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Food for thought

Pax pt 4, Conseguenze

By 15 Dicembre 2025No Comments

La piazza era un mattatoio. Licius si guardò attorno. Gannicus, poco distante, stringeva il fucile con rabbia impotente. Si chinò su un soldato della Squadra Sica. Gli Apotecarii stavano lavorando alacremente sulle sue ferite. L’uomo aveva un fianco squarciato.
-Signore…-, disse a fatica. La sua faccia era una maschera di sofferenza.
-Non parlare. Risparmia le forze.-, ordinò Gannicus chinandosi accanto a lui.
-Erano… pronti per noi. Ci hanno teso un’imboscata… Fottuti barbari…-, mormorò l’uomo.
-Gliela faremo pagare. Puoi starne certo. Ora riposa.-, ordinò ancora l’agente.
Si alzò. Seguì la via da cui erano giunti i colpi. Bossoli a terra, parecchi. Arma di supporto da squadre. Ne raccolse alcuni. Li lasciò cadere.
Giocati. Erano stati giocati alla grande. Da una sola persona. Quella che l’aveva narcotizzato e che aveva poi sparato. Altri dei Prefectii stavano portando una lettiga fuori da un edificio, dall’edificio bersaglio. Raggiunse il suo superiore. Neanche lui aveva un’aria serena.
-Licius…-, iniziò, -Minah Ahn?-, osò chiedere. Temeva la risposta.
-Morta. Uccisa da un proiettile del tuo fucile.-, rispose l’uomo, mesto.
-Allora abbiamo fallito. Totalmente. I Chin e quella figura in nero, Marduk e i suoi ci hanno battuti. E questa strage…-, Gannicus espirò a fatica un respiro che gli parve piombo.
-Questo massacro è semplicemente atroce. I cittadini vorranno risposte. Non potremo semplicemente far finta di niente…-, disse, -Vorranno un colpevole. Un nemico.-.
-I corpi che abbiamo trovato fin qui sono di varie nazionalità ma neanche uno riconducibile a Chin.-, commentò Licius con rabbia malcelata.
La piazza era piena di Prefectii in arme. Sbarramento di ogni via, blocco totale della circolazione. Purtroppo arrivavano tardi, a battaglia finita.
-Marduk e i suoi sono fuggiti. Su un mezzo quadrigommato.-, commentò Licius, piatto.
-Chiedo di poterli seguire!-, insorse Gannicus.
-No. Non subito almeno.-, rispose l’altro, -Non ancora. Non prima di chiarire con i nostri superiori le dinamiche di questo casino.-.
-Cosa c’è da chiarire? Un aggressore ignoto mi ha incapacitato e ha sparato alla Ahn. Ha metodicamente annientato l’unico obiettivo di tutti noi. Il resto… è stata semplicemente la collisione di forze in conflitto.-, disse l’agente, mesto.
-C’è molto più di così.-, commentò asciutto il rappresentante.
-Tipo?-, chiese Gannicus. Notò due Apotecarii impegnati su una figura esile. Una donna.
-È di Chin!-, esclamò uno dei due. Accorsero, entrambi.
-Come sta?-, chiese l’agente. La sua mente correva alle implicazioni, alle possibilità.
-Ferita d’arma da fuoco all’addome e diverse costole incrinate a causa degli impatti. Per il resto, potrebbe cavarsela.-, riferì un’Apotecaria, -Pare aver ricevuto un primo soccorso.-.
-Assicuratene.-, ordinò il rappresentativo, -Ti riterrò responsabile della sua morte, perseguibile sino al massimo grado.-. L’altra annuì e si rimise al lavoro.
Altri Apotecarii erano intenti a cercare di salvare qualcuno. Uno sforzo lodevole, ma vano nel più dei casi. E tutti loro sentivano che presto ci sarebbe stato altro, ben altro dolore.
Altri lutti. Gannicus sentiva che sarebbe accaduto. Ne era certo.
