L’estate non ha ancora ceduto il posto all’autunno. Le giornate lunghe, luminose e calde sono intervallate da rari momenti di fresco e pioggia, talvolta persino piacevoli.
E’ quasi sera. Dalla strada principale giungono rumori lontani, sempre più fievoli e smorzati. Ritmi sempre più lenti, profumi e odori meno accesi; il tramonto si fa largo oscurando dolcemente un cielo meravigliosamente terso. Dietro la curva perfetta delle colline il sole sparisce piano, portando con sé tutta una giornata. Ma non il suo ricordo.
E’ il momento. Per ascoltarsi, per pensare, per ricordare. Il momento per godere appieno di ciò che è stato. Il momento per essere soli, con tutto ciò che di bello si è vissuto.
Stella aspettava proprio questo istante. Quando solo il cigolio del dondolo spezza il silenzio della sera. Ha camminato lentamente fino al suo angolo di paradiso, vergognosamente vicino alla città eppure tanto diverso dal ritmo metropolitano.
Una piccola strada, quasi sconosciuta, conduce verso la campagna che circonda la città. Una casetta in pietra vista, un giardinetto sul retro ed un dondolo. Stella la scoprì per caso, tempo fa, girovagando senza metà alla ricerca disperata della solitudine. Fuggiva dalla gente, dai consigli, dalle voci senza senso e senza scopo. Stella fuggiva da tutti. Voleva stare sola e pensare. Voleva poter chiudere gli occhi e lasciarsi andare.
Il piede nudo, curato ed abbronzato, muove lentamente il dondolo cullandola insieme ai suoi pensieri. Sul tavolino in ferro battuto una bibita fresca, un pacchetto di sigarette e l’accendino verde. Quello appena comprato, ma non da lei. Il piccolo giardino, protetto dalla strada e circondato da una siepe folta è ancora rischiarato dalle ultime luci della sera.
Stella chiude gli occhi, posa la testa sullo schienale e si lascia andare al ricordo.
Il suo corpo è ancora spossato e dolente. La pelle brucia, sensibile ed irritata, dove la stretta della passione è stata troppo forte. Le sue belle labbra sono arrossate ed il tocco della lingua, seppure dolce e gentile, le provoca ancora un sussulto. Un sorriso di compiacimento si affaccia sul suo volto: il ricordo dei suoi baci è ancora troppo fresco, troppo recente perché possa scacciarlo. Maliziosamente la mano di Stella carezza il viso, ripercorrendo il percorso dei mille e più baci ricevuti. Dalla bocca scende al mento, lungo il collo, soffermandosi, indugiando volontariamente alla base della gola dove ogni bacio era un brivido incontrollabile. La mano carezza il collo, mentre la testa rotea piano da parte a parte. Le sembra di avvertire ancora la sua presenza, il suo profumo di uomo, la sua forza fisica che le impone il movimento. E poi l’orecchio, la lingua che fruga anche lì, senza risparmiare alcun centimetro. Si tuffa, riemerge e poi ancora. Avverte come nuovo il desiderio di leccarsi il dito, come lo ha fatto solo poche ore fa davanti ai suoi occhi che la scrutavano, divertito ed eccitato. Sente il bisogno di succhiarsi le dita, carezzare le labbra ed affondare, scivolando sulla lingua come ha fatto alle dita lunghe e forti del suo uomo.
Il movimento ritmico e rallentato del dondolo la culla nel ricordo. Una giornata di passione, d’amore, di desiderio. La mente cerca di focalizzare ogni particolare, di scolpirlo nella memoria, quasi a farne bagaglio per scaldare i momenti tristi e freddi che seguiranno. Una giornata tutta per loro, svaniti, invisibili a chiunque. Ore a godere dei propri corpi caldi ed abbracciati. A ridere, a parlare, a chiedere. Momenti di passione, di violenza, di tenerezza. Baci, baci. Mille baci e baci ancora. Stella inumidisce le labbra assaporandone il sapore. Sanno della sua bocca. Si annusa. La pelle profuma della sua pelle. Le sue parole ancora risuonano nell’aria, come se solo quella fosse l’unica voce, l’unico suono desiderato.
Il dondolo è ormai fermo. Stella allunga le gambe nude, allungando i piedi sotto il tavolino. Vestita solo di un abitino di lino ed una collana di turchesi ammira il colore ambrato della pelle scoperta. Inarca la schiena, solleva le braccia posandole, a sostegno, dietro la testa. Il vestito inevitabilmente si tende sui seni, fino a farli dolere.
E’ un attimo. Il dolore e l’umiliazione del momento la investono con irruenza. Il dolore delle sue mani che stritolavano i capezzoli, torcendoli fino a farla gridare, supplicare di avere pietà, di smettere. Le mani ora li accarezzano con dolcezza, ma il dolore è ancora vivo e presente, sicuramente nella mente, nell’anima.
Nuda, le braccia legate dietro la schiena, mentre un striscia di pelle nera cingeva la testa impedendole di guardare il suo uomo, Stella cercava di percepire il suo profumo, di carpire il calore del suo corpo per vincere quella paura, il senso di smarrimento che aveva cominciato ad avvertire non appena il buio si era chiuso sui suoi occhi. Godeva silenziosamente mentre la bocca le succhiava dolcemente i seni, mentre le mani calde li cingevano, ed il corpo forte e vigoroso si strusciava contro il suo tremante e timoroso. Le mani scivolavano sulla pelle di seta, fino ad infonderle tranquillità, serenità e fiducia.
