Quel giorno avevo una pausa pranzo piuttosto lunga, dalle undici del mattino alle due del pomeriggio; appena uscii dall’aula, composi il suo numero e lasciai squillare, mentre a passo veloce mi dirigevo verso casa sua.
Gli spiegai, a suo tempo, che per me è fondamentale che il mio uomo sia sempre raggiungibile; appena decidemmo che la nostra relazione sarebbe divenuta stabile, impostò il telefono di modo che la suoneria lo svegliasse, se stava dormendo.
Al terzo tentativo mi rispose e ormai ero giunta a destinazione “Mi apri?”. Non replicò nemmeno, fece scattare la serratura; mi precipitai verso le scale, interrompendo la chiamata.
Entrai nella sua stanza mentre lui, asciugamano attorno alla vita, stava tornando sotto la doccia. Posai la borsa, sfilai il giaccone e le scarpe con un sospiro di sollievo. Sbottonai la camicetta, la tolsi coi jeans: ammucchiai tutto su di una sedia, senza badarci troppo, ma facendo attenzione che in cima rimanessero il mio reggiseno e gli slip.
Irruppi nel bagno pieno di vapore, chiudendomi la porta alle spalle con uno schianto; vi posai una mano, interrompendo le vibrazioni del legno.
Egli apre le ante della doccia, perplesso, mi lascia passare quando lo sospingo per entrare con lui e rubargli il getto di acqua bollente: “Buongiorno…” lo saluto, allacciando le braccia dietro il suo collo: “Buongiorno”, replica lui, spingendomi contro le piastrelle gelide prima di baciarmi. Rabbrividisco da capo a piedi e subito i capezzoli s’inturgidiscono, e il mio seno, poco abbondante, assume la forma di quei omonimi dolci di Venere. Mi tiene per i fianchi, premendo il suo petto contro il mio, il sesso ancora molle, istupidito, data la scarsità di stimoli prima del mio arrivo.
Mi piace il suo modo di baciare, ora irruente, tutto di lingua e saliva, ora delicato, quando rincorro le sue labbra, che s’allontanano e si riavvicinano in una schermaglia tutta particolare.
Morde ora uno, ora l’altro “dolcetto”, stringendoli entrambi con le mani, tornando poi a percorrere con la lingua le mie labbra. M’inarco , staccandomi da lui, perché l’acqua mi scivoli lungo l’incavo dello sterno, fino alle nostre intimità, diluendo la nostra eccitazione.
Invogliato dal gesto, prende il getto d’acqua e lo dirige al clitoride, rendendomi subito famelica e vogliosa di sentirlo dentro di me. La doccia è così stretta che appena mi muovo per agevolare la penetrazione faccio vibrare tutti i vetri e cadere un flacone di shampoo. Soffoco una parolaccia mentre lui ride ed esce per recuperare lo sgabello da bagno; fermo l’acqua, infastidita.
Si siede e io con un urletto di gioia mi accomodo a mia volta sopra di lui: un momento ludico che dura pochissimo, perché lui si fa serio e, tenendomi ferma, stretta a sè, mi sussurra all’orecchio “Allora, quante tue amiche lo prendono nella pausa pranzo?”; queste parole mi mandano in estasi: il pensiero di essere l’unica a poter ricevere un servizietto tale, mi fa diventare impaziente, mi fa muovere con irruenza, causando solamente un ghigno di derisione.
Provo a mia volta ad esser impassibile come lui, come non m’importasse di fare sesso, chinandomi di lato, alla ricerca dello shampoo. Il movimento mi fa sentire bene l’erezione e automaticamente le gambe si stringono ai suoi fianchi. Recupero con mano tremante la boccetta e mi metto ad insaponarmi i capelli con poca convinzione. Mi guarda tranquillamente, mi lascia fare, come se fosse una normalità che io, ben piantata su di lui, mi lavi.
Avendomi lasciata poi, a suo parere, fin troppo tranquilla, attacca a farmi sobbalzare sulle ginocchia; gemo, dimenticandomi di ciò che stavo facendo, assecondando i suoi movimenti e poi imponendo io stessa il ritmo che diventa così cadenzato, regolare. Non ho molto tempo e voglio godere il più a lungo possibile.
Lui ridacchia e mi ferma afferrandomi saldamente ai fianchi. Odio vederlo così rilassato mentre facciamo sesso: io perdo letteralmente la testa e lui ha pieno controllo di sé. M’incarco per sfuggirgli, ma non riesco a far altro che a farmi dare una botta di cazzo che mi lascia un attimino stordita. Ne approfitta per toccarmi e farmi avere un breve orgasmo, un antipasto di ciò che verrà, forse, dopo.
“Finiamo di lavarci e andiamo a letto” suggerisce, senza nemmeno aspettare un mio consenso. Appena esco, mi asciugo i capelli, lui si fa la barba e quindi corriamo insieme verso il materasso, spintonandoci a vicenda per arrivare per primi. A letto mi metto a quattro zampe, in un chiaro invito che si affretta ad accettare.
Lascio che si diverta un pochino, prima di chiedergli di venire sotto di me “Lasciati calvacare un poco…” non riesco a fare nemmeno la “salita in sella” che suona la sveglia del cellulare: ho un quarto d’ora per rivestirmi e correre in facoltà. Mi solleva gentilmente “Quando finisce la lezione, vengo a prenderti e ti sbatterò nei bagni, promesso”. Mi dà un bacio infinito e mi incita a muovermi. Sesso e magia, scompaio come quel Copperfield.
Passo tutto il pomeriggio a guardare il telefono, in attesa del momento in cui potrò rivederlo. Alle tre e mezza sono in strada che mi guardo attorno e lui non c’è. La delusione è così cocente che non sento nemmeno il telefono suonare . Controllo allora di avere tutto e mi accorgo di aver lasciato il libro in classe “Torno a prenderlo, non aspettatemi” saluto i miei compagni, non sapendo che avrei interpretato alla lettera quell’azione.
Ritorno nel piano interrato dell’università, verso la mia aula; mi sbrigo, perché le luci sono spente dato che le lezioni previste in quell’ala sono tutte finite. Mi allungo a cercare a tentoni nel vano portalibri sotto il tavolo il mio testo, quando una mano, da dietro, mi tappa la bocca. Mollo la borsa, cercando di divincolarmi, mentre il mio aggressore mi schiaccia col suo peso “Calmati, nessuno ci può sentire, qui…” la voce arrochita è così tranquilla, come se credesse sul serio a quelle parole! Quasi mi spezzo l’osso del collo per controllare a chi appartiene: quello scemo del mio ragazzo “Mi hai fatto prendere un accidente!” lo apostrofo, quando molla la presa.
Scoppia a ridere: “Ma se ti avevo anche mandato un sms di avvertimento?” replica, accomodandosi su una delle sedie a panca e allungando la mano ad accarezzarmi l’osso pubico sopra i jeans. Lo guardo sorniona, slacciando i bottoni e lasciando che s’insinui sotto le mutandine; ritira la mano, portandola alle mie labbra le dita, perché la lecchi piano.
Mi fa spogliare quel che basta a permettergli di possedermi prima che qualcuno ci scopra; lo guardo infilarsi tra le mie gambe, vedo sparire il suo pene dentro di me, pube contro pube. “Ora siamo uguali”. Gli sorrido, facciamo l’amore piano, in silenzio, concedendoci solo un brevissimo orgasmo che arriva presto e lascia entrambi ansanti.
Ce ne andiamo, tenendoci per mano. L’unica prova del nostro misfatto potrà essere tranquillamente scambiata per poche gocce d’acqua sfuggite a qualche bottiglietta.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…