Amor ch’a nullo amato amar perdona
‘Lui mi desidera’, le confidò quasi in un sussurro.
‘Cosa?’, sobbalzò esterrefatta alla confessione dell’amica. Marta era l’unica amica di Giovanna. Erano quasi siamesi, se non fosse stato che, per forza maggiore, ognuna di loro doveva trascorrere, anche se solo per dormire, un po’ di tempo a casa propria. Si conoscevano da quando avevano cominciato a muovere i primi passi. La mamma di Giovanna e quella di Marta erano anch’esse amiche intime, pur se non erano cresciute insieme. Abitavano nello stesso complesso di villette. Era lì che avevano fatto amicizia, anche se la mamma di Marta era di alcuni anni più giovane di quella di Giovanna. Eppure, erano rimaste incinte nello stesso tempo e, nello stesso mese e giorno, avevano partorito nella medesima clinica. La gravidanza simultanea le aveva legate di più. Poi, nacquero le due bambine, ma la mamma di Giovanna non sopravvisse al parto. Quella di Marta si sentì quasi una madre per Giovanna. Era solo che Giacomo, il padre di Giovanna, era un tipo introverso, taciturno, un ‘bel tenebroso’ e, forse, la mamma di Marta ne era attratta. Avrebbe voluto tanto essergli più vicina, ma Giacomo respinse ogni tipo di appoggio. Era risaputo che fosse perdutamente innamorato della moglie, e, altrettanto, che fosse poco socievole, anche se era di una sensibilità estrema, come la sua passionalità. La mamma di Giovanna confidava all’amica con una punta di orgoglio quanto fosse focoso il marito da farla sentire male al cuore spesse volte quando facevano l’amore e lo facevano ogni giorno. A volte sembrava una febbre per tutte e due e non si stancavano dal farlo fino allo sfinimento. Sì, la mamma di Marta la invidiava. Non che il marito non l’amasse, ma, certamente, non con quell’intensità, con quell’esasperazione della mente e dei sensi. Lui faceva l’ingegnere elettronico e la mamma di Marta si chiedeva come facesse a conciliare gli algoritmi e le equazioni algebriche con la spossatezza mentale che quella sfrenata febbre d’amore sicuramente gli arrecava. Eppure, quel viso scarno, le occhiaie, la barba poco rasata lo rendevano più seducente.
Erano trascorsi sedici anni dalla morte della mamma di Giovanna e Giacomo non si era più risposato, né si era mai visto con qualche donna, né in giro, né in casa. Viveva solo per sua figlia e per il suo lavoro. Tuttavia, se non aveva permesso a chicchessia di interferire nella propria vita intima, aveva lasciato libera la figlia di farsi le sue amicizie e, soprattutto, quella con Marta. E così le due ragazze erano potute crescere come sorelle. Contrariamente a sua madre, però, Marta, stando vicina all’amica, poteva dire di conoscere molto bene Giacomo. Anzi, se avesse dovuto confessarlo a se stessa, ne era proprio innamorata: avrebbe voluto che anche suo padre avesse quell’amore così completo, senza essere ossessivo, per lei. Sicurezza, protezione, attenzione, coccole, adorazione. Sì, adorazione, perché quell’uomo aveva fatto di sua figlia la sua regina, senza che questo avesse comportato l’averla viziata. Anzi, Giovanna si sentiva così responsabilizzata, forse a dispetto di suo padre, che si comportava come una perfetta padrona di casa. Suo padre era l’alfa e l’omega della sua vita.
‘Perché ti meravigli?’, replicò quasi stizzita Giovanna. ‘Chi dovrebbe desiderare se non me? Non sono solo sua figlia, ma una donna e sono cosciente di essere bella’.
‘Giovanna, ti rendi conto di cosa stai dicendo? Stai parlando di tuo padre, non di un attore del cinema. Tuo padre, capisci. Può desiderare qualsiasi donna, anche me, certo, anche me, che sono tanto giovane, ma non te. Te non può, non deve. Ti ha fatto proposte, ti ha mancato di rispetto? Tu devi dirmelo, io devo sapere’.
‘Sei impazzita, allora, tu, Marta. Stai parlando di mio padre, l’uomo più leale e sensibile del mondo. Come se non lo conoscessi. Non ti azzardare non solo a dirlo, ma nemmeno a pensarlo, mai, mai più. Non ti parlerei mai più. Tu sei una parte di me, Marta, ma la trancerei con un coltello, se dovesse appena dare ombra a mio padre’.
‘Allora, perché mi hai allarmato con quel ‘mi desidera’? Capisco bene le parole, come capisco pure le inflessioni che tu dai ad esse, quando parli. Non ti riferivi a un desiderio paterno, ma sessuale. Non barare con me. Se tu me lo hai detto, significa che covavi questo tormento da tanto nel cuore. Diversamente non te lo saresti lasciato sfuggire. Se è un fardello così insopportabile, è perché lui ha fatto qualcosa che ti ha così profondamente sconvolta’.
‘No, no, non hai capito nulla. Ma che fardello, quale peso del cavolo. E’ una cosa che mi sto dicendo da tempo, che rimugino dentro di me e che mi è sfuggita dalle labbra inconsciamente. Tu mi stavi parlando di Marco, che sei sicura che ti desideri. A te, dicevi, non interessa, ma, dallo sguardo che ti indirizza, hai capito quando grande sia il suo desiderio’.
‘Dal suo sguardo!’, ironizzò Marta. ‘Anche da qualche altra cosa bella dura. Quando trova l’occasione me lo pigia sul sedere. Ma, se hai associato la tua convinzione al mio discorso, ho più che ragione. Hai avvertito pure tu il ‘pacco’ di tuo padre da qualche parte? Non capisco, poi, perché un uomo così figo non si sia cercato un’altra donna. Gli basterebbe fare un fischio per averne a decine. Sono sincera, Giovanna: non sarei soltanto lusingata, se mostrasse un’attenzione particolare per me. Oh, ha quarantatrè anni, ma pare averne dieci di meno. Insomma, età o non età, cavolo: è un bell’uomo, se lui volesse’ Se tu sei bella, non mi dire che non sono gran che. Non gli hai mai chiesto se mi trova bella? Glielo devo chiedere io. Ehi, guarda che sto scherzando. Smettila col muso. Ti volevo solo far sorridere. Sono seria, davvero. Cosa è successo? Abbiamo discusso tantissime volte della clausura di tuo padre. O meglio: lo prendo io questo discorso, perché tu ogni volta ti incazzi. Ci vuole poco a capire che un uomo come tuo padre non può stare senza una donna, vivere sempre nel ricordo di tua madre. Tu e il lavoro non potete bastargli. Finirà con l’ammalarsi di più. Altro che con la dispepsia. E allora? Mi chiarisci l’espressione di prima? Cosa desidera di te, che gli stai sempre appiccicata?’.
‘So che non scherzi, invece, quando parli di mio padre. So che ne sei innamorata e che te lo faresti. Scordatelo. Ma, tornando a te: il mio lo devi intendere come un auspicio. Non mi tratta come tuo padre te, ma da donna. Vedi: io lo ascolto, lo consiglio come avrebbe fatto mia madre. Lui non farebbe mai una cosa senza il mio consenso. Ecco, sì: mi tratta da donna e mi desidera per questo. Un’altra donna? Che dici? Non ci sarà mai un’altra donna nella nostra vita. Basto io a mio padre’.
‘Giovanna, immagini tuo padre a puttane o, di più, lo immagini mentre pensa a tua madre e si masturba? Non è meglio saperlo con una donna che lo ami? Non ci pensi, perché non ci vuoi pensare. Tuo padre non è un monaco che ha giurato a Dio castità a vita. Vorresti che, invece che ad una donna, si interessasse a un uomo?’.
‘Smettila di dire idiozie. E’ che lui ha in mente solo mia madre. Perché vi sembra così strano che un uomo abbia potuto amare solo una volta in maniera totalizzante una donna? Non lo trovi invece straordinario? Questo è l’amore, quello vero?’.
‘Penso che non ci sia donna che non voglia essere adorata da un uomo come una dea. Solo che tua madre non c’è più da sedici anni. E non credo che, quando vede una donna, una bella donna, intelligente, sensibile e sensuale, sexy, il suo testosterone non reagisca. Anche quando sono con te, visto che non sono sempre vestita da monaca, gli sarà sicuramente capitato di vedere le mie cosce, lo scollo del mio seno. Non credi che qualcosa gli faccia emergere ciò per cui madre natura l’ha dotato? No, non è quello che mi hai spiegato. Tu hai voluto dire proprio una cosa. Solo che mi pare abbia attribuito a tuo padre ciò che tu vuoi che faccia: che ti desideri come donna. Eh, taci? Ho indovinato? Paura per una donna che prenda il tuo posto o sei innamorata di tuo padre? No, non è possibile. Tutte le figlie si innamorano del padre, ma fino a sei, dieci anni, poi si interessano ai ragazzi: sublimano, come si dice, il loro Edipo. Non si dice così, mi pare?’.
‘Interessarsi dei ragazzi! Bambocci insipidi con un encefalogramma piatto e che si atteggiano ad amanti patiti. Vedono film porno e vogliono imitarli! Che te ne fai di uomini simili. Disgusto, solo disgusto’,
‘Hai ragione: il solo pensiero di andare a letto con mio padre mi fa venire il voltastomaco. Ti sei costruita un film, calata troppo nella parte della moglie, per ricordarti che sei solo la figlia. No, non puoi davvero pensare’ Oh, Giovanna, tuo padre che stringe i tuoi seni, li bacia, che ti scopa’ E’ orrendo, non può che farti orrore!’,
‘Che cosa, che ne sai di quel che penso, se non lo so nemmeno io. E che? Non capisco che gli mancherà da morire una donna? Lo capisco, ci penso e ne soffro. So, altrettanto, però, che impazzirei, se un’altra prendesse il posto di mia madre’.
‘Giovanna, è diventata un’ossessione la tua. Come fai a sostenere che un’eventuale donna nella vita di tuo padre possa prendere il posto di tua madre, morta sedici anni fa? Competere con una donna che non esiste? Giovanna, tua madre è morta. So che ti inferisco coltellate nel cuore, ma devi accettare una volta per tutte che tua madre è morta e che tu non sei tua madre e non la puoi sostituire. Anzi, ti dico di più. Dovresti aiutare tuo padre ad uscire dal suo eremitaggio e cercarsi una compagna. Tu adori tuo padre: come fai allora a vederlo soffrire senza una donna? Tu ti fidanzerai, ti sposerai, avrai dei figli e lui? Di lui cosa avverrà, quando non ti avrà più vicino ventiquattro ore al giorno? Smettila di giocare col fuoco. Non credo che coscientemente tu possa pensare di diventare l’amante di tuo padre, ammesso che lui possa accettare di farne la parte. Non pensi, se dovessi portare a compimento il tuo disegno, che lo uccideresti? Come potrebbe un uomo, che ti crede sacra più della statua della Madonna che c’è su un altare in chiesa, fare l’amore con te, ammesso che veramente tu voglia farlo? Giovanna, sorella mia, se questo disegno ti arroventa il cervello, farò l’impossibile perché tu non lo porti a compimento!’.
Giovanna era rimasta impassibile sotto il profluvio di parole dell’amica. Forse non l’aveva del tutto ascoltata. Lungi dal provare orrore, la scena evocata dall’amica, che lei non aveva ancora avuto il coraggio di raffigurarsi, l’aveva affascinata, eccitata. Si era vista in un attimo nuda e sensuale tra le braccia di suo padre.
‘Che discorsi assurdi, stiamo facendo! Lasciami perdere, Marta. Non credo che scherzassi, quando hai detto che ti piacerebbe andare a letto con mio padre. Farei l’impossibile perché non portassi a compimento questo disegno!’.
‘Toccata! Però, io non sono sua figlia’.
Le due ragazze sostarono davanti alla biforcazione dell’ingresso alle loro ville ancora qualche istante, poi si baciarono e aprirono i rispettivi cancelli.
Giovanna non se la sentì, rimessi borsa e libri a posto, di raggiungere la cucina e preparare il pranzo. Tanto doveva solo riscaldare. Aveva bisogno di stare una mezzora con se stessa sul suo letto. Ed eccola, di lì a poco, distesa su di esso. Ripensava a quella espressione che aveva detto all’amica. Per la verità, l’aveva espressa a se stessa. Era che non aveva mai nascosto nulla a Marta. Ma, ora le cose non sarebbero state più così. Doveva avere un’attenzione totale nel celare i suoi sentimenti. ‘Desiderata’. Si era sentita desiderata come donna da suo padre. Era stata la sera scorsa, dopo cena. Lei aveva dei test da fare su Dante, suo padre le si era accostato dietro chinandosi sulla sua spalla e si era messo a leggere con lei le domande ‘ una ventina ‘ ora discutendo, ora celiando, ora commentando. Lei gli aveva preso la mano sinistra con la sua destra e se l’era tirata giù verso il seno, istintivamente, ma con irruenza. Non volendolo, almeno coscientemente, aveva catapultato le dita di lui nel suo scollo sotto il largo girocollo della maglietta fino a fargli lambire con la punta delle dita l’areola del suo seno destro. Per più di un attimo sentì la mano di lui irrigidirsi, poi, vedendo che lei non lo lasciava, e non volendo darle a vedere che era emozionato da quel contatto per non turbarla, lasciò le dita a baciare la morbida pelle di quella turgida collina adolescenziale, ma la voce gli tremava mentre parlava. E lei, lei seppe solo che la sensazione di piacere sulla sua pelle di seta la inondò per intera e il suo più forte desiderio era che lui compulsasse il suo seno, lo stringesse nella sua mano. Quel che poté fare fu, però, solo di pigiare ancora di più la mano di lui sul suo seno, ma lui, con noncuranza, a poco a poco vi si sottrasse, dopo averle sfiorato la curva del collo con un bacio. ‘Oh, papà’, disse lei, alzandosi di colpo, le guance infuocate, ‘stringimi, stringimi forte. Non puoi immaginare quanto ti voglio bene’. E gli si allacciò stretta al suo collo. Aveva avuto ragione, Marta. Lei aveva avvertito immediatamente il turgore del sesso paterno contro il suo grembo e, per alcuni secondi, lo raccolse, accesa, col suo: aveva lo scompiglio nel cuore. Finalmente! Suo padre l’aveva sentita come donna! Doveva insinuarsi in questo suo involontario desiderio e diventare l’amante, sì, l’amante di suo padre. Un’altra donna. Che idiozia! Suo padre non aveva bisogno di un’altra donna, perché aveva già lei. Forse, pure Giacomo, poi, si era accorto della propria involontaria eccitazione e, nonostante lei lo trattenesse, si era staccato con decisione. Però, di sottecchi lo spiò tutta la serata per vedere come la guardasse, mentre si mostrava più denudata e provocante di quanto non avesse mai fatto prima. O, forse, prima lo aveva fatto, solo che non consapevolmente, senza malizia. E, quando prima di coricarsi per la notte, lei si era accomodata sulla sponda del letto di suo padre in reggiseno e mutandine, e l’aveva obnubilato con una sfilza di problematiche esistenziali, si era portato la mano di lui sulla sua coscia, a ridosso della piega dell’inguine fino a fargli percepire il crepitio del suo vello più che puberale. Ancora una volta sentì, con struggente piacere, il tremore, pur se impercettibile, della mano di suo padre. Lei, nel fervore della discussione, aveva tentato di trascinarla sopra il suo sesso, ma lui si sottrasse di scatto e la congedò con un bacio sulla punta del naso. L’aveva turbato. Di questo era certa. Non voleva, però, ferirlo o, addirittura, allontanarlo dai suoi abbracci. Come fare, come essere sicuri che una più scoperta seduzione non rompesse tutto e lei lo avrebbe perduto per sempre? Sedurre un uomo con la bellezza e la forza sensuale delle sue forme era una cosa da nulla, ma provocare Giacomo era un’altra cosa. Doveva ragionare e aspettare. Non essere precipitosa. Doveva farlo accendere di lei in modo che accadesse naturalmente che si ritrovassero l’una tra le braccia dell’altro a fare l’amore. Lanciò un sospiro profondo e si alzò per preparare il pranzo.
Non erano ancora scoccate le 15,30 che Marta suonò alla porta.
‘Allora, come sta la mia sorellina?’.
‘Insofferente. Ho una smania addosso che manderei tutto a pezzi’.
‘E tuo padre? E’ dentro? Sicuramente mamma ci avrà fatto caso: so che lo spia da dietro le tendine. Sono convinta che un peccatuccio lo farebbe con tuo padre. Nell’intimità le parole non servono. E se mi mettessi a fare la corte a tuo padre? Forse riuscirei a farlo capitolare. Sono giovane e ho una carrozzeria da Lamborghini. Sono sicura che, se mi mettessi di buona lena, ce la farei a farlo capitolare. Però, tu mi dovresti lasciare un po’ di spazio. Per conquistarlo debbo stare un po’ da sola con lui. Che dici? Quando abbiamo i compiti di matematica o di fisica? Trova una scusa qualsiasi, anche scema, basta che ti tolga di mezzo. Sono curiosa se anche con me sarà di poche parole e se non gli farò effetto sul suo aggeggio’.
‘Ma va. Mi vuoi per forza fare incazzare. E poi, ammesso che papà fosse disposto ad una storia, lo farebbe per una cosa seria, non per avventura. Quindi, non avresti chance alcuna. Stupida! Non so fino a che punto ci marci: se dicessi sul serio, papà non si metterebbe mai con l’unica amica che ho’.
‘Certo: secondo te, potrebbe cedere con sua figlia, ma non con la sua amica. E, poi, chi ti dice che vorrei solo un’avventura. Non sono certo i ragazzi con cui ho avuto qualche bacio e qualche palpatina che mi puoi chiamare storie. Non sono solo loro che vogliono esplorare. Avessi avuto un fratello avrei potuto sperimentare in famiglia. Non mi sarebbe mai venuto in mente di constatare la virilità di mio padre. Giovanna, non riesco a togliermi dalla testa che ci vuoi provare con tuo padre. Lo sai che con me non puoi barare. Sono il tuo doppio. E quello che ci frulla in testa lo intuiamo subito. Ci differenziamo solo per gli amoretti. Tu intoccabile, io invece no, però, sai in che senso: solo palpeggiamenti contraccambiati. E, di sotto, solo sempre le mutandine. E niente pompini. L’ultimo, Nico, ha tentato l’impossibile perché me lo mettessi in bocca: l’ho mandato a fan culo. Alla fine sono come te: credo nell’amore assoluto e nel principe azzurro. E non posso non ammettere che tuo padre sarebbe il più bel principe azzurro del mondo. Altro che George Clooney. I suoi venticinque anni di differenza non mi spaventerebbero: mi piacciono i capelli bianchi, che ancora non ha. Davvero, non scherzo santarellina. Mi sentisse mia madre, ma pure mio padre, chiamerebbero quelli della neuro. Ma un grande amore vale qualsiasi rinuncia. Tuo padre mi amerebbe per tutto il resto della sua vita e in maniera assoluta: ti sembra niente? Sì, ne varrebbe la pena’.
‘Vuoi per forza provocarmi, vero? Inoltre, tu non commetteresti un incesto? Sei stata quasi quanto me vicino a mio padre, tanto che ti considera una figlia’.
‘Ma non sono sua figlia. E il conoscermi così bene per il mio carattere e affettivamente mi metterebbe in grado più di qualsiasi donna a conquistarlo. Oh sì, sono una ragazza di sedici anni, ma cosa potrei invidiare a una ventenne? Allora dici che non farei girare la testa a un uomo? Sono certa che gli sguardi nei miei confronti, che sembrano di ammirazione, di tuo padre siano invece carichi di desiderio. Mi desidera, ne sono convinta. Ehi, sorellina, guarda che scherzo, o, meglio, mi piacerebbe che fosse come dico, ma, mi sa che stiamo dicendo una sfilza di cazzate. Ci sentisse tuo padre, ci prenderebbe per pervertite. Immaginare lui, così perfetto che si mette a traviare una ragazzina. Perché, sorellina, per lui, quelle della nostra età sono ragazzine, non donne. E’ meglio metterci a studiare Platone, ché il tempo vola’.
‘Lo pensi davvero? Pensi veramente che mio padre ci consideri delle bambine, non delle donne? Ma se tu dici che ti guarda le gambe, il seno! Come fa a non accorgersi che non abbiamo nulla di meno di ragazze più grandi. Tu pensi che il nostro seno si debba sistemare meglio? Io non lo vorrei più grande di così. Com’è per ora è perfetto. E poi, magari quando ci si fa più grandi, si affloscia un po’, si fa meno sodo. Il mio è statuario, marmoreo. Magari il tuo che è più piccolo potrà crescere, non il mio’.
‘Non è più piccolo del tuo. E, da quel che dice mamma, non crescerà più di tanto. Si plasma meglio, si armonizza di più. Boh, che ne so: sta di fatto che siamo delle adolescenti e se un uomo ci provasse con noi, anche se consenzienti, va a finire in carcere. Certo io non lo sbandiererei ai quattro venti. Ma, un adulto, se vuole mettersi con una sedicenne, deve mettere nel conto un grosso rischio’.
‘Sbagli, Marta. Se è più piccola di sedici anni, non da sedici in su. Possono sporgere denuncia solo i genitori della ragazza oppure lei, se, per caso, pur consenziente, cambia idea per qualche motivo e gliela vuole far pagare. Allora, diventa corruzione di minore’.
‘Cazzo, se sei preparata in materia! Ecco perché il pensierino, o forse più, ce lo hai fatto, perché per la legge sei a posto, anche se qualcuno venisse a saperlo. Dimentichi una cosa. Il tuo è un incesto: tuo padre sarebbe trattato come un lebbroso. Se si mette con me ‘ e i miei non vengono a saperlo, – invece sarebbe solo felicità per entrambi. Capito la lezione, sorellina. Per te Giacomo è tabù’.
‘E va bene. Forse ci avevo fatto un pensiero sopra, più che forse. Ma, ti puoi scordare di portatelo a letto: non te lo permetterò mai’.
‘Non lo tenterò, se veramente metterai da parte l’idea di prendere il posto di tua madre’.
‘Ma chi ti ha mai detto che voglio andare a letto con mio padre? Ho solo detto che mi deve considerare più donna, tanto da non fargli desiderare la fisicità di un’altra. Voglio dire se mi vede muovermi da donna, si accontenterà di riempirsi gli occhi delle mie forme’.
‘Se ti aggiri in casa sempre nuda o con qualche straccetto addosso, che cosa gli devi far vedere più di quello che già conosce? Ti guarda come figlia: sarebbe diverso con me, almeno penso. No, anzi, sono sicura’.
‘Allora non vuoi capire sia che tu scherza o dica sul serio: te lo puoi scordare di diventare la mia matrigna. Finora mi ha guardato da figlia, perché, anche se giro per casa seminuda o nuda del tutto, lo faccio senza malizia, senza ostentare la mia femminilità. Se, invece, mi farò guardare in modo femminile, come faresti tu, per esempio, mi vedrà come donna’.
‘E allora, come andrà a finire? O lo faresti ammattire, oppure, deve, capisci, deve cercarsi una donna. Non puoi accendergli il sangue nelle vene e pensare che gli basti una doccia gelata. E’ un uomo che da sedici anni non tocca una donna e, se tu lo provochi, per impedirsi di toccare te, si getterà nelle braccia di un’altra. Otterresti l’effetto contrario di quel che ti prefiggi. L’ho detto: tu vuoi portatelo a letto per sempre, per non dividerlo con nessuna. Oh, se fosse almeno per amore disinteressato e non per pura e semplice gelosia e, diciamolo pure, per egoismo. Sorellina, non mentire con me, non puoi, non devi. Io, però, te lo impedirò. Non sono sua figlia. Appena ho il minimo sentore che lo stai avviluppando nelle tue chele di femmina in calore, mi sentirò sciolta da ogni remora nei tuoi confronti. à la guerre comme à la guerre’.
‘Non voglio portarmelo a letto, ma, se volessi, tu non avresti scampo. Sono sua figlia e, se voglio, gli starò addosso ventiquattro ore su ventiquattro, a parte il fatto che siamo un tutto indissolubile. E’ uno sproloquio sul sesso degli angeli il nostro. Il papà, però, è mio e guai a chi me lo tocca. Chiudiamola qui e mettiamoci a studiare’.
‘Le due sorelline. Ancora a studiare. Oppure, trascorrete il tempo più a spettegolare che a ripetere. Che fai, Marta, resti a cenare da noi?’.
‘Oh, ingegnere. Come va il lavoro? Stanco? Non posso restare. Ci manca che mi porti il letto qui, direbbe mia madre. Lo sa che mio padre è geloso di lei?’.
‘E’ risaputo che sono un misantropo. Sì, sono stanco: le occhiaie parlano per me. Può dormire sogni tranquilli tuo padre. E, poi, che senso ha essere gelosi della moglie? E’ questione di lealtà’,
obiettò brusco Giacomo.
Marta fece finta di non accorgersi del diverso tono di voce. ‘Non è mica geloso di mia madre. La intravede appena. No: è geloso di me. E’ convinto che la preferisca a lui’.
‘Ha ragione: dovresti stare di più a casa, stargli vicino’.
‘Non apprezza la mia presenza? Pensavo le facesse piacere vedermi’.
‘Scusami. Mi fa piacere vederti. Mi riferivo alle ragioni di tuo padre. Non saprei stare senza Giovanna’.
‘Tanto da non farla venire quasi mai a casa mia. Accetto le scuse. Sto bene con voi. E lei mi piace da morire. Posso farle una domanda in nome di un congenito narcisismo femminile? Vorrei filarmi un ragazzo che non le dico, ma non mi degna d’uno sguardo. Lei mi trova bella?’.
‘Manco tutta la giornata e lei è l’unica donna della mia vita. Per quel poco che sto in casa ho bisogno di sentirmela accanto. Esistono ancora ragazzi che non sanno vedere la bellezza? Se non si accorge di te, dev’essere cieco o, magari, non gli interessano le donne. Marta, sei indiscutibilmente bella’.
‘Più di me, papà?’, osservò risentita Giovanna.
‘Tu sei l’assoluto, figlia mia. Sei al di sopra di ogni pietra di paragone. Scusami, Marta, vado a rassettarmi e rasserena tuo padre, standogli più vicina. Ciao’.
‘Allora, c’è un ragazzo che piace a Marta e questi non la degna? Non è che preferisce te? Ehi, guarda che sono geloso’, sorrise Giacomo.
Giovanna lasciò morire in gola che quella sfacciata l’aveva fatto apposta, che il ragazzo non esisteva. Suo padre sarebbe rimasto lusingato e, magari, avrebbe davvero cominciato a guardare diversamente l’amica. Era meglio prendere al balzo il commento sulla gelosia. Sapeva che era una parola tanto per’, ma lei poteva fare la leziosa.
‘Non ci ho fatto caso. Certo è un bel ragazzo, ma a me non interessa. Diciamo che Marta fa la sostenuta: vuole farlo arrostire a puntino’. Ecco, Marta era servita. ‘Non mi interessano i ragazzi, almeno per ora’.
‘Forse non hai incontrato quello giusto. Non dirmi che non ci pensi avendo, soprattutto, Marta accanto’.
Erano seduti sul divano padre e figlia in salotto, entrambi in pigiama o quasi. In teoria stavano guardando la televisione, in pratica discutevano teneramente. Giovanna se ne stava abbandonata sulla sua spalla con la casacca attaccata appena a un bottone e col seno che occhieggiava ogni tanto tra i bordi schiusi, senza i calzoni, ma in mutandine.
‘Non è facile pensarci avendo te accanto. Lo sai anche tu che una figlia cerca nel futuro marito un po’ o tutto del padre. No, credo che sarà facile trovare uno che ti assomigli. Dove sono gli uomini belli come te e che hanno una concezione così totalizzante dell’amore? Una donna per la vita: così è stata mamma per te. Troverei mai un uomo che sapesse amarmi così?’.
‘Certo che lo troverai: E’ che mi idealizzi troppo. A proposito di idealismo come va con Platone? La bellezza, un mezzo dialettico per la verità. Eppure, Amleto sostiene che ha la potenza di trasformare l’onestà in una mezzana d’amore, mentre l’onestà non ha fiato per ridurre la bellezza a sua somiglianza. Ofelia doveva assomigliarti: candida come un giglio, bella come Artemide e dolce più di un marzapane siciliano. Già, ma lui era innamorato di sua madre e odiava suo zio, perché se l’era portata a letto. Era troppo cieco per accorgersi delle virtù di Ofelia. Un sospiro degli angeli, sicuramente invidiosi che potesse amare un uomo mezzo squilibrato. E l’hanno indotta al suicidio. Ciò che è troppo bello, appassionato, ricco di spirito, e di brio non passa inosservato dall’altra parte’.
‘Papà come puoi pensare questo? Così candidi anche me a una morte prematura. Vuoi che muoia e tu con me per raggiungere insieme, mamma? E se dopo non c’è nulla, nulla, nemmeno il più pallido ricordo di ciò che siamo stati, abbiamo perso tutto, noi, l’amore che ci vogliamo, i giorni bellissimi che avremmo potuto avere. Davvero ti piace Marta? E’ bella, molto bella e sensuale. Se vuole, può metterti il cuore a soqquadro. Ha un seno stentoreo e radioso’.
‘Non ci fare caso. No, è che ogni tanto la malinconia umilia la mia ragione. Via, via i lugubri corvi. La signora in nero dovrebbe lottare con me e questa volta sarebbe ricacciata nelle più lontane latitudini del globo, se volesse appena sfiorare il giglio più prezioso della mia vita. Ah, che dicevi di Marta? Il suo seno? Le hai tastato il seno? E che? I ragazzi ti devono interessare, non il seno di Marta’, sorrise Giacomo, abbandonato subito l’aspetto pensieroso di prima. Sicuramente è bella. Stai tranquilla: non mi farà girare la testa. Poi, sono un vecchietto: non le interesso. Forse, brusco come sono, è pure intimidita’.
‘Marta che si intimidisce! Nemmeno davanti a un generale dei servizi segreti. Intanto ci sono io che ti sorveglio. Trovi che il suo seno sia messo meglio del mio? Che il mio è meno seducente?’.
E, nel chiedere questo prese la mano del padre e la tirò sul suo seno.
‘Allora? Che te ne pare? Ma, non devi tenere la mano così ferma: stringi e dimmi se non è di marmo. E’ il seno di tua figlia: ti dovrebbe interessare’. E con gli occhi lo sollecitò a stringerlo tra le dita. E lui, cercando di essere il più naturale possibile, come se provasse il gonfiore di un pallone, strinse dolcemente sulla stoffa del pigiama una mammella della figlia.
‘No, aspetta: sul pigiama non puoi capire bene’. E, detto questo, gli trascinò la mano sotto il tessuto. Come avrebbe fatto, però, suo padre a non percepire il battere impetuoso del suo cuore, la sua pelle che si aggricciava, il capezzolo che si induriva? Che importava: non voleva forse fargli capire che era una donna con tutte le proprie specifiche emozioni? ‘Guarda che non mi faccio male: stringi più forte’. Sentì decisamente le dita del padre coprire del tutto la sfera del suo seno e, risalendole dal basso verso l’alto, palpare quella voluttuosa rotondità. Avvertì il proprio sesso contrarsi, il clitoride gonfiarsi di sangue. Doveva riuscire, però, a nascondere la sua eccitazione.
‘Signorina, non credi che ho già troppo fatto il medico’, disse suo padre, cercando di togliere la mano da quella morbida rotondità. ‘Non è compito del papà verificare la perfezione del seno della figlia. Comunque, è perfetto. E non c’era bisogno della verifica per costatarlo. Sei tutta tua madre’.
‘Se non faccio constatare te, a chi devo chiedere un parere? E, poi, smettila con la mamma: io sono io. La mamma certamente era bella, ma non ho proprio nulla di mio, di originale, che non avesse mamma e che ti piaccia?’.
‘La suscettibilità. Questa l’hai rubata a me, invece. E la curiosità da far invidia alla più rinomata pettegola’.
‘Pettegola a me!’, scattò stizzita Giovanna. E si gettò addosso a suo padre per picchiarlo. Nella lotta irruente, intrecciata con lui, impacciata dalla casacca, Giovanna ritenne di togliersela, precipitandogli addosso. Divertito, Giacomo si lasciò cadere sopra il divano. Lei gli si rovesciò di sopra. Ormai tutto era cambiato negli atteggiamenti della ragazza. Fino alla sera prima, la sua sarebbe stata una sfuriata senza malizia. Ora, ogni gesto era calcolato, studiato in vista della seduzione paterna e del suo piacere di donna. Lottava con lui, ma nello stesso tempo faceva di tutto perché i suoi seni gli spiovessero sul viso, che le sue mani fossero costrette a trattenerla per i seni. O, messa a cavalcioni su di lui, che il suo grembo gravasse strusciando sul sesso paterno. Agiva non più ‘ o non solo ‘ da figlia, ma da donna appassionata. Giacomo questo certamente non lo aveva nemmeno lontanamente almanaccato, però, qualcosa nel suo inconscio agiva a dispetto della sua volontà. Le forme della figlia, nel profondo, lo emozionavano. Non poteva non essere quantomeno affascinato dalla loro plasticità adolescenziali, dalla radiosità, dalla sensualità che emanavano. Fosse soltanto orgoglio paterno, non poteva non esserne compiaciuto. Inoltre, le sensazioni che lo solcavano in quella seducente scaramuccia lo allietavano, lo facevano sentire vivo, una gioiosità giovane. Sì, indubbiamente, sentire le forme nude della figlia scorrere su di lui, nelle sue mani, sul suo viso, lo rinfrancavano, lo esaltavano come una leggera ebbrezza. Quando, però, si rese conto che il suo sesso si era prepotentemente inalberato sotto quello agitato della figlia, quel suo abbandono si bloccò.
‘Basta, basta. Mi hai vinto. Sei solo incantevolmente curiosa, mai pettegola. Chiedo scusa. Non mi picchiare più’.
Lei si fermò, trionfante come un’amazzone e sorrise. E vederla sorridere era come assistere al sole che sboccia all’aurora dietro una cortina di monti. Dio, quant’era bella sua figlia, bella da capogiro! E lei si avvide di quello sguardo affascinato del padre e pensò che il suo piano stava cominciando a funzionare.
‘Sei scusato, scemo. Lo hai fatto apposta per provocarmi. Non sono gelosa di Marta. No, anzi: lo sono, ma io sono più bella di lei’.
‘Sì, sì’, si precipitò Giacomo a difendersi. ‘Non farmelo più verificare. Vogliamo vedere un po’ di televisione? E mettiti la casacca, se non vuoi che mi metta a guardare te’.
‘Davvero ti distrarrei col mio seno così tanto? Dai, mi prendi in giro. Come se non lo avessi visto mai! Ti volteggio sempre nuda accanto e non ti ho mai sorpreso ad incantarti. Avessi saputo dell’effetto, ti avrei regalato una danza degna di Salomè’.
‘Come fai a non accorgerti che sono orgogliosamente incantato dalla tua figura. Mi danzi come una silfide e mi fai sprofondare in un mondo di favole, magico, dove sei l’indiscutibile regina’.
‘Sei sleale. Non puoi adularmi così. Mi streghi. Sono io che sono vinta. Ecco perché mamma non poteva non essere perdutamente innamorata di te: conosci bene il cuore di una donna, per carpirlo senza ritegno’.
‘No, anima mia. Non c’è bisogno di essere un poeta per descriverti. Tu sei un sogno radioso, un fulgore di bellezza. Sicuramente Dio sorrise compiaciuto, quando ti fece sbocciare nel ventre di tua madre. Tu mi accarezzi l’anima e me la fai gioire’.
