Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Viola, la mia scopamica

By 23 Dicembre 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Prima di conoscere Viola non avevo la minima idea di cosa significasse la parola che da il titolo a questo racconto, anzi, non l’avevo proprio mai sentita dire.
Viola, in realtà non si chiama Viola, ma ho deciso di darle questo nome, perché non mi andava di raccontare di lei usando il suo nome vero, così ho scelto il colore delle calze che indossava la prima volta che l’ho vista, e che mi aveva particolarmente colpito.
Ci siamo incontrati in autobus, circostanza banale che più banale non si può.
è stato proprio un caso, perché in genere mi muovo in macchina, ma quel giorno dovevo fare delle commissioni in centro ed era assurdo prendere l’auto.
Brutta giornata di fine autunno, fredda, umida e piovosa.
Stavo giusto pensando: ma tu guarda la sfiga, saranno due mesi che non piove e proprio oggi che non sto in macchina, doveva venire giù tutta quest’acqua?
Stava facendo buio e l’autobus, pieno come al solito, era bloccato in uno di quei classici ingorghi che si materializzano improvvisi, quando nella mia città piove.
Tra le gocce d’acqua all’esterno e l’appannamento all’interno, dovuto al calore delle decine di passeggeri che affollavano la vettura, era difficile riuscire a capire dove ci trovassimo, anche perché stava calando rapidamente l’oscurità.
Qualche passeggero cercava di sbirciare attraverso le parti di finestrino meno appannate, una signora grassa, seduta vicino alla macchinetta dei biglietti, provava disperatamente a spannare il suo finestrino con la manica del cappotto.
Io invece ero assolutamente tranquillo, perché mancava ancora parecchio alla mia fermata e poi, cavolo, nella città in cui sono nato ed ho sempre vissuto, mi oriento perfettamente.
è stato allora che l’ho notata.
Giovane, diciamo tra i 25 ed i 30 anni, un viso non bellissimo, ma intelligente e simpatico, con degli occhi scuri e vivaci, lineamenti un po’ irregolari ed una massa di capelli neri, mossi e disordinati, che incorniciava il tutto.
Era vestita in maniera molto ‘precisa’: un cappotto blu scuro che teneva sbottonato e sotto un tailleur leggermente più chiaro, tendente al violaceo.
Ma quello che più aveva attirato la mia attenzione erano state le sue gambe, fasciate da un collant pesante, di un bel viola, che risaltava senza minimamente stonare con il resto dell’abbigliamento.
La mano destra teneva per il manico un piccolo trolley nero, mentre all’anulare della sinistra aveva un grosso anello, probabilmente di legno dipinto, che rappresentava un fiore.
Anche l’anello, come pure le unghie delle dita, era di un bel colore viola.
Sembrava agitata e rigirava un foglietto tra le dita.
Ad un certo punto l’ho sentita chiedere, ad una signora seduta vicino a lei, l’indicazione di una via.
La signora non era sicura, non sapeva bene, così mi sono fatto avanti.
Accidenti, conosco benissimo quella strada, ci sarò passato un mucchio di volte.
‘Signorina, stia tranquilla, glie lo dico io quando deve scendere.’
A questo punto ci siamo messi a parlare, visto che mancava parecchio e l’ingorgo ormai attanagliava tutta la zona.
Simpatica, intelligente, estroversa, sicuramente viene da una città del nord, a sentire l’accento, insomma mentre parliamo, anzi, è quasi sempre lei a parlare, comincio a studiarla e farmi un quadro più preciso di lei.
Una ragazza normale, non una gnocca da paura, ma neanche una cozza inguardabile, insomma una donna carina, come lo sono quasi tutte, a 25 anni.
Mi chiedo come lei trovi me, visto che sono parecchio più grande e potrei quasi essere suo padre.
Mi dice che si è appena laureata, è venuta in città per dei colloqui di lavoro e deve raggiungere il bed and breakfast che ha prenotato.
è sempre preoccupata e mi chiede ‘ scusa, manca ancora molto?’
A forza di parlare siamo passati al tu, quasi senza accorgercene.
‘In teoria pochi minuti, in pratica, se non si sblocca l’ingorgo, potremmo stare qui fino a domani mattina, comunque, non ti preoccupare, mi sono ricordato che devo comprare una cosa lì vicino, quindi possiamo scendere insieme e ti ci porto io al tuo albergo.’
