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Racconti Gay

Amico del cuore

By 4 Agosto 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Capitolo 1

E’ proprio vero che l’esperienza magica, che usiamo chiamare ‘la prima volta’, ha una forza di suggestione emotiva ch la rende indelebile. Non si spiegherebbe altrimenti perchè, ora che sono giunto nella stagione dell’autunno della vita, mi capiti di emozionarmi ancora tanto nel rimembrare i tempi della mia educazione alla sessualità, i turbamenti dell’adolescenza, le mie prime esperienze. Ricordi lontani, tutti legati ad una figura e ad un nome, Nico, mio compagno di scuola dalle elementari all’università.
Ricordo piuttosto bene le mie inibizioni fanciullesche, dovute ad una educazione alquanto puritana, e l’assenza totale di un qualsiasi contatto con ragazzine. Ricordo che il cazzetto cominciava a tirarmi, ma che mi eccitavo sui culi prominenti e i seni traboccanti di donne mature: mia zia Anna, la signora Luisa, Carmela la vicina di casa, e qualche altra bella gnoccona del quartiere. Avevo cominciato a farmi le mie prime seghe, prendendo ad oggetto una di quelle donne, e adoperavo il mio fazzoletto come preservativo. Lo avvolgevo intorno al cazzo e, quando venivo, il seme si espandeva e veniva assorbito dentro quell’involucro, salvando le mutandine o le lenzuola del letto.
Nico era il mio compagno di banco ed era un ragazzo timido come me, educato, premuroso, mai una parolaccia, con una carnagione candida e tenera. Con lui ci confidavamo su tutto, ma con il sesso eravamo entrambi alquanto imbranati. I nostri compagni erano sboccati e spregiudicati, si masturbavano collettivamente e davano la caccia alle ragazzine. Tutti avevano da raccontare e vantare episodi di sessualità quasi matura. Noi due ci tenevamo alla larga dalla loro per non essere oggetto del loro scherno: ai loro occhi eravamo ancora bambinelli impauriti e incapaci di trattare con le donne, ed in effetti noi stessi soffrivamo quel complesso.
Stavamo a disagio con i compagni di scuola; solo quando ci ritrovavamo da soli ci sentivamo davvero bene, liberi di confidarci le debolezze, le fantasie proibite, e poi, piano piano, di sfogare insieme i primi bollori. E’ così che abbiamo cominciato a masturbarci insieme, con tanto pudore e rispetto, senza parlarne né durante né dopo. E poi abbiamo anche provato l’ebbrezza di accarezzarci, di sfregarci i cazzi l’un l’altro, eiaculando sbadatamente dentro i pantaloni.
La consuetudine prodotta dallo stare sempre insieme dalle elementari alle medie, e poi al liceo, trovava comunque il limite invalicabile nell’inibizione che ci possedeva e che ci ha sempre impedito di andare oltre. Anche se una incipiente forma di attrazione sotto pelle per la dolce disponibilità di Nico, per la sua carne bianca e morbida, quasi muliebre, del suo corpo, aveva fatto capolino in più di una circostanza. Ricordo distintamente i due-tre giorni che passammo
in un collegio di preti, dove noi, giovani dell’Azione Cattolica, eravamo ospiti per un ritiro spirituale (si chiamavano così quei raduni) e dove, noi due eravamo, manco a dirlo, compagni di stanza. Ricordo anche una gita scolastica a Roma, con tanto di tour sul litorale romano (Formia, Terracina, Ostia, Civitavecchia): un lungo e faticoso giro in autobus, durante il quale ci eravamo sfregati e strusciati, e, siccome le palle ci facevano male per la troppa eccitazione accumulata, ce le siamo toccate e manipolate per la prima volta.
Negli ultimi anni del liceo quella di accarezzarci a vicenda i coglioni era diventato un’attitudine familiare, lo facevamo ogni giorno, anche mentre studiavamo insieme. Le ultime esperienze avevano allentato i vincoli del nostro pudore, avevamo cominciato a parlare più esplicitamente di sesso, ci ripromettevamo di fare insieme le nostre prime ‘prove’ con una donna matura, aspettavamo di andare all’università per vivere più liberamente qualche avventura.
Per l’università scegliemmo, ovviamente, la stessa sede e la stessa facoltà, Giurisprudenza alla Sapienza di Roma. I nostri familiari ci sistemarono in una pensione in Via Palestro, dalle parti della Stazione Termini, presso una signora di origini calabresi, che sembrava la direttrice di un educandato e che, con la espressa approvazione dei nostri genitori, ci catechizzò sui pericoli della città e sulle regole della casa (rientro a casa non oltre le 22).
I primi tempi la città tentacolare ci metteva un po’ paura, anche perché la zona della nostra pensione era popolata da facce poco rassicuranti. Passavamo gran parte della giornata in camera, anche se ci sentivamo un po’ più liberi di prima. Il pomeriggio, distesi sul letto, ci scambiavamo impressioni e sensazioni sulle donne che avevamo incontrato, e finivamo spesso per masturbarci insieme.
Un giorno incrociammo nel corridoio di casa la figlia della padrona, una signora sui 40 anni, che ormai da qualche tempo viveva dalla madre, essendosi separata dal marito. Niente di che come donna, ma più che desiderabile per due giovani arrapati come noi. Dal modo un po’ obliquo con cui ci squadrò ci sentimmo autorizzati a immaginare che forse aveva fatto un pensierino su di noi. Quanto bastava per assumerla ad oggetto delle nostre manipolazioni pomeridiane.
Sdraiati seminudi sui nostri lettini, con le mani tra i coglioni, cominciammo a fantasticare su di lei, a metterla in mezzo a noi, a ciucciarle le zizze, a smanacciarle le cosce e il culo, a pistonarla davanti e di dietro. In piena trance erotica, mentre l’eccitazione saliva in entrambi, d’un tratto Nico si è alzato dal letto e si è sdraiato sul mio, accanto a me. La vicinanza dei corpi accaldati è stata la scintilla. E, mentre continuavamo ad evocare la nostra occasionale musa ispiratrice, abbiamo cominciato a toccarci.
Poi, come seguendo un copione prestabilito, ci siamo messi a cucchiaio, io dietro di lui. Ho cominciato ad accarezzargli le spalle ed il culo e, visto che reagiva allargando un po’ le natiche, ho piazzato in mezzo al solco il mio cazzo e l’ho abbracciato da tergo, titillandogli i capezzoli e baciandogli il collo. Nico rispondeva positivamente agli stimoli, schiacciava il suo culo contro il mio bassoventre e rabbrividiva di piacere ai miei titillamenti ed ai miei baci. Mi sono sentito autorizzato a insistere, ho cominciato a spingere prima con delicatezza, senza affondare; ha emesso qualche gemito, ma ho visto che godeva a sentirselo dietro.
Continuavamo ad emettere gemiti e grugniti rivolti alla immaginaria signora che avevamo messo in mezzo; in realtà avevo cominciato a baciare e leccare il collo e le terga di Nico, insinuando sempre più precisamente la punta del cazzo eretto nelle pieghe delle sue chiappe, verso il buco nero del suo ano.
All’improvviso, sul più bello, si è mosso, mi ha detto che voleva provare una posizione più comoda, mi è salito a cavalcioni sulla pancia, mi ha preso in mano ilo cazzo e lo ha indirizzato lui stesso verso il suo culo. Insomma, si è impalato da solo e, anche se abbiamo avvertito entrambi un po’ di attrito doloroso a farlo entrare e scorrere nello sfintere, alla fine gliel’ho immerso tutto, sino alle palle, mentre lui si masturbava il suo cazzo sopra il mio petto.
Abbiamo sincronizzato i movimenti e, quando abbiamo sentito che era prossima la sborrata, io ho accelerato la spinta e, poi, con un piccolo grido di esultanza, gli ho riempito il canale della mia sborra, mentre lui, con un grugnito profondo e prolungato, mi ha schizzato il suo seme sul petto, sin sotto il mento.