‘Basta non parlare più o mi fai arrossire e piangere insieme’. E, commossa e appassionata, ancora a cavalcioni su di lui, gli buttò le braccia al collo e se lo serrò fortemente al seno, come per assorbirlo dentro di sé. E, in quell’abbraccio, raccolse attimo per attimo le sensazioni, materne e femminili insieme, della pressione di quel viso ispido nascosto tra le sue mammelle. E fu ancora una volta Giacomo a sottrarsi a quella morbida e tepida alcova. Era stordito da quell’insolito guanciale e ancora una volta il suo fallo si inerpicò lungo i sentieri della passione. E ancora una volta lei lo avvertì stendersi, appena impedito dal tessuto del pigiama di lui e della mutandina di lei, sotto le labbra torride del sesso di lei. Ma seppe contenersi. Era troppo intelligente per sapere che non poteva, né doveva spingersi di più. Quindi, quando suo padre la scostò, lei abbandonò quella erotica groppa docilmente. Si riaccomodò accanto a lui, deliziosamente appagata, teneramente abbandonata contro la spalla di lui e fece finta di interessarsi del programma che stavano dando in televisione.
Quando più tardi si ritrovò nel suo letto non poté fare a meno di ripercorrere con la memoria tutta la gamma delle sue emozioni, le scene dei suoi artifici seduttivi e si sentì bagnare nella propria
intimità. Un languore estenuante la pervase tutta, si serrò le braccia forte forte attorno al seno da farsi male, poi, cercò con la mano il suo sesso, fino a quando un orgasmo lungo e profondo la rese appagata, smorzandole la frenesia. Quindi, si addormentò.
II
Marta aveva intuito che l’amica aveva iniziato il suo disegno di seduzione e voleva a tutti i costi impedirlo. Accomiatandosi la sera prima da lei ci aveva meditato su e si era sinceramente chiesta se volesse realmente contrastare un incesto per il bene dell’amica, se aveva creduto sul serio che questo quella si prefiggesse o, se, invece, aspettava la scusa più che valida per potere conquistare l’amore di Giacomo. Perché non aveva mentito, quando si era detta innamorata del bel tenebroso. Dai discorsi della madre aveva appreso diverse cose su di lui. Aveva intuito che non avrebbe disdegnato avere una relazione segreta con lui. Che fosse un amante focoso e passionale lo aveva capito da sola, conoscendolo. Come aveva potuto un uomo con un tale fuoco nel sangue resistere per sedici anni senza una donna? Perché quelli che lo conoscevano, tutti ne convenivano e per questo lo ammiravano. Lei, però, non era rimasta solo affascinata. In tanti anni era riuscita, accanto a Giovanna, a conquistarsi l’affetto dell’uomo. Con lei non era un orso come si mostrava agli altri. In fondo era timido e geloso della sua riservatezza, ma dolcissimo, tenero e tremendamente romantico. Se era vero che riteneva un peccato mortale quello che pensava volesse fare la sua amica, era altrettanto vero ‘ e in questo era stata leale ‘ che, per impedirglielo, lo voleva conquistare per sempre. Intendeva sposarselo a dispetto dell’età e sicuramente della opposizione totale dei genitori. Insieme a quell’uomo sarebbe stata disposta a fuggire in capo al mondo.
Che Giovanna avesse cominciato la sua operazione seduttiva lo intuì la mattina dopo, quando Giacomo, come faceva quasi tutte le mattine, visto che la scuola si trovava sullo stesso percorso che faceva per recarsi al lavoro, le accompagnò in automobile a scuola. Lo intuì dallo sguardo di lei, dalla mano che gli tenne stretta per quasi l’intero tragitto, dall’espressione soddisfatta che le rivolgeva, girandosi a guardarla, da una nuova complicità quando gli parlava.
‘Oggi pomeriggio non rientro al lavoro. C’è una riunione speciale degli azionisti. Avrei dovuto dirtelo ieri sera, ma m’è sfuggito’.
Un sorriso appena abbozzato segnò le labbra di Giovanna. Aveva avuto tutt’altro papà a cui pensare la sera scorsa. Un pomeriggio insieme. Avrebbe telefonato dopo pranzo all’amica per pregarla di venire molto più tardi a studiare. Voleva coccolare papà. Non ne vedeva l’ora.
Marta, alla notizia, lì, in automobile, aveva pensato subito al contrattacco, ma, quando si trovò in classe, rifletté meglio. Se le cose stessero come lei riteneva non doveva interferire, doveva far finta di non avere capito il giuoco dell’amica. Era certa che Giacomo non avrebbe voluto ferire la figlia respingendola, ma sicuramente non sarebbe andato a letto con lei. Le grazie di Giovanna erano però irresistibili e il desiderio della figlia si sarebbe per lui trasformato in un tormento. Per non cedere all’incesto ‘ perché Marta era certa che Giovanna sarebbe alla fine riuscita nello scopo,- avrebbe dovuto sublimare l’attenzione per la figlia su un’altra che fosse giovane come lei, bella, desiderabile e molto vicina, come appunto era lei. Era una cosa così scontata da parere già fatta. Tuttavia doveva entrare ancora più in confidenza con Giacomo e, senza essere eccessiva, più disinibita. Fargli sentire la sua fisicità, la sua prorompente femminilità. Giovanna aveva due vantaggi: era la figlia, e poteva agire come e quando voleva, visto che stavano sotto lo stesso tetto, ma anche lei in parte faceva ormai parte della famiglia. E, poi, quando sarebbe stato necessario, avrebbe trovato la scusa per andarlo a trovare al lavoro e magari uscire insieme. Intanto, avrebbe ritardato l’appuntamento con Giovanna. Le avrebbe telefonato che si doveva trattenere tutto il primo pomeriggio in casa per una scusa che avrebbe trovato al momento. Voleva lasciare libera l’amica, sicuramente pronta ad architettare qualche malia per suo padre. Non immaginava che Giovanna aveva pensato la stessa cosa. Tuttavia fu Marta a telefonare per prima, proprio mentre i due stavano pranzando. Giovanna aveva campo libero, almeno fino alle 18,00. E aveva già preparato la sceneggiatura.
‘Ciao, signorina’, disse suo padre, entrando in cucina. ‘Come è andata oggi? I compagni, i professori: tutto bene? Niente aneddoti o belle discussioni?’.
‘Il cascamorto di Stefano con la nostra insegnante di educazione fisica, a cui non dispiace vederlo spasimare davanti al suo body. Bello è stato il commento dell’insegnante di italiano sul canto V della Divina Commedia. Lo dobbiamo portare per domani. Sai, Marta viene stasera alle 18,00. E’ vero che non studiamo, ma ripetiamo insieme, ci scambiamo le nostre idee, le nostre considerazioni. Anche se, alla fine, i canti della commedia li ripasso con te. Nell’ora di educazione fisica, mi sono provocata uno strappo al gluteo sinistro. Un dolore cane, papà, che mi faceva zoppicare. La prof me l’ha massaggiato subito. Mi stava venendo un infarto dal dolore. Col massaggio mi è calmato quel tanto da potere camminare. Mi ha detto di muovere la gamba il meno possibile oggi, di stare a riposo e di spalmare del ‘Lasonil’. Me lo passerai appena finiamo di pranzare e poi prima di coricarci stasera’.
‘Cos’è la storia dello strappo? Com’è successo? Quale massaggio: ti porto subito dall’ortopedico, nel pomeriggio! Ti fa molto male, anima mia? Fa vedere, vieni qui’.
Giovanna sapeva che il padre sarebbe entrato in forte apprensione. Lei avrebbe dovuto sempre esplodere di salute. Fosse solo un raffreddore per suo padre era una tragedia: nemmeno se fosse stata colpita da una polmonite. E il medico di casa, immancabilmente, lo prendeva in giro. E lei, per evitare di essere asfissiata dalle sue preoccupazioni, talvolta, anche se aveva qualche indisposizione, non glielo diceva. Solo che questa volta la cosa era in funzione del suo disegno seduttivo. Non aveva avuto nessuno strappo. Le dispiaceva vederlo così in apprensione, ma il gioco valeva la candela.
‘Ho ragione, allora, quando non ti voglio raccontare nulla, se mi capita qualche piccolo infortunio. Lo sapevo che mi avresti afflitta con le tue ansie. Ma, dato che zoppico, te ne saresti accorto. Meglio, quindi, affrontare la tempesta subito’.
‘Ma che ansia e ansia. Tu non sai che può combinare uno strappo. Fa vedere subito, ecco’.
Figuratevi! Giovanna non aspettava che questo. Però fece la preziosa. ‘Ma, dai. Mi fai vergognare. Come se fossi una bambina di sei anni. Tanto, poi, mi deve passare la pomata e vedrai che non è gonfio’.
‘No, no, fammi vedere ora. Voglio vedere se è gonfio, arrossato, indurito’. Ma come te lo sei procurato lo strappo’.
‘Con la cavallina. L’ho saltata male e sono atterrata male. Ma la prof è stata meravigliosa. Ero immobilizzata dal dolore. Aspetta, ecco, mi fa male dal centro del gluteo fino all’interno coscia. Me lo devi solo massaggiare’. E, così spiegando, si era abbassato i calzoni insieme alla mutandina e aveva scoperto il suo bellissimo di dietro. Giacomo lo tastò, lo palpò, lei emise qualche gridolino sommesso di dolore, a lui tremò la mano dalla preoccupazione, lei lo tranquillizzò, si riassettò e fu alla fine pronta a portare in tavola. Aspettava solo il dopopranzo.
Distesa bocconi sul lettino e totalmente denudata dalla vita in giù assaporava la frizione che il padre le stava praticando.
‘Ha detto la prof che il massaggio dev’essere praticato dal basso verso l’alto ad allargare, da un lato, lungo tutto il gluteo e l’interno coscia fino all’inguine, dall’altro, la parte superiore della coscia sino al pube’.
Giacomo, al momento, preso dall’affanno per la figlia, non aveva fatto caso alla particolare situazione in cui si sarebbe trovato con quel massaggio, soprattutto quando la figlia si fosse girata sul dorso. Intanto, tutto compunto, ma senza totale malizia, messa la pomata nel palmo della mano, aveva preso a frizionare il gluteo.
Né fece troppo caso che, nello scorrere della mano sull’interno coscia fino al perineo il taglio delle dita finiva con lo strusciare sul sesso della figlia. In modo cadenzato l’indice andava a sbattere sulle grandi labbra della fanciulla. Il sesso, è risaputo, è un fatto mentale. Se Giovanna non ci avesse fatto caso, non si sarebbe eccitata, ma lei mentalmente ingigantiva il tocco delle dita paterne e le sensazioni di piacere crescevano di intensità dentro di lei.
‘Ora, sul davanti, papà. Ti raccomando, sii il più delicato possibile’. Mentre la mano, non più impomatata, scivolava sulla coscia verso il pube, Giacomo finalmente si avvide del sesso della figlia e, allorché si allargò sul suo folto vello, le dita tremarono, indugiarono qualche istante, discesero per poi risalire nuovamente sempre più incerte e tremanti sopra quella crespa collina. Non poté fare a meno di non ammirare ginecologicamente il solco ammaliante della figlia con l’increspatura visibilmente inturgidita del clitoride nella sua sommità, il calore bagnato di quella lussuriosa alcova segreta e sentì un’onda calda avvolgerlo intero. Si fermò interdetto e arrossito.
‘Così va bene, mi sento meglio, non ti fermare, papà, ti prego, ti prego, ti prego’. Era un’invocazione più sospirata che detta. E, come trascinato dalla malia di quel sospiro, rinnovò il suo massaggio fino ad avvolgere il pube. Poi, la sua mano si bloccò, indipendentemente dalla sua volontà, a coprire, come la classica foglia di fico, il sesso della figlia. Giovanna ansimava, era sull’orlo di un orgasmo violentemente trattenuto per paura della reazione di Giacomo. Questi, come in trance, teneva la mano immobile su quel caldo mistero, che, inconsciamente, aveva finito per stringere. Poi, si scosse di colpo e si sentì arrossire sino alla radice dei capelli. Ritirò di botto la mano, come si fosse scottato, e, dopo qualche attimo di smarrimento, guardò la figlia e, la voce tremante, confessò lealmente: ‘Non posso più, Giovanna. Non posso. E’ la prima volta nella mia vita che ti ho scoperto donna. Tu sei solo la mia bambina. Io ti ho scoperto donna. Non me ne volere, figlia mia, non posso toccarti lì innocentemente. Non è solo il sesso della figlia, ma di una struggente donna’.’Che dici, papà? Scusarti! E se tu stessi male, proprio lì, chi ti dovrebbe aiutare, se non io. Capisci io e non altri. E, scoprendo il tuo sesso, mentre ti aiuto, se rilevo che sei anche meravigliosamente maschio, che faccio? Me ne vergogno? Ma che dici! Ne sono solo orgogliosa, come lo deve essere una figlia. La ferita più profonda che si possa infliggere a una figlia e di dirle che il padre non è maschio. E il fatto che, massaggiandoti lì per necessità, possa ammirare la tua virilità mi dovrebbe trattenere? Ma cosa sono queste scemenze puritane? E’ da piccolina che ti vedo nudo, e da appena nata che mi hai avuto nuda tra le tue mani, mi hai fatto il bagno fino a qualche anno fa. Ora capisco perché non mi hai più voluto lavare compiuti i tredici anni: pensavi che restassi turbata. Mi davi solo piacevolezza, sicurezza. E mi sono mancate quelle carezze, tanto. Mi scopri donna, ora. E’ la cosa più bella che avresti potuto dirmi. Era finalmente l’ora. Allora, se sono bella per mio padre, lo sono anche per gli altri. Se emoziono te, lo saranno anche gli altri. Non avere paura di toccare tua figlia, proprio perché è tua figlia. Io voglio che tu mi tocchi, perché, tranne che da un medico, da nessuno al mondo mi farei toccare’.
‘No, Giovanna. Non è solo il toccare. E’ che quel tocco non diventa più innocente. Lo capisci bene. E’, è come se avessi accarezzato il sesso di tua madre. Tu, però sei mia figlia. Non era più una carezza innocente’.
‘Io ti farò tutte le carezze che voglio. Non lo so se con o senza malizia. So che ho bisogno di stringerti a me, di sentire le tue mani, il tuo viso su di me. Questo mi dà fiducia, serenità, protezione, importanza. Mio padre mi ama. Ecco: so questo con i tuoi abbracci. Perché le parole sole non bastano. Essere accarezzata, desiderata mi fa vedere, constatare, di fatto, la pienezza del tuo amore. Dico a me stessa: mio padre mi ama, stravede per me, mi vuole sentire su di sé, mi desidera tra le sue braccia, desidera la mia fisicità. Se mi togliessi questo, morirei’.
‘Considerazione oziosa. Certo che ti amo, che ho bisogno di sentirti tra le mie braccia. Forse non ti rendi conto. Ciò che ho provato è un’altra cosa. Quando mi sono ritrovato con la tua lussureggiante intimità, ho provato piacere da maschio. Questo è riprovevole’.
‘Ma che, dovevi provare ribrezzo? Non sei orgoglioso di avere una figlia riuscita bene anche in quel posto?’.
‘Non vuoi capire. Su, rivestiti. Vado a sistemarmi alcuni incartamenti. Poi faremo Dante insieme’.
‘Si è eccitato. Lo sapevo che non potevo essergli indifferente perché sono sua figlia. La sua mano sul mio gluteo, sul mio sesso. E’ stato meraviglioso. Allora, quanto dovrà essere sublime fare l’amore. Se il cuore mi si è slargato dal piacere, solo per avere appena toccato il mio sesso, quando lo bacerà, lo masturberà, quando entrerà dentro di me, quale sarà mai il piacere? No, papà, riuscirò a svellere dalla tua mente il concetto del peccato. Dove sta scritto che una figlia non deve essere la moglie del padre? Perché, papà, io sarò tua moglie’, così commentava tra di sé Giovanna.
Si alzò dal lettino, si rivestì e, claudicando molto di meno, si avviò verso lo studio del padre.
‘Vedi che mi muovo molto meglio. Sei stato un mago del massaggio. Lo dicessi a Marta, si precipiterebbe subito a farsi massaggiare’.
‘Ma perché tiri in ballo Marta’, osservò Giacomo sollevando lo sguardo verso la figlia da dietro la propria scrivania. ‘Cos’è che ti dice di me?’.
‘Solo che l’hai stregata. E io le ribatto sempre che tu non hai altra donna al di fuori di me. Che non c’è trippa per lei’.
‘Per la verità, Marta diceva di essere interessata ad un ragazzo’.
‘Dicit. Sed quod mulier dicit”
‘Lasciamo perdere. Andiamo nella tua camera a commentare il V canto’.
Poco dopo, seduti l’uno accanto all’altra, spiegavano e commentavano i versi. Quando giunsero ai versi ‘A vizio di lussuria fu sì rotta/ che libito fe’ licito in sua legge/ per torre il biasmo in chi era condotta’, Giovanna chiese: ‘Liberalizzò la sessualità? Che c’era di male? Quando due persone sono consensuali, tutto è lecito’.
‘Legalizzò l’incesto, questo è il punto. Determinate cose, anche nella sfera privata, non possono essere consentite. Se la sessualità si praticasse solo all’interno della famiglia, sarebbe questa a dissolversi, non solo per la lotta che si scatenerebbe tra i membri maschili, ma perché nascerebbero figli tarati geneticamente. Avremmo generazioni di individui di salute precaria’.
‘Mah! Secondo me è tutto da dimostrare. Poi, dove sta scritto che i due consanguinei debbono mettere al mondo dei figli? E, inoltre, secondo questa logica che ne so, i talassemici, per esempio, non dovrebbero proliferare. Non mi convinci. L’incesto c’è sempre stato e ci sarà. La cosa fondamentale è che due stanno insieme perché si amano, senza violenza, sopraffazione fisica o psicologica’.
‘Secondo te, perché l’incesto più che dalla legge è impedito da un tabù quasi ontologico? Per evitare che nascano figli malaticci, poi, perché ci sarebbero magari clan di tutti maschi e clan di sole femmine, che sarebbero destinati ad estinguersi, perché ci sarebbero guerre tra clan vicini: scambiandosi le donne, è così evitato. Inoltre, un padre e una madre che fanno l’amore con i figli, anche se consenzienti, è sempre una prevaricazione affettiva e psicologica, proprio in virtù del fatto che nei primi anni di vita il legame d’amore che si costituisce è troppo intenso, il cosiddetto complesso edipico. I genitori sfrutterebbero questo complesso. Non è una violenza questa, d’amore certo, ma egoistico e perciò violento?’.
‘Per i malaticci vale la mia obiezione di prima. Per il fatto che in un clan ci potrebbero essere figli tutti dello stesso sesso dico che è impossibile o quasi. Dei genitori che abbiano dieci figlie che fanno tutte l’amore con il padre, è mai possibile pensare che tutte loro generino solo femmine?’.
‘E se, invece’, interruppe Giacomo, ‘sono tutti maschi, quante volte dovrebbero fare ingravidare la madre per avere delle femmine con cui accoppiarsi appena diventate prolifere? E sto mettendo da parte l’etica, eh’.
‘L’etica, papà, tranne alcuni principi base, come il diritto alla vita, alla libertà di parola e di pensiero e qualche altro che potenzi i primi due, è del tutto soggettiva: cambia secondo i tempi e secondo i paesi. Quello che non va nel tuo ragionamento ‘ e ciò perché parti da un pregiudizio ‘ è che tu stai trattando l’incesto come un obbligo: sarebbero proibiti i rapporti sessuali ad di fuori delle famiglie e ammessi sole quelli dentro. I rapporti debbono essere liberi. Due se si amano sia che siano consanguinei o no, dato che non fanno del male a nessuno, non capisco perché si debbano impedire di amarsi. Quanto all’amore radicato che costituirebbe una violenza sui figli, ne conseguirebbero che dovrebbero amarsi sono quelli che non si amano. Ma davvero ritieni che una donna come me non riesca a discernere se il proprio padre le stia facendo una violenza psicologica o no? Il punto è un altro: quello sociale. E’ questa che ti rompe le scatole. Un genitore o un fratello che fa l’amore con un proprio consanguineo deve avere paura solo degli altri, perché al momento considerano scandaloso un tale rapporto. Ma, se i due hanno possibilità di andarsene dove nessuno li conosce, il problema sparirebbe. Oppure, devono agire in modo che nessuno lo sospetti’.
‘Forse tra due fratelli, forse, ma una madre, un padre con un figlio, una figlia, no, sarebbe un abominio, una perversione tesa al piacere del proibito, un padre non può, non deve: abusa comunque dell’amore della figlia’.
E Giovanna si rese conto che, inconsciamente, Giacomo stava parlando di sé, del sentimento che prima lo avevo colpito e che giudicava perverso. Era questo pregiudizio che lei doveva fare cadere, perché era veramente tale. Passi per i figli menomati, ammesso che fosse vero, ma non per l’atto sessuale se voluto da entrambi e solo per puro, semplice, appassionato, infinito amore. Che assurdità, Marta, sua coetanea, poteva avere un rapporto sessuale con suo padre e lei, perché figlia, no. Questa era un’assurdità logica oltre che affettiva. L’amore fisico tra loro due era la più ovvia conclusione di quello affettivo, mentale, di valori, di cultura e così via. Lei sapeva com’era fatto suo padre da tutti i punti di vista. Se lo masturbasse per recargli gioia, piacere è come se prolungasse quel piacere di saperla vicina, di abbracciarla, di sentire tutto il suo amore. Sapeva, però, che era uno scoglio molto duro da spezzare, ma ci sarebbe riuscita.
‘Credo che ti renderai conto che sul piano della logica non hai ragione. Ma non insisto. Continuiamo a commentare il canto’.
Quando giunsero ai versi ‘Amor ch’a cor gentil ratto s’apprende/ prese costui della bella persona/ che mi fu tolta e il modo ancor m’offende. Amor ch’a nulla amato amar perdona/ mi prese del costui piacer sì forte,/ che, come vedi, ancor non m’abbandona./ Amor condusse noi ad una morte./ Caina attende chi a vita ci spense’, la discussione si riaccese nuovamente.
‘Vedi, papà, per la morale del tempo era doveroso che Gianciotto uccidesse fratello e moglie, però, anche se Dante pone i due amanti nell’inferno per l’adulterio perpetrato, se li ricorda così appassionatamente perché per lui ‘Amore e cor gentil sono una cosa’. La tradita, poi, era stata Francesca che aveva creduto di dovere sposare Paolo e si trovò, invece, quel mostro del fratello. E Dante pone l’accento sul fatto che se uno ama intensamente un altro, anche se a parere degli altri è un amore sbagliato, non può non essere corrisposto. E l’amore di Paolo e Francesca è così tenace che i due sono legati insieme nella bufera infernale. L’amore che la donna ha per il suo amato ancora la travolge: quell’offende non significa che per colpa di Paolo è finita all’inferno, ma che ancora la scuote nel cuore. L’amore quando è assoluto non guarda né convenzioni, né pregiudizi: si dovesse anche finire all’inferno’.
Giacomo fissava la figlia, mentre, accesa, parlava. Era bella all’inverosimile. Quell’ovale del viso con le gote spennellate di rosso la rendevano sfolgorante, quelli occhi piccoli e castani, brillavano come due stelle e la castana coda di cavallo che si agitava, mentre gesticolava, gli faceva pensare alle mitologiche amazzoni. E il leggero maglioncino rosso molto scollato, oltre a mettere in risalto in modo sfacciato il seno, accentuava in modo fantasmagorico la radiosità del collo e del viso.
Solo gli angeli potevano avere una bellezza così fulgida, non certo, però, la sua carnalità. Sua figlia sprizzava, sensualità, erotismo da ogni tratto della sua figura. Quella prepotenza del seno era una invocazione alla ubriacatura delle mani, del viso, della bocca. E quelle labbra tumide, color carminio, sotto un nasino civettuolo, supplicavano di essere mordicchiate, divorate, tanto erano voluttuose e, tuttavia, quello scrigno di bellezza e carnalità era sua figlia, sempre e soltanto sua figlia. Ma non poté fare a meno di essere percorso da un fremito di piacere nell’insistere lo sguardo su quelle insolenti colline mammarie, che si affacciavano luminose dallo scollo e che tendevano in modo esasperato il tessuto del maglione.
‘Non discuto l’intensità dell’amore e della passione che travolse i due cognati, ma tutto ciò che è trasgressivo finisce molto spesso in tragedia. Hai visto la sfilza di anime elencate da Dante ‘che amor di nostra vita dipartille”.
‘Trasgressione, proibito, ignoto, non hanno pure a che vedere con il desiderio di spingersi sempre più in là con la conoscenza?’.
‘Figlia mia, la conoscenza è bella, ma quante volte si identifica con la dannazione!’.
‘Ma è la vita, papà, la quintessenza della vita, la conoscenza. Non dico che bisogna attraversare l’inferno per conoscere il paradiso, ma una punta di zolfo è il sale della vita’.
‘L’inferno ti affascina, mi è parso di capire, ma quanti démoni imperversano. E quando vi addentrerete di più nella cantica vedrai ‘quanti tormenti e quanti tormentati’! Ma non ci infossiamo un’altra volta con le nostre elucubrazioni esistenziali, finiamo il canto’.
Appena ultimarono lettura e commento, Giovanna non trovò di meglio che accomodarsi subito sulle gambe di suo padre, che, istintivamente, contrariamente al solito, ebbe un tentativo di respingerla, ma lei fece finta di non capire.
‘Il mio papà, così proteiforme. Eri non solo bravo in matematica, ma pure in letteratura. Conosci la ‘Commedia’ a menadito, però non ti piacevano le scienze, mi racconti sempre’.
‘Alt. Non mi piacevano così come ci erano insegnate e con un libro di testo inguardabile. Negli anni mi sono aggiornato da solo e credo di avere un’ottima conoscenza. La scuola è fondamentale, ma ancora più decisiva è la cultura che ti costruisci da te. E tu in questo non sei meno di me. Anzi, talvolta, e te l’ho detto, mi preoccupo, quando ti vedo sempre sui libri’.
‘Adoro conoscere, avere orizzonti sempre più ampi e amo tanto la letteratura dell’ottocento e del primo novecento. E, se no, come potrei discutere con te che hai una cultura straordinaria. Tu sei unico, papà. E, poi, sei affascinante. I capelli ricci, la fronte alta, gli occhi piccoli come i miei, la bocca più grande, ma carnosa come la mia, le mani immense e forti, il petto armonioso e accogliente, gagliardo e sicuro come uno scudo dei soldati romani. E la mia paura è che qualche donna ti rubi a me’.
‘Nessuna donna potrà mai staccarmi da te. E non sono la divinità che esalti. Sono un uomo come tanti altri, senza il cervello all’ammasso. Tu, sei bellissima e così femminile da incantare l’eroe dei nibelunghi. Forse le sirene avevano la tua voce, che è un canto, una morbida melodia, da rimanere per ore a gustarla. Io ho paura, al contrario, che più prima che poi, un ragazzo ti strapperà a me. E le ore che mi dedichi si faranno rare. Ma è giusto così. Non avevo forse anch’io rubato tua madre a suo padre? Che gioia avrebbero avuto nel vederti i tuoi nonni, se fossero vissuti! Nessuno mi toglierà dalla mente che l’incidente, occorso dopo la morte dell’unica figlia, sia accaduto perché non ci stavano più con la testa. Era la loro vita. Non ho visto mai un uomo distrutto dal dolore come tuo nonno, nemmeno io che avevo posto tutta la vita nelle mani di tua madre. E sì: i figli sono unici, non si possono sostituire come un marito e una moglie’.
‘E noi non ci sostituiremo con nessuno. Nessuno ci potrà staccare’. E, mentre diceva questo, gli raccolse il viso tra le mani e lo cominciò a tempestare di teneri baci sugli occhi, sul naso, sulle labbra, sulle guance’.
‘Basta, basta, che mi soffochi’.
‘Non vuoi i miei bacetti, allora ti prendi i miei solletichi’ e cominciò a tormentarlo con la punta delle dita dappertutto, fino a quando lo fece con lei anche lui, che era quello che lei attendeva. E, sistematasi a cavalcioni sulle gambe di lui, cominciò la baruffa scherzosa. I tocchi, i pizzicotti, erano qualcosa di più di giocoso, ridanciano: erano una sinfonia non espressa di erotismo, di ricerca di sensazioni avvolgenti, ricche di sfumature eccitanti, sensuali. Indubbiamente lui non lo faceva con coscienza, ma lei sì. Lo solleticava, manipolava, lo strizzava leggermente anche nei punti più intimi, mentre tentava tutti i modi possibili perché fosse pungolata sul seno, che trasbordava sempre di più dai bordi della scollatura, e che abbatteva sul viso di lui per annegarglielo. Le cui mani ormai scorrevano sul suo costato denudato, mentre i loro petti si affannavano e i volti si accendevano sempre di più. A un certo punto, lui perse ogni controllo e, sotto il maglione e il reggiseno, trovarono le mammelle di lei che gliele protendeva deliziata. Vi si aggrapparono, le serrarono, manipolarono, pizzicarono, se ne inebriarono, ne torsero dolcemente i capezzoli. E lei si sentì morire dal languore e dal sottile godimento. Un orgasmo le contrasse il ventre e la costrinse a stringersi forte al petto di suo padre. E lui capì che erano andati oltre. Si riscosse e, ancora una volta, si mortificò. Imbarazzato disse alla figlia: ‘Quando ti metti così, mi fai perdere ogni senso della misura. Vattene via, di corsa, e non tentarmi più. Non provocarmi o ti metterò a pancia in giù e ti sculaccerò come non ho mai fatto in vita mia’.
‘Non ne avresti il coraggio’, rispose lei sorniona.
‘Va via, strega!’, gridò Giacomo, mentre se la scrollava di dosso. Si alzò dalla sedia e, nervoso, si precipitò verso l’uscio della stanza.
‘Gli piaccio, gli piaccio’, gridava raggiante nella sua mente Giovanna. ‘I miei seni, se li è goduti come si fa con una donna, non con una bambina, con la figlia. Mi desidera, anche se non lo sa o non lo ammette’.
Intanto il tempo era volato in fretta e Marta suonò alla porta d’ingresso. Notò subito il volto radioso dell’amica e fu certa che avesse combinato qualcosa con suo padre. Toccava, quindi, rilanciare a lei.
‘Ehi’, disse a voce bassa Giovanna, ‘stai attenta nel parlare con mio padre. Gli ho detto che mi sono fatto un brutto stiramento al gluteo, che la prof mi ha praticato un massaggio e che dovevi mettermi una pomata su l’intera parte’.
‘Sei diabolica! Sei riuscita a fari massaggiare il culo!’
‘Guarda che lui il culo me lo vede quotidianamente e, quando giochiamo, si ritrova pure a tastarmelo’.
‘Non fare l’ingenua. Hai capito benissimo quel che dico. L’hai provocato. Chissà come ti sei fatta ritrovare per eccitarlo. Confermerò la tua bugia, se me lo chiederà. Però, stai giocando col fuoco, santarellina acqua e sapone. Ricordati, pure, che non ho cambiato idea: cercherò di impedire questo incesto. Farò innamorare tuo padre di me e andrò a letto con lui, prima che ci vada tu: ci puoi scommettere’.
‘Io sono qui con lui, soprattutto la notte. Devo essere guardinga, lo so bene, nel muovermi con lui, ma il suo letto è nella camera accanto alla mia. Troverò un modo per infilarmi sotto le e sue lenzuola’.
‘Allora, se ti precipiti di colpo nel suo letto, lo perderai, perché o lo farai uscire di senno, o ti butterà fuori a calci. Sta attenta, Giovanna, di non finire su un lettino di una psicoanalista nella migliore delle ipotesi o dallo psichiatra’.
‘Pensi che non saprei prendere tutte le cautele. Sta sicura, sorellina, è mio padre: so come prenderlo. Non arriverai nel suo letto prima di me e, comunque, non te lo permetterei’.
‘Allora, sei sleale. Tu hai dei vantaggi grandi su di me, proprio perché stai in casa, ma devi lasciare condurre il gioco pure a me, Con le sorelle si compete, non si usa la forza, d’accordo?’.
‘Il solo fatto che sei qui, lo dimostra. Non puoi pretendere, però, che ti spiani la strada. Ti boicotterò: è nel mio diritto’.
‘Va bene. Ma, quando vedrai la mia bandiera piantata nel letto di tuo padre, non strangolarmi’.
‘Non la pianterai’.
‘Vedremo. Intanto, mettiamoci a ripetere. Mi lasci chiedere a tuo padre se mi spiega la fisica per domani’.
‘Se la sai benissimo!’.
‘Come tu stai altrettanto bene con il gluteo. Io copro la tua bugia, tu copri la mia. E, un altro favore: fatti venire qualcosa, inventa quello che vuoi. Mi devi lasciare mezz’ora da sola con tuo padre. Tu ti sei presa tutto il pomeriggio’.
‘Tu sei scema. Ti dovrei pure agevolare. Non se ne parla nemmeno per idea’.
‘E io spiffero tutto sul gluteo’.
‘E’ un ricatto. Ti concedo dieci minuti’.
‘Chiamalo come vuoi: mezz’ora’.
‘Quindici minuti’
‘Mezz’ora’.
‘Ma che devo fare in mezz’ora senza far nulla, immaginando te e i tuoi maneggi?’
‘Sono cazzi tuoi. Dimmi, intanto, come avete commentato Dante’. E si incamminarono, questa volta, verso il salone. Anche questo faceva parte del piano di Marta. Seduto sul divano Giacomo era intento a leggere un libro.
‘Ingegnere, buonasera. Ogni giorno la trovo sempre più affascinante: mi sveli il segreto, che lo partecipo a mio padre. Non mi giudichi impertinente; ma non ci sono donne dove lavora lei? Dovrebbero assediarla, con buona pace di Giovanna’.
‘Sei impertinente, intanto. Il lavoro non si mescola con gli affari. Non perdete tempo e mettetevi a ripassare’.
Giacomo non aveva potuto non fare caso all’abito della ragazza e nel contempo ripensare a quello che la figlia gli aveva riferito dell’amica, che fosse innamorata di lui. Marta si era tolto la giacca leggermente imbottita con una cintura alla vita e apparve in tutto il sensuale splendore: una minigonna, che più mini non si poteva, rossa, a quadri, tipo le collegiali scozzesi, e un top nero con un’ audace scollatura a v col bordo in pizzo e le coppe del seno annodate con un nastro. Era un’esplosione di erotismo. Se avesse voluto, avrebbe potuto infrangere la corazza di qualsiasi uomo, non certo quella sua. Era troppo giovane per lui. Oppure non ci credeva che fosse realmente innamorata di lui. Poi, la conosceva. Al di là degli atteggiamenti trasgressivi, Marta era una brava ragazza. Insomma, l’aveva cresciuta, si può dire. Ma, se fosse stato vero quello che gli aveva confessato sua figlia, lui si sarebbe aperto finalmente con una donna?
‘Via, Giacomo, ha l’età di tua figlia ed è un po’ come lei. Sì, ma è uno schianto. Certo non ha la bellezza della figlia, però’ ha un seno eburneo, e la carnagione, anche se occhi e capelli sono castani, è chiara come quella di Giovanna. Sicuramente in molti le avrebbero scambiate per gemelle, tanto si somigliavano, anche se Marta aveva il viso e gli occhi grandi, ma la bocca era carnosa come quella di Giovanna. Ma perché mi viene in mente di paragonare le due ragazze? Perché sono un uomo e non si può non ammirare ciò che è bello. No, il fatto è che tu sei lusingato che una ragazza così bella e sensuale sia innamorata di te, e, poi, così giovane. Ma, mia figlia, l’avrà detto apposta. Hai 43 anni, Giacomo, ricordalo. Cosa mi è preso stasera? Non mi è mai passato per la mente nemmeno il più lontano pensiero erotico per Marta ed ora? Giovanna, forse, mi ha fatto ricordare che sto da sedici anni senza una donna. Ma chi potrà mai sostituire sua madre. Le somiglia in modo così impressionante, anche se lei lo contesta’.
Lo interruppe nei pensieri la replica di Marta. ‘La scuso per essere stato scorbutico dandomi delle spiegazioni di fisica. Mi aspetto un’interrogazione domani: Giovanna l’ha avuta e non si preoccupa. Poi, il professore con me si impunta di più. Sono perciò nelle sue mani: mi faccia fare bella figura. Vero, Giovanna che con me il prof è più cattivo?’.
‘Eccome: ti spoglia con gli occhi’.
‘Scema. Non è vero, ingegnere. E’ sull’età della pensione ed è arteriosclerotico. La prego, la prego, non mi dica di no’.