Non è vero niente, non devo comprare nulla, devo tornare a casa e la mia fermata è molto ma molto più lontana.
Perché ho detto una cosa del genere?
Perché mi va di stare ancora in compagnia di questa ragazza con le gambe viola?
Che senso ha tutto ciò?
Lei mi ha fatto un bel sorriso, mi ha ringraziato e si è messa tranquilla, mentre io comincio a fare pensieri strani.
Me la scoperei?
Perché mai dovrebbe venire a letto con me? Perché l’ho aiutata a trovare il bed and breakfast? Che assurdità.
Come saranno le sue gambe, sotto quelle calze viola?
Inizio a studiarle, dovrebbero essere lunghe, abbastanza magre, con le ginocchia un po’ grandi e le caviglie non troppo fini, due gambe normali, dritti ma non bellissime, come sono le gambe di una venticinquenne normale, che non passa le giornate sfilando in passerella.
E il seno?
La giacca del tailleur ed il cappotto sopra non mi permettono di farmi un’idea precisa.
Concludo la mia elucubrazione affermando che avrà le tette normali, né grandi né piccole, come è usuale per una normale ragazza di venticinque anni e magari porta pure un reggiseno viola.
Ma i reggiseni li fanno anche viola?
Uno scossone dell’autobus mi riporta alla realtà: l’ingorgo si è miracolosamente dissolto e raggiungiamo la meta in un baleno.
In compenso, la pioggerellina fitta, che imperversava dalla mattina, è stata sostituita da un autentico diluvio.
Viola guarda preoccupata il suo minuscolo ombrellino pieghevole (non è viola, ma di un bel verde chiaro).
‘Questo l’ho comprato alla stazione, appena arrivata, ma si è già rotto, adesso come faccio?’
‘Non ti preoccupare’, le dico brandendo il mio grande ombrello automatico, in grado di riparare due persone anche se piove a vento.
Percorriamo rapidamente la strada che ci separa dal bed and breakfast, facendo lo slalom tra gigantesche pozzanghere e lei mi sta bella attaccata, per evitare di bagnarsi.
Una volta arrivati a destinazione, restiamo a parlare dentro all’androne del palazzo, sembra quasi che non vogliamo interrompere il nostro piacevole incontro.
Alla fine, dopo averle augurato buona fortuna per i suoi colloqui di lavoro, tiro fuori uno dei bigliettini da visita che mi hanno dato in ufficio, ci scrivo a penna il numero del mio cellulare personale e glie lo porgo.
‘Se ti resta un po’ di tempo, tra un colloquio e l’altro, prova a chiamarmi, potrei farti fare un giro della città diverso, alla scoperta di alcuni scorci che i turisti non scoprirebbero mai e che solo gli indigeni conoscono.’
Ho appena detto una di quelle banalità che, sappiamo tutti bene, non avranno mai seguito, tipo proporre a qualcuno, quando passi dalle parti mie vienimi a trovare, figuriamoci.
Perché mai dovrebbe passare qualche ora insieme ad uno sconosciuto molto più vecchio di lei, a passeggiare per i vicoli del centro storico, facendosi raccontare qualche storia, magari inventata, su vecchi palazzi, fontane ed immaginette votive della madonna?
Il biglietto lo ha accettato per essere gentile ma sono sicuro che, appena arrivata nella sua camera, lo butterà nel cestino.

Invece, il giorno dopo, a mezzogiorno, mi ha telefonato.
Stavo quasi per rifiutare la chiamata, quando ho visto un numero sconosciuto.
‘Ciao, scusa se ti disturbo. Ci siamo incontrati ieri in autobus, ti ricordi …’
‘Ah sì, Viola.’
‘Veramente io mi chiamo …’, e dice il suo vero nome, che non svelerò.
‘Scusa hai ragione, è che ‘ mi è venuto Viola perché l’ho collegato al colore delle calze che avevi ieri.’
Lei scoppia in un’allegra risata.
‘Va bene lo stesso, Viola è un nome carino, il mio primo colloquio è andata benissimo’, si sente dalla voce che sprizza allegria da tutti i pori.
‘Quell’offerta del giro della città è sempre valida? Fino a domani sono libera.’
Quando uscito dal lavoro ho ripreso lo stesso autobus del giorno prima, mi sentivo emozionato come un adolescente al suo primo incontro.