E’ stato bello, meno complicato e doloroso di quanto immaginassi. Anzi, sono rimasto io stesso sorpreso della naturalezza con cui ho penetrato quel culo tenero e mi sono spalmata sul petto la sua sborra. Alla fine ci siamo abbracciati e, per la prima volta, baciati in bocca e ci siamo appisolati avvitati e contenti.
Il piacere insospettato di quel giorno ci rese sempre più audaci. Nel cammino piuttosto lento della nostra emancipazione sessuale eravamo ormai decisamente passati dall’autoerotismo alla perversione omosex. La stessa notte non resistemmo. Stavolta fui io ad entrare nel suo letto. Entrambi nudi, ci lasciammo andare ad un lunghissimo bacio in bocca, intrecciandole lingue e scambiandoci la saliva. Ma poi sentii subito tornare la voglia di metterglielo in culo e lui subito si mise nella posizione che assumono i cani per farsi sodomizzare per bene.
Stavolta pensai di spalmargli un po’ di crema sul buco, poi glielo infilai per bene tutto dentro, cavalcandolo per un bel po’ fino alla sborrata finale, che accompagnai con un grido appena trattenuto.
Il culo di Nico mi piaceva, era morbido e tenero e si apriva docile ai miei colpi, anche se lo penetravo con grande accortezza, senza mai forzare. Ma non volevo approfittare di lui, sentivo di dovergli la reciprocità e mi misi io in posizione predisponendomi ad una bella inculata e ad un potente getto seminale dentro lo sfintere. Nico esitava, tergiversava, appoggiava il cazzo sulle mie natiche, ma si limitava a sfregarlo, non spingeva. Era evidente che gli piaceva piuttosto riceverlo. Non volli forzare il suo imbarazzo, mi girai verso di lui e cominciai a tirarglielo. Vidi che godeva da dio e, quando arrivò al clou dell’eccitazione, mi lasciai sborrare in faccia e sul petto e mi complimentai con lui per l’abbondante gittata.
Lo vidi contento fino alle lacrime. Ci baciammo languidamente, poi ci addormentammo. Ma, alle prime ore dell’alba, ci risvegliammo ancora pieni di voglia, ricominciammo a titillarci e ben presto i cazzi si ridestarono. Ci guardammo allusivamente e pensammo di provare un 69, per godere all’unisono, e stavolta, mentre ce lo succhiavamo, ci siamo infilati anche il dito medio in culo. Un piacere raddoppiato che ci ha portato presto ad una nuova, abbondante, reciproca eiaculazione in bocca.
Deglutire la sborra dell’amante è come il battesimo del fuoco di due amanti appassionati, e probabilmente lo eravamo. Siamo rimasti a letto un paio d’ore, a toccarci e leccarci soprattutto sul petto e sui capezzoli, poi, a giorno fatto, ci siamo alzati, lavati, e siamo usciti per andare a lezione all’università.
Naturalmente non abbiamo smesso di avere interesse e di arraparci per le ragazze o le signore che ci capitava di incrociare da vicino; e non abbiamo interrotto l’abitudine di fantasticare di chiavarcele insieme. Ma, ormai, lo facevamo come recitando delle parti, ed io immaginavo di sbattermi la bella gnocca inculando in realtà il mio amico del cuore.
I primi mesi dell’università sono andati avanti così. Poi, come accade nelle cose più belle, il diavolo gode a metterci la coda. E, manco a dirlo, ce la mise proprio in casa di Nico, perché agli inizi della primavera successiva, quando eravamo tornati a casa per le feste di Pasqua, la sorella di Nico, Monica, di due anni più piccola di noi, perse letteralmente la testa per me e lo confessò nientemeno che al fratello. Era una passione che la bella Monica covava da qualche tempo e che era stata sicuramente alimentata dall’assidua mia frequentazione della sua casa. Una passione che lei non riusciva più a trattenere e che pensò bene di confessare nientemeno che al suo fratello, prima che a me.
La sincerità sentimentale di Monica mi conquistò prima e più della sua bellezza. Vissi alcuni giorni di stordimento mentale ed emotivo, lacerato tra un amore che bussava alla porta e un altro che resisteva ad uscire di scena. Fu Nico a sbloccare il mio tormento.
Era evidente che aveva vissuto la fiamma scoppiata tra me e Monica come uno strappo doloroso, come un inatteso tradimento. Ma, evitando ad entrambi il disagio di un chiarimento, cambiò repentinamente il suo atteggiamento e rimosse con decisione ogni debolezza intimistica tra di noi. Continuammo a dividere la stanza della pensione, ma in un clima raggelato, come due separati in casa. Mesi di sofferenza che ancora ricordo con amarezza e che trovarono la loro inevitabile conclusione con la decisione di trovarci ciascuno un altro alloggio all’inizio dell’autunno.
Benchè la storia con Monica ha avuto un esito felice, nel senso che poi è diventata mia moglie, nonostante quindi che io sia diventato il cognato di Nico, le nostre strade si sono radicalmente divise e mai più riallineate. E dire che, per molto tempo, quando facevo l’amore con Monica, continuavo a sentire i brividi nel percepire la morbidezza della sua pelle tanto simile a quella del fratello!
Anche Nico ha trovato la sua donna e si è sposato. Ma, per quanto imparentati, di fatto ci siamo sempre evitati e, alla fine, ignorati. Incredibile come un sentimento di identificazione totale possa trasfoemarsi in senso di estraneità!
Me ne sono fatta una ragione e mi sono abituato a non pensarci più. Ma, di tanto in tanto, continuo a ricordare l’intimità con Nico con grande tenerezza e, lo confesso, con qualche brivido di rimpianto nostalgico. Nico è stato l’unico partner di sesso maschile che abbia avuto nella mia vita. Non so se i rapporti omosex hanno tutti questa temperie; so però che quello è stato un pezzo importante della nostra educazione sentimentale, un’esperienza non banale vissuta con emozione e riservatezza, fraterna, limpida, leale, non morbosa, mai volgare.
Mi chiedo ogni tanto se quella è stata un’occasione mancata che avrebbe potuto dare un altro senso alla nostra vita, considerato quanto fosse emozionante e gratificante per entrambi. O, almeno, se appena un po’ di spregiudicatezza in più da parte di entrambi non ci avrebbe consentito magari di coltivare una dimensione bisex, che penso sia il massimo di maturità sessuale per un uomo.
Dubbi e dilemmi che sono tornati a galla ora che la vita ha preso a scendere. Comunque, a tanti anni di distanza, al culmine di una vita non avara di esperienze ricche e convulse sotto il profilo sentimentale e sessuale, sento di dovere a Nico questa testimonianza di amore.

(continua)

Ma, come nelle migliori storie, il diavolo gode a metterci la coda. E la coda il diavolo la mise proprio nella famiglia di Nico, perché, proprio per la mia intensa frequentazione di quella casa, ero entrato in grande confidenza con tutti, soprattutto con mamma Rita e con Monica, la sorella di quattro anni più piccola di noi.
Per la verità la cosa si è materializzata diversi anni dopo, quando le nostre strade si erano divise ed io, nel frattempo, mi ero messo stabilmente con una ragazza, una cugina di Nico, che poi è diventata mia moglie.
Galeotta fu, in questo caso, la tesi di laurea che Monica doveva preparare e per la quale, essendo io cultore della materia, aveva chiesto il mio aiuto. Tornai a frequentare la casa di Nico, accolto con grande calore dalla madre, ma con una silenziosa tristezza da Nico che, evidentemente, aveva vissuto come uno strappo l’interruzione della nostra amicizia intima.
Io e Monica lavorammo insieme per tre mesi; il pomeriggio, quando tutti riposavano, ci isolavamo in una stanza ai piani superiori della casa e, gomito a gomito, consultavamo libri, prendevamo appunti, abbozzavamo pezzi della tesi.