‘Dire di no a te, sarebbe come dirlo a Giovanna. Ma Giovanna non te la sa spiegare? Certo che la sa, ma stasera è impegnata con Carla, a cui deve dettare il classico di latino e le relative regole, perché si aspetta l’interrogazione. Anzi, sai che ti dico, Giovanna: tu telefona ora a Carla, tuo padre si mette con me. E poi mi dici che avete fatto con Dante. Mi porti il libro di fisica, dei fogli e una matita?’.
‘Vuoi pure il tè e i biscotti?’, commentò, acida, l’amica, avviandosi verso la propria camera. ‘Non capisco perché non te lo sei portato, il libro di fisica, intendo. Chissà perché!’. E un minuto dopo ritornò con il libro, i fogli e la matita. ‘Vado a telefonare a Carla. E non ti stancare troppo il cervello con le equazioni!’.
Giacomo stava per alzarsi dal divano, Marta lo prevenne. ‘No, stia li, mi siedo accanto. Qui, al tavolo, mi intimidisco: mi sentirei più un’allieva che un’amica’. E, rapidamente, si sistemò accanto a lui. Il nastro del top si era, intanto, allentato e non c’era bisogno che Giacomo sforzasse troppo lo sguardo per accorgersi che lei non aveva reggiseno: se si fosse piegata troppo in avanti quelle ammalianti colline potevano traboccare fuori dalle coppe del vestito. Così, la gonna, che era già mini, era sparita sotto il suo di dietro, lasciando scoperte quasi del tutto le cosce. Lei vi appoggiò il libro e, incollata al fianco di lui, i ginocchi attaccati ai suoi, lo aprì a cercare la pagina.
‘Ecco: sono tutti questi passaggi che non sono riuscita a capire’.
‘Siete già arrivati al piano inclinato? Se correte così, capisco che poi qualcosa vi possa sfuggire’.
‘A me non è sfuggito: non ho capito nulla. Lui, intanto, corre, come una ‘Ferrari’. Ecco queste sono le pagine’. Gli porse il libro, poi, si portò la mano con cui lui lo teneva sulla coscia. ‘Lo regga lei il libro che con la matita, man mano, vi segno sopra gli appunti’. Lui rimase perplesso. Non capiva se era un gesto naturale, che le ragazze ormai facevano senza farci caso con i loro coetanei, o malizioso. Se si fosse tirato indietro ‘ e il gesto era naturale,- sarebbe apparso bigotto e, magari, sarebbe sembrato lui malizioso, dando uno spessore di significato a un atto che ne era destituito.
Lasciò, quindi, che il dorso della mano con cui teneva il libro poggiasse sulla calda coscia di lei.
Lei che si addossava sempre di più e il cui seno sbocciava luminoso sotto i suoi occhi, lei che, mentre lui era preso realmente dalla spiegazione, faceva in modo che il dorso della mano di lui scivolasse sempre di più fino a poggiare sul suo grembo.
‘Tenga ferma la mano’, lei lo interruppe, ‘se no, non riesco a scrivere’. Solo allora, si accorse che la mano gravava, di fatto, sul suo pube, anche se seminascosto dalla gonna che si era parzialmente raccolta sopra. Guardò lei negli occhi, ma sembrava che fosse del tutto normale. Sentiva distintamente il calore del grembo di lei, mentre lei, scrivendo, lo costringeva a tenere la mano immobilizzata in quella cuna lussuriosa. Quel calore particolare, così intimo, lo turbò e si sentì agitare il sangue nel cuore. E il desiderio di donna, che la figlia aveva prepotentemente suscitato lo afferrò e, quasi senza volerlo, si ritrovò a strusciare, come per tenere meglio il libro, il dorso della mano su quella malia di femmina. E si avvide che un affanno appena celato agitava Marta. Ma fu lui questa volta a condurre il gioco, come fosse naturale. Spiegava, ma il suo sguardo frugava tra quelle mammelle ondulanti, mentre, spietata, la mano, lenta, mareggiava la sua carezza. Ancora una volta il suo membro si inalberò. Lei era ormai accucciata su di lui, vinta dal piacere. Non era riuscita ancora a capire se quel movimento era cosciente o meno, sapeva che la stava un po’ masturbando. Stava per cedere a un orgasmo. Non poteva farsi cogliere così spudoratamente. Fece finta di scivolargli addosso, ma, senza volerlo, finì con la mano sul sesso di lui. Era il suo membro, ne era sicura, non la gamba. Allora, ne era consapevole. Aveva capito e stava al gioco.
‘Ingegnere, mi è venuta la tachicardia. Oh, Dio, mi manca il respiro. Il cuore mi scalpita’. In parte era vero, presa dall’eccitazione. E, presa la mano destra di lui, se la portò sul seno. E lui, pur se impacciato, invece di appoggiarla, lo raccolse con avidità. ‘E’ vero, pulsa all’impazzata. Ti prendo un po’ d’acqua? Ti sei stancata con la mia lezione?’, disse con il massimo candore, ma la mano rimaneva contratta sul seno di lei, scoperto ormai fino all’areola, che non solo se la teneva stretta, ma la faceva scorrere su di esso come per fargli carpire meglio il pulsare del cuore.
‘La mezz’ora è scaduta’, echeggiò la voce di Giovanna. I due sobbalzarono letteralmente. ‘Che è successo al seno di Marta, papà?’.
‘Le è venuto un attacco di tachicardia e ne stavo sentendo i battiti’, balbettò confuso, arrossendo, Giacomo.
‘E per capirlo stavi con il seno stretto nella mano’, avrebbe voluto rispondere Giovanna. Ma lasciò perdere, accorgendosi dell’imbarazzo del padre. Del resto sapeva com’erano andate le cose. Suo padre non era responsabile. ‘Ti faccio una camomilla doppia? O ti sta calmando la pressione?
Muoviti, che ti devo parlare di Paolo e Francesca e della loro brutta fine’.
Marta si alzò, si girò verso Giacomo, le diede un bacio sulla guancia, lo ringraziò e seguì serafica l’amica. L’uomo guardò la fanciulla scomparire nella camera della figlia, poi, ancora scompigliato, si risedette sul divano, contemplando la mano destra, che fino a qualche istante prima si era trovato a stringere quella meravigliosa, turgida ghiandola mammaria, e la sinistra che gli pareva ancora umida del sesso di lei. Si portò il dorso di essa al naso e lo odorò. Forse era suggestionato, ma avrebbe giurato che profumava degli umori di quel grembo. Che avevano congiurato le due donne contro di lui? Guardò il libro di fisica caduto per terra, lo raccolse e si abbandonò a fantasticare sulla spalliera del divano.
Le due amiche di tutto parlarono tranne che del V canto dell’inferno. Ognuna rinfacciava all’altra il suo comportamento. Alla fine raggiunsero la solita tregua. Poi, si volevano troppo bene per litigare ad oltranza: in fondo amavano lo stesso uomo.
Erano quasi le venti, quando Marta uscì dalla casa di Giovanna. Aveva rivisto Giacomo, lo aveva abbracciato, baciato quasi all’angolo della bocca, e salutato, dopo avergli lanciato un’occhiata assassina. Giovanna rientrò in cucina a preparare. Poco dopo, la raggiunse il padre.
La vide che armeggiava davanti alla cucina tra tagliere, pentole e fornelli. Giovanna cucinava molto bene. Amava cucinare. Anche in questo, forse inconsciamente, si sentiva più una moglie che una figlia. Non si girò a guardare il padre che entrava, il quale capì benissimo che ce l’aveva con lui per la scena vista.
‘Marta è quasi una seconda figlia. Non puoi pensare male’, argomentò Giacomo un po’ tentennante. ‘E’ vero che aveva la tachicardia. Lei mi aveva portato la mano a sentire la concitazione del cuore. Non stavamo, non stavo facendo nulla di male. Poi, che vuoi, lo dici anche tu che è una bella ragazza. Mi sono inconsapevolmente lasciato prendere la mano’.
‘Inconsapevolmente!’, borbottò senza voltarsi Giovanna. ‘Con un seno tutto di fuori attanagliato dalla mano e rosso in viso come un peperone. Come se non lo avessi avvisato delle intenzioni di Marta. Lo so che è lei che ha provocato, ma, se uno vuole, due non litigano. E a te la lite piaceva una goduria. Ma l’ho data la strigliata a quella spudorata. Voglio vedere se ci riproverà più’.
Giacomo si portò alle spalle della figlia e dolcemente la bacò alla base del collo. Lei aveva sentito il padre mettersele dietro, ma non si aspettava un bacio. Trasalì, ma non gli dette soddisfazione.
‘Prima mi cornifichi e poi mi baci. Ti avevo avvisato sulle intenzioni di quella vigliacca!’, mugugnò debolmente.
Lui la abbracciò teneramente da dietro, la tirò verso di sé e accostò il viso alla guancia di lei. ‘Marta, in fondo, ti somiglia. E’ affezionata a me. Sta insieme a noi da quando sgambettava. Non puoi essere gelosa. Io ho una sola femmina nel mio cuore: te. Non posso sopportare nemmeno per cinque minuti che mi porti il muso. Su, avanti, sorridi’, e cominciò a picchiettarle la gota con dei baci. Lei non si muoveva, ma soppesò il ventre del padre pigiato sulle sue terga. E le ritornò in mente il primo pomeriggio, quando l’aveva frugata nel reggiseno, pizzicato i capezzoli e si sentì percorrere dal desiderio. Perché non la stringeva per il seno, invece che per il costato? E se fosse stata lei a tirargli le mani? Era troppo sporca la cosa. Le sarebbe piaciuto avvertire il maschio turbamento sul suo di dietro, che, non doveva dimenticarlo, aveva una parte ancora un po’ dolorante.
‘Avevi un suo seno artigliato con la mano’, disse lamentosa. ‘Era meglio del mio? Eppure me lo hai magnificato’, brontolò.
‘E lo continuo a magnificare. E’ sodo, morbido e voluttuoso, come nessun altro. Tanto. Tranne quello di tua madre, non ne ho mai toccato uno e, credimi, non ho valutato quello di Marta. E’ stato così immediato il tuo intervento’.
‘Ti perdono, per questa volta. Ti aspetto a tra poco, quando mi dovrai massaggiare il culetto, padre, a cui piace il seno delle ragazze giovani come Marta’. Detto questo si girò e lo guardò intensamente. Lui se la strinse forte al petto; il cuore gli pulsava focosamente.
Finito di cenare, stettero insieme a guardare un po’ di televisione, chiacchierando di tanto in tanto, lei accovacciata su di lui, la mano destra intrecciata con la sua di sinistra. Al momento di coricarsi, Giacomo la accompagnò nella sua camera per spalmarle la pomata. Lei prima si spogliò, poi tutta nuda andò a prendere nell’armadio il pigiama, indossando solo la casacca, quindi, si sdraiò a pancia in giù sul lettino. Giacomo non poté fare a meno di apprezzare. Era solo orgoglio, ammirazione di padre quella sensazione piacevole che lo percorreva? Raccolse il tubetto di pomata ch’era sulla scrivania, fece uscire fuori un po’ di unguento e cominciò a frizionare coscia e gluteo della figlia. Quando lei si girò, però, Giacomo, pur contemplando la rigogliosa macchia scura della figlia, si rifiutò di massaggiarla. ‘Qui, davanti, puoi fare da sola. Mi imbarazza toccarti lì. Buonanotte’. Si chinò verso il viso di lei, la baciò e se ne andò. Lei non disse nemmeno ‘ciao’, tanto era rimasta in attesa che l’accarezzasse nella sua sessualità.
Rimase in quella posizione per un po’ di tempo. Almanaccava mille idee per infilarsi quella notte nel letto di suo padre. Non si sognava assolutamente di fare l’amore: voleva solo provocarlo, eccitarlo, fargli prendere sempre più confidenza ‘ e più bramosia ‘ con la sua femminilità più segreta. Che scusa inventare? Era da due anni che dormiva da sola. L’aveva sempre assalito a letto, la mattina, scherzando, nudi o seminudi, tutti e due, solo che non c’era stata malizia. Ora, era diverso. Lui sarebbe stato attento. Aveva avuto il desiderio di lei: lei lo aveva sentito dal sesso gonfio. Quale emozione grande per lei tenerlo, sentirlo ergersi, tra le mani, vederne sprizzare il seme! Sentì la gola stringersi dalla voglia. Doveva trovare la scusa per coricarsi con lui. ‘Gli dico che mi sento di schifo, che mi gira la testa e che ho paura a starmene da sola nel mio letto. E, le altre notti? Troverò sicuramente altre scuse. Lui è così apprensivo per la mia salute che, se ora gli dico che non mi sento bene, mi terrà accanto a sé. E, se volesse chiamare il medico? Sarebbe capacissimo di farlo. Ecco: gli avrebbe detto che era il nervosismo per il fatto di Marta, che si sentiva insicura, più un fatto psicologico.
Detto, fatto. Si alzò e sgattaiolò di corsa nella stanza del padre. Qualche minuto dopo era nel letto di lui, che spense la luce del comodino e la invitò a starsene soprattutto nel suo lato. Poco dopo si addormentò. Lei, al contrario, aveva deciso di passare tutta la notte in bianco. Sapeva che suo padre non riusciva a dormire sul fianco sinistro. Bastava che lo incentivasse a dormire sul destro, che lo tirasse verso di sé. Poi, di tanto in tanto, avrebbe fatto in modo che si svegliasse per farlo ritrovare con la mano o sopra il suo seno o sopra il suo sesso. Lei, ovviamente, avrebbe finto di dormire della grossa. ‘Voglio vedere se non gli faccio nessun effetto. Comunque, prenderà confidenza con il mio corpo’. Così commentò con se stessa.
Quando si convinse che dormiva profondamente, prese Giacomo per la spalla e lo tirò in giù. Lui restò qualche istante supino, quindi si adagiò sul fianco sinistro. Con la mano corse a frugarlo dentro la feritoia dei boxer, trovò il sesso paterno e se ne colmò la mano. Poi, cominciò a masturbarlo lentamente, deliziosamente, fino a quando lo sentì duro e gonfio, quindi si fermò. Si accovacciò stretta contro di lui e, abbassatasi i calzoni del pigiama sulle cosce, ne trascinò la mano sul proprio sesso, scorrendovela sopra, mentre i suoi glutei riscontravano la virilità di lui che si ritrovò a pigiare. Agitò il suo di dietro sul basso ventre dell’uomo. Il piacere che la incalzava cresceva in lei vertiginosamente. Fosse dipeso dal suo desiderio, avrebbe preso il membro paterno e lo avrebbe infilato nella sua vagina. No’, voleva solo che si svegliasse e credesse che, nel sonno, si fosse avvinghiato alla figlia. A un certo momento, lo sentì agitare e capì che si stava destando. Si pietrificò nel letto, mentre con la mano, come se si proteggesse, sigillava quella di lui sopra il suo sesso. Avvertì distintamente, attimo per attimo, i movimenti del padre. Il suo iniziale non raccapezzarsi, la presa di coscienza che era addossato alla figlia in modo imbarazzante, la mano imprigionata da quella di lei nelle sue parti intime. Nel tentativo di liberarla, convinto che la figlia dormisse profondamente, la mano finiva con il raccogliere meglio quella conchiglia di femminilità. Lei avvertì immediatamente un momento di indugio, un altro timido tentativo di tirarla pian piano fuori, ancora un altro indugio, che diventò una leggera stretta, quasi un custodire quella sensualità segreta. Fece un’altra volta il tentativo leggero di sgusciare dalla mano di lei, poi un’altra sosta, e le dita di lui si allungarono sulla sua fessura, vellicandola come per saggiarne i contorni. Sentì allora la ferma decisione di lui di dare uno strattone alla mano della figlia. Lei si agitò con un lungo sospiro, lui, spaventato, si fermò. Lei, sempre la mano stretta sulla sua, se la portò sul suo petto, in teoria sulla casacca del pigiama, in pratica sul suo seno turgido e nudo, stringendola stretta a sé e abbarbicandosi con le terga contro di lui, per immobilizzarsi nuovamente nel più profondo dei sonni. Questa volta Giacomo apprezzò il seno della figlia. Sicuramente era ancora vivo il ricordo di quello di Marta e, in qualche modo, lo identificò. Lo raccolse così come la figlia lo costringeva, e, con le dita, lo compulsò. Se la serrò più forte a sé col dorso, il suo viso a ridosso della testa della figlia. Lei allentò la stretta sulla mano fino a liberarla. Lui prese a carezzarle tutto il seno, a saggiarne la rotondità, a gustarne tra i polpastrelli i capezzoli, che sentiva indurirsi. Lei avvertiva la forte eccitazione di lui e non riusciva a contenere il godimento che provava tanto, pur se lievemente, ad agitare le natiche contro il membro di lui. A un tratto lui la agganciò forte per un seno, mentre avvertì l’altra mano di lui raccogliere, mascherare, il membro e capì che stava eiaculando. Ora sapeva con assoluta certezza che lui la desiderava anche come donna. Capì che stava disteso, sveglio, a riflettere su quanto successo. Ma lei non era ancora contenta. Dopo alcuni minuti, si girò sul fianco verso di lui, sempre fingendo di dormire, addossandosi contro. Lui non la allontanò. A un tratto si sentì accarezzare i capelli, poi il viso. Lei, come per accomodarsi meglio, accavallò, piegandola, la gamba sinistra su quella di lui. Era come se sentisse lo sguardo di lui gravarle sul viso, roderlo. Si spinse ancora col capo sul petto di lui, che l’accolse protettivo. Ancora una carezza sul viso, sui capelli. Lei si agitò nel finto sonno ancora e, come inconsulta, con la mano piombò sul sesso di lui e, incontratolo, vi si aggrappò come, nel sonno, potrebbe fare una bambina col dito del padre. Sentì il sobbalzo di lui all’unisono con quello del cuore di lei. Era ancora appiccicoso per l’eiaculazione. Poteva leggere i pensieri della mente di Giacomo. Togliere assolutamente quella mano, ma come fare per non svegliare Giovanna? Lei stringeva tenacemente il sesso del padre. Lui tentò di aprirle le dita, senza però forzarle per non svegliarla. Ecco che nella sua mano il sesso di lui si gonfiava, si rizzava, diventava sempre più duro. Lui le afferrò la mano, tentando di liberarsi. Ma il desiderio ingolfava vertiginosamente entrambi. Lui non poteva rovesciare il suo caldo godimento sulla mano di lei, anche se ormai una gran parte di lui lo chiedeva. Le afferrò le dita e con forza le schiuse dal suo sesso, allontanandole la mano. Lei si lamentò nel sonno e si girò distesa sul dorso, balbettando con la voce impastata ‘Papà, oh papà, papà mio. No, Marta, no. Seno, seno. Papà mio’. Giacomo si chinò sul viso della figlia appena tracciato nell’oscurata trasparente e le sussurrò: ‘Sì, papà è tuo, sarà solo tuo. Il tuo seno, non immagini figlia mia quanto è bello, ammaliante’, e allungò la mano sul petto della figlia. Sganciò dall’asola l’unico bottone che teneva per finta i lembi della casacca, tanto per sentirlo completamente libero, perché di fatto era denudato, e lo velò per intero con una lunga carezza. ‘Non mi era mai accorto, tesoro mio, di questa meraviglia di femminilità, ma, piccolo amore mio, non posso concupirlo, non posso, proprio perché è il tuo’. Si chinò su quel seno, ne sfiorò con le labbra la pelle, i capezzoli, lieve, come una leggerissima brezza i fiori brinati nel mattino, quindi, si alzò e discese dal letto. Cercò una vestaglia, la indossò e si indirizzò verso il salone.
Giovanna, appena lo sentì allontanare, spalancò gli occhi, allarmandosi. Aveva ascoltato col cuore in tumulto la sua confessione. Lui l’amava, oh se l’amava, ma combatteva contro il pregiudizio che la donna desiderata fosse sua figlia. Quanto agognava baciarle il seno, ubriacarsene il viso, le mani, la bocca e lei lo voleva farlo dissetare. Avrebbe ancora atteso una mezz’ora, poi, avrebbe fatto finta di svegliarsi e sarebbe andata a trovarlo. Così, trascorso il tempo che si prefiggeva, si tolse il pigiama di dosso, mettendosi una maglietta bianca abbastanza aderente e lo slip: la seduzione esige innanzitutto meno svelamento. Era lui che l’avrebbe dovuto spogliare.
‘Che fai, papà, a quest’ora di notte, buttato sul divano?’, disse Giovanna, entrando nel salone, illuminato a giorno, ‘Mi sono svegliata e non ti ho trovato accanto a me. Stai male? Rispondimi, non farmi preoccupare. Ti preparo qualcosa di caldo?’.
Appena la vide, il viso di Giacomo si illuminò. I capelli sciolti, la maglietta aderente, lo slip minuscolo.
‘Mi sono svegliato, ti ho sentita blaterare nel sonno, ti ho fatta qualche carezza e mi sono messo a pensare. E ho sentito il bisogno di starmene solo qui nel salone.
‘Blateravo? E per questo ti sei preoccupato? Cosa ho detto di così inquieto?’.
‘Te la sei presa proprio assai per quella scena con Marta! Me lo rimproveravi nel sonno’.
‘E’ vero. Mi sono sentita tradita. Che vuoi? Mi ritengo la tua donna preferita. Se aveva tanto desiderio, mi dicevo, perché non il mio, ma quello della mia amica?’.
‘Perché è quello della tua amica. Voglio dire, se tu fossi un’amica, solo la mia cara amica, il tuo seno sarebbe la mia ebbrezza e il mio guanciale. Io sono tuo padre’.
Giovanna andò verso la parete e spense la luce. Il salone rimase appena rischiarato da quella del corridoio. Poi si avvicinò al padre e gli disse: ‘Chiudi gli occhi e pensa che sono solo una donna. Lo hai fatto?’. Silenzio. Si portò con le spalle a ridosso del petto di Giacomo, ne raccolse le mani e le portò sul suo petto. ‘Accarezzami, stringimi, stringi i miei seni più di quello di Marta. Tu li vuoi, li brami. Io lo agogno, sto impazzendo dalla voglia di sentirli tra le tue mani’.
Giacomo aveva le mani intorpidite e vibranti. La figlia gliele strofinò sopra le sue languide colline, poi, una lasciò a muoversi sul suo petto, l’altra la scese verso il suo sesso, sopra lo slip. Era una fiamma. Si inarcò spasimante di desiderio contro il petto di lui, le terga contro il suo bacino. Giacomo sentiva scaturire dai palmi delle mani schegge di fuoco che saettavano nella pelle, nei muscoli, nel sangue, nel cervello e, nello stesso tempo, c’era qualcosa, una grande ombra di ghiaccio che lo spingeva indietro nel buio con manate potenti. Le lasciò le mani e le portò al collo di lui, avvinghiandosi e torcendosi contro. Lui rimase con le mani inebetite, una in basso, l’altro sul busto, poi, meccanicamente, entrambe si portarono sui seni di lei, colmandole di essi. Iniziò un leggero movimento rotatorio, pressandole. Lei si sentì soffocare dal piacere. Avvertì la protuberanza del sesso paterno contro i suoi glutei e vi si strofinò più intensamente. Ora le dita di lui raccoglievano i capezzoli, turgidi come corbezzoli, e li strofinava sopra il tessuto, le stringeva, le stropicciava tra i polpastrelli, esasperandone il turgore e le stilettate di delizia. Lei non ne poteva più e si girò, rovesciando il busto all’indietro. Lui si chinò frenetico, calò le mani sui fianchi di lei, le infilò sotto la maglietta, sospingendola ruvidamente verso il collo, mentre ghermivano i seni di lei, quindi vi affondò, vorace, la bocca, stordendosi di quelle voluttuose colline. Sentì la mano di lei, a un tratto, cercare il suo sesso, trovarlo e serrarlo, bramosa. E il gelo calò sul suo cuore.
‘Che sto facendo’, gridò soffocato, staccandosi da lei di colpo, respingendola bruscamente. ‘Tu sei la mia bambina! Sono impazzito, sono impazzito! Giovanna, Giovanna, perdonami, sono impazzito!’. E, fuggì, inorridito, le mani pencolanti, quasi fossero state colpite dalla lebbra, con lei che lo inseguiva, spaventata, chiamandolo implorante: ‘Papà, papà mio, fermati, io ti amo, ti amo’, e scoppiò a piangere, disperata.
Lo trovò buttato a pancia in giù sul letto, il volto affondato nel cuscino,che singhiozzava sordamente. Si terrorizzò. Che aveva combinato! Questo significava essere amata da lui: sconvolgerlo, farlo impazzire? L’aveva predetto Marta: lo faresti impazzire. Non, no, non è possibile che perché abbia una donna, la debba cercare altrove, non nella figlia. Ma come fare, perché lui l’amasse senza sentirsi colpevole della più orrenda delle nefandezze. Lui l’aveva desiderata con violenza, tanta lunga e profonda era stata l’attesa. Perché non si era fermata prima? Non le era bastato sentirsi accarezzata, quando fingeva di dormire? Un altro giorno si sarebbe spinta più in là: non tutto in una notte. E’ che lei temeva Marta, temeva che glielo portasse via subito. Come si faceva a non innamorarsi di lei, così piena di vita, briosa, sensuale, bella? Ecco, perché si era vista costretta ad incalzare gli eventi. Sapeva che lui avrebbe ceduto, se l’amica si fosse trovata sola con lui. Preoccupata per l’incesto! Ma quando mai! Era la scusa valida per portarselo a letto. Sì, ne era innamorata sul serio. Come poteva non innamorarsi di suo padre? Non poteva perderlo. Gli avrebbe parlato, avrebbe capito, l’avrebbe stretta un’altra volta tra le braccia, trafugato il suo sesso, scompigliato i suoi seni, oh, sì, l’avrebbe posseduta, entrato dentro di lei, sarebbe stata sua per sempre.
‘Papà, papà’, invocò. Si sedette sul letto accanto al suo capo, lo tirò per la spalla, piangendo. ‘Sono stata io che ti ho costretto. Che potevi fare tu: respingermi? Eri preso da Marta, l’hai desiderata e in me hai ritrovato lei. Lo hai detto tu che sembriamo gemelle. Non tormentarti: pensavi a lei. E’ da una vita che non tocchi una donna, lei ti ha risvegliato i sensi intorpiditi per un lutto così esasperato. Io ti ho fermato, ma non la voglia di lei. Che potevi fare tu, se ho rinfocolato il tuo desiderio, costringendoti a raccogliere il mio seno? Io lo volevo, io lo voglio, bramo le tue carezze di uomo sul mio corpo. Ti prego, guardami. Vuoi che muoia? Perché mi sta scoppiando il cuore dalla paura. Non ti ho mai visto piangere così. Guardami, papà: sto male. Morirò: stanotte morirò’.
Era davvero spaventata. Non pensava realmente di morire, ma sapeva che quelle parole potevano scuotere il padre dalla prostrazione in cui versava. Voleva che si rifugiasse sul suo petto, come un bambino, che sprofondasse sul suo seno. Lo avrebbe cullato accarezzandolo, finché non si fosse addormentato. Le parole sortirono l’effetto sperato. Il volto rigato di lacrime, sconvolto, Giacomo sollevò il capo a guardarla a chiedere perdono e comprensione. ‘Vieni’, disse lei, ‘Vieni qui, amore mio, vieni qui sul mio grembo, dimentica tutto, lascia che ti culli’. Lui la guardò smarrito, si tirò più su per adagiarsi sul grembo di lei. Nessuno dei due pensò che quel grembo fosse stato così acceso di desiderio poco prima. Lei si chinò a stringerlo al seno come un bambino e, in silenzio, rimasero immobili, sconsolati, forse per più di un’ora, finché lui, spossato, si addormentò. Lei lo fece scivolare dal suo grembo sopra il letto, gli tolse la vestaglia, lo coprì con la coperta e, infilandosi anche lei sotto di essa, vi si distese, supina, accanto. Nel sonno lui la cercò, come un bambino la mamma. Lei con tenerezza, ma sempre con uno stilo di piacere, tirò su la mano dal fianco, dove lui l’aveva abbracciata, dentro la maglietta, a custodirle il seno. E lui nel sonno si aggrappò a quella mammella, quasi fosse quella della mamma. Sfinita dalle troppe emozioni, con la mano stretta a quella di lui aggrappata al suo seno, alla fine anche lei si addormentò.
Marta cenò velocemente a casa sua. Si ritirò quasi subito nella sua camera e si sdraiò sul letto. Rivisse i momenti trascorsi con Giacomo e rivide la mano di lui stringere il suo seno. E’ vero: ce l’aveva sospinta, ma lui non si era tirato indietro, anzi. E, se non fosse sopraggiunta la sua amica in un perfetto, voluto, tempismo, era più che certa che si sarebbe lasciato andare. Le bruciava ancora quella mammella dal calore del desiderio che era ancora profondo. E la non dichiarata masturbazione sopra il suo sesso? Era casuale, perché lei vi aveva costretto ad adagiare il dorso della mano, oppure lui, trovandosi, si era eccitato e voleva corrispondere al piacere di lei? Era stata vicinissima all’orgasmo, ma non aveva avuto il coraggio di raggiungerlo, perché non era certa della consapevolezza di lui. Ora, però, visualizzando la scena a rallentatore, ne era sicura. Era voglioso del suo pube, ne aveva sentito il calore umido e aveva accettato la sua lubrica offerta. Voleva forse dire che l’amava. Certo che no. Era abituato a lei come una figlia. E, forse, era stata la prima volta, che, provocato da lei, si era reso conto che era una ragazza attraente, sensuale, che aveva voglia di lui. Che le volesse bene era indiscutibile, che l’amasse lo doveva soppesare. Non doveva dimenticare che era da sedici anni che non toccava una donna e Giovanna, non sapeva fino a che punto nei giorni precedenti, ma certamente quel primo pomeriggio, l’aveva sessualmente cotto a puntino: lei aveva attirato su di sé un desiderio già infiammato dalla figlia. La figlia, già. ‘Figurati, se, una volta andata via io, lei non sarà ricorsa a tutti gli espedienti possibili addirittura per farsi scopare. La santarellina. Perché non la conoscono come me. Quella ha un fuoco dentro meglio di un vulcano in attività e vuole spegnerlo il più presto possibile col cazzo di suo padre. Se non si è fatta scopare stanotte, domani cercherò di bloccarla io. Andrò a trovarlo al lavoro. Dirò a Giovanna che ho dormito male per la scaramuccia che abbiamo avuto e che me ne resto a letto. Mentre lei è a scuola, vado a trovare Giacomo al lavoro. E, che resti zitella a vita, se non riuscirò a sedurlo. Forse. Dato il luogo, non a scopare, ma di fare qualcosa di forte, di farmi scoprire nella mia femminilità visibile e nascosta, questa sì. E passare dall’affetto all’amore il passo è breve. Come potrebbe non innamorarsi di me, che so tutto di lui, come lui di me? Sono davvero pazza di lui, ma lui lo sarà di me. E, se Giovanna se lo è portato a letto? Pazienza: lo farò sentire talmente in peccato, che entrare nella mia cosina gli sembrerà il più sicuro dei tabernacoli. Oh, Giacomo, se sapessi quanto ti amo e quanto ti desidero: ti precipiteresti come un assetato a bere l’acqua della mia passione!’. A forza di fare questi ragionamenti finì con l’addormentarsi.
III
La prima a svegliarsi fu Giovanna. Dalle feritoie delle persiane cominciava a filtrate la luce diurna.
Aveva dormito non più di tre quattro ore. Si destò di colpo, quasi sobbalzando. E si ritrovò, lei che è solita dormire quasi a pancia in giù, supina così come si era addormentata e suo padre aggrappato con la mano ad una sua mammella. Si stringeva così forte che le faceva male. Chissà nel sonno cosa significava quel molo a cui si era ancorato. Come se avesse paura di perdersi, di essere trascinato via. Si girò a guardarlo: Più che suo padre, le sembrò suo figlio. Amore e dolcezza le segnarono il volto. Aveva bisogno di lei. Forse non immaginava neppure lui quanto, ma aveva bisogno di lei.
E lei? Non riusciva ad immaginare la sua vita staccata da suo padre. ‘Io ti voglio, papà, voglio il tuo amore, ma anche la tua virilità. Voglio conoscere il maschio che è in te. Io ti farò capire che non mi fai del male se fai l’amore con me. Che è naturale come con qualsiasi donna di cui si è perdutamente innamorati. Fra poco telefonerò a Marta per dirle che resterò a casa. Mi sento di schifo e, poi, voglio restare solo con me stessa, a riflettere su che fare. Che gli dirò quando si sveglierà? Che è stato un incubo, irresponsabilità di un’adolescente in calore ormonale, che hanno giocato per un momento a fare gli amanti e che possono ritornare a ricoprire i loro ruoli del padre e della figlia tradizionali. Non esiste proprio. No’, papà, non ti darò tregua. Appena ti sveglierai, ti farò capire. A mente serena, ti renderai conto che non abbiamo fatto nulla di male, che non ti devi vergognare proprio di niente, non fosse per il fatto che sono stata io ad istigarti’. Questi i pensieri della fanciulla. La stanza rischiarata già dalla lucciola elettrica, si rinforzò della luce del giorno. Erano le 6,30. Staccò con una nota di dispiacere la mano di suo padre dal petto. Si alzò, tirò su una tapparella. Il tempo non era buono. Il cielo era coperto e prometteva pioggia. Poi, così com’era vestita, con la maglietta bianca della notte prima e lo slip, si avviò verso la cucina a preparare il caffè. La mattina lei e suo padre facevano colazione con una ricolma tazza di latte col caffè, che però sorseggiavano prima da soli. Poco dopo il profumo della bevanda si diffuse per tutta la casa. Riempì due tazzine e si riavviò verso la stanza da letto.
‘Papà, papà, svegliati: sono quasi le sette’. Giacomo sul da prima non si mosse. Lei rinnovò il richiamo e la testa di lui cominciò ad agitarsi. Poi si voltò di colpo, si sospese di colpo su un braccio e la fissò tra l’incantato e il timoroso.
‘Sono io, la fata turchina, brontolone. O preferisci Armida, la maga che incantò Rinaldo? Ti ho portato una tazzina di caffè. Su alzati: sto aspettando te per bere il mio caffè’. Lui un po’ tra l’inebetito e il perplesso, prese quasi macchinalmente la tazzina e, in silenzio, cominciarono a sorseggiare.
‘Smaltita la tragedia? Scusa, papà, sono brusca, ma bisogna prendere il toro per le corna. Ehi, mi vedi, mi senti? Sì, dicevo Armida o fata Turchina? Papà, fino a 13, quasi 14 anni mi facevi il bagno. Poi hai deciso di no. Ma già a quell’età i miei attributi femminili si erano ben formati e non ti sei mai sentito in peccato. E che, mi avrebbe dovuto lavare qualche altro? Abbiamo scherzato in casa, nel tuo e nel mio letto, ci siamo toccati, strofinati in qualsiasi parte del corpo, ho sentito il tuo sesso, tu il mio, ma quando mai abbiamo pensato che era male? Mi vedi nuda cento volte al giorno e i tuoi occhi hanno sempre sorriso alla mia vista e, di colpo, tutto è diventato scurrile, perverso.
Io ho bisogno delle tue carezze sia come figlia che come donna. Perché dovreste poterle somministrare a Marta e a me no? Non ti accigliar, né incupire. Sei, siamo, a mente fredda. Sono o non sono bella? Sono o non sono una ragazza desiderabile. Che cosa mi fa tale, se non le forme, che grazie a te e a mamma mi ritrovo? E perché di esse non dovresti bearti tu che me le hai fatte avere? Come me ne beo io quando mi accarezzi. So che sei ancora intontito da un senso di colpa assurdo. Giuro, non lo capisco. Mi sono appellata a tutta la mia capacità di capire, ma non ci sono riuscita. Perché è male ciò che desideriamo entrambi?’.