Poi degli spari echeggiarono, poco distante.

-Di qua!-, esclamò Chien Lie. Lui e Yun Hi insieme a un duo di sicari si stavano muovendo con rapidità. Avevano neutralizzato due Prefectii. Danni collaterali necessari.
Fuggire, lasciare Aquae Sulis e la Confederatio. Riuscire ad andarsene. Alla svelta.
-Un mezzo! Ci serve un mezzo!-, strepitò Yun Hi con foga. Non era messo bene, come tutti loro. Poche munizioni e la consapevolezza che presto i licanei li avrebbero braccati selvaggiamente. Non era una bella situazione e quella che si prospettava in futuro era anche peggio: il Celeste non lo avrebbe perdonato. Mai.
Urla e gente in fuga. Aquae Sulis non era più una città, era un girone infernale di qualche Ade dimenticato dalla Storia. Uno degli Uomini Scue di Chien sparò due colpi verso una figura.
Una donna crollò a terra. Non aveva armi. Non era un pericolo.
La superarono senza quasi guardarla. Danni collaterali, appunto.
Chien Lie pensò che era un prezzo accettabile. Uscirono da una strada secondaria.
-Un mezzo! Ci serve un mezzo!-, ringhiò Yun.
-Vi serve un epitaffio.-, disse una voce che pareva giunta dagli inferi.
-Tu!-, esclamò Chien Lie voltandosi, al pari degli altri. Due colpi abbatterono i due uomini scure. Lie alzò la pistola. Yun avanzò, con in pugno una lama.
-Fatti da parte.-, sibilò Chien con rabbia. La figura non parlò. Chien sparò. Un colpo. La figura parve ondeggiare, barcollare. Si raddrizzò. Chien si preparò a sparare di nuovo. Click!
Caricatore scarico. Chien imprecò. Yun si lanciò in avanti, lama lunga protesa, attacco di punta. La figura lasciò cadere la pistola. Dalle maniche estrasse qualcosa.
Lame dritte, modelli licanei. Due. Una per mano.
La figura si mosse con la rapidità dei demoni: parò l’attacco del Chin e fese. Yun Hi evitò.
Chien rimase impietrito a quella vista: l’individuo in nero pareva una tempesta. I colpi erano sequenziali, privi di interruzioni e fluidi. Intuì presto che stava quasi giocando con Hi.
Un primo fendente colse Yun al braccio destro, il secondo lo colse all’addome. Trapassò e strappò. Yu gorgogliò. La lama gli cadde. Il colpo finale gli aprì la gola.
-Muori!-, ringhiò Chien. Sparò. Un. Due, tre colpi. La figura continuò ad avanzare verso di lui.
-Muori!!-, urlò. Sparò ancora. Quattro, cinque, sei, sette, otto colpi. Click!
La figura era ancora in piedi. Le lame si mossero, rapide, come serpenti.
E inclementi come l’esistenza. Falciarono. La mano armata di Chien Lie cadde, insieme alla pistola. Tranciata di netto. Chien crollò, in ginocchio. Sconfitto.
-Perché non muori?-, chiese, sconvolto.
-Sotto questa maschera non c’è carne, Chien. C’è un’idea. Le idee non temono pallottole o lame. Io sono l’Alpha e l’Omega.-, rispose l’essere.
-Chi… Chi sei?-, chiese Chien. Sapeva di star per morire. Lo capiva. Ma voleva sapere.
-Sono la memoria del mondo.-, sussurrò la voce. Chien alzò la testa.
Gli girava il capo, la vista si annebbiava. Perdeva troppo sangue dalla moncone.
-La tua faccia…-, sussurrò, -Voglio… vederla.-. La figura si mosse. Sfilò la maschera, con una mano. Movimento disinvolto. Chien scosse il capo.
-Non è possibile.-, disse, -Non puoi… essere tu.-.
-Eppure lo sono.-, rispose la figura. Chien sospirò. Emise un mezzo rantolo.
