrò nell’aria, come a richiamare su di lui quell’attenzione che non aveva più.
La sirena strinse a se l’uomo con un braccio, strofinandogli i seni contro il ventre, mentre con l’altra mano continuava a masturbarlo.
Scese a palpargli il sedere, piccolo e sodo, graffiandogli le natiche, mentre inizava a mordicchiargli il petto, a graffiare i capezzoli dell’uomo con i denti e a lenirne i segni con la lingua.
Hector non aveva più il controllo di se, né di quello che stava accadendo.
Lei lo sentì tremare sempre più forte, ed un istinto naturale la fece chinare con la bocca verso il ventre dell’uomo.
Hector era pietrificato, immobile sulle due gambe salde come roccia, ma che a lui sembravano burro fuso sotto il sole morente.
Quando la sirena aprì la bocca e ingoiò il cazzo per oltre la metà il suono che uscì dalle labbra del pescatore non aveva nulla di umano.
Lei iniziò a leccare, succhiare, mordicchiare il grosso fusto nodoso, e mentre con una mano accarezzava il membro dal fusto alle palle, con l’altra si intrufolò tra le gambe dell’uomo e iniziò a giocare con un dito intorno all’ano.
Il respiro del pescatore si fece man mano sempre più rapido, lui sporse il bacino in fuori e spostò le mani dietro la schiena per dare alla sirena tutto lo spazio di cui potesse aver bisogno.
Come in un lampo lei infilò il dito medio nel culo dell’uomo, esattamente mentre la cappella le picchiava contro la gola.
Prese a muovere la punta del dito dentro di lui, e con l’altra mano accompagnò il movimento sempre più rapido della testa lungo il fusto.
Bastarono pochi attimi perché l’uomo esplodesse nell’orgasmo più violento che avesse mai provato.
Il getto di sperma che emise iniziò a fuoriuscire dalla bocca della sirena, scorrendo lungo il fusto, spalmato dalle labbra che non avevano alcuna voglia di terminare il loro gustoso lavoro.
Solo il cedimento delle gambe dell’uomo, trasformatesi finalmente in burro fuso, fece si che il membro si sfilasse dalla bocca, non senza che nel tragitto smettesse di eiaculare.
L’ultimo spruzzo fu una specie di saluto per la sirena, che appena di accorse dell’opportunità concessagli dal momento non attese né che il corpo dell’uomo toccasse l’assito, né che lo sperma si fermasse sulle sue labbra, ma si tuffò in mare con un gesto che perfino Hector avrebbe giudicato elegantissimo, se avesse avuto la forza di guardare.
Appena fu nuovamente nel suo elemento la sirena si precipitò verso i fondali, poi una specie di richiamo la fermò.
Con una rapida rotazione tornò in superficie, e chiamò il pescatore.
Hector ci mise un po’ a capire che il suono che sentiva era il suo nome, e quando si alzò e vide che la sirena era di nuovo in acqua non riuscì ad essere scontento.
Cavolo, la merce era stata si all’altezza del prezzo.
Solo aveva un senso di malinconia, come se incoscentemente sapesse che una cosa simile non sarebbe più stata alla sua portata, ne con Rosaria, tantomeno con Helena.
Non avrebbe saputo neanche come fare a spiegargli da dove iniziare…
“Marinaio Hector… ci sei?”
“Sono qui… ma vai via?”
“Si… senti, io non vivrei a lungo nel tuo mondo, lo sai vero?”
Hector non lo sapeva, ma non ebbe il coraggio di dirlo alla figura in acqua, così annuì.
La sirena continuò a parlare.
“non so se tu sei stato contento per lo scambio, ma a me è piaciuto… senti, volevo chiederti… non è che per caso ripassi da queste parti, di solito?”
Il pescatore annuì nuovamente.
“Beh, se non ti da fastidio, quando sei qui fammelo sapere. Se ti va possiamo rivederci… magari…”
“A me non dispiace, di certo… ” fece confuso l’uomo.
“Allora siamo d’accordo… quando sei qui chiama. Ora devo proprio andare, non posso stare qui ancora.”
“Senti, ma… come faccio a chiamarti?”
“Urla “sirena” al mare… e non preoccuparti, ti sentirò!”
Furono le ultime parole che Hector udì, poi i capelli rosso fuoco si immersero nell’acqua, seguiti con un guizzo dalla coda snella, e il mare si chiuse sull’essere con cerchi concentrici che pian piano si confusero con le normali increspature, svanendo come un sogno all’alba.
In un raro barlume di lucidità il pescatore alzò gli occhi al cielo, per stabilire con le prime stelle della sera la posizione dove avrebbe potuto ritrovare la sua sirena, e se la impresse nella memoria, magari eliminando qualche informazione precedente meno importante per fare spazio.
Poi si volse verso la prua, e riprese a compiere le manovre che lo avrebbero riportato a casa.
Sarebbe tornato li, sicuro.
Più di una volta mentre tornava verso casa l’uomo si chiese se avesse sognato, ma il sottile senso di bruciore al buco del culo era li a ricordargli che non si era trattato di un sogno.

‘ Sandro – 2001

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