Lui la guardò sconsolato. ‘Perché sei mia figlia. Ti pare troppo poco? Sì, è vero. Ti ho fatto il bagno, anche quando i tuoi seni si erano formati e il tuo grembo si era impreziosito, abbiamo scherzato rotolandoci nudi l’uno sull’altro, ma tutto era fatto senza malizia, senza nessun altro piacere che di ridere e sorridere. Ora, se ti accarezzo, se stringo il tuo seno, è perché provo un piacere sessuale. Ieri notte sono uscito quasi di senno, perché ho dimenticato che sei la carezza del mio cuore, la cosa più pura e bella della mia vita. Se di colpo non fossi rinsavito, ricordandomi che sei mia figlia, ti avrei posseduto. Capisci l’orrore della cosa? Avrei violato il tuo grembo. Accarezzare, stringerti il seno, potrebbe ‘ anche se non sono affatto scusabile ‘ passare. Io, però, ti volevo come donna, volevo entrare dentro di te. Non puoi non renderti conto dell’enormità della cosa. E non ho scusanti, perché sei mia figlia e, come tale, psicologicamente influenzata da me. Pensi di fare il mio piacere e per questo mi porgi il tuo corpo, credendo che lo vuoi anche tu, ma invece sacrificandoti per me. Questo è peccato’.
‘Ora mi ascolti facendo funzionare realmente il cervello. Non farei mai, e non solo come figlia, ma anche come donna, una cosa che non vorrei, forse nemmeno sotto tortura. Potrei farlo, magari, per compassione, e non è certo il tuo caso, perché non sei un vecchio rimbambito, ma un uomo che ogni donna vorrebbe portarsi a letto. Ora tu farai quello che esigo io e senza protestare. No, non gesticolare: niente protesti. Poi, ci rifletti, e quando torni dal lavoro ne riparleremo. A scuola non vado oggi. Figurati. Sono uno straccio e ho solo te in mente come un mare in tempesta. Guardami e accarezzami e, se non lo fai, mi vesto, me ne vado e non mi vedrai più. Vivrò a modo mio, a costo di battere i marciapiedi’. E pronunciò le ultime espressioni con voce dura e ferma, scandendo le sillabe e fissandolo gelida. Si tolse la maglietta e lo slip, mentre lui, seduto sulla sponda del letto la guardava atterrito. Gli si accostò sino a lambire i suoi ginocchi.
‘Ora, tu accarezzi e baci il mio seno e il mio sesso finché te lo dico io, così finalmente ti renderai conto che non sono manovrata che da me stessa’.
La sua voce era perentoria e gelida. Non l’aveva mai vista e sentita così: era irriconoscibile. Non aveva senso accarezzarla su imposizione. Sapeva, però, altrettanto bene che era capacissima di fare quel che aveva minacciato. Si sentì perso. E, nel contempo, alla luce ormai piena del giorno come non sussultare per la bellezza abbagliante, tale da stregare anche un santo eremita. Era lui, questa volta, che spontaneamente doveva accarezzarla e baciarla. Non poteva, non poteva, ma l’avrebbe persa.
Allungò le braccia e la prese per il bacino, attirandola più vicino a sé. Non era per nulla eccitato. Si sentiva ridicolo. La baciò sul ventre, poi, lentamente scese verso il vello riccioluto e lo trascorse frugandolo in lungo e in largo, cercò il solco della fessura del sesso picchiettandolo di baci. Lei pareva una statua; nessun fremito, nessun movimento. Si sollevò dal letto e, con la bocca, raggiunse i suoi seni percorrendo con le labbra la loro intera sfericità e le loro rosee cime, se ne colmò le mani serrandoli e accarezzandoli.
‘E ora baciami’, lo interrupe, sempre gelida, lei, ‘sulla bocca, un bacio pieno, intenso, con la lingua. Non poté che obbedire. Le prese il capo tra le mani e accostò la bocca a quella di lei. A poco a poco il calore, la tumidezza, il sapore, l’avidità di quella bocca smossero qualcosa in lui e il bacio cominciò a diventare profondo, passionale. Lei rispose con altrettanta avidità e passionalità a questo. Non aspettava altro. Sentì l’abbandono del padre e si strinse forte a lui incollandosi col bacino al pube del padre. E la passione fece il miracolo un’altra volta: il sesso di lui lievitò, si inarcò, si inturgidì cozzando, pur se dentro i boxer, contro di lei. Se avesse voluto, lo avrebbe potuto spingere sul letto e forse fare l’amore. Rimandava tutto al rientro del padre. Per quella mattina poteva bastare.
Si staccò da lui, sorridente. ‘Allora, hai visto che non è proprio orribile?’.
‘Certo, ho visto, signorina. Non sei sicuramente la fata turchina, ma la maga Armida. Non farò, però, la fine di Rinaldo. Ora lasciami vestire. Posso?’.
‘Puoi, puoi’, rispose lei divertita. ‘Quanto telefono a quella vipera, intanto’.
La sorpresa di Marta fu forte. Non se l’aspettava davvero. Forse quello che temeva era accaduto. Il rimedio era ancora possibile, però. E, l’occasione che le forniva l’amica, era irripetibile. Invece di farsi accompagnare a scuola ‘ perché non credeva che Giovanna avesse diffidato il padre di non dare il solito passaggio all’amica, – sarebbe andata con lui al lavoro. Del resto, se fosse stato circuito da Giovanna, avrebbe volentieri fatto ricorso, non fosse che per sfogarsi, alle sue grazie. Così, eccitata, fece velocemente la doccia, consumò presto la colazione, si liberò della camicia da notte, mise delle mutandine bianche di pizzo, molto traforate, si allacciò il reggiseno a balconcino, indossò lo stesso vestito della sera precedente e, alle otto in punto, si presentò davanti al cancello di casa. E lui arrivò. Eccitato. La figlia, dietro la porta della soglia di casa l’aveva baciato appassionatamente, tirandosi le mani di lui sul seno e lui, questa volta, aveva stretto con desiderio quelle ghiandole di carne, scherzando con i capezzoli. Lei, disinibita, l’aveva frugato nei calzoni, accarezzando e mungendogli il sesso. Poi gli aveva sussurrato: ‘Stringimi la fica’. E lui, pur tremante, la cercò nel sesso fino a bagnarsi la mano. Lei lo sospinse via di botto. La frenesia a lui di lei era rimasta.
‘Le devo parlare’, disse lei salendo in automobile. Si accorse subito che c’era qualcosa che non andava. Aveva le occhiaie ed era pallido e teso. C’era lo zampino dell’amica e che zampino! ‘Riguarda Giovanna, lei e anche me. Un garbuglio a cui sono convita io e lei possiamo mettere fine.
Senta: non vado a scuola, vorrei venire con lei. Nella sua stanza avremo tutto il tempo che occorre per districare una matassa davvero pericolosa’. Era abbastanza intelligente Giacomo per intuire che Marta sapeva qualcosa o tutto. L’ascoltò in silenzio e lei continuò: ‘Non ho remore, quando ci sono di mezzo i miei sentimenti veri, ad essere schietta. Sa anche che Giovanna e io siamo come sorelle, ma, anche tra sorelle, c’è competizione, soprattutto in amore. Sì in amore, ha capito bene. Tutte e due siano perdutamente innamorate di lei, solo che una è la figlia, l’altra non lo è. Sicuramente sono molto giovane e, magari, pensa che la mia giovinezza non si confà a scelte definitive che dovrebbero essere tipiche di un’età più matura. Come se intelligenza e maturità coincidessero con l’età!’. Gli prese la mano e, tenendola nella sua, se la poggiò sulla propria coscia. ‘La conosco da sempre e l’ho amata da subito. Forse non avrei avuto il coraggio di essere così esplicita, se non ci fosse stata la svolta che ha preso la vita di Giovanna. Qualcuno mi riterrebbe sfacciata: sono solo sincera. E, poi, se si ha la febbre altissima, i rimedi si devono prender subito. Non mi risponda per ora, mi ascolti solo. Non so se, in automobile, riuscirei poi a continuare. So che non le sono per nulla indifferente, voglio dire che non mi considera solo come una figlia. Non arrossisca per ciò che ora le chiederò, ma è necessario che lo faccia. Eleonora la sta mettendo in croce e lei non sa come fare, perché l’adora, inoltre è così bella da mozzare il respiro, solo che lei non l’ha mai vista, e da padre non poteva, sotto l’aspetto sessuale, mentre ha visto me e, forse, anche per merito di quello che stava ‘ o era già accaduto – per accader tra lei e Giovanna. Ecco che vedendo me ‘ e io l’ho incoraggiata ‘ si è reso conto che l’attenzione che mi rivolgeva non era filiale ma sessuale. Ah, è da dieci giorni che prendo la pillola, in vista del nostro incontro, perché io sono la salvezza e la soluzione dell’incesto sicuro. La parola è pesante, ma non è sostituibile. Allora, mi ascolti e mi corregga, lasciando la sua mano dov’è ora, se sbaglio – ma sia sincero, onesto, ancor prima con se stesso che con me, – viceversa la lasci scivolare dove sta più a suo agio e mio. La sua mano sul mio grembo scorreva per pura combinazione o perché desiderava farlo, perché aveva capito che lo desideravo anch’io?’. Lei tolse la mano da quella di lui e attese la risposta con il cuore quasi fermo nel petto. La mano di lui per degli attimi che parvero eterni non si mosse, poi, timidamente, cominciò a risalire fino a raggiungere il bordo delle sue mutandine. Lei la raggiunse e la sospinse sul suo sesso, mentre allargava le gambe perché lui potesse tutto comprenderlo. E lui lo raccolse, stringendolo dolcemente. Il cuore di lei fibrillava dall’emozione e dal piacere.
Rimasero in quella posizione finché raggiunsero la piazzola del parcheggio dell’istituto in cui lui lavorava. Si guardarono intensamente negli occhi, poi scesero dall’automobile. Molti di quelli che li scorsero insieme la scambiarono per la figlia. Dopo essersi presentato dal dirigente dell’azienda, entrarono nell’ufficio, lui avanti e qualche istante dopo varcò anche lei l’uscio, lo zaino dei libri penzolante dalla mano. Si inoltrò alcuni passi nella stanza molto ampia e si guardò attorno, Una grande libreria tutta a muro alla sua sinistra, un grande scrittoio, con gli strumenti tipici di un ingegnere alla sua destra, le sedie, una credenza e qualche altra cosa. Era rivolta verso la libreria, quando lui, chiusa la porta a chiave, si precipitò alle sue spalle e con irruenza la ghermì per il petto. Lei si abbandonò sulla sua spalla, illanguidita, gli occhi chiusi, per alcuni istanti, con sospiri di piacere. Sempre con foga le sbottonò il giaccone, strappandoglielo di dosso insieme allo zaino che teneva in mano e scaraventando il tutto per terra. Lei cercò di abbracciarlo, di baciarlo, ma lui era una furia di desiderio, scatenato e trattenuto dalla sera prima da sua figlia, da lei e ancora da sua figlia. Era come un tifone scatenato in tutta la sua violenza che investiva la fanciulla come un fuscello, che si lasciava travolgere da quella furia di desiderio e passione, mentre tentava di afferralo per il capo, le braccia. Si ritrovò con le spalle addossate alla libreria, mentre lui le tirava su il top e cercava i suoi seni. Li trovò e li estrasse bramoso dalle coppe del reggiseno, mentre lei rantolava sospirando di languore. Li serrò ingordo, tempestandoli di baci, poi, mentre li serrava frenetico tra le mani, si abbassò a cercare con il viso il suo sesso e, sopra lo slip, precipitò vorace la sua bocca, mulinandola con disperata bramosia. Lei, gli occhi perduti nel piacere, si aggrappava alla maglia di lui sopra le spalle, le labbra schiuse in lamenti di godimento. Nuovamente risalì con la bocca a ramingare sui suoni seni, senza staccare le mani abbarbicate ad essi. Poi si alzò del tutto in piedi e la guardò bruciante di desiderio negli occhi. Lei lo ricambiò con uno sguardo di fuoco. Le loro bocche si incontrarono arse e furenti, rovistando ingorde l’una nell’altra con la lingua, mentre lei lo teneva per i capelli, per il viso, frenetica. Poi, dette un balzo, allacciandosi con le gambe al suo bacino, e lui la sorresse, tenendola sollevata da terra. Si frugarono negli occhi ruggenti di passione, poi lei si avventò con la bocca su di lui, quasi la volesse divorare. Erano, ansanti e irrequieti, bruciati da una voglia esasperata di possesso. Mentre si teneva aggrappata, lui le sfilò con impeto il top e, trascinandosi a balzelloni, la portò sulla larga scrivania, accomodandola con i glutei sul suo piano. Lei era solo un profluvio di gemiti e sospiri. Stette per alcuni istanti seduta, cercandolo con le braccia, artigliandolo con le mani e smaniando con il capo, poi, si sdraiò sulla scrivania. Il reggiseno sempre attaccato con le mammelle che, come cupole di marmo, totalmente libere luccicavano superbe di voluttà, si sperdevano tra le dita di lui mai sazie e le labbra che le inseguivano avide. Infine, cercò il suo sesso. Lei agitò scompostamente le gambe, lui rapido le strappò lo slip, poi si chinò sulle labbra nascoste del suo sesso. La trafugò fino alla sua verginità con le dita, le labbra, la lingua. Cercò la sua corolla nascosta facendola naufragare nel piacere. I gemiti di lei si erano fatti rantoli. Era disperata dalla voglia che lui la penetrasse, ma lui continuava, assetato, a farla godere con la bocca e le dita. ‘Prendimi, prendimi’, riuscì, ormai persa nel godimento, a sussurrare, e serrava, quasi a stritolarlo, le gambe sulla sua schiena. Allora lui si spogliò completo. Ricercò nuovamente il suo petto, lo compulsò sino a sfinirlo, a renderlo quasi insensibile. Ne divorò i capezzoli con le labbra, succhiandoli a sangue, li stritolò quasi tra le dita, tanto ne era voglioso. Poi, ridiscese solcando il ventre, il pube e il sesso con baci brucianti. E di nuovo le labbra e la lingua e le dita in quella fessura lasciva. Lei ormai fuori di sé si sollevò, lo prese per i capelli, lo cercò con gli occhi spiritati. ‘Prendimi’, invocò la voce roca, quasi irriconoscibile. ‘Scopami, scopami ora’. Lui la respinse giù sulla scrivania e, senza più indugiare, poggiò la cuspide malva della sua virilità tra quelle labbra fumiganti di desiderio. Il respiro di lei si fermò nell’attesa. Ecco, lui spinse. Un colpo deciso e la sua illibatezza s’infranse e, mentre lui scorreva dentro di lei fino ad esplodere la sua traboccante passione, lei naufragò sommersa in un oceano di godimento senza confini. Rimasero ansanti per alcuni minuti, ancora, però, gravidi di desiderio. Lui aveva ancora una voglia divorante di lei e lei non era sazia del primo bruciante rapporto d’amore. Tuttavia, entrambi dopo quella travolgente sfuriata di passione si rese conto che erano nell’ufficio dell’azienda e che in qualsiasi momento chiunque poteva bussare per entrare. Si guardarono perduti di passione, poi lei si sollevò e scese dalla scrivania. Lui la guardò ammaliato dalle sue forme scultoree e lei arrossì compiaciuto da quello sguardo e si girò, mentre si rivestiva. ‘Ti amo’, disse lui, la voce tremante. ‘Lo sapevo di già’, rispose lei sorridendo. ‘Che io ti ami, ti adori, lo sapevi di già. Ho bisogno di pulirmi e di pulire anche il tavolo che si è sporcato di sangue. Dove sono i bagni? Mi basta che ci sia un lavandino. Nella prospettiva di fare l’amore con te mi ero preparata il necessario. Ma, forse, ti devi pulire anche tu’.
‘Certo che ti accompagno’. E la guardò malizioso. Lei gli si accostò per baciarlo. Lui, pronto la strinse a sé e la serrò di sotto. Lei avvertì la prepotenza con cui ancora la desiderava e la colmò di piacere, mentre si sentiva mancare. ‘Lasciami che mi cola tutto. Fammi mettere un panno’. Estrasse dallo zaino un panno e se lo sistemò dentro lo slip. Poi, insieme uscirono per avviarsi verso i bagni.
Tornati nell’ufficio, lei lo invitò a raccontargli cosa fosse accaduto dopo che lei se ne era andata e che gli aveva lasciato nelle occhiaie e nel pallore le stimmate d’una notte insonne e pesante. E lui fece un resoconto del rapporto con sua figlia, tacendo il tentativo di seduzione e della sua pazzia giunta al limite di scoparsela. Le disse che avevano parlato di lei, Marta, che si era troppo offesa, che voleva che se un seno o una passerina dovesse toccare erano le sue, di lei Giovanna, che non erano da meno di quelle della sua amica e che questo gli avrebbe permesso di passare la fregola. Che poi l’aveva costretto sotto ricatto di andarsene di casa a fare sinanco la prostituita perché lui le baciasse e accarezzasse il seno e il sesso e lui, se pur mal volentieri e col gelo nel cuore, ma solo per amore suo, l’aveva ubbidito, ma questo l’aveva sconvolto all’inverosimile. Non aggiunse che l’aveva, infine, fortemente eccitato. Marta, però, questo l’aveva compreso da sé.
‘Povero amore mio’, disse turbata e commossa Marta. ‘Non cederà facilmente e tu l’accontenterai per quel che puoi. Ha bisogno disperato di te. Se tu la respingessi totalmente, sarebbe capace di uccidersi. So che l’incesto ti fa orrore, ma ci sono tanti modi di appagare la voglia di una donna, senza rapporti intimi definitivi. Sai, domani è sabato e tu resti a casa. Mi assenterò da scuola pure domani e all’ultimo momento lo farò sapere a Giovanna, quando verrà a casa mia per andare insieme a scuola. Ti verrò subito a trovare. E faremo l’amore nel tuo letto come si deve. La voglia le fece increspare le pelvi e fece per accomodarsi a cavalcioni sulle sue gambe, ma bussarono alla porta e, rapidamente si scostarono l’uno dall’altra.
Lui dovette assentarsi per parecchio tempo dall’ufficio, lei si mise a gironzolare, scartabellando qua e là, frugando nei cassetti, curiosa. Poi, decise di studiare. Tirò fuori un libro, ma nella testa scalpitava solo il pensiero di lui. Lo desiderava tra le sue braccia, sopra il suo seno, dentro di sé e una irrequietudine, una sorta di febbre la trascorreva. Era stato intenso, furioso, il rapporto, ma non aveva placato la voglia così vasta che aveva di lui, toccare il suo sesso, sentirlo ingrossarsi nelle sua mani, bearsi del fiotto caldo zampillante per suo intervento, Sì, volevo masturbarlo e ammirarne l’effetto. ‘Domani, ci rifaremo domani di quello che oggi non è stato possibile. Anzi, oggi, papà e mamma mancheranno più o meno un’ora, ma almeno per mezz’ora, solo per sicurezza, potremo stare insieme. Lo farei passare dal seminterrato. Troverò una scusa a Giovanna per allontanarsi un po’. Si lo farà, pure lui brucia dall’ardore di fare l’amore. Sedici anni d’astinenza. Dio, stare con lui in un letto per 24 ore di seguito! Il gaudio sarebbe estatico, per quante volte mi scoperebbe. Domani, a qualsiasi costo, mezza giornata insieme. Dovremo assolutamente non insospettire Giovanna’. Questi i pensieri di Marta, mentre tentava di studiare. Era quasi mezzogiorno, quando lui rientrò. Lui accostò la porta e lei gli balzò di sopra. Fu tanta l’irruenza che lui per poco non cascò per terra. Gli afferrò il volto tra le mani e lo cominciò a baciare, sussurrandogli: ‘Scopami ancora, mi è rimasta una fame ingorda di te’. Lui rispose con bramosia a quel bacio e le cercò subito il seno, tanto ormai l’agognava. Ma, era pericoloso rifare l’amore in quel posto: qualcuno poteva entrare improvviso. Il respiro affannato, riuscì a scrollarla di dosso.
‘Non ho fatto nulla oggi: solo aiutato il collega. Fossero così tutti i miei giorni. Non posso più fare a meno di te, mi sei entrare come lava nel sangue, ho bisogno di stringerti, baciarti, amarti’ Oh, Marta, non mi capisco più. Ti dovrò parlare di mia moglie, devi sapere da me. Tu sola sei riuscita a scalzare il suo fantasma’.
‘Perché hai riscoperto l’amore, quelle grande, unico, con me. Non mortificare Giovanna, però; è mia sorella e ne morrei se dovessi perderla. Ucciderebbe il nostro amore. Non so come potrai risolvere il rapporto con lei, ma non farla soffrire, lei deve solo gioire, anche se non dovrà mai sospettare di noi. Le ho detto mi prendo tuo padre, ma non sino al punto di perdere lei. Non ti posso dare consigli. Solo tu puoi sapere cosa fare con lei. Verso le 15,30 i miei genitori si recheranno da mio zio, mancheranno forse un’ora. Ma a noi basta mezz’ora per vederci. Trova una scusa più che plausibile per Giovanna, ti aprirò l’autorimessa e passerai di lì. So che non mancherai’.
Si ricomposero entrambi, lui sistemò alcune pratiche, lei lo zaino. Si fece l’ora di andare e alla chetichella uscirono per recarsi al parcheggio. Durante il tragitto parlarono del più e del meno, Lei non l’aveva mai visto così ciarliero e contento. Ogni tanto allungava la mano e le cercavo il seno o il sesso dentro lo slip facendola languire dalla smania. Poi, si fece coraggio e, arrossendo mentre lo fissava vogliosa, gli aprì la patta e, febbrile, gli cercò il sesso. Lo voleva tenere in mano, vederlo. Lui sussultò alla sua presa e, già eccitato, il pene si inarcò ancora più gonfio. Lei lo tirò fuori e si chinò a guardarlo da presso. ‘E’ la mia prima volta. Ne ho toccato qualcuno, ma non visto così da vicino. Quanto è bello e come pulsa nella mia mano’. ‘Marta’, disse in apprensione Giacomo, lasciami ché devo guidare’. ‘Tu non guardare’, rispose lei attizzata. ‘Me la vedo io con questo balordo altezzoso’. E cominciò a masturbarlo. Poi, inaspettata, si piegò sul grembo di lui e lasciò sprofondare tra le sue labbra quel maglio di carne. L’auto fece un sobbalzo per un forte colpo di freni, sbandando da un lato, quando lei conobbe gaudente il sapore di lui.
Come quasi ogni giorno trovò Giovanna che stava preparando il pranzo. Indossava una larga camicia bianca a strisce grigie che le scendeva fino all’attaccatura delle cosce sotto la quale si intravedeva il cavallo bianco dello slip.
‘Cos’è questo caldo da canicola? Perché hai acceso i termosifoni a questa temperatura?’, chiese lui mentre le si avvicinava.
‘Mi ero presa troppo di freddo e poi volevo stare in déshabillé. Sarà pure per il gluteo che ancora mi fa un po’ male e che aspetta il tuo massaggio, senza però imbrattarmi di pomata. Non ho fatto caso al troppo caldo. Abbassa tu il termostato. Non mi hai ancora dato un bacio’, disse lei, guardandolo appena.
‘Stavo per farlo. Mi ha bloccato la mancanza di ossigeno. Corro a far diminuire questa calura da sauna’.
Dopo alcuni istanti tornò, portandosi, al solito alle spalle della figlia, l’allacciò per i fianchi e, spintosi col viso verso il suo capo, la baciò teneramente sulla guancia.
‘Sei rimasta a letto fino a qualche minuto fa? Sei riuscita a dormire un pochino?’.
‘No. E come avrei potuto: avevo in mente solo te e i tuoi pregiudizi’.
‘Perché, amore mio, ti ostini a chiamarli pregiudizi? Ti sei mai accorta che l’incesto sia un fatto ordinario? Ci dev’essere pure una ragione, se la quasi totalità degli esseri umani lo aborre’.
‘Pfui. Solo per vigliaccheria e ipocrisia. Fallo pure, ma non fallo sapere a nessuno. Non ho nulla contro l’omosessualità, però non capisco: essa è accettata e un rapporto tra consanguinei è messo al bando. E’ illogico, irrazionale. Ma, quel che mi fa rabbia è che tu, pur desiderandomi fino alla radice dei capelli, scalzi ad entrambi la felicità per uno stolto pregiudizio. Mi hai accarezzata, baciata, stamattina, ma come si può fare con una statua di marmo, senza coinvolgimento, passione e, poi, solo per costrizione affettiva’.
‘Ma non è vero. Ti ho baciata con tanto piacere. Solo che mi hai spaventato con le tue parole. Io entro in ansia quando hai un raffreddore: sentirmi dire che saresti capace di fare la prostituta!’.
‘Se ti fa orrore toccarmi da uomo, non da padre, se non l’apprezzi tu che dici di adorarmi, almeno le mie forme mi serviranno per fare soldi e mantenermi’.
‘Dici solo spropositi e sei cattiva così. Vuoi ferirmi, farmi male’.
‘Io farti male, eh! Non tua figlia che si è sentita respinta come un cane infetto. Se non ti faccio ribrezzo, allora, perché mi hai abbracciato solo cingendomi per i fianchi? Un uomo innamorato, appassionato della sua donna, appena arriva e la trova così agghindata, non la stringe per i fianchi, ma in posti più appetibili. E’ nelle piccole cose istintive che si scorge quello che pensa una persona’.
‘Giovanna, Giovanna, se tu potessi entrare in ogni mio neurone, ti sgomenteresti per i cavalloni di magma incandescenti che sommergono il mio cervello quando mi sei vicina, nuda o vestita. Che ne sai della lotta spaventosa che mi demolisce come l’onda violenta fa con gli scogli con il loro schiaffo per frenare la tentazione incoercibile che ho di inebriarmi della voluttà di tutto il tuo corpo voluttuoso, lussurioso. Le tue mammelle sono frutti che stillano droghe aulenti, le tue segrete pieghe del sesso sono sorgenti di succhi inebrianti, cha smagano le forze e ottundono la mente con gorghi di voluttà senza confini’.
Giovanna cullata dalla sensualità erotica di queste parole aveva abbandonato illanguidita la nuca sulla spalla del padre, trascinandogli le mani sul seno agitato. E lui questa volta non si sottrasse all’invito. Forse, nel suo desiderio incalzante, le forme della figlia si confondevano con quelle di Marta, ma questo rinfocolava l’ardore e la voglia di lei. Cercò sul tessuto i capezzoli e li serrò tra le dita, plasmandoli e stirandoli, mentre affondava la sua bocca nell’incavo del collo tappezzandolo di piccoli morsi focosi. Lei portò le mani su quelle di lui per sentirle meglio scompigliare quei globi di voluttà. Poi, ormai travolta dal piacere e dalla voglia, si girò, frenetica, verso si lui, percorrendolo con le mani sul viso, le spalle, il petto e tempestandolo di baci, mentre scivolava, chinandosi, verso il suo pube. Gli slacciò la cintura e, smaniosa, tirò giù i calzoni con i boxer, lasciando emergere il sesso bramato che ormai era già inalberato. Raccolse tutto il genitale paterno con entrambe le mani, coccolandolo, carezzandolo, vellicandolo di baci, risucchiandolo, lungo l’asta, i testicoli, il perineo. Era come se volesse stordirsi mulinandolo sopra il suo viso, rifarsi di tutto il tempo che l’aveva bramato. Era come se avesse voluto assorbirlo dentro di sé, ne era avvinta, appassionata. Tutto, tutto suo: lo poteva stringere, compulsare, masturbare quando e come voleva. E in questo si esaltava strattonandolo, esplorandolo, frenetica, sempre più. Lui ormai era intrappolato in quella forsennata ridda di sensazioni erotiche delle manipolazioni della figlia, intontito da quel turbinio di godimento che gli sprigionava. Ora, impastava i testicoli, ne saggiava il turgore, li mungeva fino a fargli male, poi, afferrava l’asta del pene ora per masturbarlo, ora per sprofondarlo nella bocca e, avida, a succhiarlo come una ventosa, facendo gemere l’uomo fino al midollo. Di colpo, poi, lo lasciò, sollevandosi e cercando impaziente con le mani e le labbra il viso di lui, la bocca. Era una menade fuori di sé. Roteava le labbra e la lingua come un vortice in una tempesta di mare e con le mani gli tirava i vestiti di dosso: lo esigeva nudo sul suo corpo nudo. Lui, ormai, non capiva più nulla di ciò che faceva, armeggiava con le mani, la bocca. Sapeva solo che bramava quel corpo di donna straripante sensualità, voleva assorbirne ogni poro, stordirsi sino al delirio. Sotto quel camicione, febbrile, cercò i suoi seni e, impacciato da quello, lo lacerò con vigore, scaraventandolo per terra. Rincularono verso la porta contro la quale l’appoggiò. Una furia di baci, di morsi, di insaziabili, stritolanti, palpeggiamenti, devastò come un simun il petto di lei, tanto da sconvolgerla, da farla torcere preda di un godimento inaudito. La sospese contro la porta e le fece sentire il suo sesso rigonfio e proteso come un obelisco sprofondandolo nell’incavo perineale ritmicamente, strusciandolo contro. ‘Prendimi’, ansimò lei supplichevole ‘prendimi’ e si incollava al suo pube. E, visto, che lui non si decideva, allungava smaniosa, la mano su quello scettro di carne per impalarsi da sola. Ma lui la bloccava, tirandosi indietro. Ma lei smaniava per essere riempita.
‘No, non posso. Lì, amore, ancora non posso. Se vuoi, solo se vuoi, l’altra apertura. Lì agogno violarti per ora, lì darti un grande piacere’. Lei, piagata dalla fregola, rovesciò il suo assenso con il capo. Ardeva tenere dentro di sé, sentirsi nel corpo quel maglio bruciante di carme. Lui, pronto, dapprima la percorse in verticale sino a cercare il suo pube scompigliando il suo vello rigoglioso con le labbra e la lingua, poi trovò il suo sesso e il piacere nascosto tra le su lussuriose pieghe carnose. La stremò fino all’abulia dei sensi scavando una polla di tormenti di voluttà, fino a che tutta la parte fu sola un unico spasmo, una sinfonia assordante di voluttà. Gli orgasmi rampollavano a fiotti. Di colpo, lui la girò, la fece piegare sul bordo del tavolo della cucina, a cui lei s’abbracciò, le allargò le gambe allo stremo, impastò quelle luminose cupole fumiganti erotismo, ne aspirò la fragranza, le pizzicò, mordicchiò, stremandole di desiderio, trascorse le labbra sul solco intergluteo, facendola rabbrividire, lo vellicò con la punta delle dita, lo rese trepido di gaudio al tocco della sua lingua. Che fece scorrere, forzandola, nella corolla grinzosa, la allargò con un dito, poi con due, ve li fece girare blandamente, infine poggiò la punta del suo sesso ruggente, lo spinse delicatamente e la penetrò. Si chinò tutto sulle spalle di lei e con le mani le cercò le marmoree mammelle, la costrinse a sollevarsi un po’ sulle braccia e, mentre quasi stritolava quelle sfere libidinose, si mosse nelle sue terga, prima lentamente, poi sempre più veloce. Lei avvertiva con tuffi del cuore ogni volta che i testicoli di lui le schiaffeggiavano il di dietro. Il piacere dentro le sue viscere e nel suo cervello si ingolfava sempre più, inondandola, fino a sommergerla, facendola gemere senza ritegno. Quando avvertì lo spasmo di lui che si contraeva rigido sulle sue natiche e un caldo ruscello la invase dentro, si sentì naufragare nel godimento e le mancò il respiro. Rimasero l’uno sull’altra per alcuni minuti. Poi, lui uscì dalla lubrica strettoia, girò la figlia verso di sé e la serrò, nuda e appagata, il viso radioso, contro il suo petto. Si sentiva sgravato di un peso grande come quella di una montagna immensa e aveva provato una gioia e una voluttà inimmaginabile. Aveva sentito la figlia sua come non mai, se l’era sentita dentro la pelle, quasi fosse stata assorbita per osmosi. Spadroneggiare sulle sue forme, depredare con foga quei seni tanti ambiti con la carnalità dell’uomo gli aveva fatto toccare il diapason del godimento. Quelle sfere voluttuose erano davvero sue, quella fessura gravida di indicibili lussurie gli apparteneva. Un tormento così distruttivo ed era stato così naturale e appagante. E Marta: sarebbe dovuto andare tra poco a trovarla? Ora che il tabù s’era infranto, anche se non aveva violato la sua illibatezza verginale, poteva tralasciare l’altra. Giovanna era più che esaustiva per i suoi torridi sensi. Ma Marta era qualcosa di diverso, non capiva in che cosa, ma sapeva che lo era, e in modo diverso la desiderava. Inoltre, sapeva quasi tutto di loro. Poteva essere un pericolo. No, Marta non poteva essere messa da parte. Il tempo avrebbe deciso. Giovanna, però, non doveva sospettare nulla di lei: sarebbe stata la fine di tutto. Due donne, belle e sensuali in modo supremo, nel fiore dell’adolescenza, si concedevano a lui senza riserve e tremori. Sedici anni di castità e, di colpo, tanta verginale abbondanza. Forse era la ricompensa per tanto tempo di lutto. Sentì che Giovanna si stringeva beata al suo petto e lui avvertì con delizia il tepore morbido dei seni marmorei pigiare contro. Eppure, entrambi avevano ancora voglia l’una dell’altro. Lui le sollevò il viso e la baciò morbidamente. Gli occhi di lei risero di complicità.
‘E’ stato meraviglioso’, disse con la voce arrochita, mentre allungava la mano ad accarezzargli il sesso e raccogliendolo. ‘Com’è tenero e carezzevole, ora! Eppure fu così bellicoso, prepotente e spietato. Che spudorato! Ha forzato, inesorabile e goloso, un uscio insolito all’uso. Ma gli perdono di cuore: ha dato tutto se stesso con irruente passione. E tu che ne tieni le briglie, tra poco dovrai massaggiarmi non solo il gluteo dolente, ma pure l’accesso rosato’.
‘Lascialo stare, piccina, non sopporta provocazioni. Vedi, si sta incavolando’.
‘Lo vedo, lo sento e mi scaldo. Vorrei che già mi sfidasse, puntasse quel che ha risparmiato’.
Giacomo, già eccitato, l’abbrancò per le pelvi con desiderio, facendola rabbrividire. I capezzoli si irrigidirono percorsi da brividi vogliosi e avvallarono l’epidermide di lui.
‘Dobbiamo pranzare. Rimandiamo a un altro momento, che dici? E, poi, devo prendere delle carte che ho dimenticato al più presto e rientro un po’ in anticipo. Su, avanti, principessa’.
‘E il mio culetto, il massaggio?’
‘Stasera, quando andremo a letto’.
‘Mi fare venire a letto con te?’.
‘E come potrei lasciarti da sola. Ora sei la mia giovane amante’.
‘Oh, papà adorato. Come sono felice’, gridò colma di gioia, come una bambina, stringendolo per il collo e tempestandolo di baci. Lui, pizzicandole i capezzoli e facendola sobbalzare con uno strillo, l’allontanò da sé. Si rivestirono alla meglio, lei finì di cucinare e servì in tavola. Non parlarono. Lo facevano gli sguardi per loro. Finito di pranzare, lei si mise a rigovernare, mentre lui raggiungeva il suo studio. Si sedette, prese un giornale e si mise a guardarlo. Ma la mente scorreva su altre immagini, ora di Giovanna, ora di Marta, di cui già pregustava la bocca e le forme radiose.