Monica era una ragazza bene in salute, fidanzata già da tempo, piuttosto prosperosa, che me lo faceva rizzare per i bei capezzoli che si intravedevano sotto la maglietta, per le belle cosce che spiavo sotto il tavolo, per il culo sodo che avevo più volte ammirato. Lavorando gomito a gomito e ‘. ginocchio contro ginocchio, di fatto ci strusciavamo di continuo e, poco alla volta, io mi ero fatto più audace. Un giorno le avevo passato con finta distrazione una mano sulle cosce e le avevo trattenuto per un po’, senza che lei reagisse; poi avevo allungato la mano dietro le spalle ed ero sceso sul fondoschiena, insinuandomi discretamente nel solco delle sue chiappe.
Qui lei aveva avuto un tremito e mi aveva guardato con un misto di imbarazzo e di implorazione. Le sorrisi per rassicurarla e le diedi un bacio sulla guancia, poi la strinsi a me guardandola intensamente e dicendole in un orecchio:
‘Ti chiedo perdono, ma mi piaci tanto che non resisto’. ma non preoccuparti ‘ faremo tutto con delicatezza e con accortezza’.
Mi lasciò fare con le mani e con la lingua: l’abbrancai per le sue belle chiappe, le leccai il collo e, scopertole il seno, mi dedicai ai capezzoli, mentre con le mani le titillavo il clitoride. Non era molto reattiva, un po’ per l’imbarazzo, un po’ per la paura, ma mi lasciava fare e godette presto impregnandomi le mani dei suoi umori. E non si sottrasse quando guidai la sua mano sul mio cazzo imbizzarrito, e quando appunto raccolse nel suo palmo il frutto di una eiaculazione che non potevo ulteriormente trattenere. Poi corse in bagno a pulirsi la mano con la carta igienica.
Abbiamo cominciato così, ma siamo andati avanti per diversi anni, vedendoci di nascosto, approfittando delle rare occasioni in cui ci lasciavano soli. Ci siamo toccati, baciati e masturbati un sacco di volte; a letto siamo riusciti a stare non spessissimo, credo non più di cinque-sei volte (una volta in un albergo), ma l’abbiamo fatto anche dopo che si era sposata, con una serie di spericolate messinscene.
Ricordo ancora che abbiamo entrambi desiderato di farlo anche quando era al quinto-sesto mese di gravidanza: chiavarla con il pancione è stata per me una delle esperienze più indimenticabili! Avevamo approfittato di un pomeriggio in cui lei era sola in casa, eravamo sgattaiolati furtivamente nella sua stanza da letto, e ci eravamo subito abbandonati ad una chiavata languida. Per proteggere la pancia, lei mi aveva dato prudentemente le spalle (e il culo). La prendevo da dietro, le stringevo le mammelle ormai piene di latte e la pompavo facendo passare il mio cazzo in mezzo alle sue chiappe per infilarlo nella fica, che era più calda del solito. Una chiavata dolcissima che avevamo concluso con una ampia sborrata sul suo pube, in parte colata lungo le cosce, in parte spalmata da lei stessa sopra il pancione.
‘Grazie’, mi aveva detto alla fine, ‘mi piace che sei presente anche nella mia gravidanza’.’
In generale ho sempre avuto la sensazione che Monica non si lasciasse andare mai completamente, come avesse paura di non resistere al precipitare degli eventi. Solo due volte l’ho vista vinta dall’emozione. La prima, quando mi comunicò di un anomalo ritardo mestruale e alluse al timore di una gravidanza sospetta: ‘Con mio marito non ho rapporti da tre mesi’. non può che essere nostro!’.
La seconda, dieci giorni dopo, quando mi disse senza alcun entusiasmo che era stato un falso allarme e mi confessò con commozione e rammarico:
‘Ci credi se ti dico che non ero affatto turbata della cosa, anzi che ci avevo fatto seriamente un pensiero? ‘..’.
E’ stato anche per me un momento particolarmente emozionante, anzi commovente.
La cosa si è esaurita perché era troppo complicato e rischioso continuare, soprattutto con un marito geloso come il suo, anche se tra me e lei mai si era interrotta una considerazione speciale, una simpatia intima che riposava su quell’amore segreto. Per 30 anni non abbiamo più avuto modo di incontrarci da soli; il ricordo di quella esperienza si era ormai affievolito fino a finire nella soffitta della memoria.
Ma evidentemente la fiammella non era del tutto spenta, covava sotto la cenere. Ed è stata una circostanza assolutamente imprevedibile ed imprevista (lei era venuta a casa mia per incontrare la cugina, ma mia moglie era corsa in ospedale ad accompagnare una vicina che aveva avuto un principio di ictus) a farci ritrovare da soli; e sono bastati pochi minuti per ripiombare in un clima emotivamente assai carico, come se 30 anni equivalessero a qualche mese.
Monica si era molto appesantita. Manteneva una corporatura piuttosto forte, ma soprattutto le cosce, i fianchi ed il culo si erano notevolmente allargati, ed il viso mostrava i segni dell’età: un po’ di sottomento, le occhiaie cerchiate, i capelli un po’ diradati, un’aria un po’ sofferente. Quando è entrata in casa e le ho detto dell’assenza improvvisa di mia moglie, ha avuto un attimo di disagio, si è morsa le labbra come alla ricerca di un espediente per andarsene via subito. Le ho detto di accomodarsi e di aspettare; avremmo chiamato mia moglie al telefono per sapere se e quando sarebbe tornata.
Si è accomodata nel tinello, senza togliersi il soprabito, ma stava sulle spine, non reggeva alla situazione inattesa. Le sono passato dietro, le ho accarezzato lievemente i capelli, le ho detto che per me era una bellissima sorpresa. Mi sono seduto di fronte ed abbiamo cominciato a chiacchierare del più e del meno: il marito, i figli, l’età, la salute, ecc.. Vedevo che evitava di guardarmi negli occhi, come per sfuggire ad una tentazione. Ho accentuato la dolcezza dei toni, le ho preso una mano ed ho cominciato a rivolgermi a lei in maniera diretta:
‘Mia cara, tu non sai quanto sono contento di averti vicina ‘.. E’ una vita che stavamo un momento da soli!’.
E lei, misurando le parole e un po’ evasiva:
‘Eh, che vuoi? Stiamo invecchiando. Ci stanno tutti addosso ‘. e non abbiamo più tempo per noi’.
Presi al balzo l’argomento:
‘Hai davvero ragione. Che vita è se la diamo tutta agli altri? ‘.. Così, sì che invecchiamo prima del tempo ‘.. Ma parlo per me, perché tu non sei affatto invecchiata ‘. Anzi’.’.
Fece una smorfia ironica per dire che il mio era un complimento sin troppo generoso:
‘Ti prego, non prendermi in giro. Non sono più una ragazzina. Ho 55 anni e, come sai, ho più di qualche acciacco. Questa storia della tiroide non mi dà più tranquillità. Vedi, sempre esami e controlli e mai una diagnosi definitiva. Sono preoccupata’.’
Le risposi subito:
‘Ma non dire sciocchezze, chè sei ancora una donna in pieno fiore. Ma ti guardi allo specchio? Non vedi che bel corpo, che portamento, che stile? Le ragazze di oggi hanno tanto da imparare ‘.. E poi non esagerare con le preoccupazioni: continua a tenerti sotto controllo e vai tranquillamente avanti”
Così dicendo, avvicinai di più la mia sedia e cominciai ad accarezzarle delicatamente il volto. Mi sorrise e abbassò gli occhi, ma mi resi conto che potevo insistere.
‘E’ passato tanto tempo, ma lo sai che le esperienze fatte con te restano tra le cose più belle della mia vita?’Mi credi?’.
Non mi rispondeva, stava con gli occhi chinati verso il basso, ma la sua mano rispondeva alle mie carezze. Era come commossa dalla mia attenzione, e forse anche in lei il fuocherello lontano riprendeva piano piano a riaccendersi.
