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Racconti Erotici Etero

Una storia al contrario

By 13 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

La porta sbatté alle loro spalle, sotto il peso dei corpi ansanti. Le mani li percorrevano, avide e frenetiche, cercando il calore della pelle sotto le pieghe dei vestiti stazzonati, incespicando in bottoni e cerniere. La donna si sciolse dall’abbraccio, le labbra gonfie e lucide, e lo guardò negli occhi, leggendovi la stessa voglia.
Armeggiò con la cintura, le dita tremanti per l’urgenza, tirò giù la cerniera e fece scivolare i pantaloni intorno alle caviglie. Boxer blu, in tensione.
Scivolò in ginocchio, aprì i tre bottoncini e ne trasse il sesso dell’uomo, con delicatezza. Lo sfiorò con le labbra chiuse, sentendone la sericità della pelle, leggermente umida. Immerse il naso in quei riccioli chiari e inspirò profondamente. Lui si costrinse a rimanere fermo, limitandosi ad accarezzarle il volto ovale, quasi temendo di rovinare tutto con un gesto non gradito.
La donna continuò ad esplorarlo con la bocca socchiusa, come per farne la conoscenza.
Spuntò la lingua rosea a lapparne il glande, all’inizio quasi con timidezza, poi acquistando sempre maggior sicurezza finché lei si decise, con un unico movimento del collo, ad infilarselo tutto dentro, fino a farlo sbattere contro la gola.
Lui sussultò, strinse i riccioli tra le dita, seguendo il movimento della sua testa, resistendo all’impulso di forzarla. Sembrava sapere davvero ciò che desiderava, quella donna che lo prendeva in bocca con dolcezza e insinuava quasi timidamente la mano tra le sue cosce, andando a solleticargli il buchino. Allargò istintivamente le gambe, per permetterle di fare ciò che voleva. Avrebbe concesso tutto a quelle labbra calde.
Le osservò mentre si avvolgevano intorno al suo sesso teso, mentre lo facevano sparire al loro interno, per poi risalire e ricominciare da capo. Si riscosse e, temendo di non resistere oltre, la sollevò prendendola per le braccia. Staccandosi a malincuore, la donna lo guardò con occhi lucidi per l’eccitazione. Non c’era bisogno di dire nulla, era già tutto stabilito.
I pantaloni furono un po’ d’intralcio, ma lui sapeva cosa fare e lei lo assecondò nei movimenti. Da dietro le sbottonò il tailleur, scoprendo che sotto non c’era altro che un reggiseno nero che stentava a nascondere capezzoli ormai durissimi ed areole scure e increspate. Le sollevò la gonna e rimase ad osservare quelle natiche bianche, divise solo da un sottile pezzetto di stoffa il cui colore creava un contrasto tale da fargli venir voglia di morderle. Non natiche, si corresse mentalmente, quello era un culo, anzi, un Culo. Vi posò entrambe le mani sopra e strinse, mentre il suo sesso, rinfrancato da quella visione, puntava deciso. Giocò con le mutandine, tirandole per farle entrare nel solco, strusciandole su quei due buchini che apparivano entrambi così disponibili, aperti.
Fece passare il dorso di un dito all’interno, bagnandolo di umori che strofinò lungo quel tratto di pelle morbida. Fu un gioco crudele, scandito da mugolii e fremiti, inizialmente timidi, ma che assunsero un tono quasi imperioso quando i fianchi cominciarono a muoversi per andare incontro a quel dito, ovunque lui lo appoggiasse e premesse. Ma neanche l’uomo aveva ormai tanta voglia di giocare. Puntò il sesso contro quell’apertura madida di umori, scostando la stoffa giusto il necessario per consentirgli di entrare. E lo fece lentamente, stringendole i fianchi come se temesse di farsela sfuggire, inspirando a scatti, a ogni centimetro guadagnato, finché riuscì a conficcarsi tutto dentro di lei. Rimase lì, quasi fermo, ondeggiando lievemente nell’assecondare i movimenti del suo bacino. Quando lei allungò una mano a sfiorargli lo scroto sentì una fitta di piacere e quello fu il segnale. Le prese i polsi, facendoglieli incrociare dietro la schiena. Il viso di lei era schiacciato contro il lenzuolo, ma non poteva vederne l’espressione, coperto com’era dai capelli. Le sfilò la sottile cintura della giacca e la usò per legarle le mani. Solo allora cominciò a muoversi, velocemente, entrando e uscendo da quel caldo rifugio tra le sue cosce. Il piacere era come un alone che offuscava tutto e ben presto ci fu solo il rumore dei loro corpi che sbattevano l’uno contro l’altro, con l’urgenza dettata da quel solletico alla base della schiena. Le allargò le natiche con le mani, lasciò cadere un po’ di saliva nel mezzo e vi introdusse un dito. Le sfuggì un gemito più forte degli altri, la schiena inarcata sotto le spinte. Lui comprese che era vicina e aumentò il ritmo, mentre il piacere montava fino a giungere al punto di non ritorno, quando non fu più in grado di fermarsi e si riversò in lei, in fiotti caldi, sentendo i suoi gemiti come da dietro un vetro.
“Mi sposti i capelli dagli occhi, per favore?” Quelle parole, le prime pronunciate nella stanza, ruppero lo strano incantesimo.
Per un po’ giacquero senza parlare, su quel letto sconosciuto, i corpi che si sfioravano, poi lui le disse come si chiamava. Un istante di esitazione, come se lei sentisse più il pudore del proprio nome che della nudità.
“Rossella…”
Guardò negli occhi l’uomo con cui aveva realizzato la sua fantasia, con apprensione. Sapeva che stava per dire qualcosa, era ormai ora. Avrebbe rovinato tutto, con una frase volgare, una richiesta, o spiegando qualcosa di sottinteso che entrambi conoscevano?
“Il mio colore preferito è il blu e, come hai visto, adoro il caffé macchiato con poco zucchero…”
Sorrise, Rossella, rilassandosi tra quelle braccia che aveva appena iniziato a conoscere, poi chiuse gli occhi cullata dalla sua voce. Aveva scelto bene.

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