IV
Giacomo entrò con l’automobile dentro l’autorimessa dei genitori di Marta. Lei l’aspettava con indosso una bianca vestaglia di setta, legata alla vita da una fascia annodata, che lasciava scoperta l’incavo luminoso dei seni. Lo tirò per la mano lungo la scala fino alla sua camera. Non attese nemmeno a chiudere la porta per precipitarsi a denudarlo, scarpe comprese, e, braccatolo per il collo, saltargli addosso attorcigliandosi con le gambe alle sue reni. Lui la sorresse, mentre, la bocca incollata alla sua, la liberava nervoso dalla vestaglia. Poi, mentre con un braccio la sorreggeva, con la mano dell’altro sistemò il suo membro sulla vulva di lei e con un colpo secco la penetrò. Lei si torceva su di lui, smaniando, cercando di baciarlo, affannata. Lui barcollando si portò alcuni passi davanti, sino a un largo e soffice tappeto steso per terra. Vi si accosciò, le gambe di lei sempre intrecciate sulle sue reni, cercando con la bocca il suo viso, le labbra, l’opulenza dei seni. Lei si piegava, oppressa dalla passione come un giunco piegato dal vento, anelante, boccheggiante su di lui, e con le mani che disperavano di afferrarlo per i capelli, il viso, poterlo baciare. Travolto dall’impeto di lei, lui la distese sul tappeto e tenendole spalancate le braccia incollate al tappeto, cercava con la bocca, quella di lei, ardeva riempirsi della lussuria dei seni, morbidi, voluttuosi e sodi. Ma lei con un colpo di reni lo rovesciò da un lato, spalle sul tappeto e, come un’amazzone rovente di desiderio, lo cavalcò con disperazione, brancicandolo per il capo, le spalle, il petto e asfissiandolo di spasmodici baci, ondeggiando sul suo pube sempre più violenta e gemendo incontrollata, finché, torrido, lo sentì inarcare sotto di sé allo spasimo e inondare del suo seme.
Rimasero una sull’altro, ancora ansimando, per alcuni minuti. Il sesso di lui si era afflosciato relativamente e a lei piaceva la sensazione di sentirselo dentro. Lui poi si sollevò, sempre con lei a cavalcioni, e le cercò i seni, stentorei, luminosi, sensuali, se ne riempì le mai, poi vi affondò il viso, mentre lei si piegava sulla sua testa, stringendogli il viso tra le nani e cercando , agitata, la sua bocca. Avrebbe voluto averlo così dentro di lei e smaniare sui suoi seni all’infinito, ma il tempo scorreva veloce e dovevano affrettarsi, lei a sistemarsi, lui ad andare al lavoro senza farvi veder da nessuno che usciva dalla casa di Marta. Si cercarono le bocche evi affondarono le loro lingue assetate, ingorde di passione. Lui, mentre la baciava se la stringeva trascorrendola sul suo petto, per raccogliere meglio la turgidezza dei suoi seni e dei vellutati dritti capezzoli sulla sua pelle. Esaltava così la fragranza voluttuosa di quelle cupole marmoree.
A malincuore lei si sollevò. La liquida seta della passione di lui le colò a gocce dal sesso e lei, girandogli le spalle, fece per ripulirsi, mentre si accingeva a raccogliere la vestaglia per terra.
‘No, fermati’, le intimò lui alzandosi.’Non andare via e non rivestirti, fino a quando non me ne andrò: girati fatti guardare.’. Lei si girò trepidante e, istintivamente, col braccio destro fece per coprirsi il seno.
‘Non ti coprire: sei così bella e sensuale che anche l’aria che ti accarezza, certamente, s’incanta a guardarti. Sei un sogno proibito che infuoca ogni fibra nervosa. Le si accostò e con la mano vibrante di desiderio prese ad accarezzarla con sensualità sulle labbra, sul viso, sui seni. Poggiò i polpastrelli dell’indice e cominciò a sfregarli, ruotandoli, sui capezzoli rosa, facendola languire, tutta la pelle allertata. Poi, di colpo, con un braccio la cinse per la vita e la tirò di forza a sé, mentre con l’altra le cercò il sesso, penetrandola con le dita. Lei si lamentò sussultando, mentre la frugava irruente dentro la carne, cercando il piacere nascosto dentro la vagina e parve trovarlo, perché i suoi gemiti crebbero sempre più forti, finché la sentì venire fluente nella sua mano e, prostrata, abbandonarsi sopra il suo petto.
‘Mi hai schiantata di orgasmi, grande amore mio, perché, non dimenticartelo, tu sei il grande amore mio. Noi ci sposeremo e, se dovesse accadere che Giovanna diventi la tua amante, certo ci soffrirò, ma lo accetterò, perché senza di te la mia vita sarbbe vuota, inaridita. Io ormai ti appartengo. Sì, Giacomo, non te lo dimenticare più. Se lo facessi, non so cosa potrei farti. Medea uccise i figli per punire il marito fedifrago, io ti ucciderei’. Lei capiva che non poteva eliminare la sua amica della vita di suo padre, che, poi, era una parte di sé. Avrebbe fatto finta di avere un marito mussulmano. Ma un’altra donna, al di fuori di Giovanna, mai. Ormai gli apparteneva anima e corpo. Per un momento pensò ai suoi genitori, quando l’avrebbero saputo. A sua madre, soprattutto, che del bel ingegnere era invaghita.
‘Su, rivestiti di corsa e va via’, le fece fretta lei. Lui si rivestì rapidamente e con lei, in vestaglia, scesero nell’autorimessa. Lei uscì fuori, guardò in giro, vide che non c’erano occhi indiscreti e fece cenno all’amante di uscire. Lui mise in moto e veloce, andò via.
Andato via Giacomo, Marta telefonò all’amica, dicendo che non sarebbe andata a trovarla, perché si sentiva l’influenza addosso, aveva un tremendo mal di testa e che il giorno dopo, sabato, non sarebbe andata a scuola. Che non c’era bisogno che venisse a tenerle compagnia, prima perché non voleva contagiarla, secondo, perché sperava di riuscire a dormire e terzo, perché c’erano troppi compiti per il giorno successivo e, se fosse rimasta a trovarla, poteva restarsene a casa pure lei l’indomani. E, comunque, ‘credimi, voglio propria restare sola’. Giovanna rimase un po’ perplessa, ma accettò le giustificazioni dell’amica. Era vero: aveva molti compiti da svolgere, perciò, data un po’ una sistemata a una serie di cose in casa, si sarebbe messa di buona lena a studiare. E il tempo passò così in fretta che, quando Giacomo rientrò dal lavoro, era ancora seduta dietro la sua scrivania a studiare.
‘Senza Marta, stasera?’
‘E’ influenzata: domani non verrà a scuola. Avevo, poi, pure qualche lezione arretrata e mi sono messa in carreggiata. Ma, ormai ho quasi terminato. Devo ripassare sono un ultimo argomento’.
‘Devo, allora, starmene da solo nel salone’, commentò Giacomo, avvicina dosi alla figlia e baciandola nell’incavo del collo. Lei rabbrividì. ‘Ma prima voglio portarmi un assaggio di te di là e le girò il viso per baciarla sulla bocca. Ormai si comportava come un’amante.
‘Dai, vai via, se no non mi fai finire’, disse lei stiracchiandosi.
‘Davvero vuoi cacciarmi via?’. E, sempre chinato dietro di lei, la sua mano scivolò sulla spalla. Giovanna indossava un pullover rosso con lo scollo a V su una cortissima gonna bianca elasticizzata. Da lì si portò sul bordo dello scollo , infilandovi la mano e cercandole il seno. Lei si sentì mancare il respiro.
‘Se solo guardandomi il seno, mi fai entrare in eccitazione, figurati quando me lo stringi. Non vuoi, allora, farmi finire di studiare. Oh, no, no, continua. Lo so che lo ami tanto: ubriacati le mani’.
‘Vado di là: il mio assaggino l’ho avuto. Vedrò un po’ di televisione’.
Lei, da un lato desiderava che le custodisse, anche senza frugarla, il seno con la mano, dall’altro non ce la faceva a reggere l’emozione che le provocava. Aveva i capezzoli già ritti. Era meglio che si ritirasse. ‘Una mezz’ora e arrivo e vedrai quel che ti combino, aguzzino!’.
Giacomo le strizzò scherzoso tutte e due le mammelle, poi la lasciò e andò via. Lei dovette fare sforzi inauditi per concentrarsi a studiare, tanto il desiderio l’aveva serpeggiato per la pelle.
Suo padre guardava la televisione per modo di dire: il pensiero era su sua figlia. Non lo fosse stata, come sarebbe stato tutto semplice! Ora, pero, il dado era stato tratto. Quanto sarebbe durato il rispetto per la verginità di lei? Quando la stringeva nuda tra le braccia, era uno sforzo indicibile, date le sollecitazioni di lei, impedirsi di violarle il grembo. Avrebbe potuto fare a mano di Marta, ma non di sua figlia. Le sensazioni che gli scorrevano dentro solo a pensare di accarezzare la sua pelle di seta, di stordirsi tra quelle colline di voluttà che erano i suoi seni, raccogliere i suoi capezzoli come frutti di bosco, solo poggiare una guancia sul suo pube folto e riccioluto, solo a immaginarlo, gli si inciampava lo stomaco. Era un peccato mortale con delle forme scolpite dagli angeli. Guardare al futuro. Sino al giorno prima la vita, sentimentalmente, gli era sembrata senza futuro, ora non lo voleva nemmeno sbirciare. Vivere giorno per giorno. Ammesso che l’impegno di Marta di sposarlo non fosse mutato nel tempo, era certo che l’evento non sarebbe potuto accadere prima del suo diciottesimo compleanno. Erano due anni, e in tanto lasso di tempo tante cose potevano cambiare. Però, Marta l’attraevo, anzi, poteva dire di esserne innamorato. Ora capiva i mussulmani, almeno quelli che economicamente se lo potevano permettere, come facessero ad amare due mogli. Lui amava tutte e due le sue donne, con la preminenza assoluta di Giovanna, ma con lo stesso ardore. ‘Ah, ecco la mia bellissima figlia’, sorrise tra sé. Giovanna leggera corse verso di lui, volandogli addosso. ‘Eccomi qua, solo per un pochino, ché devo cucinare. Sei riuscito s restare senza di me?’ E lo baciava intanto sugli occhi e sulla bocca. ‘allora non allunghi più i tuoi tentacoli? Davvero non puoi starmi vicino senza frugarmi nella mia intimità? E dire che credevo che vedevi solo la figlia, che la mia sessualità non ti toccava. Ti costringevi sadicamente a ignorarla. Mi hai fatto soffrire e perso così tanto tempo’.
‘Lo sto guadagnando a profusione. Forse non è naturale la fregola che ho di te. I tuoi seni sono così levigati che nemmeno Canova avrebbe potuto fare di meglio nelle sue sculture. Io non riesco stringendoli ad affondarvi le dita, tanto sono marmorei: posso solo scompigliarli, aggrapparmi ad essi e drogano più del vino che Marone aveva regalato ad Ulisse’.
‘Ma resisti pervicace alla malia del mio grembo. Quanto dovrò sopportare questa tua ostinata decisione? Voglio essere tua tutta intera, come ogni donna lo esige dall’uomo che ama’.
‘Mi devi dare del tempo. Cerca ogni tanto di metterti nei panni di tuo padre: entrare nel grembo della figlia. Mi tremano i polsi a penarci così a freddo. Sì, ho bisogno di tempo. Devo così abituarmi alla tua intimità, che devo trovare naturale infrangere la tua urna inviolata. E tu, per istigarmi, hai messo questa minigonna. Sei peggio di Armida, come mi hai ricordato’. E, così dicendo, le strinse la coscia sopra il ginocchio. Lei lesta allargò le gambe e lui rispose risalendo il velluto della cute e raggiunse il suo grembo coperto dallo slip. ‘Come e calda, umida e fragrante questa tua urna segreta. Pulsa già nella mia mano come un cuore scoperto. Su, corri a cucinare. Stasera ci corichiamo presto. Ti devo massaggiare il culetto. Ho visto, però, che corri già bene’.
‘Perché non ricordo il dolore, quando penso che tu mi seduca’.
Lei si accinse a cucinare, poi preparò in tavola, cenarono, guardarono un po’ di televisione, lei tutta rincantucciata su di lui, che la circondava per le spalle con la mano spiovente sul petto di lei, che ogni tanto la stuzzicava sul capezzolo sinistro, facendola sobbalzare. A un certo punto, lei finì per contrattaccare e, benché lui cercasse di contrastarla, perché un po’ si vergognava, riuscì a slacciare la cintura dei calzoni, a intrufolarvi la mano sotto i boxer e ad afferrargli il sesso, ad accarezzarglielo e, quando, lo sentì rizzarsi, a masturbarlo lentamente.
‘No, no, così no, perché mi farai venire e come farò a compiacerti più tardi. Sono vecchietto: non posso fare lo stallone”.
‘E così impari a stuzzicare la dove sono più sensibile. Mi stai facendo bagnare tutta. E poi non sono sicura che, se ti sciogli ora, non puoi più soddisfarmi. Sei un vulcano di passione’. Lei non poteva immaginare quante volte lui fosse stato impegnato in duelli amorosi. ‘Tenerlo, però, accucciato, posso? Che vuoi sono così desiderosa di conoscere questo tuo coso così imprevedibile e autenticamente mio. Certo, te l’ho visto da sempre, toccato, stuzzicato, ma m’hai così sensualmente abbracciato’.
‘No, principessa, lo devi abbandonare. Perché, anche se ferma, la tua mano ha il potere di farmi sciogliere lo stesso. Allora, fai la brava, togli la mano da lì’.
‘Va bene, obbedisco, come disse Garibaldi. Ho la mano tutta bagnata dalle tue secrezioni e non voglio che ti scogli. Questo attrezzo lo maneggerò più tardi a mio piacimento. Ti concedo lo stesso di tormentare il mio seno’. E, sgusciò via la mano da quella maschia alcova, mentre lui, al contrario, infilava la mano nello scollo, dentro il reggiseno a deliziarsi di quella morbida meraviglia così profondamente femminile.
Erano poco più delle 22,00, quando erano tutti e due sul letto matrimoniale, lui in boxer accoccolato, lei solo in reggiseno, tenuto apposta per accrescere la voglia di lui del suo seno, boccini in attesa del massaggio.
Lui sapeva che questo era un pretesto di seduzione, ma lo eccitava tanto prestarsi.. Si pose accanto ai suoi polpacci, si piegò su di lei e con entrambe le mani cominciò a massaggiarla dalla coscia verso il gluteo. Solo che questa volta non era incidentalmente che le sfregava il sesso, lo faceva volutamente, indugiando e insinuando, facendolo scorrere, il pollice nel solco. Sentiva il respiro a poco a poca farsi più veloce, mentre ad ogni tocco del sesso lei sussultava. Poi, prese con tutte e due le mani a soffregare entrambe le cosce e i glutei e, i pollici, insieme, sgusciavano dentro le grandi labbra, che inturgidendosi, si bagnavano sempre di più. La sua sofferenza cresceva, le dita stringevano il cuscino. D’un tratto la girò sulle spalle per bearsi dell’intero suo genitale. Nascose il capo tra le cosce di lei spalancate e cominciò a strusciare e mordicchiare la parte interna sino a giungere all’inguine. Da lì contornava tutto il suo pube per poi ridiscendere sull’interno della coscia opposta. La sua pelle era tutta una grinza. Si portò le mani sul petto, ora fuori ora dentro il reggiseno, accarezzandosi e stringendo i seni e i capezzoli. Finalmente le mani di lui cercarono solo il suo sesso. Sentì allargarsi le labbra, la lingua scorrervi dentro, carezzevole e calda come una biscia. Sentì poi schiudersi all’apice sul piccolo fiore di carne, si sentì scavare, lappare. Mordicchiare. La lingua la picchettava senza pietà, le labbra la risucchiavano come una ventosa. Lei si portò allora una mano sul pube per stirarne la pelle e far emergere in pieno il piccolo turgido fiore. Sentivi i suoi umori scorrere a torrenti e suo padre cominciò a indirizzarli verso la corolla nascosta, imbibendola e spingendovi un dito. Lo introdusse in un leggero movimento di saliscendi, e, intanto, indomito stremava di carezze struggenti il suo genitale. I gemiti di lei si intensificarono, il piacere si faceva sempre più intenso. Le dita si fecero due dentro il canale più stretto e lei sempre più intontiva nell’orgasmo. La parte era tutto un pulsare. La rigirò nuovamente sul ventre, la costrinse a porsi carponi, sentì fremendo il sesso di lui torreggiante sul perineo e non poté non implorare che la scopasse. La voglia era violenta: mugolava ormai disperata. Con la mano la prese a strusciarla di sotto, mentre l’altra finalmente cercava il suo seno., Lo tirò fuori dalle coppe stringendolo ritmicamente prima uno poi l’altro. Schiumava perché la prendesse, dove volesse, purché la penetrasse. Ma lui sfibrava il suo genitale, intrisi dagli umori abbondati lei dita infierivano sul clitoride. Lei si mise quasi a piangere per ché la prendesse. E lui si decise. Credé che lui la penetrasse ne più naturale canale, quando sentì la cuspide turrita del suo sesso scivolare tra le avide labbra della sua vulva. Lui glielo faceva scorrere per farla mugolare allo stremo. Frenetica la mano le scalmanava i seni e i capezzoli succosi. La testuggine protesa ora risalì lungo il perineo a cercare il castone rosato. Lo poggiò, lo strofinò su quella rosetta grinzosa. Il cuore di lei sembrò fermarsi nel petto per l’attesa spasmodica. Ecco una spinta leggera. L’anello dello sfintere si schiuse famelico. Un’altra pressione e la cuspide sgusciò baldanzosa. Un colpo di reni deciso e i testicoli paterni le schiaffeggiarono i glutei. Era ormai sprofondato intero nella sua carne. Cominciò il suo andirivieni lento dapprima, per consentire alle mucose di abituarsi al randello di carne. La mano turbinava inesausta sul sesso di lei. Poi cominciò più veloce a possederla, sempre più vigoroso. La sentì invocare gemente ‘non smettere, non smettere, ancora, ancora, non smettere’. Era troppo infervorato per trattenersi più a lungo. Voleva però accontentare la voglia di lei: tenere dentro di sé quel maglio infoiato più a lungo possibile. Si fermò così per alcuni secondi. ‘No, no, non ti fermare, non smettere, non smettere’, lei, però ancora invocò. E allora spinse più forte, sempre più veloce e, quando capì ch’era allo stremo, si raccolse tutto sulla schiena della figlia, serrò ancora più forte un seno di lei, quasi a stritolarlo e, con reiterati sussulti, eruttò dentro di lei il magma della sua passione. Rimase ancora per alcuni istanti dentro di lei, per accasciarsi svuotato sul letto, mentre la figlia si distendeva bocconi, il viso rivolto a suo padre, a pregustare lo sciabordio carezzevole delle onde del piacere. Lui l’accarezzò con un dito sul naso, poi si stirò verso di lei e la baciò sulla bocca.
‘Ti amo’, le sussurrò sulle labbra, ‘ti amo con tutte le fibre, la mente, il mio cuore. Ti amo come figlia e come amante. Con te scorre vino drogato nelle mie vene, tu mi fai raggiungere vette di godimento inimmaginabili’. Lei le sorrise con gli occhi e sbatté due volte le ciglia come riconoscenza per quanto l’aveva fatta godere. Poi motteggiando gli mormorò: ‘Se continui, però, a prendermi il culo col tuo tracotante obelisco, farò concorrenza alla breccia di porta Pia e la mia cosina ne piange’. Si girò sulle spalle. ‘Mi brucia. Oh, cola tutto: mi hai fatto un clistere col tuo coso’.
‘Non ti vergognare a dire le giuste parole. La tua è la più bella fica del mondo e agogna essere spazzolata da un cazzo adeguato’.
‘E’ volgare, volgare, chiamare così due parti così appetitosi. Cosina mi piace, magari vagina non fica e il tuo chiamalo pene’.
‘Vedrai, bellissimo amore mio, che, col tempo, nell’intimità ti piacerà indicare il tuo sesso col termine fica e a me dirai: . E’ più incisivo e più erotico. Vieni ancora più vicina. Ho ancora voglia di te, sentirti sulla mia pelle’.
‘Guarda che non è ancora finita, anche se ti atteggi a vecchietto. Sono divorata dalla voglia di vedere sprizzare il tuo seme, mentre masturbo il tuo’il tuo sesso’.
‘Mi vuoi davvero sfiancare. Non credo che esca più niente. Lo puoi, certo, fare rizzare. Per questo, mi basta guardarti, sfiorare appena i tuoi seni, accarezzarti la fica. Ma le mie gonadi sono sfibrate, hanno bisogno di un bel torno di tempo, per ritornare a colmarsi’.
‘Vediamo se è vero’, rispose lei. E, rizzatasi a sedere, si chinò verso il suo sesso, prendendolo ad accarezzare. Non stava comoda in quella maniera. Lo voleva nella sua mano, ma anche presso il suo viso. Perciò si distese su un fianco, il capo sulla sua coscia. Come lui aveva fatto con lei, lo baciò strusciando la bocca, circuendo tutto il suo sesso. Lo picchettava con la punta della lingua sotto i testicoli, nell’interno coscia e attorno ai peli del pube. Gli mordeva con le labbra le gonadi, le inglobava nella bocca, percorreva , strusciando le labbra, l’asta che s’andava gonfiando. Infine lo risucchiò in bocca e cominciò ad aspirare, come se fosse un capezzolo da cui far sgorgare il latte.
E lui sussultava a quei risucchi, come prima lei coi suoi baci. Che, quando lo sentì ben turrito, lo serrò con entrambe le mani. E bramosa, grondante di voglia, cominciò con foga a masturbarlo. Su e giù, su è giù sempre più veloce e, ogni tanto, vi scendeva la bocca per una nuova suzione. Su e giù, su e giù. Ecco che cominciò a tendersi sempre di più, si dilatava allo spasimo nel palmo della sua mano. E lui non poté frenare gemiti di grande piacere.
‘Ecco, sto per venire, attenta che sto per venire’. E fu un lungo lamento che accompagnò il suo orgasmo. La figlia era riuscita a spillare da quelle gonadi esauste, ancora un caldo getto della sua virilità, che volle a fior di labbra assaggiare e costatarne il sapore.
‘E’ appena salso’, si disse, però, parve le piacque e, mentre iniziava il reclino, con la bocca deterse del sesso la cuspide gocciolante. ‘Bugiardo! Non usciva più niente. Sei meglio di un geyser. E’ che non ti stanchi mai della voglia di tua figlia’.
‘Non lo credevo possibile. E’ vero: sei un demonietto. Ho sempre voglia di te. Se ti stessi sempre vicino, finirei col morire per consunzione. Ora sarai soddisfatta. La curiosità e la voglia appagate. Che dici: possiamo pensare a dormire? Ne ho tanto, tanto bisogno’.
‘Sì, casanova. Mi metto qualcosa addosso ‘ guarda come mi hai ridotto il reggiseno! Perché me li hai tirati fuori invece di sganciarlo? ‘ e mi accuccio con te. Pure io ho bisogno di dormire, se no a scuola domani”. Saltata dal letto, rovistò in un cassetto e si infilò una canotta, restando sempre senza slip. Risaltavano sensualmente le forme del seno e i capezzoli che li sormontavano. Spense la luce e si tuffò sul letto, sotto la coperta, addosso a suo padre.
‘Credo che dovrò togliere anche la lucciola elettrica, perché col suo chiarore come faccio a non eccitarmi con quello che, celando, eroticamente ostenti?’
‘Devi resistere, mio tenebroso signore, alla tentazione della carne. Anzi saperla apprezzare: è uno spettacolo fatto solo per te. Su, fammi accucciare e non protestare. Per conciliare il mio sonno, su, vieni e tienimi il seno’. E, così detto, si girò sul fianco destro, tirandosi sopra il suo seno, a coprirlo, la mano amata del padre. E lui non seppe desistere. Il suo sesso già s’inarcava e lei ne avvertì il turgore contro i magnifici glutei. Si strofinò compiaciuta per qualche minuto. Ma il sonno ebbe ragione di entrambi e così stretti l’una sull’altra si addormentarono. La mattina, quando Si svegliò per primo, Giacomo si ritrovò con la mano che imprigionava la mammella di sua figlia, solo che non stava sopra, ma dentro la canotta, tanto era ammaliato del suo seno. Appena a malincuore la ritrasse, Giovanna sospirò, come se anche nel sonno sentisse il bisogno del calore protettivo di quella mano. Borbottò qualcosa, rintanandosi ancora di più sul corpo di suo padre. Lui, la guardò con tenerezza e la bellezza di lei gli allargò il cuore d’orgoglio. Uno stilo di desiderio lo trafisse. Allungò il braccio sotto la coperta e con la mano raggiunse il suo ventre. Era tiepido e morbido. Pian piano guadagnò il monte di venere lussureggiante e cresposo. Delicatamente girovagò on le dita tra i riccioli, quindi discese sul sesso, coprendolo intero per impregnare la mano del caldo profumo di lei. Timidamente ne vellicò il solco schiudendolo appena con medio. Lei si agitò sospirando e parve come svegliarsi. Subito lui ritrasse la mano e si portò il dito alla bocca leccandolo. Era meraviglioso il suo sapore. Si sollevò a sedere sul letto, quindi ne scese, si infilò le ciabatte e corse verso il bagno a fare pipì poi la doccia. Poco dopo, stretto nell’accappatoio tornò nella stanza. Giovanna ancora dormiva. Si avviò per la cucina a preparare il caffè e andò subito col pensiero a Marta che tra qualche ora si sarebbe catapultata lì in casa, o, meglio, nel suo letto, caldo ancora di Giovanna. Scosse la testa perplesso, poi sorrise sereno.
Aveva finito di mettere in tavola la caraffa con il caffè fumante e le due tazze di latte che spuntò Giovanna, tranquillamente seminuda. La canotta accentuava in maniera esasperata la sensualità del seno e quella macchia scura in mezzo alla gambe avrebbe scatenato i desideri più lubrici anche degli animi più pii. Ora, perché il clima familiare era cambiato, ma, infondo, non era poi mutato granché il suo modo di muoversi per casa in vari momenti della giornata. Giacomo non la guardava più con occhi innocenti, ma con continui assalti di desiderio. Doveva, tuttavia, risparmiarsi per dopo e non doveva cedere all’attrazione così irresistibile della figlia. Quando questa si avvicinò per baciarlo, lui si limitò solo a sfiorarle le labbra.
‘Non mi sfiorare nemmeno, perché finirei per non farti andare a scuola: sei una tentazione insopprimibile e tu la esasperi. Cerca un abbigliamento più casto, per non scatenare dentro di me cavalloni di fuoco’.
Lei rise di cuore. E tutti i cieli aristotelici sembrano aprirsi per raccogliere il suo riso. Fiumi trasparenti mormoranti musica serena, sassolini levigati deliziosamente sbattuti tra loro, pesci multicolori guizzanti festosi nel mare, questo sprigionava il suo riso. Sorseggiarono il caffè, mangiarono la loro zuppa di pane e latte e lei si ritirò nella sua camera per sistemarsi. Una mezz’ora dopo era pronta, zainetto arrotolato al braccio, nell’ingresso di casa. Giacomo non l’accompagnava con lo sguardo. Il cappottino grigio che indossava giungeva alla stessa altezza in pelle scura della minigonna, le gambe che ne scaturivano erano due gioielli di cesellatura. Non poté fare a mano, mentre gli girava le spalle, di prenderla per il petto e di tirarla a sé. Lei, come se lo aspettasse, si lasciò tenere morbida e languidamente abbandonata. E, mentre con una mano le comprimeva il petto, con l’altra, inumidite le dita con la saliva, sotto la cortissima gonna le cercò il sesso e lo massaggiò fino a quando la sentì gemere vivacemente. Insistette bramoso e lei presto fu scossa dall’orgasmo, che lui raccolse con la mano. Poi la lasciò, lei lo guardò con gli occhi dell’amore più sconfinato, e lo baciò da suggergli l’anima. Lui l’accarezzò ancora una volta nel sesso, poi la cacciò via di casa. In entrambi il cuore scalpitava nel petto.
Non erano trascorsi che una diecina di minuti, lui stava per recarsi nella propria camera a cambiarsi, quando suonarono alla porta.
Gli balzò letteralmente addosso, appena le aprì la porta, incurante che, magari, da fuori, qualcuno potesse intravederla.
‘Amore mio’, gridò, attaccandosi voracemente alla sua bocca, mentre lui la teneva sospesa.
‘Mi togli il respiro’, disse lui, staccandosi per un attimo per riprendere fiato.
‘Portami nella tua stanza da letto’, continuò lei sempre allacciata a lui. ‘Sto impazzendo dalla voglia di te. Ti voglio dentro subito’. E riprincipiò a baciarlo. Lui, con lei abbarbicata come un rampicante, si avviò verso il proprio letto ancora tiepido di sua figlia. Ed era, forse, questo che gli infiammava di più i sensi: era come se, facendo l’amore con Marta, si liberasse dai sensi di colpa che in un angolo dell’anima sicuramente relegava, come se, inoltre, la fusione tra le due fanciulle fondesse, togliendo e conservando, il proibito della figlia con il lecito dell’amica. Ché la figlia era la passione, l’amore assoluto, che travasando su Marta, perdeva la sua valenza di perversione, di peccato. Con Marta finiva con l’espiare e insieme sublimare l’incesto.
‘Aspetta’, disse affannato, mentre lei cercava di liberarlo dall’accappatoio. ‘Fatti vedere come ti sei agghindata’.
‘Davvero? Ci ho pensato a cosa mettermi, per rendermi più seducente e renderti il più facile possibile spogliarmi. Allora, ti piaccio?’, disse lei, slacciandosi da lui e guadagnando terra.
Lei sarebbe stata comunque seducente, anche con degli stracci addosso e, forse, lo sapeva. Indossava una giacca a vento beige con un’ampia scollatura trattenuta da bottoni ad alamaro, ma dotata pure di zip. Sotto un cardigan rosso, morbido, di lana con attaccatura a bottoni e con una scollatura vertiginosa, che si allungava appena su una minigonna fresca, con disegni floreali rossi e verdi, arricciata. Era un sogno di erotismo: lasciava vedere e non vedere.
‘Sei bellissima, da capogiro’, commentò accostandosi. ‘Solo per essere amata da me e spogliata come i petali di un fiore’. Le slacciò il giaccone, glielo sfilò, posandolo su una sedia. Il rosso del cardigan rendeva l’incavo dei seni ancora più accecante. Vi introdusse la mano, spingendolo giù per una spalla, così poi per l’altra, lasciando tutta la parte superiore del busto, costretta nel cappio costituto dall’ellisse dell’indumento tirato al massimo, perché gli estremi erano fermati dal primo dei bottoni, a stringere, quasi segandole, le parti superiori dei seni. Lei si sentì mancare il respiro così imprigionata e quelle sfere di carne parevano volere scoppiare. Lui vi accostò le labbra baciando il tragitto che segnava tutto lo scollo. La pelle di lei allertò, mentre rovesciava appena la testa. Lui portò la mano a liberare la prima asola, allargando l’incavo del seno compresso, dentro il quale tuffò la bocca. Poi, finì di sbottonarla e i suoi seni proruppero nelle custodie del reggiseno in tutta la loro radiosità. La guardò estasiato. Scese un dito nella procace insenatura, trascorrendone le sferiche curve che la costituivano. Con le labbra schiuse strusciò le estremità di quelle sfere superbe. Con lo stesso dito scivolò sulle coppe del reggiseno, indirizzandolo ai capezzoli che aggettavano turgidi sotto la stoffa, pigiandoli e ruotandovi sopra. Lei era tesa in spasmodica attesa. Lasciò di colpo il suo seno e si chinò ai suoi piedi e, cingendole, cominciò sin dalle caviglie ad accarezzare le gambe mentre con le labbra e la lingua vi scorreva sopra, pian piano, fino a raggiungere lo slip. Lo contornò con la lingua. Sentiva solleticarla i peli che ne fuoriuscivano. Dopo alcuni giri, la portò, sempre sopra lo slip, sulla fessura del sesso, cercando di insinuarla nella piega, picchiettandola ritmicamente. Infine, con entrambe le mani prese lo slip fino a sfilarlo compiutamente con esasperata lentezza, accompagnando l’orlo che scendeva con piccoli baci sulla pelle increspata.. Quindi, stringendola verso il suo viso dalle natiche, sotto la minutissima gonna, ve lo affondò nel voluttuoso mistero di lei, rovistandolo con avidità. Lei si era ancorata al capo di lui e cominciava ora a non contenere più i gemiti, i lamenti. Esasperata dal desiderio, lo spinse dalle spalle per terra, sul grande tappeto, e, afferrato, ingorda, il sesso di lui, vi si impalò. Si agitava con irruenza, gli occhi chiusi sperduti a inseguire marosi di sensazioni gaudiose. Sempre più forti, mentre lui, aggrappato ai suoi seni, sbalzati dalle coppe, li comprimeva con i capezzoli, sollevandosi, di tanto in tanto, a suggerli bramoso. Agitandosi sempre più veloce sopra di lui, sempre più veloce, e mugolando, mentre lui le titillava col pollice il clitoride, con uno spasmo gridò tutto il suo piacere, quando nelle sue pareti vaginali sentì lo scroscio tiepido del godimento di lui. Parzialmente appagata, si distese bocconi sul petto di lui, mentre lui l’accarezzava e teneramente la baciava. Il desiderio di lei non era scemato. Lo aveva sentito meno infiammato dal giorno prima. Magari aveva già fatto l’amore qualche ora prima con la figlia.
‘Non hai tanta voglia di me? Sono stata troppo impetuosa e mattiniera? Potevo andare un po’ a zonzo, ma non ce la facevo sapendoti solo. Ho così bisogno di te. Sentirti mio, dentro di me, che non puoi fare a meno di me. Sai quanto ho pensato stanotte: mi sono addormentata con te nei miei disegni futuri. Lo sposerò tra due anni, mi dicevo, frequenterò lo stesso l’università, perché ci tengo io, ma ci tiene soprattutto lui. Verrà tante volte a cercarmi all’università, perché non se la passa lontano da me, cammineremo la mano nella mano e ci baceremo per strada. Cucinerò per lui, mi accarezzerà con lo sguardo quando mi muovo per casa, lo assalirà la voglia di me dappertutto. Ti vedevo nella mia fantasia mentre mi possedevi in un angolo appena appartato d’una strada qualsiasi, solo perché ti avevo sorriso, solo perché ti avevo detto che ti amo, solo per averti confessato che avevo sempre voglia di te e la febbre ci prese sincronici. Dovevamo subito fare l’amore come due cani. Mi scostati appena lo slip, io col giaccone, tu col cappotto, ho allargato e sollevato una gamba perché potessi penetrarmi più presto e meglio, e tu mi frugavi nel petto dentro la camicetta ad afferrare un mio seno e lo prendevi famelico e intanto mi scopavi. E voglio gridare dal piacere e ti afferro feroce per il cappotto, ti vampirizzo quasi sul collo, e tu scorri dentro di me e mi stritoli il seno e l’acme del gaudio è insopportabile, mentre il tuo seme mi inonda le carni’.
‘Come fai a pensare che non ho voglia di te? Non ti accorgi come hai già fatto inarcare il mio sesso?’. Era vero: era già sollevato. Lei sorrise orgogliosa e si calò col viso tra le gambe di lui. Prese il genitale tra le mani e poggiò la bocca su un testicolo, prima baciandolo, poi risucchiandolo e palleggiandolo dentro le guance. Così fece, dopo, con l’altro. Lui fremeva e sobbalzava al sottile piacere. Con la mano gli avvolse il membro e voglioso discese la bocca sul glande paonazzo. Questo solo imprigionò tra le labbra, succhiandolo, mentre vi scorreva.
‘Mi piacerebbe tantissimo vederlo schizzare come una fonte: sarà magari più tardi. Voglio, ora, solo che mi scopi. E’ così esasperato che mi colmerà tutta’.
‘Vieni’, disse lui eccitato. La sollevò sulle braccia e la depose sulla sponda del letto. Poi vi si accoccolò, concentrandosi solo sul sesso di lei, aspettando che in esso scemasse la spinta incalzante del seme. Lo scavò con la lingua, impietoso, facendola gorgogliare di voglia. La frugò con le dita, nella verginità frantumata, come col suo grimaldello. Bussò contro le scabre pareti della vagina stillante, vi mulinò con tre dita per poi nuovamente scalare la piccola gemma del piacere. Il quale cresceva vertiginosamente dentro di lei facendola venire copiosa. Godeva sentire le dita, la bocca di lui stillarne il piacere, ma questo accresceva a dismisura la voglia del membro che la sbattesse sino alla bocca dell’utero.