Ma un attimo dopo si piegava su se stessa cercando di sottrarsi alla morsa di dolore che le toglieva perfino il fiato. Le stesse mani, un attimo prima dolci e protettive, le infondevano ora un’umiliazione profonda e dolorosa. Una scossa le saliva dai seni alla testa, le inumidiva gli occhi, mentre combatteva per non piangere. Le suppliche sussurrate nel tentativo che la pena avesse fine altro non facevano che eccitarlo ancora di più. Stella si piegava, si raddrizzava tentando di allontanarsi, ma ogni movimento del suo corpo era sempre più doloroso. Le dita serrate sulle punte dei capezzoli le impedivano di ragionare, di formulare qualsiasi pensiero e di gridare. Solo una muta invocazione di avere pietà, le scuse per essere stata cattiva, la supplica di baciarla. E poi più nulla. Silenzio ed ancora buio. Improvvisamente la tenaglia cessava, il dolore scemava lentamente e la presenza del suo uomo svaniva come per incanto. Stella muoveva la testa, fiutando l’aria alla ricerca di un qualsiasi segno di presenza. Allungava un piede, ma aveva perso completamente consapevolezza del punto in cui si trovasse nella stanza. Temeva di inciampare, di cadere. Sapeva di dover aspettare. Ascoltava la sua voce chiamarlo, in tono di bambina supplichevole. Lo implorava di prenderla, di farla sua. Gli parlava come se lui fosse ancora davanti a lei, già dimentica del dolore che solo pochi istanti prima le faceva pungere gli occhi per le lacrime. Poi un fruscio. E’ dietro. Il tempo solo di capirlo ed i denti affondavano sulla pelle nuda della spalla. Stella d’istinto tentava di sottrarsi, accendendo ancora di più l’istinto ormai esploso del cacciatore che fiuta la preda sanguinante in fuga. Le mani scivolavano sulla pelle della schiena scurita dal sole, la accarezzavano fino a giungere di nuovo ai seni dove le punte dei capezzoli arrossate dolevano senza tregua. E di nuovo la stringevano, prendendola, e piegandola fino a farla inginocchiare. Il desiderio che la tortura finisse era fortissimo, ma il calore che Stella avvertiva tra le gambe era la rivelazione del piacere che le cresceva dentro. La rivelazione del suo godimento, nonostante il tentativo di nasconderlo. E il cacciatore lo sentiva. Sentiva l’odore, il profumo del desiderio della sua preda, della sua donna. La mano lasciava un capezzolo, mentre l’altra lo carezzava. I denti affondati nella carne allentavano la presa e la bocca baciava la parte dolente. Le dita ora dolci e calde scivolavano lungo la pelle tesa, fremente di piacere e sofferenza. Tra le gambe. Le divaricavano appena annegando nel dolcissimo nettare della voglia. Voglia di essere presa. Di essere donna. Voglia di essere oggetto delle sue fantasie, del suo potere. Una spinta e Stella si trova distesa sul letto, le gambe vergognosamente spalancate, ad offrire alla bocca avida del suo uomo il frutto più ambito, più cercato, tanto desiderato. Senza difese, senza più paura, senza fremere se non per il piacere.
Il dolore che si infrange contro il piacere; il piacere di essere sua, di sottostare al suo unico desiderio. Godere per essere donna, per essere tra le sue mani, per essere immobile al suo unico soddisfacimento. Sentire che il piacere del proprio uomo è solo quello di farla godere, farle perdere la ragione, il senno, la lucidità. Abbandonarsi al suo desiderio, dimenticare ciò che è giusto e ciò che non lo é. Accettare ogni volere, ogni istinto. Superare insieme il limite della decenza, di ciò che è ‘raccontabile’, di ciò che è accettabile.
Chiedersi quale sia il limite. Chiedersi dove si desideri arrivare. E scoprire meravigliosamente di non avere risposte. Di non sapere fino a dove, né fino a quando. Scoprire insieme ciò che mai si era pensato di fare, di osare, di desiderare.
Cogliere negli occhi il lampo del desiderio di nuovo manifesto e crescente. Assecondare la carezza delle sue mani, il tepore dei suoi baci. Lasciarsi prendere dalle mani, dalla bocca. Chiudere gli occhi e sopportare ogni dolore, ogni privazione, ogni sofferenza come semplice preavviso del piacere infinito che arriverà. Mostrarsi nuda come mai era successo prima e lasciare che le dita affondino dentro una voglia incontrollabile. Gridare di dolore e di piacere. Gridare guardandolo negli occhi, combattere per non abbandonarsi alla follia che sembra avere il sopravvento e stringere, serrare le unghie sul braccio teso, cercando le sue dita, la mano tra le gambe, senza più trovarla. Chiudere gli occhi e lasciarsi finalmente andare.
E poi ridere. Ridere di ciò che è stato, della tenerezza che segue alla dolce violenza. Dei suoi baci sulla pelle arrossata, quasi a volere scacciare ogni segno, ogni traccia di lucida pazzia. Ridere insieme delle carezze, delle coccole, del contatto che sembra non volersi interrompere mai. Ridere del loro sapersi trasformare in amanti, amici, compagni. Ridere del suo essere bambina immatura ed, al contrario, del suo fare sapiente e controllato. Ridere del fatto di essere insieme, diversi, opposti e legati. Ridere per essersi cercati e trovati.
Ridere, amarsi, godere, ricordare ogni istante e sperare che la fine arrivi dolcemente’
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…