Ha lo stesso collant viola del giorno prima e accenna di nuovo al nome carino che io le ho affibbiato.
Anche il cappotto e le scarpe sono gli stessi, ma questa volta, il tailleur quattro dita sopra il ginocchio è stato sostituito da una bella minigonna, dello stesso colore e da una camicetta bianca.
Ha ricomprato l’ombrello, ma accetta volentieri riparo sotto il mio e sono contento perché così posso starle più vicino.
In ufficio mi sono ripassato il percorso ed ho cercato su internet alcune informazioni, non voglio fare assolutamente brutta figura.
Fa freddo e piove a sprazzi, ma lei non sembra infastidita dal tempo cattivo e continua a tenere aperto il cappotto, permettendomi da guardare le sue gambe viola. Ha veramente le ginocchia grandi e pure le caviglie non sono di quelle fini che puoi stringere in una mano, ma più le guardo e più mi piacciono. Sarà il colore delle calze, sarà che mi sta simpatica, mi piace come persona, ma non riesco a staccare lo sguardo da loro, e ringrazio la provvidenziale minigonna che mi permette di osservarle quasi per intero.
Non è abituata a camminare sul selciato e la pietra liscia e bombata, levigata dal passaggio di chissà quante persone, attraverso i secoli, ora che è bagnata, rappresenta una discreta insidia per le sue scarpe con il tacco alto.
Ogni tanto scivola e allora si appoggia a me ed io la sorreggo, passandole il braccio intorno alla vita.
In questi casi lo tengo un po’ più a lungo del necessario, ma lei non protesta e penso addirittura che, alla prossima scivolata, potrei lasciarlo lì.
Ma che stai facendo? Ci stai provando?
Non facevo ‘ste cose quando ero giovane, figuriamoci adesso, sarei ridicolo.
Passiamo vicino ad una pizzeria al taglio e lei esclama ‘che profumino!’, così le propongo di fare una piccola sosta.
Lei sceglie quella con le cipolle e mi viene in mente che se dopo dovessimo baciarci, sarebbe poco romantico.
Ma che ti stai mettendo in testa? Perché mai dovrebbe farsi baciare da te?
è un bel po’ che giriamo, Viola sembra aver apprezzato molto l’itinerario, mi ha fatto un sacco di domande alle quali ho cercato di rispondere come meglio potevo, ora però si sta facendo tardi e decido di chiudere il giro con la piccola sorpresa che mi ero tenuto in serbo: il panorama dall’alto.
Quando iniziamo a percorrere la ripida scalinata, che s’inerpica sulla collina, con una serie di lunghe rampe, riprende a piovere forte.
Il vento gelido si incanala nello stretto passaggio tra il grande muro di contenimento in pietra ed il parapetto in muratura e lei si stringe a me, mentre l’acqua scende a rivoli per i gradini, trascinando qualche foglia secca.
Ora mi dice che è meglio che la riaccompagni a casa e sarebbe la cosa più sensata, per il tempo e non solo per quello.
Lei non dice nulla ed io me ne guardo bene, così, arriviamo in cima.
è un mucchio di tempo che non ci vengo, ma conosco bene il posto, ci venivo tanti anni fa con la mia ragazza, ci trovavamo una panchina appartata, nel giardino che affaccia sulla città e non guardavamo il panorama.
Il giardino è rimasto uguale ad allora e, quando ci affacciamo dal parapetto, Viola non riesce a trattenere un oh! di meraviglia.
‘Ora capisco perché mi hai fatto fare tutte quelle scale ripide sotto la pioggia, grazie, è bellissimo, ne valeva proprio la pena.’
In realtà c’è una strada più comoda, che si può fare anche in macchina e che sale dolcemente girando intorno alla collina, ma così lei avrebbe visto il panorama gradualmente, e sarebbe mancato il colpo ad effetto.
Le indico i vari monumenti illuminati ed il tragitto che abbiamo fatto durante la nostra lunga passeggiata, Viola sembra rapita dal posto e dalle mie parole e vorrei rimanere lì tutta la notte.
Ad un certo punto sento l’odore della cipolla e prima che possa ricollegarlo alla pizza che lei ha mangiato prima, Viola mi bacia.
Mi attraversa la mente un rapidissimo pensiero riguardo al fatto che la cipolla mi è sempre piaciuta, poi le passo le braccia dietro la schiena, dentro il suo cappotto aperto e la stringo forte.