‘Scopami’ chiese,’scopami, scopami’. Lui la ignorò: voleva che il piacere giungesse allo stremo e poi allora scoparla. E, imperterrito continuò a martoriare i suoi genitali, fino a farli diventare ultrasensibili anche a un soffio di fiato. ‘Scopami, scopami’, singhiozzò, disperata. La sua vagina smaniava per le contrazioni. Si sollevò e gli afferrò il capo, mentre lui si ostinava assetato a imperversare sopra il suo sesso. ‘Scopami, scopami, non ne posso più’. E le labbra erano aride, bruciate dalla passione. Lo afferrò per i capelli, facendogli male. ‘Lo voglio, mettilo dentro. Lo voglio’. Lui l’accontentò. Appoggiò la punta del glande alle tumide labbra di fuoco e lentamente la penetrò. Era come se tutte le onde del mare fossero stare succhiate da un vortice spaventoso. Così si sentì lei, quando il membro la riempì tutta dentro. Le prese entrambe le gambe e le sospese sulle sue spalle, mentre andava e veniva cullante dentro di lei.
‘Più veloce, Giacomo, più veloce. Sbattimi, sbattimi forte’. E lui aumentò il saliscendi. ‘Più veloce, molto veloce: scopami, fammi impazzire’. E lui ora correva dentro di lei, che si portò le mani alle tempie: il piacere la schiantava dentro il cervello con la cadenza dei colpi di maglio che lui infieriva nel sesso. Gridò, rantolò, ma lui ancora non veniva.
‘Vieni, vieni, ora, ora vieni’, implorò, schiumando ormai quasi incosciente dal godimento. Lei serrò il più che poté i muscoli della vagina, perché lui si sciogliesse al più presto. E, infine, lui sussultò più volte incollato al suo sesso, mentre le braccava le gambe, gustando un gaudio accecante. Un getto di lava allagò quel grembo anelante allo spasimo. E lui si poté abbandonare sul corpo di lei dilaniato da un gaudio senza confini, le gambe pencolanti ormai inerti dalla sponda del letto.
‘Sei un amante favoloso. Non credevo si potesse godere così, come mi hai fatto in questi due giorni. Aveva ragione mamma. Glielo confidava tua moglie. Forse non l’avrei dovuto dire. Ma ormai. Può farti solo piacere. Mia madre un po’ l’invidiava. Ehi, non farti idee malsane. Quell’arnese è solo per me e, se indispensabile, per tua figlia. Neanche a mia madre lo permetterei. E’, poi, così contenta di mio padre. Anche se un peccato con te l’avrebbe fatto. Le rimarrà come desiderio. Già, quando saprà, sarà proprio il finimondo. Ti amo, mio bel tenebroso. Ci alziamo? Ho bisogno di bere. Mi hai prosciugato la bocca e la gola’. Si sollevò con un colpo di reni, scarmigliata e bellissima, il reggiseno una striscia bianca sotto i seni spioventi, e la gonna una sorta di tutù da ballerina tirata sui fianchi.
‘Sei uno schianto. Così conciata mi attizzi di più. Hai un di dietro favoloso, un seno che straccia le leggi di gravità e una fica con quel bosco equatoriale da incontri ravvicinati di tutti i tipi. La voglia di azzannarti ininterrottamente è irrefrenabile. Ti amo, mia sensualissima fanciulla, con ogni lembo della mia pelle. E come potrei non farlo, se ormai hai travolto ogni diga alla più dura razionalità. Sì, perché sei così giovane da avere paura. Quando avrò sessant’anni, tu sarai ancora giovane e avvenente. E come potrei vivere senza di te? E i tuoi genitori, se lo sapessero? E tanti, tanti altri ostacoli così grandi da frapporre uno steccato invalicabile a quel tuo lussurioso bosco.
Non riuscirei più a fare a meno di te e lo sai bene. Ti prego, però, di non farmi soffrire’.
‘Che dici, amore mio? Farti soffrire? Ti amo più della luce dei miei occhi. Dai primi mesi di vita ti ho raccolto qui nei miei occhi e ti ho raccolto nell’anima. Sei stato l’unico sogno in cui mi vedevo cullata. L’uomo a cui avrei potuto donare il mio primo atto d’amore. Io sono ormai tua per tutta la vita. Ah, se potessi, amore, se potessi legarti al mio seno, come nel grembo un feto è attaccato alla madre, non potresti più starmi lontano: vivresti solo con la mia vita. Posso solo farti gioire, offrirti le mie gioie, le speranze, le mie malinconie, tutti, tutti i miei sogni e queste mie forme che tanto ti fanno gioire e che, come tasti di un piano, sai così sapientemente pigiare e le sinfonie che sai sprigionare facendomi quasi impazzire, schiantandomi, come un vento possente, dal godimento’.
‘La passione, come divora la passione, come tizzoni in un camino e non lascia che cenere. Ho conosciuto la passione e credevo di non incontrarla mai più. Era uscire di casa e volere restare attaccato alla bocca che baciavo, era essere a lavoro e vedere il suo viso danzare sopra i miei fogli di disegno, camminare per strada e in ogni volto dire ‘sì, ma lei è più bella’. E trovarla sull’uscio e il desiderio afferra torbido ambedue, buttare la borsa da un lato per terra e tirarsi smaniosi i vestiti, alzarla sulle braccia e lei si avvinghia a te come tralci di vite e fare l’amore con furia, quasi fosse l’ultima volta prima della fine. E lei non c’è più e resti smarrito, non vedi più luce e la tua vita quasi si spegne, ‘quasi’, perché c’è un raggio di lei che le sopravvive, illumina i tuoi occhi e riscalda il tuo cuore. Tu hai sprigionato quel fuoco, che, spero, uguaglierà quell’incendio’.
‘Accompagnami in cucina’, disse lei, la voce commossa.’Ho la gola riarsa’. E, intanto, si sfilava la gonna, posandola su una sedia, e stava per slacciarsi il reggiseno.
‘No’, la fermò lui, ‘il reggiseno no. Aspetta’. Le si accostò alle spalle e con tutte e due le mani racchiuse quei mirabili globi di seduzione, li accarezzò, mentre brividi e languori solcavano la pelle di lei, con i palmi sfregò i morbidi capezzoli che fecero presto a inalberarsi e, solo allora, lui sollevò le coppe dell’indumento e vi sistemò le mammelle. ‘Ecco, le calde colombe sono nei loro nidi: possiamo andare in cucina’.
Lei si riempì un bicchiere d’acqua e lui la contemplava ammirato. Non era la figlia, ma sembrava lei. Forse il vello era meno folto. Doveva constatare meglio. I glutei parevano uguali. Forse quelli di Giovanna erano appena più alti. Forse. E i seni? Non erano altrettanto mirabili? Forse. E il ventre così levigato non era consimile? Forse. Era come se tutte e due le fanciulle fossero l’una accanto all’altra e lui ne rilevasse le sfumature. Solo che Marta non era più vergine, sua figlia sì. Lui, però, desiderava frantumare quella fragile barriera, eppure così allettante? Sì, certo che lo sapeva, solo che non ne aveva il coraggio. Non aveva infranto, tuttavia, la verginità del suo culetto? Quella non aveva, però, alcuna membrana e poi non era depositaria della custodia della vita. Lui avrebbe mai voluto generare una figlia dalla figlia? Da Marta avrebbe potuto o voluto, ma dalla figlia?
‘Cos’è che scorre dietro la tua fronte pensierosa? Mi contempli apparentemente, ma il tuo pensiero corre, vero?’.
‘E’ vero: pensavo a te come madre. Un figlio da te e lo vedevo nella tua pancia che lievitava e, poi, mentre lo allattavi: un’icona da sogno’.
‘Davvero?’, esclamò commossa la ragazza. ‘Già mi vedi con un bambino nostro! Allora è vero che mi ami, che non è solo attrazione fisica o la proiezione del desiderio di Giovanna. Tu mi ami per me stessa e basta, tu mi ami!’.
‘Certamente ti amavo anche prima, solo che non ne ero cosciente. Ti avevo come una seconda figlia. Ora, però, è un’altra cosa. So che non devo avere paura di amarti, che non è sbagliato per la tua giovane età. Sei così donna che più non si può. E come si può non amarti per la tua dolcezza, il tuo attaccamento, il coraggio, l’ardore che mi regali! Quale donna potrebbe essere più meritatamente madre di un figlio mio!’.
‘Amore mio, amore mio’, gridò raggiante Marta, scattando verso di lui, allacciandolo per il collo e tempestandolo di baci. ‘Sarò la moglie più devota, più tua, tutta e sempre tua. Amarti, solo amarti: questo solo desidero e voglio. Prendimi, prendimi ancora. Brucio un’altra volta di te. Stritola pure i miei seni, scompigliali con i tuoi baci, nel tempio della mia voluttà sprofonda il tuo tulipano infuocato. Eccolo, qui, nella mano. Mi minaccia voglioso e io l’incorono tra le mie dita. Vieni qui, mio signore, qui nella mia bocca, riempila dell’umida seta. Prima, però, come anello voglio serrarti tra i seni, li unisco, ecco, ti incastono e ti struggi di voglia. Sei pronto per le mie labbra: vedo già gocciolare la tua piccola bocca’. E, mentre così accoccolata, tra le labbra spingeva il suo membro, Giacomo si accartocciava con le mani sul capo di lei risucchiando nella mente quella sottile delizia.
Non voleva venire, desiderava ancora percorrere ogni tragitto del suo corpo, ubriacarsi della sensualità dei suoi seni, scavare dentro di lei con le dita e la bocca il piacere. Adorava sentirla gemere con lamenti prolungati, quasi silenti per gustarli meglio, navigare le sue labbra sul suo ventre così piatto da potervi sistemare, senza farli traboccare, cinque coppe di champagne. E il suo pube, un trionfo di seduzione. Era folto come quello di sua figlia e, rovistandolo, gli regalava i medesimi stordimenti, le medesime languide carezze. E le morbide sfere delle natiche. Gli piaceva tanto prenderla di dietro, non solo perché lo caricava eroticamente arroccare i suoi arti su quegli acrocori di carne che spiovevano sul torace, ma anche perché il suo bacino era riempito dalla pienezza voluttuosa delle terga di lei, che i suoi testicoli schiaffeggiavano nel rapporto carnale.
‘Vieni’, disse lui, cercando di tirarla su per le spalle.
‘So che ti do un gran godimento e mi piace regalartelo solo per amore. Vederti il viso rapito dal piacere che la mia bocca ti sprigiona, mi colma il cuore di gioia’. E riprese lenta a succhiare. Sentiva che il sesso di lui si dilatava sempre di più e allora si metteva ad aspirare su quella piccola bocca di fuoco come una ventosa e a lui pareva che volesse risucchiargli anche l’anima. Ma non voleva venire ed era già allo stremo. Pensava che dopo avere fatto tante volte l’amore, l’eccitazione sarebbe stata molto più lenta. E, invece’ La costrinse ad alzarsi.
‘Ora voglio ricambiarti con tutto il mio amore’, e la spinse a sedersi sul bordo dello spigolo del tavolo della cucina. Lei rovesciò un po’ la schiena, sospendendone il peso sulle mani schiacciate sul piano del tavolo, le cosce ben divaricate ad ostentare il sesso, schiuso per la posizione in tutta la sua lussuria. Piegato sulle gambe con entrambe le mani ne divaricò ancor più le labbra e lasciò che la lingua nella sua interezza la penetrasse. Sentì la vibrazione di lei alla sua irruzione. Lui la scopava con la lingua e, quando, fuoriusciva, la lasciava scivolare fino al clitoride, picchiettato e succiato, per poi, sgusciare nella vagina. Il cuore di Marta scalpitava affannato nel petto, divorato da lingue di voluttà. Le dita presero poi il posto della lingua battevano contro la parete vaginale nell’andirivieni veloce. La lasciò per leccarla di nuovo e il sapore e l’odore dello sperma di lui si mischiavano e confondevano con quelli di lei stordendolo. Ecco, ancora con le dita dentro di lei a pomparla, mentre cercavano un piccolo turgido rilievo vicino l’ingresso anteriore della vagina. E li dolcemente ruotò i polpastrelli delle dita. Rapita dal piacere, diventato quasi insopportabile, gli occhi chiusi era travolta dal godimento, i gemiti inarrestabili. Aveva avuto già degli orgasmi, ma ora arrivò coma mai avrebbe immaginato. Sgorgò come una fonte sorgiva, irruente e piena come fosse pipì, ma, forse, pipì non era. Il godimento era stato supremo tanto da schiantarla, come una febbre violenta. Non la lasciò nemmeno riprendere da quell’orgasmo sconosciuto, che la girò per i fianchi, spingendola prona sul tavolo e, senza indugiare, la penetrò. Avanti e indietro con furia. Non stette a pensare che così vorticoso sarebbe venuto subito. Era bramoso di lei.
‘Non ti fermare, non ti fermare, più forte, più forte’, implorava. E lui sempre più forte. Si avvertiva nitidamente il tonfo della sua vagina e lo schiaffo dei testicoli sulle sue terga. Ansiti lamentosi ingolfano il petto di lei, a cui alla fine si erano aggrappati le mani di lui. Avanti e indietro, avanti e indietro e poi un sussulto, due, tre, quasi un rantolo e il suo grembo conobbe ancora una volta il getto d’amore di lui.
‘Il tuo amore mi riempie tutta. Mi scuoti il cervello e l’anima. Non avrei mai creduto che si potesse amare tanto. Vorrei che mi stessi sempre dentro, non solo perché adoro che tu mi scopi ‘ potrei pur farne a mano, se avessi la certezza che, anche senza il mio grembo, i miei seni, tu mi ameresti – ma per sentirti in ogni cellula del mio corpo, in ogni mio neurone. Il sapore di te mi ha accompagnato ieri tutto il giorno e adesso me lo ritrovo e vorrei che non andasse mai più via. Giovanna tra qualche ora verrà, lei scherzerà con te, discuterà, ti abbraccerà, ti starà sempre accanto: io non ci sarò. Ufficialmente sto male. Ma, anche quando sono in casa tua, sto accanto a lei, non posso saltarti addosso, spiarti negli occhi, dirti quanto ti amo e mettermi a correre per questa casa tanto grande e ridere, scherzare con te. Tutto questo chissà per quanto tempo mi sarà negato. Certo, qualche volta potrò venire a trovarti in ufficio, ma solo qualche volta: so che è rischioso. Oh, se avessi diciotto anni. Lo so che darei un dispiacere grande a papà e a mamma, ma in confronto alla mia gioia, ne varrebbe la pena. Io e te la mano nella mano a passeggiare ovunque con gli altri che ci guardano e muoiono di invidia oppure sorridono perché ci leggono in viso che siamo perdutamente innamorati. E, così, anche i momenti in cui ci incontriamo da clandestini diventano torbidi. Dio sa quanto mi fai godere e quanto sono felice di essere qui con te. L’ho detto: vorrei, se lo potessi, che mi scopassi in continuazione. Ma è come, appunto, se mi scopassi soltanto. Non posso restare con te e fare tutte le altre cose che non sia quella di stare dentro la mia carne. Impazzirei se anche in un remoto angolo della tua mente aleggiasse l’idea che ti cerco solo per scopare, non per fare l’amore. Si fare l’amore. Perché scopare significa solo fare sesso, e questo è da prostitute: io con te faccio l’amore, però, è come se venissi per fare sesso. Mi capisci, amor mio?’.
‘Non possiamo fare diversamente. Certo che sento anch’io questa esigenza, di potere discutere del più e dell’altro. Però è anche vero che il desiderio di te è così rovente e il tempo a disposizione così breve che non posso fare a meno di volerti subito. Poi, non so: è un fuoco, una passione che dà le vertigini. Non faccio sesso con te, non saprei nemmeno come farlo, con te faccio l’amore, solo l’amore. Se avessi voluto far sesso, avrei avuto solo l’imbarazzo della scelta per le donne che apertamente si sono offerte. Volevo, agognavo, ritrovare la stessa fiamma che avvampava il mio corpo e l’anima, come tanto tempo fa. Forse non è lo stesso, ma certamente è molto simile. E questo è amore, mia bellissima fanciulla, solo amore. Io ti amo e, in fondo, ti ho sempre amato, da quando la tua femminilità ha cominciato a plasmare il tuo corpo.
‘Ritorniamo nel tuo letto: voglio stare un poco accucciata a te per sentirmi come sarà quando staremo davvero insieme, qui, in casa tua, che sarà nostra. In effetti, la sento mia anche ora: mi aggiro qui come a casa mia, però non ho potuto mai averti così vicino come lo è per Giovanna. Su, andiamo a letto’.
Si ritrovarono così tutte e due sul letto, nudi, con l’eccezione del reggiseno che faceva risaltare più prepotentemente i seni di lei, che sprofondò il capo sul petto di lui, che le accarezzava i capelli.
‘Se potessi restare così per ore. Dopo l’amore la tua tenerezza. Mi sento così bambina. Mi piacerebbe chiamarti papà. Chissà, forse ci proverò. Non sono in un certo modo la gemella di Giovanna? Non te la prenderesti, se ti chiamassi, papà?’.
‘Preferisco, Giacomo. Mi fa sentire più il tuo compagno e, se accadrà, tuo marito. Sì, Giacomo’.
‘Sì. Ma sei pure un po’ papà: mi sento così più Giovanna. Eppure, eppure, se tu e lei ‘ no, no, lasciami concludere, – se tu e lei ‘ perché lei ti ama non solo come figlia, tu questo lo devi capire, e se volesse sedurti solo la morte potrebbe fermala ‘ dovreste diventare amanti, perché non potremmo stare, qui, sul letto, una da un lato e una dall’altro, con te? Per amore tuo, ma anche per quello di Giovanna, purché lei non ti avesse in esclusiva, io accetterei. E’ che tu ‘ e alzò gli occhi verso di lui, divertita ‘ dovresti accontentare due donne insieme: ce la faresti?’.
‘Che dici?’, rispose lui. ‘Tu e mia figlia a letto con me? Davvero saresti disposta a dividermi con lei? Ma che mi fai dire? E’ impensabile!’,
‘Davvero, Giacomo. Io vorrei che non accadesse mai, credimi. Almeno sessualmente ti vorrei tutto e solo per me. Ma so che questo non accadrà. O, forse, è già accaduto tra te e lei e non hai il coraggio di confessarlo. Non cambierebbe il mio amore per te. Non sono così succube dei tabù. Io non riuscirei nemmeno sotto tortura a fare l’amore con mio padre, ma so che per me la cosa è diversa. Non sono cresciuta insieme a lui da sola e sentendomi più moglie che figlia. Inoltre, se riuscissi ad impedire a te di andare a letto con tua figlia, farei una nemica mortale di Giovanna che scardinerebbe alla fine anche il nostro rapporto. Quanto ho pensato a tutto questo. Vorrei tanto fossi solo io nel tuo letto, ma, se stare con te significa dividerti con tua figlia, lo farò senza esitazione alcuna. Ormai sono tua con la mia mente oltre che col mio corpo e, se mi strappassero da te, mi farebbero avvizzire come un fiore senza radici’.
E’ che Giacomo si vergognava nel confessare che era già andato a letto con la figlia, che non aveva ancora infranto la sua verginità, ma che era solo questione di tempo, chissà, forse, quella notte stessa, che lui non era riuscito, né avrebbe potuto, a sottrarsi alla seduzione della figlia, che anche lui desiderava. Che non se l’era ancora scopata per il tabù dell’incesto, che era un ipocrita, perché poi il culo se lo era preso e con grande godimento. Come avrebbe fatto a non essere, almeno in un angolo della mente di Marta, considerato un depravato? Cosa aveva detto lei: che non sarebbe mai andata a letto con suo padre e, ovviamente, che nemmeno il padre lo avrebbe fatto con lei. Non era più di un rimprovero quella sua asserzione? Ma che avrebbe potuto fare? Una lacerazione della coscienza. Non che non l’aveva avuto. A lui si sono di colpo aperti gli occhi. Da innocente e asessuato è diventato subito consapevole e ultravoglioso. Aveva due giovani donne, incarnazione della bellezza, che stravedevano per lui, che volevano fare l’amore con lui. Perché avrebbe dovuto rinunciarci? Si sentiva in colpa per questo? Non lo sapeva. Però, non aveva ancora il coraggio di confessare a Marta che si era scopato il culo della figlia. Vivere giorno per giorno: sarebbe stata la vita stessa a decidere per lui, per tutte e tre.
‘Il futuro è nelle mani del tempo. Di noi potrebbe accadere di tutto e il suo contrario. Cogliamo i momenti belli che la vita ci dispensa per quello che sono. La morte è così invidiosa: si porta facilmente tutto. So che ti amo, so che mi ami, che in questo momento sei tra le mie braccia. Non tutto dipende dalla nostra volontà e dai nostri desideri’, disse Giacomo, mentre con dei baci le sfiorava i capelli.
‘Non tutto, Giacomo, non tutto, ma una gran parte sì. Credo si sia fatto tardi, devo darmi una sistemata oltre che rivestirmi’.
‘Aspetta’, disse lui. ‘fammi assaggiare un po’ di te ancora alcuni momenti’. Si girò verso di lei e, allungate tutte e due le mani, cercò le sue mammelle, tirandole fuori dalle coppe del reggiseno. Calato il viso su di esse, cominciò ad inspirare, come se vi si levasse un inebriante profumo, poi lo strusciò contro, incontrando i capezzoli e sfregandoli con la gota fino a che li sentì indurire. Abbandonato il petto, saltò subito sul sesso, scompigliandolo e baciandolo. Infine, inserì due dita nel solco nascosto, le agitò qualche minuto, fino a quando sentì il desiderio di lei acceso così da bagnarle. Poi le ritirò, se li portò sotto il naso, aspirandone l’odore.
‘Sì, ora ti puoi rivestire: il tuo profumo è con me’.
Quando stava per infilarsi lo slip, la fermò. ‘No, lo slip no. Lo indosserai poi, a casa tua. Quando ti lascerò sulla soglia di casa, voglio sentirti nuda sotto. Ti bacio salutandoti e voglio per alcuni istanti sentire i tuoi peli incresparmi la mano. E non voglio nemmeno che ti lavi: anche questo lo farai dopo. Lascia ancora qualche secondo la gonna alzata: che bella la tua fica!’.
Lei arrossì un poco sentendosi più esposta di quando era nuda, col sesso così offerto. Gli occhi di lui lo scavavano bramosi. E questo la compiacque. La desiderava, come la desiderava! Glielo avrebbe incollato sugli occhi, il suo vello, se questo l’avesse costretto a pensarla così intensamente ogni istante del giorno. Finì di sistemarsi, andò in bagno per pettinarsi i capelli, darsi una passata di rossetto. Poi, tornò in camera da letto. Lui si era infilato una vestaglia per accompagnarla all’uscita. Sull’uscio le si girò per baciarlo appassionatamente, mentre lui la stringeva di sotto. Lei allargò le gambe perché la prendesse meglio.
V
Quando Giovanna si affacciò sull’uscio dello studio, Giacomo era vestito come da prassi e stava lavorando su un disegno.
‘Ciao, principessa. Com’è andata oggi? Interrogazioni, aneddoti?’.
‘Una noia mortale’, rispose lei, avvicinandosi. ‘Sarà che pensavo a te, solo in casa, a quel che stavi facendo, se ti mancavo tanto. Non vorrei diventare gelosa pure del tempo che non ti sto accanto. Non mi piacerei. Allora, ti sono mancata?’, chiese, mentre si allacciava al suo collo.
‘E come potrebbe essere diversamente’, rispose lui, baciandola su un angolo della bocca. ‘Che prepari oggi per pranzo? Qualcosa di sostanzioso, eh. Su, affrettati che è tardi’.
‘Guarda un po’: invece di mostrarmi quanto gli sono mancata, mi caccia in cucina! Bell’amante che ho’.
‘Vai via, insaziabile fanciulla, non mi tentare’, chiosò lui, ma con la mano la cercò in mezzo alle cosce, che lei pronta allargò, fremendo. E gli tornò vivido in mente il sesso nudo di Marta. Il suo membro pronto si rizzò. Non era il momento, non fosse che per riprendere un po’ di respiro. Si doveva contenere. Non aveva più vent’anni, ma, anche se li avesse avuto, non avrebbe potuto fare i lavori forzati del sesso senza logorarsi la vita. Questa dev’essere goduta, non prosciugata. Fare l’amore è bello fino a quando non diventa un’ossessione, una malattia. Doveva, sì, doveva sapere amministrare la sua disponibilità, i suoi ardori, con le ragazze. Anche per loro. Non dovevano sentirsi come due dispensatrici di piacere fisico. Però, era bello sentire il calore del grembo di sua figlia. Lo accendeva il gesto pronto nell’allargare le gambe per farglielo prendere meglio.
‘Ne parliamo più tardi. Inoltre, non credi che devi ricominciare a pensare come prima allo studio. Prima il dovere e poi il piacere e tieni presente che sono vecchietto’.
‘Tutte scuse per togliermi di torno. Ma, mi piacerebbe sapere cosa in questo momento ne pensa il tuo coso’, commentò lei, chinandosi appena verso di lui, per gustarsi meglio il piacere che le dava la mano di lui.
‘Vieni qua, diavoletto’, fece lui, lasciando il suo grembo e stringendola tra le braccia. La bocca di lei si schiuse come un fiore carnivoro, rossa, tumida, ammaliante e lui la colmò con la sua. Si baciarono con passione, le lingue a cozzare l’una con l’altra, arse di desiderio. Fu solo con una titanica forza di volontà che riuscì a strapparsi da lei e a sospingerla via. Era così, soprattutto nei primi tempi del matrimonio: non potevano stare troppo vicini lui e sua moglie senza che non fossero trascinati dal vortice della passione. Il desiderio lo prendeva forte con Marta, ma quanto era incoercibile, ruggente con sua figlia.
‘Devo finire questo lavoro: è da giorni che me lo trascino. E dovresti avere più cura di esso. Se mi istighi così, è finita. Mi licenziano’.
‘Va bene, va bene. Me ne vado. Facciamo i conti più tardi’. E, leggera come un uccello, si allontanò.
Avevano appena finito di pranzare che telefonò Marta che avvisava l’amica che tra qualche ora sarebbe arrivata.
‘Ti sei ripresa in mezza giornata di assenza da scuola?’, ironizzò Giovanna. ‘Quali trame hai architettato? Non è che sei venuta da mio padre mentre non c’ero?’, chiese con apprensione.
‘A parte il fatto che dobbiamo studiare, dobbiamo anche parlare molto seriamente, sì, di tuo padre. Se lo voglio vedere, sorellina, non devo né elemosinare il tuo permesso, né fare la clandestina. Una quasi pari opportunità. E’ questione di democrazia, non credi?’.
‘A tra poco: ti aspetto’, concluse Giovanna con la voce moscia.
‘E’ venuta Marta a trovarti mentre ero a scuola?’, più che una domanda era un’asserzione che Giovanna pose a suo padre, che rimase per qualche secondo interdetto. Poi, si decise a negare. Marta glielo avrebbe detto prima, se avesse avuto l’intenzione di spiattellare il loro incontro all’amica.
‘Perché me lo chiedi? Anche se fosse venuta che male ci sarebbe?’, osservò Giacomo, lasciando spiazzata la figlia, che avrebbe dovuto ammettere che, il male, ci sarebbe stato.
‘Non ti ho forse detto che è innamorata di te, che vuole portati a letto? Non mi meraviglierei se fosse venuta a trovarti, mentre non c’ero. Ma, che lo chiedo a fare? Anche se fosse, senza il suo placet non me lo diresti. Lo chiederò di nuovo alla signorina: mi basterà guardarla negli occhi, quando mi risponde’. Si avvicinò quasi a ridosso di suo padre e gli sibilò: ‘Io non ti basto? Non ti basterei io solo come amante, moglie? Anzi, considerami anche la tua puttana, se questo epiteto ti piace ‘ così disse Eloisa ad Abelardo, – purché resti la sola donna nella tua vita. Non ho mai creduto alla moglie che certe cose non le fa, così il marito le cerca da un’altra donna, quasi che a lei quelle cose dispiacessero. A me quelle cose piacciono, perché piacciono anche a te. Quindi, se come amante sono completa, non hai bisogno di evadere con altre, anche se si tratta di Marta’. La voce si fece roca e sensuale, gli respirava quasi sulla bocca.
‘Baciami come un’amante’, gli soffiò bruciante, le labbra che tremolavano, mentre calava la mano sulla patta, serrandogli con dolce stretta il sesso. Ma era già inturgidito per conto suo. Lui non riusciva a parlare. Era come magnetizzato da quella bocca che lasciava immaginare offerte proibite, lussuriose, i peccati più carnali, ‘che la ragion sommettono al talento’ più lubrico, peccaminoso. Vide solo quelle labbra che invocavano le sue e dimenticò totalmente che erano quelle della figlia. Incollò le labbra a quelle che gli erano offerte e le lingue si fusero arse, bramose. Le mani di lei lo artigliarono per il viso, mentre con il pube lo masturbava sul sesso. Il cuore di lui cominciò a pulsare all’inverosimile e la brama di frugarla dappertutto si fece spasmodica. Voleva e non voleva scoparla. Voleva risparmiarsi per la notte, ma non riusciva a sottrarsi al ruggente supplizio di quella carne voluttuosa. La girò di colpo sulle spalle, afferrandola per i seni e stordendola di baci sui capelli, sul collo. Una mano scese sotto la gonna alla ricerca del pube, infilandosi sotto lo slip. Ne cercò il bottoncino più segreto e cominciò a pigiarlo.
‘Scopami il culo. Mi pulsa come un cuore. Scopami il culo’. C’era la bottiglia dell’olio extravergine d’oliva posato su un piano della cassettiera, l’aprì, si sfilò lo slip, e, mentre lui la guardava febbricitante in attesa, ne versò un po’ nel cavo della mano e se lo spalmò nel solco intergluteo, spingendovi un dito dentro lo sfintere. Si girò verso di lui, lo guardò intrigante negli occhi, poi gli abbassò calzoni e boxer, versò ancora una volta un po’ di olio nel cavo della mano e, afferrato il membro, cominciò a frizionarlo, facendogli così raggiungere la durezza del granito. Quindi, si chinò, rovesciandosi col petto sul tavolo della cucina invitandolo con la voce roca: ‘Scopami il culo e non venire, scopami un poco, per tre, quattro volte senza venire: Ti voglio pronto per stanotte’.
Lui, sempre senza parlare, quasi fosse un automa messo in movimento da un’elettricità ad altissima tensione erotica, mentre la teneva per i glutei, puntò il glande sullo sfintere e vi sprofondò. Fece come lei gli chiese: quando stava per venire, si fermava, mentre le titillava il clitoride. Poi, cominciava nuovamente il suo andirivieni, finché lei disse: ‘Basta. Così basta’, staccandosi da lui. Lasciandolo paonazzo dalla voglia e col sesso a tiro.
Lo guardò sorridendo. ‘Lo so che hai un desiderio grande di venire. Ce l’ho pure io di sentirti sciogliere dentro di me. Si farà più cocente il desiderio per stanotte. Allora, paparino, ti basto e avanzo io, o hai pure bisogno di Marta? E, poi, alla lunga, due donne: non ce la faresti, ah, ah! Su, sistemati che l’altra sta per arrivare.
‘Ehi, piccolina, sul fatto che non ce la farei, non ti illudere. Forse, tra vent’anni. Che mi basti solo tu, questo sta nelle mani del destino’.
‘Due non litigano e’neanche scopano, se uno non vuole, dice un vecchio adagio. Ah, eccola che è arrivata’, disse sentendo il suono del campanello e avviandosi ad aprire. Mentre, rivolgendosi al padre: ‘Tu, scompari!’. E Giacomo si affrettò verso il proprio studio, chiudendosi dentro a chiave.
‘Ciao, miracolata. Ma come stavi male!’.
‘Quanto te, ieri. Su, non fare la scema. Dove andiamo a’studiare: nel salone o nella tua camera? Dove hai spedito tuo padre? Lo voglio salutare’. E cominciò a gridare: ‘Ingegnere, ingegnere, che fa: non viene a salutarmi?’. E poi, piano all’amica: ‘Non ti vergogni a trattarlo come un bambino: lo hai messo in castigo. Non ti rendi conto che lo rendi ‘ e lo fai sentire ‘ ridicolo?’:
‘Lo vado a chiamare: basta che non sbraiti. E comportati bene’.
‘Lo giuro. Però mi devi lasciare da sola cinque minuti, cinque minuti d’orologio: lo puoi puntare’.
‘Accordato. Marta non mi giuocare scherzi. Combino l’inferno se’ raggiungimi in camera, poi.
Papà, papà, l’amica risanata ti vuole salutare’, chiamò a voce alta Giovanna. Raggiunse l’uscio del padre e s’avvide che era chiuso a chiave. ‘Papà, puoi uscire. Dai, non mi fare vergognare, quasi ti avessi rinchiuso dentro. Su, esci, ti prego’, chiese sincera. E lui uscì. La guardò un po’ offeso e, mentre lei si avviava verso la propria camera, lui andò incontro a Marta nel salone.
‘Ti ho liberato. E’ una carceriera dispotica. Meno male che ci sono io. Tutto bene?’, e, allacciatasi al collo, lo baciò deliziata. ‘Che? Non mi tocchi. Mi fai restare male. Abbiamo cinque minuti pieni. Ho cronometrato l’orologio: tra quattro minuti suona. Datti da fare, non protestare, agisci soltanto’.
Ormai, Giacomo si sentiva un burattino, un oggetto non sapeva se sessuale o d’amore delle due donne. Certo le adorava, ma non aveva aspettato tanto tempo per essere trattato come un burattino. Non riusciva a sottrarsi alla malia erotica di quelle due bombe di sensualità, ma era troppo mortificante essere trattato a comando. Lei, intanto, gli prese la mano e la trascinò sul proprio sesso.
‘Sono poco più di tre minuti. Fammi godere. Fa quello che vuoi, ma fammi godere’.
Aveva ancora il sesso tutto unto di olio. Se lo avesse toccato lì, non avrebbe mai capito. Gli venne da ridere, mentre la frugava nella carne, facendola sussultare. Gli era rimasta l’eccitazione non soddisfatta di prima e, in pochi istanti, lei lo riportò in auge. Con le dita ormai bagnate dagli umori di lei la cercò pure nel buchino più riposto e ve le sospinse appena. Ritornò un’altra volta sul sesso e lo stimolò, per riandare sul buchino. Questa volta vi inserì un dito facendolo sgusciare tutto dentro. Poi con entrambi le mani cominciò a masturbarla veloce davanti e dietro, costringendola a gemere dentro di sé. Le piaceva, le piaceva tanto essere frugata così. Forse perché di lì a pochi metri c’era l’amica. Era così intenso il piacere della trasgressione che venne subito nella mano di lui, giusto in tempo lo squillo dell’orologio. Il tempo di ricomporsi e andare dall’amica. Lui si leccò le dita e lei gliene fu riconoscente. ‘Sei fantastico. Ci sai fare meglio di un gigolo’. ‘Come se li conoscesse: forse li confonde con gli attori porno.’, sorrise lui tra di sé, mentre prendeva la strada dello studio.
‘Non ho idea fino a che punto sei giunta con mio padre’, l’affrontò appena la vide Giovanna. ‘E non dico che non mi interessa, solo che, qualsiasi cosa sia accaduta è giunto il momento del ‘the end’. Non ci vuole molta fantasia per immaginare come lo hai salutato e quali discussione hai intrecciato con lui. E’ vero: potrei passare di trattarlo come un bambino. Pazienza. Non sono le mamme che mettono in guardia i loro piccoli dalle signorine con le caramelle?’.
‘Solo che io non sono una sconosciuta e gli piaccio da svenire. E lo amo, non lo dimenticare. Sorellina, tu mi dovrai accettare. Anzi, ti dico: sono disposta ad accettare te come amante, basta che mi lasci carta libera’.
‘Capirai! Lei mi concede. Ehi, signorina, dimentichi che sono sua figlia e questo è quel qualcosa in più che non potrai avere’.
‘Quel di più, al contrario, è il fatto che non sono sua figlia. Con me il raccapriccio dell’incesto non c’è. E, comunque, potrebbe mandarti in qualche buono istituto di suore, magari a pervertirle’.