‘Non mi giudicare male se approfitto della circostanza, ma sento di dirti che mi piaci ancora ‘.. che ti trovo ancora desiderabile’.
Mi stavo realmente accalorando, cominciavo a guardarla con la voglia di possederla, e in mezzo alle gambe l’arnese aveva già preso a muoversi e a indurirsi. Lei restava in silenzio, un po’ sulla difensiva, ma rassegnata all’avanzare della mia iniziativa. Mi ero avvicinato con la sedia fino a toccarle le ginocchia e avevo cominciato ad accarezzarla sul collo, poi mi ero avvicinato al suo viso e l’avevo baciata più volte sulla guancia, sussurrandole: ‘Quant’è bello ritrovarti ed avvertire di nuovo quel sentimento, quella voglia, quella tenerezza !’.’.
E, visto che lei non reagiva negativamente, mi ero fatto più audace e avevo lasciato scendere la mano giù nella scollatura del vestito, fermando le dita su un seno e cominciando a titillare un capezzolo. Aveva cominciato a sospirare e a rispondere ai miei baci. Insistei, prendendole pienamente e nella mano la mammella e stringendola, mentre l’altra aveva cominciato a farsi strada tra le sue gambe e poi tra le sue cosce, sino a vellicare il triangolo peloso della fica. L’atmosfera si era immediatamente riscaldata e lei non poteva restare passiva. Aveva allargato le gambe per favorire la penetrazione della mia mano, che ormai si muoveva al di sotto dei suoi slip e aveva cominciato a solleticare il clitoride. Aveva aperto la camicetta per agevolare il mio accesso al suo seno ed io non avevo perso tempo a tirarle fuori entrambe le mammelle e a succhiarle con avidità. A questo punto finalmente aveva rotto il silenzio:
‘Calma, calma, fai piano coi denti ‘.. Ma che ti prende? ‘.. Possibile che ti faccio ancora questo effetto?’.’.
Disse queste ultime parole con evidente compiacimento. Ed io, che nel frattempo avevo infilato nella sua fica tre delle mie dita e leccavo con foga i suoi capezzoli, le risposi con grande trasporto: ‘Vedi che mi fai ” mi hai fatto perdere il controllo in pochi minuti ” ti rendi conto quanto sei bona?’.
E subito dopo mi era avventato sulla sua bocca ed avevo cominciato a baciarla come si deve, incrociando le lingue e scambiando la saliva. E lei ormai si era lasciata andare, corrispondendo pienamente alla mia spinta.
Mi ero alzato in piedi e l’avevo sollevata facendola sedere sul tavolo di cucina. Poi le avevo fatto notare che i pantaloni mi stavano esplodendo e l’avevo tirato fuori: lei aveva guardato con soddisfazione quella protuberanza prepotente che reclamava di potersi esprimere al meglio. Ed aveva allungato un mano impugnandolo e cominciando a tirarlo su e giù.
‘Non c’è che dire ‘.. si vede che stai bene ‘. guarda com’è in tiro! ” ma credo che avrebbe bisogno di una bella fichetta giovane ‘.’.
‘Non continuare a dire sciocchezze ‘.. quello sì è sollevato e si è indurito per te ‘. per queste belle cosce che hai ‘.. per questa fica pelosa e odorosa ”. per questa bocca’. Vedi quanto è tosto e nodoso ” non lo reggo troppo ” vedi tu come accudirlo’.’.
E lei, sorridendo e continuando a menarmelo:
‘Certo che è un bestione ” non me lo ricordavo così ”.. ma non so cosa fare per accontentarlo meglio ‘.. ‘.
‘Se continui così con la mano mi fai una splendida sega ”. Non posso resistere a lungo’.. scegli tu dove devo infilartelo!’.
Non rispose, ma scese dalla tavola, si girò di spalle, si alzò la gonna e appoggiò i gomiti al tavolo offrendomi la vista del suo gran culo.
‘Forse per te è più comodo così’.’, disse.
Le abbassai i collant e le mutande e mi impossessai di quelle belle chiappone, carnose, un po’ cellulitiche. Posai la mia asta lungo il solco delle natiche e indirizzai la punta verso l’interno. Con la mano sotto le gambe me lo prese e lo portò verso le sue grandi labbra:
‘Fatti guidare ‘. sennò sbagli strada’.
‘Ma sei sicura che sbagliavo strada? O volevo proprio entrare da un’altra parte?’.
‘Eh, eh, stai calmo ‘. Un’altra volta! ” Ci vuole più tempo e pazienza ‘.. ora vienimi dentro che lo voglio sentire tutto! ‘..’. Glielo infilai di colpo entrò fino alle palle. Cominciai a stantuffare producendo l’inconfondibile rumore della chiavata (cic-ciac). Mi pregò di resistere ancora un po’, chè era da tempo che non chiavava così (mi spiegò che il marito, diabetico, aveva da tempo sospeso la sua attività amatoria).
Le dissi che sentivo i coglioni scoppiare; allora me lo sfilò dalla fica, si girò e si inginocchiò davanti a me, imprigionò il mio cazzo in mezzo alle sue mammelle ed avviò una irresistibile spagnola. Poi lo impugnò di nuovo e se lo infilò in bocca tenendolo e spingendolo dai coglioni: un pompino voluttuoso che mi diede una fitta di piacere indescrivibile e fiaccò ogni mia resistenza. Stavo per eiaculare e, per non forzare la sua volontà, l’avvertii che non ce la facevo più. Alzò gli occhi senza lasciare l’osso e mi fece intendere che potevo lasciarmi andare senza preoccupazioni. In pochi secondi le inondai la bocca, lei chiuse gli occhi e ingoiò tutto, deglutendo poco alla volta.
Mi lasciai cadere sulla sedia e mi abbandonai per qualche minuto. Quando mi ripresi vidi che lei si era risistemata e che stava già preparando un caffè.
‘Rimettiti in ordine, chè tua moglie può rientrare da un momento all’altro ‘.’.
Già, mia moglie’. Me ne ero proprio scordato. Ed avevo perso anche la cognizione del tempo. Mi rivestii, andai in bagno a sciacquarmi, tornai in cucina per il caffè.
Telefonammo a mia moglie che si scusò con la cugina per il contrattempo, ma disse che sarebbe tornata entro un quarto d’ora.
‘Un bel contrattempo ‘.. e una bella rimpatriata’, commentammo insieme, mentre ci baciavamo ancora per qualche minuto ed io le accarezzavo il culo con una voglia ancora insoddisfatta. Ci augurammo sorridendo di non dover attendere altri 30 anni per ritrovarci ”

(continua)

Una volto rotto l’incantesimo adolescenziale, i miei rapporti con Nico si sono tanto rarefatti da diventare impalpabili. Per la verità, nella storia con sua sorella Monica, avevo risentito sotto traccia qualcosa che mi riportava alle emozioni di quelle prime esperienze vissute con Nico. Forse era addirittura una questione di pelle, perché in quella di Monica mi sembrava di vedere e toccare di nuovo la tenerezza di quella di Nico. Ma tra me e lui nulla, meno di nulla, appena la cordialità formale dei rapporti tra conoscenti.
Non che ne abbia sofferto, anche se spesso ho avvertito il rammarico di una bella amicizia bruciata senza una spiegazione.
Ma evidentemente il destino ha deciso di tormentare quel rapporto originario, nella maniera più imprevedibile ed occasionale, come di solito avvengono gli eventi fatali.
Ed a riaprire quella ferita mai rimarginata è stata nientemeno che Roberta, la figlia di Nico, una bella ragazza di 24 anni, da poco laureata, intraprendente e brillante, con l’aria di chi sa quello che vuole, ma soprattutto ben consapevole dei suoi mezzi estetici.