-Morirò vero?-, chiese. La figura si chinò. Le loro labbra si toccarono. Chien si sorprese a quell’atto. Fu tanto inaspettato da causargli quasi un fremito di stupore.
-Sì. Come tutti.-, fu la risposta. Poi le lame colpirono. Il collo di Chien Lie si aprì in un gayser cremisi.

La figura si rimise la maschera. Rinfoderò le lame nelle guaine fissate alle maniche.
Sfilò il giubbotto modello Hamata da sotto le vesti. Ottima protezione. Le placche interne erano andate. Troppi colpi le avevano centrate, ma nessun danno alla carne sottostante. Tributò un ultimo sguardo a Chien Lie.
“Tu ancora non lo sai, e non potevi saperlo, ma la tua morte qui segna la fine di una fase dei miei piani e la tua morte dà inizio alla seconda fase. Che venga la guerra.”, pensò.
Fece gli ultimi accorgimenti alla scena, poi estrasse un palmare e chiamò.

Svalok fermò il mezzo ben fuori dalle strade battute. Non ci fu tempo per parlare.
Scesero tutti, nessuno privo di dolori per la scomodità di un viaggio rocambolesco su un mezzo sovraccarico. Ferelea aveva un livido sulla fronte quando aveva impattato contro il soffitto del mezzo durante un’azione volta a evitare inseguitori dei Prefectii.
-E ora?-, chiese Hawo. Stringeva la pistola, ma come tutti loro pareva ben consapevole di quanto fosse un oggetto inutile.
-Ho un campo di volo, c’è un velivolo a spiro ali. Vi permetterà di lasciare la Confederatio.-, disse l’informatrice, -Arrivere a Dar eh Salaan, poi vi dirigerete a Medhina, cercate Sadir.-.
-E tu?-, domandò Saida.
-Io arriverò. Dopo.-, chiarì l’altra, -Devo recuperare delle cose, per potermene andare. E c’è anche un’altra persona che dovrà venire con me, oltre a Svalok, s’intende.-.
-E chi è?-, chiese Saida. La nera pareva diffidente, ma fu Marduk a parlare.
Sollevò il capo dopo due colpi di tosse. Fissò Ferelea, lo sguardo stranamente lucido.
-Sho-Mi. È lei, vero?-, chiese.
-È lei.-, annuì Ferelea, -Come lo sapevi?-.
-Quando mi ha salvato per la prima volta dalla loro trappola.-, rispose l’agente, -Mi era parso ben strano che fosse riuscita a raggiungermi senza il tuo aiuto. D’altronde, tu la conoscevi, no?-, chiese a bruciapelo.
-Sempre acuto, eh?-, chiese l’informatrice.
-Chi è Sho-Mi?-, chiese Hawo, perplessa, -Un’altra agente?-.
-Una Justicar.-, spiegò Marduk, -Una delle ultime rimaste in queste terre abbandonate dagli Déi. È… un’amica.-. Saida annuì, pensosa. S’intuiva che non le piaceva quell’aggiunta.
-Fin dove, Marduk? Chi ci dice che possiamo fidarci?-, chiese, -I guerrieri in nero sono divenuti leggenda, materia di mito. Non ha senso credere che non siano disposti a scendere a qualche compromesso, non se sono rimasti così in pochi.-.
-Non capisci.-, disse Marduk. Lei lo fissò.
-Ma tu sì, vero? Eri uno di loro. Un Justicar.-, disse. E a quella, tutti, Ferelea inclusa, sbarrarono gli occhi. Marduk rimase impassibile, per un lungo istante.
-Ciô che sono… Ciò che ero… è cenere al vento.-, disse.
-Marduk! Tu sei un Justicar! Merda, questo… questo spiega tutto!-, esclamò l’informatrice, -E io stupida che non l’ho capito! Avrei dovuto arrivarci…-.
-Non potevi. Non sono più un Justicar, lo capisci?-, chiese Marduk.
-Non lo sei? Non si smette di esserlo…-, disse Saida.