‘Scherza pure. Ripeto: non sono se tu sia riuscita a portartelo a letto oppure no. Lui non ha parlato, ma sono sicura che oggi sei tracimata qui per fartelo. Allora, sii sincera: te lo sei fatto? Non hai il coraggio di rispondere. Capisco: prima devi deciderlo con lui se parlare o meno. Non importa: se gli impongo di mandarti a quel paese lui lo farà. Non ci credi? Vedrai’.
‘Io so solo questo: che mi ama, che non farà a meno di me. Gli puoi snocciolare tutti gli arzigogoli che vuoi, puoi cantare in greco e latino e fargli tutti’ i pompini che vuoi: non lo allontanerai da me. Anzi: più ci tenterai e più lo perderai’.
‘Sciocchina presuntuosa, sono la figlia e sono ancora vergine, ver-gi-ne. E questa verginità la posso contrattare ad un prezzo altissimo. Lo ricatterò: se non ti lascia per sempre, mi faccio sbattere dal primo venuto. Tu sai che non ne sarei capace, lui non lo sa e, dato il mio carattere, penserebbe che farei sul serio. Se oltre ad essere la figlia, fossi anche la donna che ama, chi credi che butterà dalla torre?’.
‘Non gliel’hai ancora data! Cazzo, avrei giurato che l’avevi incastrato con la tua passerina. Ma, se sei sempre nel suo letto e fra le sue gambe!’.
‘Non c’è solo quel modo per tenere stregato un uomo. Tu hai i tuoi modi, io i miei. Sono ancora vergine. Immagina quanto lui desideri infrangere quel sottile lembo di membrana da padre e da uomo innamorato!’.
‘Altro che santarellina: sei diabolica! Gli avrai dato tutto tranne che quella là. Non possiamo invece di massacrarci, accettare che sia di tutte e due? Dai. Io lo voglio sposare e tu è come se lo fossi. Avrà due mogli in segreto. Io sarò il tuo migliore scudo. Se mi ricatti col fatto che sei la figlia e tra questa e un’estranea, se deve scegliere, sarebbe costretto a scegliere la prima, anche io, se volessi, potrei ricattarti, spifferando che viene a letto con te. Lo perdo anche io, ma tu non solo non lo avresti, ma finiresti in una comunità di recupero. Non ci voglio nemmeno pensare’.
‘Non lo faresti mai. Lo ami, dici. E sono tua sorella anche se putativa’.
‘Non lo farei. Ma non si sa mai. Tu non costringermi. Pensa a quello che ti prospetto. Tutti e due con lui e tu ti terresti il vantaggio di essere figlia. Ti concedo tutto domani per pensarci. E non giocarmi qualche brutto tiro: non te lo perdonerei. E, un’altra cosa. Mezz’ora da sola con lui’ nel salone. Inventati quello che vuoi, ma non fargli sospettare che abbiamo trattato assolutamente. Te lo dico ora per non litigare dopo. Ti prometto che non lo scopo. Te lo lascio per la notte’.
‘Te lo sei già fatto, vero? Perché non lo confessi?’.
‘A ciascuno il suo. Alla figlia ciò che è della figlia, a Marta ciò che è di Marta’.
‘Vaffanculo! Pape Satan, pape Satan aleppe’, e non ci capisce un cazzo nessuno’. E Marta non comprese se si riferisse a lei o a Dante, o’ a tutte e due. ‘Andiamoci a fare questo settimo canto. Te lo sei perso stamattina’. Si sistemarono l’una accanto all’altra e si misero a leggere e commentarlo. Quello che contava è che si volessero bene molto profondamente. Avrebbero trovato la soluzione giusta per entrambe.
Erano ormai le sette del pomeriggio, quando finirono di studiare.
‘Dovresti chiamare al telefono, penso. Lui sentirà squillare, tu lo prendi e lo lasci staccato per mezz’ora, e crederà che stia dettando e spiegando il classico di greco. Così gli spiegherò io. Non gli farò nulla di irrimediabile: lo attizzerò soltanto. Un po’ di lui deve restare pure a me per stanotte. Lo a-mo, lo a-mo. E mi piace quanto l’universo intero. E prima ne prendi atto e meglio è per tutte e due. Non ti fare venire l’orticaria. Pensa a stasera. Sarà così infoiato che se non ti ha fatto la festa, te la farà stanotte. Sorellina, smettila con questa faccia. Lo sai che sei il mio cuore, ma, se anche io sono il tuo, per la proprietà transitiva tuo padre è anche nel mio. Rassegnati. Ma che dico: sii felice, raggiante: tutte e due per la vita insieme con lo stesso amore che ci renderà e renderemo felice. Vieni qua e abbracciami’. All’invito Giovanna rispose abbracciandola, però, nella sua mente non abbandonava l’idea di avere suo padre tutto per sé. Si strinsero commosse e baciandosi sulle guance. Poi, tra il serio e faceto, Giovanna allungò le mani sul seno dell’amica. ‘Li hai così duri che, serrandoli, ci potresti schiacciare una noce. Le armi, le hai più che buone, lurida cagna’. E, Marta di rimando, pronta, allungando la mano sotto la cortissima gonna dell’amica: ‘E questa dove la metti in termini di concorrenza? Ehi, sei ancora bagnata! Ma, sei pure unta, che è?’.
‘Forse i miei umori sono più densi dei tuoi. E togli la mano da lì: non ti prendere troppo confidenza’. Ma l’amica aveva infilato le dita sotto lo slip e l’accarezzava. Giovanna non parlava, ma si capiva che gradiva, come Marta. ‘Un assaggino come ai bei tempi, che poi sono fino qualche settimana fa, solo un assaggino che devo correre da tuo padre. Ci possiamo permettere queste tenere distrazioni: siamo tutto tranne che lesbiche’. E continuò ad accarezzarla lì sotto, Giovanna si abbandonò sulla spalla dell’amica e anche lei allungò la mano mollemente verso il sesso di lei. Gemettero insieme fino a quando godettero intensamente. Si sfiorarono le labbra con un bacio, poi si lasciarono, le dita ingrommate dal piacere sprigionato.
‘Su, telefona’. Marta fece il numero di casa dell’ingegnere e, non appena il telefono squillò, Giovanna prontamente afferrò il ricevitore, posandolo sulla scrivania.
‘Non mi fai lo ‘in bocca al lupo’?’, sorrise l’amica.
‘Va a forti fottere’, l’apostrofò Giovanna.
‘Sai quanto lo vorrei, ma ti ho dato la mia parola: non lo farò’.
‘Che spudorata!’, chiosò Giovanna, pronta a lanciarle un quaderno.
Qualche istante dopo Marta era tra le braccia di Giacomo, tutti e due abbandonati sul divano del salone. Lui, nel frattempo, si era ripulito per bene. Era sicuro che la fanciulla avrebbe trovato la scappatoia per appartarsi con lui e, ancor di più, che avrebbe cercato subito le sue intimità, perciò aveva provveduto per tempo.
‘Come sei riuscita a convincerla a farti restare con me?’.
‘E’ impegnata con la nostra solita compagna per il classico: ne avrà per più di mezz’ora. Inoltre lo sa che sono persa di te: non è così dura di cuore per impedirmi di starti un poco vicina. Sono o non solo la sua sorellina. Ma basta parlare: baciami’.
Lui la prese per il viso e cominciò, contraccambiato, a baciarla con passione. La mano di lei cercò la lampo dei calzoni di lui: non voleva masturbarlo, desiderava solo stringere il membro e sentirlo gonfiare. Le dava una sensazione di potere. Una regina con lo scettro del regno in mano. Lui si girò un attimo indietro, inconsciamente preso dal timore che potesse affacciarsi la figlia.
‘Stai tranquillo: non ti sei accorto che ho chiuso a chiave? E’ solo una precauzione, perché non si farà vedere. Sono certa. Strapazzami: ho tanta voglia di te. Leccami, mordimi i seni, fammi godere’. E si distese tutta sul divano, lui vi si gettò assetato.
La mezz’ora passò in un niente. Lei mantenne la promessa fatta all’amica di non farlo venire, ma lui rischiò l’infarto dalla voglia di prenderla o almeno che lo facesse godere eiaculando. Giovanna avvertì che il tempo era scaduto facendo un gran baccano per permettere loro di riassettarsi. Così Marta si alzò veloce per aprire la porta, prima che l’amica se ne accorgesse.
‘Allora i miei due amatissimi comprimari hanno finito di confessarsi i loro reciproci peccati?’.
‘Ancora non hanno dato il placet del sacerdozio alle donne’, rispose altrettanto ironica Marta.
‘Non lasciarti imbambolare dalle sue malie, papà. E’ perversa, al di là del faccino tanto per bene. Tu sei troppo ingenuo con noi donne. Non ne parliamo con lei. Che, per dirla con uno slogan pubblicitario, non solo affascina, ma strega’.
‘Da che pulpito viene la predica. La sorellina che aspira agli altari della santità. Tu finirai all’inferno, nel cerchio dei lussuriosi e ci trascinerai questo mio povero amore’.
Ah, ah: è già diventato, l’amore. Fino a ieri, papà, non ti chiamava ingegnere? Da quando questa intima confidenza?’.
‘Ma non è vero’, questa volta intervenne Giacomo. ‘Mi ha sempre chiamato ‘amore’. Quell”amore di ingegnere’, ‘quell’amore di tuo padre’. E poi, a parte te, se non mi dà dell’amore lei che, da quando è nata, sta con noi, chi dovrebbe farlo? E, poi, è vero. Avevo un po’ di timore ad avvicinarmi di più, lei è stata sensibile ad avere capito la mia timidezza e ha rotto il ghiaccio e le sono riconoscente, perché mi ritrovo con una figlia in più’.
‘Con una fica in più, vorrai dire.’, le uscì di bocca, sottovoce, ma lui non lo sentì. ‘Avete rotto il ghiaccio, ah. Come sono contenta, basta che asciughiate per terra, poi’.
‘Che dobbiamo asciugare?’, chiese lui perplesso.
‘Lascia perdere: fa la spiritosa. Me ne sto andando, sorellina. Mi raccomando: non strapazzarlo troppo’. Baciò sulla guancia lui e si avviò all’uscita. Prima di lasciarsi la porta alle spalle, fu lei questa volta a tastare i seni dell’amica. ‘Farai faville stanotte. Lasciamelo intero’. E la baciò leggera sulle labbra.
Lo guardava incantata. Non le sembrava ancora vero che andava a coricarsi con suo padre nello stesso tempo e nel medesimo letto. E ci si coricava non da figlia, o, comunque, non solo da questa, ma come moglie. Già, l’avrebbero definita un’amante gli altri, ma lei si riteneva la moglie, la vera moglie: riprendeva il posto di sua madre. In fondo una figlia desidera sin dal primo anno di vita essere amata dal proprio padre, un desiderio che poi sublima, facendosi inconsciamente questo ragionamento. Io sono come se fossi mamma, papà fa l’amore con lei, ma è come se lo facesse con me. Non è forse vero che in un tradimento sessuale la moglie può perdonare il marito, ma la figlia no? Lei si riprendeva il posto naturale, quello della madre, quindi a tutti gli effetti era la vera moglie. Entrò in bagno, fece pipì, si insaponò di sotto, poi si sciacquò. Era ancora vergine: suo padre ancora non aveva voluto conoscerla in quella regione, però certamente questo costituiva una eccitazione maggiore per lui: sapere che aveva la verginità della figlia a portata di mano e costringersi a non prenderla, pur bramandola immensamente. Gli bastava sodomizzarla. Ma a lei questo bastava. Doveva ammetterlo: le piaceva. Riteneva che avrebbe sofferto almeno un poco nella penetrazione, ma non era stato così. Certo, suo padre l’aveva lubrificata bene, ma era come se il suo sfintere fosse disposto alla bisogna. E, poi, adorava i suoi seni. Lo ubriacavano e lei si eccitava appena si accorgeva che gli occhi di lui li scrutavano. I suoi capezzoli si inturgidivano immediatamente nelle coppe del reggiseno e desiderava che lui li avvolgesse con le sue mani. Eppure voleva con tutta se stessa che la sverginasse. Averlo, sentirlo dentro il suo grembo, doveva essere il godimento più profondo immaginabile. Se avesse perso la verginità non lo avrebbe potuto più ricattare per Marta. Marta. Che doveva fare con lei? Era vero: se avesse voluto, avrebbe potuto distruggere la sua vita e quella di suo padre. Ancora oggi i quotidiani riportavano il caso di un povero padre che da più di dieci anni cercava di uscire fuori dall’accusa di un incesto mai commesso. E la figlia sbattuta qua e là tra psichiatri, centri di assistenza e famiglie affidatarie, diciannovenne, ora, non riusciva nemmeno ad ottenere di riavere il cognome paterno. Figuriamoci se fosse stato appurato un incesto reale. Era da suicidio. Venire a patti con Marta. Giovanna, però, voleva il padre tutto per sé. Come fare? Lei voleva un bene dell’anima all’amica, non avevano mai tenuto un segreto per sé. Si completavano talmente che giocavano con la propria sessualità. Lei conosceva ogni angolo del corpo di Marta e viceversa. E, quante volte, quando avevano desiderio, si cambiavano reciproche carezze che le faceva teneramente godere. Però, la virilità del padre la voleva solo per sé; le apparteneva, proprio perché era suo padre. Mah: ci avrebbe pensato dopo. Ora aveva voglia solo di essere amata, posseduta da quell’uomo e doveva pensare a come eccitarlo al massimo. Si guardò allo specchio sopra il lavandino, scostandosi un po’ indietro per guardarsi tutta. Aveva solo il top bianco che le arrivava sopra l’ombelico e sotto il reggiseno dello stesso colore. Di sotto era nuda. Era invitante la sua pelliccetta e le labbra del sesso erano perfettamente disegnate, vellutate. Appoggiò il dito sul solco e leggermente ve lo spinse. Sì davvero morbide e allettanti. ‘Giovanna’, chiamò suo padre, ‘ti sei addormentata? Guardo che vengo a prenderti’.
Giovanna non rispose. Sì, voleva che venisse a cercarla in bagno e trovarla così, eroticamente vogliosa. Sentì che la chiamava nuovamente, sorrise tra sé. Sarebbe arrivato e lei avrebbe fatto finta di passarsi il lucida labbra. Eccolo, stava già sulla soglia. La vide leggermente china in avanti a guardarsi nello specchio, le gambe un po’ divaricate che mettevano in fulgido risalto i glutei e la ricurva carnosa accarezzata dal cespuglio dei peli. Si sentì traballare il cuore. Il fiato si mozzò nella gola. Era l’incarnazione dell’eros. La guardò ammaliato in silenzio per qualche minuto, poi le si accostò prendendola per i fianchi. Le sussurrò alle spalle, mentre si chinava a incresparle con le labbra la pelle del collo: ‘Sei un sogno o sei vera e sei tutta mia?’. Lei rovesciò la testa all’indietro sulla spalla di lui, gli occhi chiusi, le labbra tremolanti. La pelle di sua figlia profumava di carnalità accesa da stordire. La serrò più forte a sé baciandola, questa volta, voracemente nell’incavo del collo, poi risalì verso l’orecchio, la guancia, quindi la bocca. Lei sospinse i glutei contro il bacino di lui e ne avvertì il turgore. Lui si piegò sulle gambe lasciando scivolare le mani lungo tutti i fianchi fino all’attaccatura delle cosce, mentre con la bocca percorreva il solco della colonna vertebrale fino a quello intergluteo. Lei si chinò in avanti allora, le mani aggrappate ai bordi del lavandino, allargando le gambe. Lui la cercò con la lingua dentro il suo sesso e nel suo nodo più libidinoso. Lei sussultò di piacere e, ad ogni tocco, ad ogni struscio delle labbra o della lingua in lei era un accavallarsi di onde voluttuose. E arrivarono i primi orgasmi che irrorarono deliziosi la bocca di lui. Adorava sentirla venire tra le sue mani, le sue labbra, lo eccitava e nel contempo faceva gioire il fatto che la faceva grondare di voluttà. Ora la voleva nelle terga, mentre si deliziavano nel compulsare i seni di lei. Quegli acrocori di carne voluttuosa gli stritolavano il cervello dal piacere: avrebbe potuto stare ore e ore a trastullarsi con quelle sferiche voluttà, a strizzarle, pizzicarle, accarezzarle, scuoterle, vezzeggiarle, giocare con esse come fossero morbide colombe. E quando le serrava mentre la possedeva sentiva i palmi delle mani avvampare di desideri irrefrenabili. Se avesse potuto staccarle, senza farle male, e poi rimetterle sulla gabbia toracica, lo avrebbe fatto per poterle palleggiare, coccolare, tenersele strette al petto come bambine tenere e deliziose. Si sollevò e posizionò per entrare in lei, Le dita risalirono sotto il top alla ricerca dei seni. Si arrampicarono sopra il reggiseno e si calarono dentro le coppe, mulinando nel contenuto e artigliandolo bramose. Lei si agitava irrequieta, come punta dalla tarantola, tanto le ondate di piacere la solcavano. Sentì la punta del membro del padre che si sistemava nel solco nascosto e lo aspettò vogliosa. Lui la lubrificò con i suoi stessi umori e con la propria saliva, poi spinse e la penetrò. Lei non voleva, però, che lui venisse. Quel palo di carne doveva durare turrito per un po’ di tempo e lei se lo voleva godere il più a lungo possibile. Anche se aveva una voglia grande di sentire il caldo del suo seme nelle sue mucose, si sarebbe tirata avanti quando sarebbe arrivato al punto. Ora era completamente padrona delle pulsazioni di quello scettro particolare, lo capiva quando era al massimo della sopportazione erotica ed era in grado di bloccarlo. Avanti e indietro, avanti e indietro, con i testicoli che sbatacchiavano sulle natiche e le recavano deliziosi schiaffi. Con un colpo di volontà ecco che di colpo lei sgusciò via. Lui, ritenendo fosse un movimento inconsulto, l’agguantò per il bacino tentando nuovamente di cavalcarla. Lei, invece, si girò su se stessa all’in piedi. ‘Su, leccami un po’, ché mi fai godere tanto’, chiese la voce impastata dall’eccitazione. ‘Il culetto me lo prendi più tardi nel nostro letto e, magari, non solo quello. Fammi godere ancora con la mia natura’. Senza rispondere lui si accoccolò di nuovo sulle gambe e si fiondò tra le cosce di lei con tanto accanimento che lei non poté più impedirsi di gemere vivacemente e questo incentivava lui ad insistere nel tormentare il segreto bottoncino. Suo padre sapeva bene come far sprizzare il piacere più intenso da quel piccolo gioiello di carne. Lo picchiettava torno torno con la lingua che strusciava poi dolcemente sul cappuccio, ne succhiava dolcemente il glande, sempre con la stessa velocità e intensità, poi lasciava che il percorso fosse fatto dalle dita, tenendolo però sempre ben lubrificato con la saliva, anche se questa necessità di fatto non c’era, visto che lei si bagnava prima che lui sollecitasse la parte. Gli orgasmi che così provava erano tanto intensi che, senza accorgersene, finiva con gemere voluttuosamente. Il bottoncino del piacere non era molto nascosto tra le piccole labbra, anzi, quando si gonfiava, traboccava dal suo letto naturale. A lei non faceva male, talvolta, strofinarlo vigorosamente con le dita. Suo padre era, però, molto più delicato: voleva che il piacere increspasse a poco a poco tutta la parte in un crescendo sempre più intenso fino a farlo esplodere come il getto magmatico di un vulcano. Era china con le mani che premevano il capo di lui piagata dal piacere. Era come se ad ogni istante fosse in punto di fare pipì, solo che ciò che sgorgava dagli anfratti del suo sesso erano i fiotti degli orgasmi. Ma era tempo di andare a letto, quello era il suo campo di battaglia. Lo doveva esasperare con l’eccitazione della sua sensualità da non farlo ragionare più, da fargli infrangere ogni barriera, ogni pudore. Era la volta buona per immolare la sua virginità? E l’eventuale ricatto? Era una sciocchezza quello che aveva detto a Marta: non avrebbe mai potuto ricattare suo padre così meschinamente. Lei desiderava con tutta l’anima, poi, di essere scopata e quella notte forse era quella giusta. Almeno lei ce l’avrebbe messa tutta.
‘Vieni’, ansimò. ‘Andiamo a letto’. E con le gambe molli dal languore si scostò da lui trascinandosi verso la stanza da letto. Accanto alla sua sponda si fermò, si girò a guardare appassionata il padre, tirò la lampo del top, si slacciò il reggiseno e si distese sul letto, invitante, maliarda, fumigante concupiscenza. I suoi seni a coppa di champagne alti, statuari e vibranti come fossero trascorsi da una brezza serotina, svettavano ammalianti e libidinosi. Tutto il suo corpo sinuoso costringeva al peccato della carne. E quella larga macchia scura che appena ondeggiava in fondo al bacino ti coartava a tuffare il tuo viso per annegarlo con voluttà. Era supremamente bella e sensuale ed era universalmente un frutto proibito e per questo più desiderato. Oh, lui l’amava, l’amava da impazzire. Amava sicuramente Marta, ma non come sua figlia. Forse nemmeno nei più torbidi sogni di un eroinomane sarebbe potuta essere plasmata una figura di donna così conturbante nella sua femminilità. Come la desiderava e come non avrebbe mai potuto più vivere senza di lei! E la sua voce così musicale e ammaliante come quella delle sirene dell’Odissea che accarezzava i suoi timpani! Naufragare sui suoi occhi, sulla bocca, sul petto, il ventre levigato come pietra lavica, sulla culla della vita del suo sesso, baciare quelle cosce d’alabastro e morbide come la buccia d’una pesca, questo desiderava al momento. Se fosse stato possibile non mangiare, bere, lavorare e restare avvinghiato a lei dentro il suo grembo col viso estasiato dalla fragranza dei suoi seni! Si accostò alla sponda del letto, la percorse lentamente con lo sguardo abbacinandosi gli occhi, poi, la raggiunse attraccando sulla sua bocca. La baciò con disperazione, quasi temesse di perderla, la assaporò risucchiandola come un frutto succoso e prelibato, ne bevette la saliva come un afrodisiaco. Lei rispose, stordita da quella passione così intensa, con l’abbandono estenuato, lasciando che la trascinasse nella tempesta dei sensi. E fu un flagello del desiderio quello del padre. Ogni angolo del suo corpo innalzò versi peani ad eros e un oceano di voluttà finì per trascinarla agli invisibili confini del gaudio assoluto. Sentiva come una carezza di fuoco ogni tanto il sesso del padre strusciarle qua e là sulla pelle e il desiderio di comprenderlo dentro di sé si faceva sempre più imponente. E il suo si tradusse in un lamento.
‘Prendimi, entra dentro di me, fammi tua. E’ bello, è bello e lo voglio, lo voglio. Entra dentro di me, fammi tua, sto impazzendo. Non negarmi il mio piacere. Non vedi, non ti accorgi come il mio sesso spasima, pulsa, il miele che sgorga come un torrente. Scopami, il tuo maglio dentro di me abbatti. Sono vergine, vergine. Non smani di infrangere, facendo tua per sempre, un’urna così intonsa?’.
E lui, imperterrito, imperversava sul sesso di lei facendola schiumare dal piacere. Strusciava il suo sesso sulla sua fessura fino quasi a venire, ma si asteneva dal penetrarla. La seviziava di desiderio, ma non la schiantava lacerando quel velo di illibatezza. Però, quella ferita nascosta così voluttuosa cominciava ad ondeggiare dinanzi ai suoi occhi come un incanto, un sortilegio di maga. Vi si aggrappava con le mani fino a strappare ciuffetti di peli. Era uno scontro tremendo la voglia attanagliante del maschio e la censura del padre. Era l’incesto, l’incesto. Un peccato incancellabile. Ma quant’era bella la fica di sua figlia! Sorgente di piacere cristallino da una grotta incontaminata. Entrare in quella grotta, varcarne il limitare, scoprirne i tesori inviolati e poi l’eco di lei, musica delle sirene: ‘Prendimi, prendimi, entra dentro di me, scopami, scopami, sono vergine, la tua vergine. Ti voglio, ti voglio, prendimi, prendimi’. Una musica ipnotica che rendeva sempre più fioca la protesta della sua rimozione. E, così, si ritrovò con il fallo nella mano, come un ariete contro un massiccio portone, pronto a sferrare il suo impatto possente. Lei ne avvertì la prepotenza sulle labbra anelanti del sesso. Le sentì schiudersi alla pressione del glande e si serrò più forte con le gambe ai suoi fianchi. Lo sentì titubante. Ancora una spinta leggera. Quelle turgide labbra di carne sembravano volerlo aspirare; come morbide chele gli serravano la punta di quel rubizzo castone. Ecco, si era deciso. Piano per non farle male la penetrava. Sentì cedere la sua illibatezza e non avvertì alcuno dolore. Solo allargarsi come quando si ingurgita qualcosa di grosso. Solo che quella sensazione di pieno le annegò il cuore di voluttà. Un andirivieni prima blando, poi sempre in crescendo più veloce fino a diventare frenetico. E il piacere esplose nel suo ventre come una bomba afferrandola tutta, la fece smaniare, sbattere la testa da un lato e dall’altro impazzita. Gemeva, oh come gemeva, come un animale ferito in agonia. Non sapeva come fare per sentirlo ancora più intimamente dentro di sé. Ora gioiva sotto di lui, ora si sollevava come una cavallerizza sopra di lui, ora, sempre l’uno dentro l’altra, stavano ritti, insieme, abbracciandosi e baciandosi, frenetici, insaziabili, ora era un’altra volta lei supina, mentre lui si beava dei suoi seni con la bocca e con le mani, ora era lui ad abbandonarsi supino alle labbra di lei che lo scorrevano sul viso, sul petto. Era un agitarsi furibondo, smanioso solo di ondate di stilettate di piacere, che voleva protrarre se stesso all’infinito, fino all’annullamento. E fu l’estasi. Non capire più niente, se non quel movimento dentro di lei che sprizzava solo godimento senza confini. E, infine, lui venne dentro di lei, i cui orgasmi erano ormai continui come il sussultare della terra nello sciame di terremoti, e la sua seta bagnata asperse tiepida i suoi anfratti segreti e lei credette che sarebbe morta tanto il piacere fu insopportabile, mentre lui si accasciava schiantato sopra di lei. Era sua, finalmente tutta sua, solo sua, perdutamente sua. Una vertiginosa passione che lo aveva fatto sentire come un vulcano nelle profondità dei suoi anfratti ricolmi di magma incandescente. Come avrebbe potuto mai più fare a meno del corpo, del sesso di sua figlia? Ecco perché ne aveva paura! Non per l’incesto, ma per il piacere insondabile, abisso di luce e di tenebre, in cui era sprofondato e poi catapultato. Se l’amava? Che parole insensate. Amore? No: la parola non rendeva il senso della vertigine dei suoi sentimenti. Lei era il desiderio di vita soltanto, l’istinto primordiale di sopravvivenza, e questo è al di là e al di sopra dell’amore. Forse idolatria, superstizione, perdizione, abisso di piacere senza confini, forse una sorta di droga. Solo che la droga la cerchi disperatamente e nel contempo la odi, ma lui desiderava disperatamente sua figlia, e l’amava oltre ogni confine dell’umana devozione. Desiderava i suoi abbracci, le sue carezze, le sue coccole, i suoi pizzicotti, i suoi baci, il calore della sua pelle, l’ebbrezza dei suoi seni afrodisiaci, strusciare la sua gota su quell’ogiva di muschio cresposo. Si girò a guardarla e lo sguardo raccolse i suoi seni. E la voglia sempre struggente di accarezzarli e serrarli tra le mani lo prese. Lei colse subito negli occhi di lui il desiderio e, sollevatasi, si adagiò per intera sul suo corpo abbracciandolo, mentre i suoi seni affondavano turgidi e maestosi sul petto di lui. Poi, spintasi su sulle braccia, si sollevò tanto da fare in modo che i capezzoli sfiorassero la pelle di lui per strusciarli lentamente su di essa. La sentì aggrinzirsi dal piacere e, allora, sempre strusciando, cominciò a scendere verso il bacino, fino a fare spiovere quella coppe di luminosa carne sui genitali paterni. Il membro turrito ne incontrò il fervido incavo. Lei vi si addossò, sospingendolo a ridosso del pube fino ad imprigionarlo in quell’anfratto gaudioso. Allora si portò entrambe le mani sui seni stringendolo più vigorosamente, quindi cominciò un lento saliscendi: lo masturbava con le sue mammelle. Lo voleva fare venire tra quelle lussureggianti sfere di donna. Voleva sentire il suo petto inondato dal caldo velluto del maschio. Lui si increspava sussultando di piacere sentendo scorrere il suo membro imprigionato tra i seni della figlia. Era come se il piacere avesse diverse gradazioni e sfumature. Ogni volta era come se fosse più bello e più intenso. Invece, era il fatto che comunque lei lo eccitasse, il godimento che gli suscitava era sempre esasperato. Sì, era così. Il solo pensiero che lei gli raccogliesse il sesso, lo eccitava e glielo faceva inumidire. Figuriamoci, poi, quando se la trovava nuda su di sé, luminosa e incandescente di desiderio e di lussuria a stimolarlo in ogni parte del suo corpo scivolando su di lui. Ecco, aveva smesso con i seni, aveva cambiato idea: non voleva farlo più venire in quel lussurioso canale di carne e la cosa quasi gli dispiacque: anelava venire, i testicoli gonfi all’esasperazione. Tuttavia sospirò di piacere quando raccolse il genitale con le mani. Gli vellicava carezzevole i testicoli, che parevano volere esplodere turgidi e gonfi come una biscia. Eppure, lei era diventata così esperta nel fargli allungare quasi all’infinito il piacere, allontanandosi dal genitale e baciandolo altrove, per poi riprendere un’altra volta quel delizioso tormento con la bocca. Si dilettava col sesso di lui, come fosse un bimbo da vezzeggiare e di cui fosse perdutamente innamorata. ‘Quanto sei bello così fiero, protervo, imponente. Ti piacciono le mie coccole, vero? Entri in visibilio e mi inciti e vorresti far esplodere la tua gioia. Non è ancora il momento, però. Toh: si sono aggrinzite le tue rotondità. Vuoi che le riscaldi nelle mie guance?’. E, schiuse le labbra, aspira voracemente i testicoli nella sua bocca. Lui si sente sfinire dalla voglia. Il piacere è sottile, lungo e languido. Vorrebbe liberarsi da quella voglia che infuria in essi, eruttare il suo incontenibile desiderio. Ma, lei ancora non vuole e, dopo averli sballottati dentro la sua bocca, li abbandona, strusciandosi tutta su di lui, abbracciandolo e tempestandolo di bacetti, bevendolo sulla bocca, ansimante. Poi, si stacca per accomodarsi imperioso sul suo bacino, le gambe ripiegate. Si struscia con il sesso sul suo per alcuni secondi, poi si solleva e vi si annida sopra. Lui sente il calore umido, avvolgente della sua urna di carne lussuriosa. Non ce la fa più. Vuole scopare, vuole solo scopare, sentire il suo desiderio irrompere a fiotti dentro di lei. Lei va e viene lenta sopra di lui, si inchina in avanti, vuole che lui accarezzi e tormenti i suoi seni. E lui vi si aggrappa ruggente di desiderio. Quei seni, acrocori vellutati di voluttà senza confini! Li potesse strappare e rinchiuderli dentro il suo petto gonfi così come sono di concupiscenza. Lenta come una risacca serotina lei ondeggia su di lui, cullando il sesso di lui, le pelvi stretti come un pugno su di lui. ‘Voglio venire ora, ma insieme a te. Ti prego, fammi venire con te!’, la supplicò, perché ormai non si conteneva più e voleva godere insieme a lei, sentendola spasimare di piacere con sé e sopra di sé. Lei lo guardò inseguendo le onde di gaudio che dal suo sesso la percorrevano intera e gli sussurrò il silenzio, mentre si piegava tutta su di lui, perché bevesse il latte della sua estasi dai capezzoli turriti allo spasimo. E, mentre la cingeva per le spalle, si gettò assetato su quel petto fragrante di passione, succhiandolo fino alle midolla. Gli occhi chiusi lei emise gemiti lunghi. Il suo sesso pareva una fucina di fiamme. Cominciò a muoversi più veloce, a scorrere con le sue labbra lanuginose sui testicoli paterni. Più veloce e fremente, più veloce e fremente. Si staccò da suo padre, si portò entrambe le mani dietro la nuca, intrecciandole. E cominciò a dimenarsi quasi furente, selvaggia. ‘Sì’, miagolò, ‘sì, ora puoi. Bagnami, inonda il mio utero tutto con la tua spuma’. Agitò allora anche lui le sue natiche maschie, inarcando appena la schiena. Ecco, l’onda risaliva per le gonadi ardenti, saliva come un magma. Più su, su. Esplose. Come una stella, come un intero creato. E il piacere fu senza confini. Lei sentì eruttare dentro di sé, nei suoi penetrali bramosi la passione bagnata di lui, come getti di fuoco, che incalzarono i torridi rivi della sua libidine e si sentì stordire di piacere. Non avrebbe più voluto sentire quel bastone di carne fuori dalla sua vagina, tanto il godimento era grande solo nel custodirlo dentro di sé. Si abbandonò appagata sopra di lui, incastonandogli il costato tra i seni. Sapeva che a suo padre lo ammaliavano più del folto crine della sua intimità. Sfinito, lui la cinse tra le braccia accarezzandole il capo e le spalle. Quanto l’amava e la desiderava. E Marta? Forse che non l’amava e desiderava? Vero. Di lei, però, avrebbe potuto fare a meno, se fosse stato indispensabile, di sua figlia no. E non perché fosse tale, ma perché c’era più mollezza, più lascivia, più vizio nella sua sessualità, nel suo abbandono. Lei si riempiva della sessualità paterna, forzandone i desideri più nascosti e gli regalava gli spasimi d’una femminilità più struggente e perversa. E, poi, c’era il suo seno che ‘ ne era certo ‘ non aveva rivali tra le donne più belle che lui avesse visto o conosciuto. Quel seno lo faceva smaniare. Se lo sarebbe divorato, tanto lo concupiva. Sarebbe rimasto, se fosse stato possibile, a stare attaccato ad esso durante il giorni e tenerlo come guanciale la notte. Già, mentre lo sentiva morbido e sodo gravare su di lui, aveva voglia di sentirlo nel cavo della sua mano. Non avrebbe potuto mai fare a meno della figlia. Era un peccato che lo aveva travolto anche nel suo dna.
‘Mio guerriero, hai deposto, allora, il tuo brando? Stanco di combattere, di trafiggermi ancora con foga e passione?’.
‘Con te non riuscirei mai a smettere. Ma le risorse di questo attempato mortale non sono infinite. Vuoi un padre vivo anche per tanti e tanti giorni ancora o che spiri sopra il tuo mirabile seno?’.
‘Non scherzare. Devo diventare vecchia decrepita con te, anche se giocherei con questa tua maestosa suppellettile in continuazione. Mi entusiasma, eccitandomi incredibilmente, sentirla crescere, gonfiarsi nelle mie mani, giocarci con le mie labbra, la mia lingua, sentirmela scavare dentro nelle mie mucose più nascoste e impudiche’.
‘Sei davvero sfacciata, bambina. Come se avessi avuto confidenza con questo mio arredo da sempre’.
‘Consciamente no, ma nei fatti sì. Ti ho visto sempre nudo col tuo attrezzo ciondoloni. L’ho sfiorato, toccato tante volte: solo non ne avevo coscienza. Mi sento come una bambina che vuole scoprire tutte le risorse nascoste del suo giocattolo preferito. Siamo ancora agli inizi. Saprò farlo risuonare in tutte le più mirabili armonie e non potrai mai fare a meno di me per questo’.
‘Io ti amo: sei mia figlia. Per questo non posso fare a meno di te’.
‘Il piacere che ti regalo, allora è accessorio? Il mio corpo, il mio seno che tanto ti attrae, è un’appendice al tuo affetto? Ma se ti vedo impazzire per il godimento che ti so dispensare!’.
‘Volevo solo dirti che ti amo a prescindere, anche se il paradiso o l’inferno di sensazioni che mi rovesci sono indibili. Una febbre, un contagio di cui non potrò mai fare a meno. Starei aggrappato a tuoi seni in perpetuo ed entrerei nei tuoi buchi, lì, dietro, qui, davanti, instancabile fino a morire. E’ torbido, Giovanna, il nostro amore. Mi auguro solo che non ci distrugga, tanto grande è l’incendio’.