I miei rapporti con Nico e la sua famiglia erano normali, cordiali, ma non andavano al di là della formalità. Il passato pesava come un’ombra e ci aveva impedito di frequentarci. Di sua moglie non mi ero fatta un’idea precisa, mi sembrava una donna un po’ incolore, non so se Nico fosse contento del suo matrimonio. La figlia l’avevo seguita crescere, ma molto da lontano, senza un’attenzione costante, mi appariva una bella ragazza come tante.
Restai assai sorpresa nel vederla varcare la soglia del mio studio legale in un orario del tutto inusuale, quando non c’è nessuno, e, con piglio sicuro, con la padronanza di chi fosse di casa, sedermisi di fronte ed affrontarmi senza preamboli:
‘Ciao, scusa se non mi sono preannunciata ‘.. sai, avrei bisogno di te ‘. mi sono laureata da poco e voglio prepararmi al concorso di abilitazione professionale ” mi dicono che le tue praticanti non hanno mai mancato la prova ‘.. mi prenderesti con te? ‘. solo qualche mese ‘..’
Ancora un po’ scombussolato per quella improvvisa irruzione, cominciai a balbettare qualche prima risposta elusiva:
‘Oh Roberta ‘.. che piacere vederti ‘.. a casa tutti bene? ‘. Sì, ho saputo che ti sei laureata ‘. Bene, bene ‘.. ‘
Tergiversavo un po’ perché volevo inquadrare meglio il senso di quella inopinata iniziativa. Perché la ragazza si rivolgeva direttamente a me? Perché né il padre né la madre l’avevano accompagnata? Proprio la delicatezza degli antichi rapporti con Nico mi rendevano un po’ sospettoso.
Ma Roberta mostrava segni di impazienza. Mi guardava fisso negli occhi, come a cogliere le mie incertezze, poi aveva accavallato le gambe facendo salire vertiginosamente la minigonna ed esponendo (volutamente, a mio parere) le sue belle cosce sino al triangolo coperto dallo slip.
‘Ti chiedo scusa, forse ti creo qualche problema ‘. Ne hai già troppi di aspiranti avvocati ‘..’, fece una piccola pausa per poi aggiungere con un sospiro malizioso, ”. o di aspiranti avvocatesse?’
Il mio stato di imbarazzo perdurava, e la cosa non mi garbava affatto. Le risposi perciò più disinvoltamente:
‘Beh, sì, qualcuna ce l’ho ‘. ma il posto per te lo farei comunque uscire ‘. E così vuoi fare l’avvocato? ‘.. e mamma e papà che dicono?’
‘Uhmmm’ loro dicono che gli avvocati sono degli imbroglioni ‘.. vogliono che mi prepari al concorso in magistratura ‘. Non sanno nulla del fatto che sono venuta da te!’
Roberta era insistente ed insinuante, aveva aperto ancor più la camicetta per mettere in evidenza due belle tette rotonde e mi guardava con occhi trasognati.
In quel momento mentalmente bestemmiai: in che cazzo di situazione mi stavo mettendo! La figlia di Nico era lì da me, all’insaputa del padre, e per giunta stava provando a sedurmi!
Stavo appunto per dirle che non potevo far nulla senza che il padre fosse informato e consenziente quando, anticipando le mie parole, Roberta si alzò, mi venne vicino, si sedette sul tavolo con le cosce larghe e, chinandosi verso di me, mi sussurrò all’orecchio:
‘Ti prego, ti prego ‘. Non dirmi di no! ‘.. I miei non devono sapere nulla ‘. Sai, abbiamo litigato su questa mia volontà di fare l’avvocato ‘. Farò in modo che non si accorgano che vengo da te!’
Mi sorpresi a prendere atto della mia debolezza dinanzi alla dolce aggressività della ragazza. Obiettai in maniera flebile:
‘Ma Roberta, ti rendi conto in che imbarazzo mi metti?’
Ma lei, chinandosi nuovamente verso di me e baciandomi sulla guancia, mi rispose decisa ed allusiva:
‘Sì, lo so che ti chiedo molto, ma vedrai ‘. mi sdebiterò con te’.
Non mi diede il tempo di aggiungere altro, mi diede un altro bacio, poi si rimise in piedi rassettandosi la minigonna e andò via ancheggiando:
‘Torno domani ‘. alle 15 sono di nuovo qui’.
Debbo dire che quella fulminea apparizione mi lasciò assai turbato, irretito. Per tutta la serata non riuscii a liberarmi di quella immagine fresca e aggressiva, durante la notte mi svegliai col cazzo duro. Mi sentivo confuso, quella ragazza mi andava a sangue, ma mi chiedevo preoccupato dove stavo andando. Ma aspettavo ansioso di rivederla il pomeriggio.
Fu puntualissima. Stavolta si presentò ancora più aggressiva: mini extramini verde scuro all’altezza degli slip viola, due cosce lunghe ed affusolate su sandali con tacco 12, canotta giallo canarino superaderente con i capezzoli puntuti che parevano traforarla, occhi grandi e voluttuosi, bocca resa ancor più procace dal rossetto rosa scuro. Uno schianto, un colpo al cuore!
Mi salutò con voce squillante, si avvicinò e mi schioccò un bacio sonoro sulla guancia, poi si accomodò proprio al mio fianco accavallando le gambe e guardandomi con aria interrogativa:
‘Allora, da dove cominciamo?’
E, visto che ero rimasto un po’ imbambolato e balbettavo monosillabi incomprensibili, mi ha sorriso allusivamente:
‘Ho capito’.’
Quindi mi ha preso un a mano e me l’ha sistemata in mezzo alle sue cosce, proprio a ridosso dello slip. Poi ha stretto le cosce costringendomi in tal modo a massaggiarle e poi pastrugnarle la fichetta. E, prima che potessi dire alcunché, mi ha aperto la camicia e si è messa a vellicarmi il petto, insistendo sui capezzoli.
Una scarica di libido incontenibile, che mi ha fatto inturgidire di colpo il cazzo. Ho opposto un debole:
‘Roberta, vedi che ‘..’
Mi ha risposto con un irridente:
‘Vedo, vedo benissimo qui sotto’.’
E così dicendo si è dedicata al mio bassoventre. Ha infilato una mano dentro i pantaloni ed è arrivata dritto dritto al cazzo già imbizzarrito. Poi, con aria di comprensione amorevole, ha sospirato:
‘Vedo, vedo ” mmmhhhhh ” come fai a tenerlo così in castigo?….. il cavallo scalpita, vuole correre ‘.. mmmhhhh ‘.. se non lo lasci sfogarsi credo che oggi non combineremo nulla’.’
Con fare naturale mi ha tirato giù la zip, mi ha abbassato le mutandine ed ha liberato il cazzo ingrifato, sorridendo soddisfatta:
‘Dai, avvocato, lasciati andare ‘. e lasciami fare ‘. mmhhhh’
Roberta mi teneva letteralmente in pugno. Io ansimavo di piacere e di voglia, incapace di oppormi alla sua volontà. Ha cominciato a tirarmelo più energicamente costringendomi a gemere; poi, d’un tratto, quando ha percepito che ero prossimo ad eiaculare, si è piegata in avanti e se l’è preso tutto in bocca. Due slinguate profonde hanno accelerato la sborrata. Ha bevuto tutto deglutendo un po’ a fatica. Poi me lo ha nettato con la lingua e l’ha risistemato nei pantaloni, esclamando trionfante:
‘Ecco fatto!… tutto a posto, avvocato!’
Ho impiegato ancora mezzo minuto per riavermi dallo stordimento di quel pompino fuori programma, poi finalmente ho trovato la forza di rivolgermi a lei con aria seria:
‘Roberta, ma cosa abbiamo combinato? ‘. Ti rendi conto? ‘. Scusami, mi sono lasciato andare ‘.. ‘
E lei, irridendomi:
‘Ma che scuse e scuse!….. non ti è piaciuto? ‘.. mi sembrava il contrario ‘..’
‘No, è stato bello ‘. bellissimo ‘.. troppo bello!…. ma non sono cose che possiamo fare ‘.. hai l’età di mia figlia!…..’