-Non sapevo che si potesse smettere di essere Justicarii.-, disse Hawo, pensosa.
-Stiamo perdendo tempo!-, grugnì Svalok mentre armeggiava con degli esplosivi.
-Muoviamoci! Ne parliamo dopo!-, esclamò l’agente, più arrabbiato che impaurito.

Il ritrovamento di Chien Lie e la cattura di Lie Nu erano notizie castrofiche.
Il Celeste ne fu informato poche ore dopo aver ricevuto conferma che l’azione si era risolta in una castrofica disfatta per Chin. Non solo: con la cattura di Lie Nu e la morte di Chien, Chin non poteva negare il proprio coinvolgimento nell’attacco. Di fatto, anzi, sebbene molte dinamiche non apparissero chiare, era evidente che gli occidentali avrebbero sfruttato quelle prove per convincere la Confederatio della necessità di un intevento.
Il Concilio Reggente di Beijing era in seduta plenaria. Il Celeste si sentì travolto da una fitta di rabbia che non provava da anni. Come poteva?! Come poteva essere andato tutto così terribilmente storto?! Il peggio era che Minah Ahn era morta. Uccisa presumibilmente dai licanei stessi. Quegli idioti incivili avevano ucciso l’unica speranza di fermare il conflitto prima che scoppiasse. Fortunatamente, non l’unica di riuscire ad arrestarlo.
Minah aveva avuto dei collaboratori. Licanei e non. Il Celeste sapeva che c’erano. Non aveva accesso a tutti i nominativi, ma sapeva che erano sicuramente ancora vivi.
Contattarli, trovarli, era divenuta la proprità.
Intanto, Chin si preparava alla guerra.

Licius masticava fiele. Ignatius aveva convocato lui e tutti gli altri capisezione dell’intera Europa Occidentalis. Non erano belle notizie.
Poco più avanti a lui c’era il suo superiore, l’uomo che Licius rappresentava.
Il direttore Operazioni dell’Europa Occidentalis. Neanche lui era esattamente lieto della situazione: la responsabilità delle penetrazioni di Chin e dell’Unio Africae in territorio licaneo era largamente dovuta anche alla sua convinzione che i servizi di Chin fossero antiquati, inadatti alle moderne tattiche di spionaggio.
“E invece…”, pensò Licius. Non fosse stato per il suo personale coinvolgimento nella catastrofe, avrebbe persino potuto gioire di quel fiasco che metteva in palese cattiva luce il suo capo, ma non poteva permettersi di esultare. Quantomeno non ancora.
-Non meno di due servizi, a che noi sappiamo, hanno abilmente eluso i nostri controlli! DUE!-, tuonò il Console Rufio Capriano Albo. L’uomo, un sessantenne solitamente pacato, aveva sfoderato una voce tonante che lo faceva sembrare più un legato in procinto di ordinare l’attacco che un pacato funzionario qual’era. I direttori delle operazioni per Africa, Asia ed Europa Occidentalis parvero rimpicciolirsi dinnanzi a quello scoppio d’ira. Fu il direttore dell’Asia a osare parlare.
-Se posso osare, l’errore è stato da parte dei controlli alle frontiere. Non abbiamo indagato a sufficienza su numerosi elementi e…-, iniziò.
-Non avrebbero dovuto poter entrare con tanta facilità in primo luogo!-, esplose nuovamente Rufio, -Come è possibile che le nostre frontiere siano state tanto sguarnite?-, chiese.
-La Pax Licanea ha sancito quale caposaldo la libertà di movimento…-, osò il Proconsole di Aquae Sulis, convocato con urgenza. Era un uomo grassoccio e privo di mordente.
Di fatto, la successiva sfuriata parve abbattersi su di lui con particolare furia.
La Pax Licanea si è incrinata con la Prima Guerra Chin-Licanes, è al corrente di questa cosa?-, chiese con un sibilo il Console.