Le mie mani scendono carezzandole il sedere e lei si stringe ancora più forte a me, premendo forte con il bacino, sento l’erezione che inizia e le mie dita scendono, le accarezzano le cosce attraverso il collant viola e infine risalgono nuovamente, infilandosi sotto la gonna.
Ha un bel culo sodo.
Viola si scosta un attimo da me, solleva la gonna sul davanti e poi mi stringe più forte di prima.
Ho una voglia irresistibile di scoparmela, e se non fosse per la paura di essere scoperto da qualcuno che passa, le avrei già abbassato quel collant viola.
Riprende a strofinarsi contro di me, mi bacia di nuovo e poi mi dice ‘andiamo da me, ora.’
E’ la cosa migliore da fare, e così scendiamo velocemente, questa volta per la strada più comoda.
Ha smesso di piovere e Viola sembra essersi abituata al selciato, perché non inciampa più, nonostante il passo veloce che stiamo tenendo, perché abbiamo voglia di arrivare al bed and breakfast al più presto, forse temendo che il nostro desiderio si raffreddi o che l’altro ci ripensi.
Il posto è tranquillo perché il proprietario non abita lì e viene solo la mattina per preparare la colazione, quindi i clienti hanno la chiave di casa e quella della stanza, e possono tornare indisturbati a qualsiasi ora.
Ci togliamo il cappotto e le scarpe bagnati e Viola si sdraia sul letto.
Voglio essere io a sfilarle le calze, è da quando l’ho incontrata sull’autobus, che cerco di immaginare le sue gambe, ed ora voglio scoprirle piano piano.
Mi sorride con i suoi occhi scuri e vivaci, mentre lentamente la sbuccio, arrotolando il collant.
Le sue cosce sono lunghe e magre e le ginocchia, avevo ragione, sono un po’ troppo grandi, ma non mi importa.
Continuo, scopro il polpacci belli solidi e mi ricordo che mi ha detto che le piace correre e si allena tutte le mattine.
Le caviglie sono effettivamente un po’ grosse, ma in questo momento mi sembrano le più belle caviglie del mondo.
Finisco l’opera e le calze, arrotolate, mi restano in mano. In fondo sono bagnate ed anche i suoi piedi sono freddi ed umidi, così prima li massaggio, poi prendo a baciarli.
Lei si sfila agilmente le mutandine (sono bianche, non viola), e mi dice ‘vieni, ora, non ce la faccio più.’
Finiamo di spogliarci rapidamente e le salgo sopra, la sua fica è un lago ed io vengo quasi subito dentro di lei.
è rimasta un po’ male, ma ho cercato di rimediare.
I suoi occhi scuri e vivaci, sembravano veramente ridere quando ha raggiunto l’orgasmo, così abbiamo continuato, perché volevo vederli ridere ancora, ed ancora.
L’abbiamo fatto tre volte, non male per un vecchietto un po’ arrugginito come me e, in quel momento, Viola era la donna più bella del mondo, con i seni normali, il corpo normale, da ragazza normale, con le ginocchia un po’ grandi e le caviglie ‘
Quando me ne sono andato, le ho augurato in bocca al lupo per il colloquio di lavoro del giorno dopo e sono uscito da quell’appartamento sapendo che non l’avrei rivista più.

Invece, tre mesi dopo, mi ha telefonato e ci siamo rivisti.
Si era rimessa il collant viola, perché sapeva che mi piaceva.
Mi ha detto che la seconda ditta con cui ha fatto il colloquio l’ha assunta.
Ora ha un buon lavoro, si è affittata un piccolo appartamento e vive qui.
‘Sai cos’è uno scopamico?’
‘Eh?’
‘Io vivo qui, il mio fidanzato sta a 500 chilometri e ci vediamo molto di rado, tu hai moglie e figli, non avrebbe senso una storia tra noi due, però ci piacciamo abbastanza ed andiamo pure d’accordo.
Ecco, potremmo diventare scopamici, nessun impegno, solo un po’ di sesso, quando ne abbiamo voglia entrambi, passando qualche ora piacevole insieme.
Se hai un po’ di tempo ti faccio vedere il mio appartamentino.’
Io ho guardato le sue gambe viola, che spuntavano da sotto la minigonna e l’ho seguita, naturalmente.

Leave a Reply