‘Uh che palle! ‘.. ho visto che ti scoppiava nei pantaloni e ti ho aiutato a svuotare i coglioni ‘.. tutto qui ‘.’
‘Ma tu ‘. ma queste sono cose che ”’
‘Che vuoi dire? Che fanno le puttane?…. uh quanto sei antiquato! ‘ queste sono cose che le ragazze fanno tutti i giorni ‘.. se vuoi chiedilo a tua figlia ‘.. io al mio ragazzo glielo faccio spesso ‘.’
Poi, facendo una pausa e guardandomi obliqua:
‘Ma debbo dire che la tua sborra ha un sapore che mi piace di più ‘. E poi lui non ce l’ha così bello grosso!’
La conversazione mi metteva a disagio. Ho tagliato corto:
‘Roberta, ti prego ‘.. finiamola qui ‘.. è successo quello che è successo ‘. ora pensiamo alle cose serie ‘.. Allora, sei proprio decisa a fare questo concorso?’
Roberta ha continuato a farmi le fusa, a sorridermi con aria allusiva, poi mi ha risposto:
‘Certo che lo voglio fare! ‘. Sennò perché sarei venuta da te? ‘ lo voglio fare e lo voglio superare’.’
‘Bene!’, le ho ribattuto, ‘ma allora dobbiamo daci un bel piano di lavoro ‘ sai non è impossibile, ma i concorrenti sono tanti, i compiti si correggono in altre regioni, insomma ci sono tanti incognite’.’
Ed ho cominciato a dirle le discipline da riprendere e approfondire, a raccontarle delle esperienze vissute da altre praticanti, a ricordarle le difficoltà della elaborazione dei temi, e così via. Roberta mi ha seguito guardandomi negli occhi con un’aria irridente, poi è sbottata:
‘Senti, mio caro avvocato, mica sono venuta da te per sentirmi dire che devo studiare ‘. Da te voglio che mi aiuti a superare l’esame, che mi suggerisca trucchi e segreti, che mi suggerisca dove copiare qualcosa ‘.. non ho alcuna voglia di rimettermi a perdere tempo sui libri di università ‘.. tu sei un’autorità del foro ‘.. se poi c’è qualche commissario da ammorbidire ‘.. dimmi quel che debbo fare ‘.’
Non fosse stata lei, non fosse la puttanella che aveva appena finito di succhiarmi l’anima, l’avrei messa alla porta per la sua impudenza. Mi trattenni, lei colse al volo la mia irritazione, si avvicinò alla mia bocca e mi baciò sulle labbra, sussurrandomi:
‘Credo che il tempo lo possiamo impiegare meglio che a studiare tutte queste cazzate!….’
Un demonio vestito da angelo! Questa era Roberta. Avrei voluto darle una lezione, ma la troietta era bravissima a lusingarmi, ad incantarmi, a dominarmi. Cercai di riprendere il discorso:
‘Senti, capisco il tuo pragmatismo, ma qualcosa la dobbiamo pure preparare ‘ ‘
‘Sì, sì, certo’, mi rispose subito, ‘pensaci tu! ‘. Farò tutto quello che mi dici tu!…. l’importante è che superiamo la prova!’
Ora Roberta si era seduta sulle mie gambe, mi aveva messo le braccia intorno al collo, si era alzata la canotta esponendo all’aria due seni rotondi, piccoli ma ben modellati, con due boccioli protesi in avanti, e li aveva avvicinati alla mia bocca:
‘Dai, che aspetti?…. succhiameli!’
Era difficile sottrarsi a quell’invito, il turgore di quei capezzoli avrebbe piegato ogni ostinazione a resistere, che peraltro io non avevo. Mi avventai su di loro con tale foga da farmi riprendere soavemente dalla ragazza:
‘Ehi, calma’coi denti mi fai male!’
E mentre suggevo da quei piccoli crateri bruni, le dita della mia mano si erano fatto strada tra le sue cosce, avevano scostato il bordo del suo minislip ed erano scivolate dentro le labbra umide della sua fichetta. Roberta sospirava e gemeva, e mi incoraggiava:
‘Sì, dai, dai ‘.. sì, così ‘.. hai una bocca divina’. Così mi fai perdere la testa ” aahhhh ” mmmmhhhhh ” sììììì ‘.. dai con le dita’. sìììì ‘.. più forte ‘.. me la stai tirando alla grande ‘ sììììì ‘.. ancoraaaa!!!’
Roberta si dimenava tutta, era prossima all’orgasmo. Ma anch’io, impegnato a succhiarle i seni ed a titillarle la foca e trainato dalla sua stessa eccitazione, avevo il cazzo nuovamente inalberato, che premeva sotto le sue cosce. Benchè rapita dal piacere montante, lei avvertì quella prepotente pressione e, facendo passare una mano sotto le sue cosce, me lo ritirò nuovamente fuori dai pantaloni e cominciò a segarlo vigorosamente gridando:
‘Uhhmmm ‘. il cavallo si è imbizzarrito di nuovo ” mmmhhhh ‘. Sì, dai, facciamolo galoppare ” mmmhhhh ”. aaahhh ‘ che bello!!! ‘.. sìììì ‘. dai, veniamo insiemeee!!!’
Detto fatto. Nel giro di pochi secondi sborrammo all’unisono. E, mentre io raccolsi nelle mani l’effluvio acre della sua fichetta, gli schizzi della mia sborrata finirono un po’ per terra sul parquet dello studio, un po’ sulla fiancata della mia scrivania.
Dopo qualche minuto di abbandono ci ricomponemmo in fretta e furia perché si erano fatte le 16.30 ed a quell’ora sarebbero potuti arrivare da un momento all’altro i miei assistenti. Roberta si inginocchiò per terra a ripulire il pavimento ed il mobile e, con l’occasione, mi offrì una prolungata visione del suo bel culetto. Poi, si rialzò, si rassettò la minigonna e, mandandomi un bacio con le dita, mi salutò cinguettando:
‘Ciao, avvocato, a domani’.
E’ durata due mesi la ‘preparazione’ al concorso, ed è superfluo riportarvi la cronaca di quelle cinque-sei settimane. Mi basti dirvi che sono stato tanto subornato da quella puttanella che ho fatto carte false per addomesticare i membri della commissione che conoscevo e predisporle un concorso ‘scorrevole’.
In compenso, ho passato settimane di autentico impazzimento per lei. Non potevo mai immaginare che il rapporto maestro-allieva potesse rovesciarsi così radicalmente e che, alla mia bella età, dovessi andare a lezione di sesso da una avvenente ragazza poco più che ventenne. Una maga Circe in erba, capace di distillare sapientemente i gradi e i modi del piacere rendendomi completamente succube alle sue iniziative ed ai suoi capricci.
A concorso ultimato, è venuta nuovamente allo studio per ringraziarmi di tutto, per ‘sdebitarsi’, come aveva promesso. Quel pomeriggio ha superato se stessa. Appena arrivata, ha chiuso a chiave la porta dello studio e mi ha subito detto:
‘Oggi l’avvocato non riceve visite!’
Poi ha improvvisato una specie di spogliarello restando nuda con le sole calze autoreggenti e i tacchi a spillo. Poi si è girata di spalle, si è chinata a 90 gradi e ha messo in bella mostra il buchetto nero al centro delle sue chiappe. Un invito più eloquente di ogni parola, al quale ho aderito come un automa.
Il buco era stretto, il mio cazzo faceva fatica ad entrare, avevo paura di farle male. Ma lei faceva ondeggiare il bacino per favorire il mio movimento e mi incitava:
‘Continua, dai’. lo voglio in culo ‘.. dai, non ti preoccupare ‘. rompimelo ‘. sìììì ‘. inculami a dovere ‘.’
Gliel’ho rotto davvero. Ho avvertito netto lo strappo della tenera carne del suo sfintere. Lei ha sopportato il dolore solo con qualche gemito, come una consumata puttana, e non ha smesso di incitarmi:
‘Sì, dai, sìììì ‘.. lo voglio dentro tutto ‘.. dai, sìììì ‘.. e riempimi il culo della tua sborraaaa!’