-Io… Sì, sono… Al corrente, signore.-, esitò l’altro.
-ALLORA PER QUALE DANNATA RAGIONE QUI NESSUNO HA IL CORAGGIO DI FARE DEI CONTROLLI APPROFONDITI SULL’IMMIGRAZIONE?!?!?!-.
-Io… Noi…-, iniziò il proconsole.
-LEI PUÒ GiÀ CONSIDERARSI DESTITUITO SIN DA ORA! AQUAE SULIS È SOTTO TUTELA DELLE FORZE ARMATE E TALE RESTERÀ SINO A FUTURE DECSIONI!-, concluse tuonando Rufio.
L’altro si abbatté al posto, immobile, fulminato. Si prese il capo tra le mani, distrutto.
Il Direttore delle Operazioni Africane, un nero dal viso abbondante, ma l’aria intelligente e scaltra, osò riprendere a parlare. Parlava pacato, senza fretta, con contegno.
-L’Unio Africae è una minaccia relativamente piccola, gestibile. I suoi attacchi in terra africana sono ridotti e le ultime due sortite guidate da alcuni informatori hanno permesso la cattura di ben cinque prigionieri e l’abbattimento di sette ribelli.-, riferì.
-E allora come possono aver osato colpirci qui, a casa nostra?-, soffiò Rufio.
Era davanti al trio e camminava nervosamente lungo la sala. Nessuno era seduto.
Tutti erano tesi. Non solo per quel fiasco nel catturare Minah Ahn ma anche e soprattutto per la rinnovata ostilità con Chin, perché era chiaro che Chin avesse avuto la sua parte negli eventi sin lì avvenuti.
-Eravamo consapevoli della loro presenza, signore.-, ammise il superiore di Licius, -Li abbiamo anche colpiti, o almeno, abbiamo tentato di farlo.-.
-E loro hanno saputo far fronte alle forze impiegate nell’epurazione? Non male, per dei ribelli disorganizzati quali quelli che dipingete.-, l’ultima frase era rivolta al Direttore delle Operazioni Africane, che annuì, sorprendentemente pronto all’affondo.
-Di fatto, l’Unio Africae agisce come una serie di cellule indipendenti le une dalle altre. Nessuna sa tutto di tutte le altre. Solo pochi individui sanno. E non sono mai stati presi vivi.-, spiegò, -Ogni traditore che abbiamo avuto modo di convertire conosceva solo ciò che gli altri membri del suo gruppo conoscevano.-. Licius si scoprì ad ammirare quell’uomo.
-E questo complica la questione: se ci sono più cellule attive in Europa, possiamo assumere che sarà più difficile sradicarle.-, commentò il Direttore per l’Europa Occidentalis.
-Precisamente.-, annuì il nero. Rufio sospirò. Pareva improvvisamente stanco, quasi che lo scoppio d’ira lo avesse drenato delle sue forze.
-Questo spiega l’Unio Africae. Ma non spiega certamente la presenza di Chin!-. Il Direttore delle Operazioni per l’Asia si fece avanti. Era un uomo basso, quasi un nano. Nervoso e magrolino, pareva fragilissimo, ma aveva qualcosa, una luce negli occhi che a Licius non piacque affatto.
-Chiaramente c’è stato un generale disinteresse verso i miei rapporti. Avevo indicato diverse volte che le possibilità d’infilitrazione nemica erano consistenti e realistiche…-, disse.
-Certo! Peccato che tu non abbia saputo fornire ulteriori dettagli!-, sbraitò il superiore di Licius, tutt’altro che pacato.
-Questo è irrilevante! Avreste dovuto considerare più seriamente il rischio!-, ribatté l’altro.
-Quel che è rilevante è la tua incapacità nel comunicare le…-, il Direttore delle Operazioni per l’Europa s’interruppe, un cenno del Console lo ridusse al silenzio.
-ENTRAMBI AVETE MANCATO GRAVEMENTE AI VOSTRI DOVERI!-, ringhiô l’uomo.