E’ stato un momento di straordinaria intensità erotica ed emotiva, perché con la mia spada immersa in quello stretto cunicolo mi è parso rivivere lo stesso brivido di quel lontano giorno che avevo impalato suo padre, il mio amico Nico.
Subito dopo mi sono accasciato sulla poltrona, come folgorato da quell’antico ricordo. Un flash-back che mi ha stravolto la mente e riaperto una ferita segreta, riportando a galla un po’ di nostalgia e di complessi di colpa. In quel momento mi sono sentito un verme: mi ero inculato la figlia del mio amico del cuore. Una sensazione degradante che si è fatta ancora più acuta quando lei, uscendo ancheggiando dallo studio, mi ha salutato con la sua spiccata impudenza:
‘Avvocato, è stato bello frequentare questo studio ‘.. ti ringrazio di tutto ‘.. di tutto ‘.. anche del bel cazzo che mi hai dato ‘. credo ci rivedremo presto ‘.. li conosco i vecchi porci come te ‘. e come mio padre!….’

(continua)

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Attendo giudizi e suggerimenti
roki_rae@hotmail.it Le ultime parole lanciate in aria da Roberta, prima di volare via, mi avevano lasciato a bocca aperta, confuso. Avevo sentito bene? Aveva detto ‘vecchi porci’, e poi aveva aggiunto ‘come mio padre”.. Poche parole taglienti come una lama, che mi avevano aperto una voragine nella testa. Era come avessi ricevuto all’improvviso un gran colpo al capo e faticassi e riprendermi ed a ragionare. All’improvviso il fantasma del mio amico Nico si rimaterializzava, ed in una forma assolutamente inaudita.
Nella sua fulminea irruzione nella mia vita la bella Roberta aveva prodotto uno shock e riaperto una ferita, ma soprattutto mi aveva di colpo riavvicinato al padre, accomunandoci nel suo giudizio tranchant: ‘vecchi porci!’
‘Vecchio porco!’: a cosa aveva voluto alludere Roberta parlando in questo modo del padre? Via via che cercavo di far mente locale su quelle parole, mi accorgevo che di Nico non sapevo nulla. Non fosse venuta a cercarmi per via dell’esame da avvocato, non avrei mai saputo nulla di sua figlia.
Ma mi resi conto che nulla sapevo della sua famiglia, delle sue amicizie, delle sue abitudini. Com’era stato possibile che una grande amicizia dell’adolescenza, sia pure drasticamente interrotta, aveva potuto via via sbiadirsi fino a diventare tanto impalpabile? Come quella tenera intimità si era potuta tramutare in assoluta estraneità?
Restai molti minuti a riordinare le idee, ma ciò che più mulinava nella mia ente era quell’allusione a Nico ‘vecchio porco’. L’immagine mi riusciva incredibile, non mi figuravo Nico in quelle vesti. Mi chiesi cosa potessi fare per saperne di più.
Cominciai a passare in rassegna le persone che, in un modo o nell’altro, potevano fornirmi qualche dato aggiornato, i colleghi di lavoro. Mi ricordai che all’Agenzia delle Entrate, dove Nico fungeva da vice-direttore, conoscevo una signora mia cliente, Eleonora. In passato avevamo avuto anche un rapporto un po’ più diretto, di amicizia interessata; non avevamo combinato nulla, ma ci avevamo pensato entrambi, ed entrambi ci eravamo pentiti di non essere più ardimentosi.
Eleonora era forse la persona giusta per le informazioni che cercavo. Certo, avrei dovuto concedere qualcosa alla piaggeria. Quando la chiamai al telefono espresse la sua sorpresa con una frase squillante:
‘Oh avvocato! ‘.. non so se devo rallegrarmi o preoccuparmi ‘. Mi chiedo cosa sia accaduto di straordinario per riascoltare dopo tanto tempo una voce che quasi non riconoscevo più!…’
‘Sai, era da tanto che avevo pensato di chiamarti ‘. è sempre bello risentire e rivedere una bella donna come te! ‘. Ma, poi, tanti contrattempi e ‘.. mi devi scusare ‘.. ma vorrai invitarti a prendere un caffè, o un gelato, dove dici tu ‘..’
I convenevoli naturalmente durarono qualche minuto, alla fine convenimmo di vederci l’indomani a fine giornata, per un aperitivo, in un bar elegante ma riservato. All’appuntamento Eleonora venne come ad un incontro galante. Sicuramente era uscita un po’ prima dall’ufficio ed era passata dal suo coiffeur per una ritoccatina ai capelli. Non la vedevo da diversi anni, debbo dire che mi fece una bella impressione. Nonostante gli anni, più vicini ai 60 che ai 50, e nonostante l’inevitabile dilatazione della figura, restava una bella gnocca, con le cose al posto giusto. Mentre si avvicinava al tavolino dove l’attendevo non potei fare a meno di considerare il suo incedere sicuro ed armonioso, i fianchi possenti, il busto prorompente, soprattutto lo sguardo ammaliante. Mi morsi istintivamente un labbro rimproverandomi in quel momento, ancora una volta, di non aver insistito quel poco che era necessario per portarmela a letto.
La conversazione scorse per un po’ sui ricordi, con molti sottintesi nostalgici e con qualche evidente allusione a non sprecare la nuova inattesa occasione. In quel contesto dovetti faticare non poco ad entrare nell’argomento Nico. Dissi, senza entrare nei particolari, che avevo ricevuto alcune confidenze delicate dalla figlia e che avevo bisogno di mettere insieme un po’ di informazioni sul mio vecchio compagno di scuola.
Eleonora si mostrò un po’ delusa. Chiaramente sperava di essere lei l’oggetto di quell’incontro. Me ne resi conto subito e rimediai velocemente, accarezzandole rispettosamente i capelli:
‘Avevo bisogno di qualche informazione riservata, e mi sono ricordato che potevo unire l’utile al dilettevole chiedendole ad una persona cara ‘. Ma è chiaro che l’utile è una buona scusa per il diletto di averti qui con me ‘.’
Come cicisbeo non sono stato mai un granchè, ma stavolta sono stato convincente. Eleonora si è illuminata, ha avvicinato di più la sua sedia fino a quando le nostre ginocchia non si sono incontrate. Poi, con aria di complicità, ha cominciato a dirmi tutto quello che sapeva del suo dirigente.
E così, nel giro di una mezz’oretta, con i cento pettegolezzi d’ufficio che Eleonora mi ha sciorinato, ho aggiornato le mie conoscenze sulla vita di Nico. Nulla di sconvolgente, ma tanti piccoli indizi su un fondo oscuro della sua privacy, e più di una indiscrezione su certi comportamenti un po’ sospetti. In ufficio più di un collega sottolineava la netta contraddizione tra i suoi modi bruschi e intrattabili nei riguardi dei dipendenti e le smancerie che usava verso qualche bella contribuente; e qualcuno aggiungeva qualche allusione più velenosa sulla sua predilezione per le ragazzine.
Mi rimbombò nella mente il ‘vecchio porco’ di Roberta e chiesi ad Eleonora di essere possibilmente più precisa. Mi rispose che non ne aveva nozione diretta, ma che una volta un collega molto incazzato con lui aveva rivelato a lei ed alle sue amiche che Nico frequentava un club molto esclusivo di professionisti e imprenditori, al quale accedevano le più insospettabili ragazze di buona famiglia della città. Il Circolo delle Stelle, che, sotto la copertura di un’associazione di cultori dell’astronomia (o astrologia), si diceva organizzasse festini a luci rosse. Ne avevo sentito parlare anch’io, e conoscevo più di una persona del mondo forense che lo frequentava. Ma non immaginavo minimamente di trovare Nico in un posto sospettato di essere ritrovo di pedofili (o quasi).
Dopo aver dato fondo a tutte le riserve del suo archivio di pettegolezzi, Eleonora sospirò e spostò l’argomento:
‘Vostro onore, è tutto quello che so!….. Ma ora basta con questo tuo vecchio amico! ‘. un rompiballe antipatico! ” e pure vizioso! ” Non mi farai passare la serata a parlare di lui!’
‘No, no, non sia mai ‘.. e quando mi ricapita l’occasione di una conversazione così intima con una delle più belle signore della città?’
Esageravo. Eleonora alzò le sopracciglia e fece un sorriso ironico per sottolineare che non c’era bisogno di prenderla in giro tanto palesemente:
‘Non ambisco a questo titolo ‘.. mi accontenterei di essere considerata una donna passabile ‘.. alla nostra età non si può chiedere troppo ‘.. quanto all’occasione, se la si vuol fare ricapitare basta volerlo’..’
Una bella sferzata. Non potevo evitare di risponderle in maniera più impegnativa:
‘Beh, se basta volerlo, ti invito già da questa sera a passare una giornata insieme, come ai vecchi tempi ‘. scegli tu il giorno ed il posto ‘..’
Eleonora mi sorrise radiosa e soddisfatta:
‘Affare fatto! ‘. Ti telefono uno di questi giorni ‘.. dammi modo di sistemare ‘. la famiglia”’
La mossa che fece con gli occhi, con evidente riferimento al marito, era più eloquente di ogni discorso. Ci alzammo dal tavolino, uscimmo dal locale, l’accompagnai alla macchina e, prima di chiuderle la portiera, mi chinai per darle un bacio sulla guancia.
Da Eleonora avevo saputo abbastanza, le illazioni sulla frequentazione del club dei ‘vecchi porci’ non mi convincevano del tutto, ma utili trovai soprattutto le indicazioni sulle abitudini maniacalmente ripetitive di Nico. Dal giorno successivo mi ripromisi, difatti, di provare a seguirlo a distanza, come un detective privato, soprattutto a sera, quando usciva dal suo ufficio. I suoi percorsi erano sempre i soliti: si fermava per qualche minuto in un bar, passava magari a prendere qualcosa in un minimarket, poi tornava a casa per cena.
Attesi il fine settimana, il pomeriggio di venerdì, per vedere se qualcosa cambiava nei suoi comportamenti. L’ufficio chiudeva alle 14, il pomeriggio teoricamente doveva restare chiuso; ma la macchina di Nico era parcheggiata proprio davanti al portone, segno che lui c’era. Mi sistemai sulla veranda di un cafè restaurant nelle vicinanze e restai in attesa. Quando cominciò a fare buio, intorno alle 18.30, notai qualche movimento furtivo proprio vicino al portone. Appuntai lo sguardo e vidi che l’uscio non era chiuso a chiave, tanto che, con un guizzo felino, in un lampo una ragazza vi si infilò dentro.
Era il momento che attendevo per aprire uno squarcio sulla vita segreta di Nico e, camminando con nonchalance, mi avvicinai anche io all’ingresso e, con fare disinvolto, entrai nell’edificio, muovendomi in una di piedi lungo i corridoi. Non si sentiva una mosca volare, salii al secondo, poi al terzo piano; qui, in fondo al corridoio una luce filtrava sotto la porta di una stanza. Mi avvicinai rapidamente attento a non fare il minimo rumore e, via via che mi facevo più vicino alla porta, cominciai a percepire sospiri e gemiti.
Quello che stavo facendo era del tutto irrazionale ed anche rischioso, ma ormai ero preso dalla voglia di rimpossessarmi della figura del mio vecchio amico d’infanzia. Era evidente che lì dentro facevano l’amore. La porta era chiusa, il sonoro era piuttosto eloquente, volevo anche le immagini. Mi piegai per sbirciare dal buco della serratura e, per fortuna, qualcosa si vedeva, perché la ragazza era distesa sopra la scrivania a gambe aperte e l’uomo (Nico), di spalle alla porta, era prono in mezzo a quelle gambe e presumibilmente le leccava la fighetta.
La ragazza delirava di piacere:
‘Oh sìììì ” belloooooo ‘.. sì, daiiiii ” sei un diooooo ‘.. mmmmm ‘.. mi fai sbrodolare tuttaaaa’..’
L’uomo grugniva ma continuava a leccare e succhiare; ogni tanto allungava le mani per tormentare i capezzoli del seno di lei, ma non sollevava la testa dal ‘fiero pasto’.
Dunque, le voci sulle frequentazioni adolescenziali di Nico erano fondate. Faceva specie pensare che un uomo, ormai ben oltre i 50, sbavasse per una ragazzina che poteva averne non più di 20; eppure mi accorsi che mi stavo identificando con lui, come nello sforzo di comprendere e giustificare le sue scelte, e, anzi, mi stavo arrapando maledettamente.
Dopo qualche minuto, un grido acuto della ragazza mi segnalò che era arrivata all’apice dell’orgasmo ed aveva riempito la bocca di Nico dei suoi umori:
‘Aaaaahhhhh”’ dioooooo ” mmmmmmm ”. Che belloooooo!!!!…..’
Nico si risollevò e si fece ricadere all’indietro su una sedia, accasciandosi per rifiatare. La ragazza, che non riuscivo ad identificare bene, si destò, scese dalla scrivania, si inginocchiò tra le gambe di Nico, gli aprì i pantaloni e, senza aggiungere altro, fece scomparire nella sua bocca il cazzo ingrifato del mio amico.
Doveva essere un pompino magistrale, perché Nico, con gli occhi chiusi, godeva visibilmente premendo dolcemente le sue mani sulla testa della ragazza:
‘Sììì’.. sei un angelo, Silvia ” così mi porti in paradiso!….. oooohhhhh ‘..’
Avevo sentito bene? Silvia? Un brivido mi attraversò la schiena. Silvia si chiama anche mia figlia, che ha proprio 20 anni e frequenta l’università. Ma tutto mi sarei aspettato dalla vita che di vederla lì a succhiare l’uccello ad un coetaneo del padre. In quel momento la mia testa ha rischiato di esplodere: un turbinio di immagini e di sensazioni ha paralizzato per qualche minuto la mia capacità di ragionare. Chissà se quella bella giovane pompinara era davvero mia figlia? Un po’ la cosa mi appariva surreale, un po’ cominciava ad intrigarmi. Mi accorgevo che si faceva spazio in me un sottile piacere a considerare quell’incredibile intreccio prodotto dal destino: io, Roberta, Nico, Silvia.
Ho ripreso a guardare dallo spioncino, il pompino stava giungendo al suo compimento. Anche la mia eccitazione aveva ripreso vigore, tanto che, sia pure nella posizione un po’ scomoda nella quale mi ero messo per spiare, avevo avuto la necessità di tirar fuori il mio cazzo prima che mi inondasse le mutande. Silvia (mia figlia?) ha accelerato il suo lavoro di bocca e di lingua, Nico ha serrato un po’ le sue gambe intorno al collo della ragazza, poi un grugnito profondissimo ha accompagnato le parole della goduria:
‘Sììììììììììììììììììììììììììììììììì ”.. aaaaahhhhhhhhhh ”’. Dio ti benedica, amore mio!……..’
Ne fui travolto anch’io che, guardando e rimuginando, alla fine mi ero identificato e sincronizzato con loro sino a condividere il momento del piacere. Sborrai copiosamente in un fazzoletto e mi accorsi che la cosa mi aveva emozionato.
Mi pulii alla meglio, mi rimisi in piedi e, alla chetichella com’ero arrivato, ripercorsi corridoi e scale ed uscii dall’edificio guardandomi intorno come un ladro. Rientrai in macchina e, con il cuore in subbuglio, mi misi ad aspettare che i due uscissero, sperando di individuare meglio le sembianze della Silvia.

(continua)

Per giudizi e suggerimenti
roki_rae@hotmail.it

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