I due ammutolirono irrigidendosi. Licius riconobbe che era venuto il momento d’intervenire.
-Signore, c’è un dettaglio che tuttavia va chiarito.-, disse.
-Ossia?-, chiese Rufio fissandolo. Tutti lo fissarono. Il meeting era a porte chiuse e Licius ringraziò tacitamente la discrezione offertagli.
-Beh, se consideriamo che abbiamo visto agenti dell’Unio Africae e agenti di Chin, c’è da considerare che anche una terza parte, almeno, era presente in scena. Parlo di chi ha sparato a Minah Ahn. Perché la domanda da farsi è: che interesse avrebbero avuto gli agenti di Chin a vederla morta? Nessuno: la volevano quanto noi. Dunque…-, pausa studiata, -…Mi pare evidente che ci sia una terza fazione, ignota, che gioca contro tutti gli altri, noi inclusi, e la domanda da farsi è cosa vuole. Perché se questa fazione è riuscita a infiltrare i nostri servizi, forse è riuscita a infiltrare anche Chin. Questo spiegherebbe tutto il casino avvenuto.-, disse Licius, -In fin dei conti, dai rapporti, i Prefectii riconoscono di aver trovato Chien Lie privo di vita. Ucciso da chi?-. Il silenzio che seguì quelle parole parve assordante.
-Esattamente la domanda che io mi sto ponendo. Signori, sono sorpreso che un mero subalterno di due individui con le vostre responsabilità sia riuscito a notare tutto questo. Vada avanti, Licius. Mi pare che sia sulla buona strada.-.
Licius annuì. Superò il suo superiore senza degnarlo di uno sguardo.
-Chiunque sia stato, ha agito con precisione, con implacabile capacità e senza lasciare al caso nulla. Non posso escludere che sia qualcuno connesso ai più alti livelli della Confederatio, e forse anche di Chin. Non escludo l’eventualità di sovversivi privi di reali affiliazioni, ma è presto per fare ipotesi.-.
-Avrà certamente qualche idea…-, lo incalzò Rufio. Licius sorrise.
-Una. Minah Ahn è morta. Una su tre, se non sbaglio.-, disse.
-Corretto.-, riconobbe Rufio, -Una su tre.-.
-Esatto. Dunque, ora dove si dirigeranno le attenzioni dei nostri nemici?-, chiese.
Sentiva di avere in pugno tutti loro. Fu il Direttore dell’Asia a parlare.
-Verso gli altri due.-, disse.
-Allora sappiamo cosa fare. Trovateli!-, ringhiò Rufio.
-Non sarà facile. E con la guerra alle porte le nostre risorse…-, iniziò il Direttore dell’Africa.
-Saranno sufficienti.-, garantì Licius. Sentì gli occhi del Console su di sé. Dovette fare violenza a sé stesso per non osare alzare lo sguardo di un millimetro.
-Promettente. Quindi, Licius, mi sta dicendo che prende su di sé quest’operazione e tutto quel che ne conseguirà, fallimento o successo?-, chiese.
-Sì.-, rispose lui, -A patto di avere accesso a una lista di risorse.-.
-Concesso. Quanto a voi, signori, esigo che stiliate piani di reclutamento e invio di truppe ai confini con Chin entro le prossime sei-otto ore. Voglio che la controffensiva sia pronta quanto prima, le truppe ai confini stanno gié segnalando attacchi di minore entità, ma non mi sorprenderebbe se Chin avesse in programma altro. Voglio che li colpiamo per primi e dove fa male. Devono pentirsi di questo affronto!-, ordinò il Console.
La seduta fu tolta, ma anche nella semi-oscurità della sala, Licius sentì gli occhi del suo superiore addosso. Sospirò: aveva messo a segno un colpo micidiale, umiliato tutti i presenti e potenzialmente salvato loro la carriera e la poltrona, ma si era anche fatto dei nemici.
Non si diede la pena di ricambiare lo sguardo.

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