Lei si girò per accomodarsi supina tutta su di lui, la nuca appoggiata sulla sua spalla sinistra, la gamba destra sollevata ad angolo ottuso, il piede poggiato vicino al ginocchio di lui. Sapeva che avere contemporaneamente il suo posteriore così pieno e morbido reclinato sul suo pube e il seno meglio a portata delle sue mani l’avrebbero eccitato, nonostante asserisse di essere sessualmente stremato. E, infatti, lui catturò prontamente con entrambe le mani le mammelle di lei, ora stringendole, ora accarezzandole, ora titillandone i capezzoli. Lei desiderava sentire ancora la sua voglia crescere sotto di lei e lo incentivò.
‘Com’è che questa notte non hai ancora avuto il desiderio del mio culetto? Non dico che ci tieni più della mia cosina, ma ti arrapa mettermelo dentro. E, sai, che piace tanto anche a me?’. E, intanto, con una mano cercò i testicoli di lui per palpeggiarli. E’ bello sentirti ramingare col tuo arnese tra i miei glutei. Non ti hanno sedotto questa sera?’.
‘Ti sei dimenticata del bagno? E’ la prima cosa che ti ho servito. Tu sei scivolata via’, rispose lui sorridendo. Ma siamo sempre in tempo’.
‘Hai appena detto che non ce la fai più’. Ma già aveva sentito il sesso di lui gonfiarsi sotto di sé e i testicoli inturgidirsi. Un fremito la percorse. ‘Non voglio assolutamente che tu appaghi anche stanotte questo lascivo mio desiderio: è meglio farlo protrarre fino a domattina o magari a domani notte’. E, mentre così diceva, agitava mollemente le terga sul sesso di lui che, ormai, inalberato, poggiava contro la nascosta piega delle natiche. Sentì le dita di lui rattrappirsi fremendo sopra i suoi seni e gli munse blandamente i testicoli. Sentiva la voglia di lui crescere forte a dispetto della sua presunta spossatezza. Il suo inconscio, il suo sesso la voleva, proprio lì, nelle sue più segrete mucose. Si sollevò appena per lasciare che strusciasse tutto intero il suo fondoschiena alto, sodo, vellutato come quello di un neonato, provocante, ammaliante, voluttuoso. I brividi di lui la galvanizzavano eccitandola sempre di più. In fondo era come la prima notte di nozze quella: se avesse fatto qualche prestazione in più, avrebbe recuperato nei giorni successivi. Lei gli avrebbe cucinato a pranzo una bistecca da un chilo. Voleva ormai con i suoi estenuanti ondeggiamenti che lui le scopasse il culo. Lo voleva sentire caldo e grosso dentro le sue strette mucose, mentre lui le ansimava selvaggio dietro le spalle e le stritolava i seni nel lubrico possesso. Una mano paterna cominciò a scendere lungo il suo ventre a cercarle la fica per afferrarla bramoso e masturbarla, mentre l’altra le compulsava ora l’uno, ora l’altro seno, ora i capezzoli. Lo voleva prendere così l’obelisco del padre, coricata sopra di lui, quando sarebbe stato estremo il desiderio paterno. E il suo ventre si contraeva sotto l’incalzare delle dita di lui che le entravano dentro a cercarla o a sollecitare il suo piccolo pene, mentre quello del padre pareva una stalagmite, tanto era diventato granitico sotto di lei. Si tirò un po’ più in su, imprigionandolo tra le sue cosce, a ridosso del suo sesso fumigante, sempre mungendone i testicoli. Lui non sapeva cosa prendere prima di lei con le mani. Ora il suo sesso, il suo petto, il suo ventre, la sua bocca che gli succhiava le dita come fossero il cazzo e che esasperavano la voglia di lei in modo cocente. Poi si decise. In quella posizione si sarebbe fatta male penetrandola e fece per spingerla in avanti, perché si mettesse carponi.
‘No, ti voglio così’, lo fermò con la voce roca dalla passione. ‘Mi allargo con le mani’. E, con le mani si allargò i glutei. Questa mossa accese ‘ se possibile ‘ ancora di più il desiderio di lui e, asperso il grinzoso segreto con il miele di lei più volte, tenendo il membro con la mano, ve lo indirizzò. Lei avvertì la pressione del glande contro il suo sfintere e vi si spinse contro finché lo sentì scivolare intero dentro di lei. Le spalle appoggiate sul petto di lui, i piedi puntellati sul materasso, inarcandosi col ventre, cominciò ad andare su e giù. Su e giù, su e giù con libidinosa avidità, finché lui non poté trattenersi e singhiozzò poche gocce di sperma dentro il retto di lei. Era davvero appagata. Quella ginnasta del ventre l’aveva spossata. Voleva, in silenzio, essere solo un po’ coccolata e addormentarsi tra le braccia di lui. Che la coprì con lo sguardo d’un amore appassionato, mentre vi si raggomitolava contro, e la baciò sulla bocca con foga.
‘Ti amo, piccola mia, ti amo alla follia. Sì, alla follia, perché questa è solo irruenza d’amore’.
‘Non è follia, papà, è solo amore, grande, immenso unico amore. Anch’io allora sono follemente invasata di te. Ti amo anch’io alla follia. Che questa mania divina ci duri tutta la vita. Che dici? Possiamo ora dormire? Tienimi stretti. Ti voglio gustare nel sonno’.
Spensero la luce e si apprestarono a dormire, lei la testa sul petto di lui.
Fu lei a svegliarsi per prima e sorrise sentendosi così desiderata dall’amante: la teneva abbracciata, una mano aggrappata ad un seno, il bacino incollato alle sue terga, il sesso proteso a pescare nell’ogiva dentro le cosce. Si stiracchiò tutta con un sospiro di piacere. Avrebbe fatto l’amore con quell’uomo senza sosta. Era una febbre. Non l’avrebbe mai immaginato. Un desiderio così smodato e senza soluzione di continuità. Era forse connaturato all’incesto? Forse per questo era proibito? Perché il piacere che avrebbe comportato avrebbe condotto alla consunzione dei protagonisti? Non per la nascita di prole deforme, ma per il fuoco distruttivo che sarebbe colato nella midolla. Si girò a guardare il sesso impennato e l’impulso fu quello di afferrarlo, come un neonato si getta sulla tetta della madre per suggerla. E lei vi si buttò avida, imboccandolo e cominciando subito ad aspirare. Non voleva fare l’amore: voleva solo sentire il sapore caldo nelle sue mucose. Fece presto Giacomo a svegliarsi e a rendersi piacevolmente conto di quel che gli stava capitando. E trovandosi con il ventre della figlia prossimo al suo viso, pensò bene di ristorarsi anche lui nella sorgente genitale di lei. E, mentre lei lo suggeva, lui la contraccambiava facendola subito gemere e venendo, alla fine insieme.
‘Avrei bisogno di una dozzina di uova col marsala per riprendermi. Nemmeno nel sonno mi dai tregua. Anche i guerrieri hanno bisogno del riposo e io non sono un guerriero’.
‘Può una mamma fare a meno di coccolare il suo bambino, quando, sveglia, lo ritrova accanto a sé. E può un neonato che, svegliatosi, si trova la tetta della mamma accanto al viso, non slanciarsi a succhiarla? Ecco: sono tutti e due, mamma e bambino’.
‘Solo che i miei testicoli non sono una tetta: si svuotano in pochi secondi e non si riempiono subito e il mio gingillo non è un neonato che succhia, ma è succhiato. Non rispondere e non mi guardare così e vestiti subito, perché sei una tentazione mortale’.
‘Ancora qualche minuto. Ti prego: fammelo prendere ancora in mano. Voglio sentirmelo gonfiare dentro’.
‘No, non si può, non si può. So come andrebbe a finire. Non ti so resistere. Rimarrei dentro di te sino alla consunzione. Chissà, forse è la morte più bella’.
‘Che pensieri funerei. Ti voglio vivo, vegeto e in forma. Non credi che importi soprattutto a me, come figlia e come amante, tenerti al meglio. Stanotte ‘ e anche poco fa ‘ è stata come la prima notte di nozze: da ora in poi saremo più continenti. Sarò io a imporcelo. Quindi terrò lontane, per quanto giudicherò necessario, le tue mani dalle mie tette e dalla mia passerina. Meglio: ti permetterò di toccarle senza che tu vada oltre. La mia cosina sarà come una fortezza: si aprirà solo quando lo deciderò. Dunque, non voglio scopare. Lo vorrei, te l’ho detto. La cosa è reciproca. Ci uccideremmo stando sempre l’uno dentro l’altro. Ma la vita è così bella che il piacere bisogna saperlo gustare. Dura tanto e ci gratifica meglio’. Così dicendo scivolò verso l’inguine paterno, gli occhi luccicanti, a raccoglierne il sesso. Prima lo sfiorò con un bacio, poi cominciò un blando e intermittente saliscendi. Nonostante la prestazione di alcuni minuti prima, l’organo maschile cominciò a inturgidirsi gonfiandosi. Lei lo sentì crescere nella mano con brividi di piacere e di entusiasmo.
‘Ecco perché gli uomini si sentono prepotenti, perché hanno il pene. Mi dà una sensazione di potere, più che se tenessi in testa una corona. Vigore, arroganza, autorità imperiosa, tutto questo mi sento impugnandolo. E, quando zampilla, c’è la stessa infuocata violenza di un vulcano, la medesima irruenza esplosiva. E’ davvero bello nella sua rudezza. Guarda come pulsa e si esaspera nell’inalberarsi. Agogna la mia fica, la brama. Come sento che ne spasima! Vorrei, ma non te la posso dare. Questa volta non si può’. Fermò il movimento della mano e lo contemplò. Il glande era infuocato dal desiderio, la piccola bocca riarsa.
‘Giovanna, basta. Mi stai eccitando un’altra volta allo stremo. C’è qualcosa di perverso in tuo padre, sicuro, se ti sto a guardare manovrando dicendoti di smettere, ma dentro di me implorando che continui. E, se la nostra passione fosse un irredimibile peccato? Nel cuore mi si spalanca un abisso di paura unitamente a un abisso di libidine. Fermati, figlia: basta così’.
Giovanna chinò il capo a dare un ultimo bacio alla sensuale cuspide malva e fece ‘ciao, ciao’ con la mano. Scese dal letto e cominciò a vestirsi, quindi, corse leggera verso la cucina. Giacomo rimase ancora un poco supino nel letto, gli occhi a fissare il soffitto, la mente totalmente svuotata.
Quando entrò in cucina, la figlia era seduta che stava mangiando la sua bella tazza di latte. Lui si sentiva debole, le gambe molli. Sì, si sarebbe fatto un ricco zabaione e a pranzo si sarebbe mangiato una bistecca alta due dita. Guardò la figlia. Il maglione rosso esaltava la curva del seno. Chissà se aveva indossato il reggiseno. La gonna corta lasciava scoperte le cosce, lasciando intravedere il bianco della mutandina all’inguine. Ebbe un tuffo di desiderio. Frugarle dentro la camicetta. Non era questa la prova più lampante che il suo non era amore, ma un’ossessione, una malattia di perversione. Aveva amato appassionatamente sua moglie, ma non con questa febbre delirante, con l’ossessione di stare sempre con il sesso o con le mani nella sua femminilità primaria e secondaria.
Si disse che era, come accade, la prima volta che si sta con una donna di cui si è appassionati. Poi, per l’abitudine, il desiderio avrebbe morso di meno, si sarebbe fatto più temperato. Intanto, invece di avvicinarsi al frigorifero per prendere le uova, indipendentemente dalla sua volontà, si portò alle spalle della figlia e, posate le mani sugli omeri, si chinò verso la sua guancia e la baciò.
‘Sei così bella ed eccitante insieme da suscitare solo pensieri erotici. Com’è cambiata radicalmente la mia vita nell’arco di qualche giorno. I miei occhi ti guardavano spassionatamente, nuda o vestita che fossi, senza nessuna concupiscenza e ora, invece”, e, mentre diceva, già le mani erano scese lungo il declivio prorompente dei seni, ad accarezzarli, ad imprigionarli sopra il maglione.
‘Ehi, ehi. Per stamattina basta. Voglio mantenere l’impegno’, ma già i capezzoli si erano erti di voglia e il respiro si era appena affannato.
‘Voglio solo assaggiarti, per convincermi che non sei un sogno, che sei tutta mia’, e con le labbra le frugò il collo, che sentì rabbrividire sotto i suoi tocchi.
‘No, no, lasciami. Sai che sono sensibile sui seni’, lamentò, ma le piaceva tremendamente che le accarezzasse i seni. Anche lei non avrebbe fatto a meno di fare sempre l’amore con lui. L’avrebbe voluto sempre tra le sue gambe o, quantomeno, ghermirlo per il sesso.
Lui, però, non smetteva. Voleva sentire la sete della pelle di lei tra le dita, solo per qualche minuto, tanto per mantenere tra le mani la fragranza di quelle voluttuose forme di carne. Risalì le mani verso lo scollo e ve li infilò. Non aveva reggiseno. Cominciò a girovagare su quei globi di femminilità, inebriandosi le dita e la mente.
‘Basta, papà, basta’, supplicò lei gemendo e sussultando per l’orgasmo.
‘Ti piace tanto, vero? Sei venuta. Che bello! Ti ho fatto venire. Vediamo quanto sei bagnata?’.
E, lasciato il seno, la cercò nel grembo. Era più che bagnata.
‘Oh, papà, non è possibile. Vorrei essere scopata. Sì. Sì, così, frugami, frugami così’ e, protese la mano verso la patta di lui, sbottonandola frenetica, e impossessandosi del membro eretto di lui.
Poi, con uno sforzo sovrumano, si disse di no. Si staccò decisamente da lui, allontanando il padre con un perentorio ‘no’.
‘Lo hai detto tu, prima. Non te ne ricordi più? Voglio fare l’amore per tutta la vita con te, da vivo, però, non con il tuo ricordo. Se tu non riesci a stare lontano da me per il tempo dovuto, dovrò impormi io e lo farò per l’amore immenso che ti voglio. Se tu dovessi semplicemente star male, impazzirei. Io voglio godere il tuo amore, non bruciarlo insensatamente. Intanto, fatti quel vigoroso zabaione.’.
Malinconicamente, con il sapore e il profumo della figlia nelle mani, aprì il frigorifero, prese sei uova e cominciò a prepararsi lo zabaione.
VI
Erano le dieci quando Marta suonò alla porta. Giovanna era nel grande salone a camminare avanti e indietro, mentre Giacomo era rintanato nello studio, intento, più che a lavorare, a star lontano dalla figlia, divorato com’era da una compulsiva libidine di lei. Giovanna camminava e rimuginava ciò che avrebbe dovuto fare con l’amica. Sapeva che aveva suo padre in pugno, ma sapeva altresì che Marta non avrebbe mai rinunciato a lui. Non c’era alternativa: l’avrebbe dovuto condividere. Marta sarebbe stata d’accordo? Non che lei sarebbe stata indifferente alla cosa. Solo che, tra perdere suo padre del tutto ‘ perché se l’amica avesse denunciato la cosa, così sarebbe andata a finire, – o dividerlo con lei, sapendo che lei, Giovanna, era la regina, la preferita, che si doveva fare di necessità virtù, perché non si poteva altrimenti, c’era poco da scegliere: l’avrebbe condiviso. Marta voleva sposare suo padre e avrebbe mai accettato di dividere il letto con lei? Si doveva assolutamente convincere. Se era così follemente innamorata, meglio in due che non averlo nessuna delle due. Già. Ma come glielo avrebbe dovuto proporre? E suo padre come l’avrebbe presa? Via, il problema non era lui, che ne sarebbe rimasto lusingato. Due giovanissime e bellissime donne che se lo contendevano: avrebbe fatto insuperbire qualsiasi uomo. No, il problema era solo Marta: l’avrebbe messa dinanzi al fatto dell’ineluttabilità della cosa: insieme nel letto paterno. A poco, a poco si accorse che la prospettiva la eccitava. Tutte e due a vagabondare sul corpo dell’uomo, a incrociare le loro mani, le loro bocche, a toccarsi. Non avevano, del resto, tante volte provato così piacevolmente a pomiciare raggiungendo orgasmi profondi e appaganti? Avrebbero avuto tutto da guadagnare in termini affettivi e sollazzevoli dallo stare nello stesso letto. Si decise così di affrontare in modo chiaro subito la questione appena l’amica fosse arrivata. E Marta, puntuale, alle dieci suonò alla porta.
Giacca a vento e gonna jeans e la cascata di capelli sciolti sulle spalle. Entrata, si tolse il giaccone e apparve la polo che indossava sotto: velluto marrone con due tasche sul petto e altre due in basso, stretta con una cintura della stessa stoffa sui fianchi, quasi compiutamente sbottonata. Sfolgorava l’incavo del seno con le sue rotondità maestose nemmeno sorrette dal reggiseno. Anche lei, per l’occasione, non l’aveva messo. Eppure entrambe sapevano che a papà piaceva scovare quelle morbidezze voluttuose sotto quelle morbide coppe: volevano mostrarsi più erotiche, far desiderare all’uomo di allungare le mani a frastornarsi di quelle voluttà. Sì, era stupenda e sensuale l’amica. Le balenò l’immagine del padre, mentre assaliva Marta con una mano a ghermirle il seno e l’altra a cercarle il sesso sotto la gonna cortissima. E, come se l’uomo fosse lei, si sentì fremere.
‘Dobbiamo parlare e subito’.
‘Dov’ è lui? Voglio vederlo. Anzi, sono franca: voglio scopare. Non ci resisto. Ho bisogno di sentirlo dentro di me’.
‘No’, continuò Giovanna, come se quello che aveva detto l’amica fosse la cosa più naturale di questo mondo. Il fatto era che conosceva bene quel desiderio incoercibile di fare l’amore. ‘Prima dobbiamo parlare. Inoltre non potresti ‘ tranne che non vorresti farlo stare male,- perché è sfinito, svuotato, spremuto allo stremo da me. Abbiamo scopato come forsennati tutta la notte e appena alzati. Ché, forse non lo sapevi che facevamo l’amore? O che io non immaginassi che te l’eri fatto: siamo due facce della stessa medaglia. Nessuna delle due può nascondere niente all’altra, anche quando ritiene di averlo fatto. Ecco, perché è essenziale che noi discutiamo e risolviamo il nostro rapporto con lui. Vieni, sediamoci nel salone e chiudo la porta. Lui non deve sentire’.
Marta non rispose e, in silenzio, la seguì. Si accomodarono sul divano, dove lei qualche sera prima aveva tentato di sedurlo.
‘So che ami Giacomo, ma sai che lo amo anche io. E non ti starò a dire se più di te o meno. Lo amo e vado a letto con lui e vorrò andarci fino a che morte non ci separi. E ti puoi togliere dalla testa che ci rinunci per qualsiasi motivo. So che lo vuoi sposare e te lo consento solo se continuerò ad esserne la segreta amante. Non è che sia raggiante di dividerlo con te, ma per te vale la stessa cosa. Nessuna delle due può impedire all’altra di averlo, quindi, la mia proposta è di condividerlo insieme nello stesso letto, vuoi insieme, vuoi a turno, come fanno i musulmani. Non essere impulsiva come me, che mi accendo subito. Ragiona e sai che non c’è alternativa. O l’amiamo insieme o lo perdiamo insieme’.
Marta la fissò intensamente negli occhi per alcuni minuti, poi, distolse lo sguardo, si appoggiò allo schienale a pensare. Si potevano leggere sulla fronte i pensieri che le vorticavano in mente. Tutti i pro e i contro. La sua vita con lui come sposo e nel contempo con l’amica che ne doveva essere l’amante segreta. No, davvero non c’era scelta. Giacomo non l’avrebbe mai lasciata per lei, soprattutto dopo che avevano fatto l’amore. Non aveva scelta. Lei lo voleva con tutta l’anima e il corpo. La notte scorsa si era addormentata col rovente desiderio di lui e, in sogno, avevano fatto l’amore con lui tante, tante volte.
‘Va bene’, disse alla fine. E sentì come un sollievo. Non che fosse felice di questa decisione, eppure, eppure era uno strano sentimento. Non si sentiva gelosa. ‘E come faremo per farlo sapere a lui? E come la prenderà?’.
‘Davvero non lo immagini? Siamo le due parti d’una mela. E lui sarà felice di divorarla per intera. Come ti dicevo prima: per ora non è in grado di fare nulla sessualmente e dovremo fare l’impossibile per non eccitarlo. Se ti vedesse così vestita e senza di me ti si lancerebbe addosso. Siamo una continua tentazione per lui e potremmo ucciderlo, se non sappiamo dosare il nostro amore, la nostra passione. E’ come il toro a cui sbandieri un panno rosso: si lancia a testa bassa senza rendersi conto del torero che lo ucciderà. Noi dobbiamo essere due buoni toreri che, invece, vogliono avere il toro al meglio della salute e delle prestazioni’.
‘Cosa consigli di fare? Io ho una voglia irresistibile di lui, di essere almeno scorrazzata in tutta la mia femminilità’.
‘Lo faremo stasera. Chiedi ai tuoi di passare la notte qui. I pretesti non ti mancano. Gli faremo una sorpresa che non immaginerebbe nemmeno lontanamente. Farai finta di andare via, invece ti nasconderai. Spegnerò ogni luce nella camera da letto e prima io, poi tu, ci accomoderemo sulle due sponde del letto. Con una scusa dopo qualche minuto uscirò io ed entrerai tu, che crederà me, poi ti alzerai tu e ti metterai in un angolo della stanza e io mi accomoderò sull’altro lato del letto. Mentre riprenderà ad accarezzarmi, ti distenderai anche tu dall’altro lato. A questo punto la sua sorpresa. Pensare di essere ammattito. Accenderemo la luce e ci vedrà tutte e due nel letto’.
Marta sorrise. ‘Me la figuro la scena. Non è che gli verrà un infarto? Mi hai convinto, sorellina. Mantieni, però, la promessa di farmelo sposare, ché su questo non transigo’.
‘Sai che una promessa per me è come un giuramento degli antichi sullo Stige. Sono sicura che il nostro rapporto sarà adamantino, ricco di emozioni e di felicità. Dovremo stare attente solo a non far trapelare nulla al di fuori della famiglia’.
‘Che dirai a chi non ti vedrà mai con un uomo, almeno sentimentalmente’.
‘Chi se ne frega. Non potranno nemmeno pensare male, perché ci sei tu che sei la moglie’.
‘E che farò fino a stasera? Lui ha sentito suonare e sa che sono io. Che penserà se non mi farò vedere?’.
‘Non penserà nulla: non sa che entrambe sappiamo l’una dell’altra. Vedendoci insieme durante il giorno non farà nulla per toccarti come vuoi tu’.
‘Va bene, va bene. Uno strappo, piccolo, a questa regola, me lo puoi concedere. Fammi entrare solo per una mezz’ora nello studio. Poi, entri tu e ci interrompi. Sono troppo irrequieta vogliosa di essere toccata dalle sue mani nei punti che tu sai. Sono troppo smaniosa. Devo sfogare questa agitazione febbrile’.
‘E io che ci sto a fare?’, commentò Giovanna sorniona, mentre lasciava scivolare una mano sulla coscia dell’amica.
‘E se viene lui?’, balbettò sospirando Marta.
‘Ssh! Non verrà, non verrà’. E la mano afferrò, sopra lo slip traforato, la vulva dell’amica. Anche Giovanna aveva desiderio, quella voglia che il padre le aveva lasciato addosso, quando lei l’aveva allontanato mentre la frugava nel petto e nel sesso. Il respiro di Marta agonizzò, mentre si piegava sul ventre verso l’amica. La quale col palmo di una mano pigiava, ora andando e venendo, ora ruotandolo, sul sesso di lei, mentre l’altra mano correva sotto la camicia a raccogliere una mammella, manipolandola dolcemente con sensualità. Anche le mani di Marta si mossero, l’una ad infilarsi sotto il maglione dell’amica, l’altra a cercarne il sesso dentro lo slip. Lo trovò e la punta di un dito ne cercò il solco, lo percorse in una lenta carezza, poi lo trascorse con due, quindi la penetrò, cominciandola a scopare. Con le dita dell’altra mano afferrava i capezzoli, ora dell’una, ora dell’altra mammella, sfregandoli con delicata delizia. Le dita di Giovanna cercarono anch’esse il sesso dell’amica, se ne aspersero degli umori e vi scivolarono dentro in due. Ormai erano quasi rattrappite su se stesse, quasi in un groviglio, baciandosi ogni tanto o nascondendo i volti sulla reciproca incavatura del collo, gemendo flebilmente. L’una con le dita dentro il sesso dell’altra come la risacca sulla riva. Andavano e venivano lente, ma continue sino a quando il piacere traboccò e si abbandonarono con le mani dentro la loro femminilità fino al rifluire dell’appagamento.
‘Ti senti meglio, ora?’, chiese con malizia Giovanna, mentre, dopo avere dato con le dita una strizzatina ad un capezzolo, lasciava il seno dell’amica. ‘La smania si è calmata?’.
‘E la tua? Ti ho sentita come hai sobbalzato di voglia quando ti ho stretto di sotto. Hai una micetta irresistibile, da strizzare di continuo’.
‘E’ vero. Ho dovuto allontanare papà che mi stava troppo eccitando, perché, credimi, era cereo. L’avevo stremato a forza di fare l’amore. La voglia che mi aveva incendiata m’è rimasta e non mi è ancora del tutto passata’.
‘Neanche a me. Ce la faremo passare in attesa di stasera ad amare il nostro maschio. ‘ Si tirò giù le calze colorate e i gambaletti, poi le mutandine, quindi si riaccostò a Giovanna, risalì con le mani le sue cosce, il bacino per tirarne anche le sue. ‘Sai quello che voglio’, disse la voce arrochita.
‘Sì. Lo so’, rispose sospirando Giovanna. E si allungò sul divano. Dalla parte opposta faceva similmente Marta. Aprirono le gambe a forbice, scivolando l’una dentro l’altra fino a che i loro sessi cozzarono. Si morsero entrambe le labbra a quell’incontro. Lentamente cominciarono a strusciarli. Peli su peli, labbra su labbra. Sentirono i loro fiori carnei gonfiarsi di sangue e il piacere si irradiò nelle loro fibre. Gemevano e sospiravano. Si afferrarono per la caviglie, per rendere più stretto il loro contatto. Aumentarono lo sfregamento in modo più celere, fino a diventare convulso. Si misero quasi a gridare per il piacere. Raggiunsero, così, il primo orgasmo. E continuarono per il secondo e il terzo, finché furono esauste per il godimento e per la stanchezza. Rimasero distese sul divano, inerti e in silenzio, inseguendo la pace che il piacere aveva loro regalato.
‘Allora, che si fa?’, chiese Marta, stiracchiandosi. ‘Posso almeno salutare il ‘nostro’Giacomo? Te lo giuro. Con l’orologio puntato: dieci minuti’.
‘Uhm. In dieci minuti si può benissimo scopare. So che tenterebbe di farlo, se non sono presente e tu, carina, non ti sottrarresti. Non mi fido. Deve ricaricarsi per bene per stanotte’.
‘Allora. Giuro: solo qualche strizzatina, un po’ di pomiciate, e via’.
Giovanna sospirando acconsentì. In fondo era interesse anche di Marta che suo padre non fosse spompato, se voleva essere pienamente soddisfatta a suo tempo. Ricambiò il bacetto dell’amica sulle labbra e la lasciò avviare verso lo studio di Giacomo.
‘Allora, come mi trovi?’, disse, dopo avere aperto la porta. ‘Che voglia di vederti! E’ come se mi mancassi da una vita. E io ti sono mancata?’. E si fece vicino a lui, il quale lasciava lo scanno dietro la scrivania, pronto per abbracciarla.
‘Certo. Sei uno splendore. E Giovanna che fa?’, chiese titubante.
‘Sta sistemando alcune cose. Abbiamo dieci minuti tutti per noi, non un secondo di più. Che dice il mio uccello preferito? Ha sollevato la testa scorgendomi? Vediamo, vediamo’. E allungò sollecita la mano verso la patta di lui, il quale fu lieto di lasciar fare, sussultando di piacere quando il calore delle dita di lei raccolsero il membro che si sollevava. Il sangue cominciò ad agitarsi nelle vene unitamente al cuore che accelerava i suoi battiti e la voglia di frugarla lo agguantò. Le cercò il sesso, ghermendolo con frenesia. Era caldo e palpitante e meraviglioso. E, mentre così si tenevano, le loro bocche si cercarono appassionatamente. Aveva ragione Giovanna: la voglia di fare l’amore in entrambi era violenta. Ma aveva promesso. Doveva solo riempirsi delle sue carezze e lasciare stare il sesso di lui, ormai rigido e bramoso.
‘Accarezzami tutta, fammi sentire che hai brama del mio corpo, tutto. Scompigliami, stordiscimi di baci e di carezze’.
Pronte le mani di lui quasi la spogliarono tempestandola di baci e di carezze in ogni parte del suo corpo, il seno di lei, il suo sesso esposti nella loro seducente fragranza, nudi, agli occhi di lui. Dieci minuti di esasperata passione con tentativi, da lei frustrati, di penetrazione carnale. Poi, lei con decisa volontà: ‘Debbo scappare da tua figlia, subito. Altrimenti ci sorprende qui e non mi pare convenga’. Troveremo un’altra occasione, amore mio. Sistemati. Ti chiameremo per il pranzo’.
E, riassettatasi, lo baciò e uscì dalla camera. Aveva le guance infuocate e il grembo che si contraeva, tanto era la voglia di lui. Ma aveva promesso.
La giornata passò in fretta. Per l’ora di pranzo Giacomo uscì dallo studio. Discussero del più e del meno, della scuola, dell’amore. Marta fece cadere il discorso su Paolo e Francesca, Giovanna su Semiramide che fece diventare lecito l’incesto, sulle figlie di Lot che si unirono al padre. Giacomo commentò che l’amore quando è vero, supremo, non è immorale e che, sotto le lenzuola, purché in piena libertà fisica e psicologica, tutto è lecito e non si deve rendere conto a nessuno. Marta concluse che l’inferno era la mancanza d’amore e che concordava con il De Sanctis nel definire Francesca ‘il puro femminile’: ‘contrastando e soggiacendo ella serba immacolata l’anima, quel che non so di molle, puro, verecondo e delicato, che è il femminile, l’essere gentile e puro’. Giovanna ridacchiò: ‘Guarda che la signorina Francesca dice che il suo amante fu preso dalla sua bella persona e lei dal fatto che lui fosse un fico, altro che verecondia e delicatezza e ricordati che i Lancillotto, Ginevra, Tristano e Isotta erano peccator carnali, che sottomettono la ragione ala piacere, alla fregola. Ecco perché Dante li sbatte tutti all’inferno’.
‘Non è vero: ci mette solo Paolo e Francesca’.
‘Ricordi male: c’è Tristano e, indirettamente, visto che nella loro storia fa da mezzana, Ginevra, che prende l’iniziativa e si fa baciare da Lancillotto. Diciamo che il succo di tutta la storia è che l’amore, la passione, quando è indicibile, costringe chi è amato a ricambiare. Ecco: io sono innamorata di mio padre e devo essere ricambiata’.
‘Anch’io, Giacomo, sono innamorata perdutamente di te e devo essere ricambiata’.
Giacomo arrossì vivamente, si confuse e balbettò. ‘Prendete, prendete pure in giro. Non sono, poi, un musulmano che può sposare più d’una donna’.
‘Sposare, sposare’, osservò Giovanna, ‘quale sposare, anche il concubinato va bene, anzi, oggi va forte: sta superando i matrimoni ufficializzati. Tutti sotto la stessa tenda come Lia e Rachele con Giacobbe, che ebbe i favori, mogli contente, di Bila e Zilpa. Marta non siamo un po’, io e te, come Lia e Rachele?’.
‘Dici? Chi sarebbe delle due quella ‘bella di forme e di avvenente aspetto’? A parte il fatto che non siamo entrambe figlie dello stesso padre. Già, vero: erano cugine, figlie di Làbano, fratello della mamma di Giacobbe. Lasciamo perdere, va. Non ci metteremmo a guerreggiare comunque in gravidanze come quelle due e non avremmo serve da regalare al nostro uomo’.
‘Cosa state farneticando’, esclamò arrossendo ancora di più Giacomo. Non ci voleva un genio per capire che stavano parlando di lui. ‘Cosa avete in mente, cosa state tramando. Che c’entro io?’.
‘Tu’ lei no, ma Giacobbe sì. Non doveva essere semplice soddisfare quattro donne. Tu’ Lei ce la farebbe?’.
‘E’ questo l’argomento di cui discutete fra voi ragazze: quante donne un uomo può accontentare? Tuttavia, signorina, ti rispondo che potrei, potrei. Ora possiamo parlare di altro? E dammi pure del tu, Giovanna non si offende di certo’.
‘Offendermi io? Tu sei l’adulto. E che è tutta ‘sta confidenza!’, rise la fanciulla. ‘Chiamalo pure Giacomo, se a lui non dispiace’.
‘Posso? Mi farebbe tanto piacere: sei come un secondo papà’.
‘Puoi, puoi’, disse Giacomo nervoso. ‘Lo sai che puoi. E non sono un secondo padre: di figlia, me ne basta e a avanza una’. E si alzò, uscendo dalla cucina.
‘Lo hai fatto indispettire’, disse Giovanna.
‘E che mi impappinavo tra il ‘tu’ che gli do da soli e il ‘lei’ che gli affibbio davanti a te. Mi sentivo così scema nel dargli del ‘lei”.
‘Non ti preoccupare. E’ un momento: gli passa subito. Vedrai come gli passerà quando ci avrà entrambe nel suo letto, mia cara Lia dagli occhi smorti’.
‘Guardati i tuoi, incestuosa. All’inferno andrai a finire, all’inferno’.
‘Sì. Sì, stasera insieme a te, nel letto di Giacomo’, rise la ragazza.
E la sera giunse presto. Marta aveva trovato due o tre occasioni per accendere i sensi di Giacomo, ma anche Giovanna non lesinò qualche toccatina al padre. Erano pressappoco le ventitré, quando Marta annunciò il suo ritiro. L’amica l’accompagnò alla porta che prima chiuse e poi silenziosamente riaprì, lasciandola dietro l’uscio.
‘Allora, sei soddisfatto della serata?’, chiese Giovanna al padre, rientrando nel salone. ‘Ti sei ritrovato con una figlia in più, innamoratissima’.
‘Che vuoi dire? Si è molto affezionata a me come lo sono di lei’.
‘Solo affezionato? Sei cotto di lei. La desideri, non come me, te lo concedo, ma la desideri’.
‘E’ bella, tanto. Quale uomo non ci ricamerebbe un pensierino, ma da qui a portarmela a letto. E, poi, con te come guardiana. Sei peggio di Argo’.
‘Come se non avessi capito che te la sei palpeggiata nei minuti che non ero presente. E quella strega s’è lasciata strizzare per bene. Guarda che non mi dimentico quando ti ho sorpreso sul divano con il seno di lei stretto stretto nella mano’.
‘Ma che stai dicendo? Non mi permetterei mai. Potrebbe essere mia figlia’.
‘Appunto, appunto. Lasciamo perdere. Andiamo a letto: ho la mia passerina che geme in modo incontenibile’.
‘Sei diventata scurrile’.
‘Ti piace, invece, ti piace che ti parli così’, rise Giovanna avvicinandosi e attaccandosi alla sua bocca, mentre con la mano gli cercava il sesso dentro i calzoni.
Si staccò da lui gli occhi sgranati: ‘Ehi, mandrillo, lo hai tutto bagnato. Ti abbiamo fatto soffrire l’intera serata. Ora ti potrai sfogare. Su andiamo a letto’. E, presolo per mano, si incamminarono veloci verso la camera da letto. Qui lo spogliò e lo spinse sul materasso. si tolse rapida lo slip e si collocò a cavalcioni su di lui, ghermendogli il sesso e infilandolo nel proprio. Avevano entrambi così voglia che giunsero quasi subito all’orgasmo.
‘Voglio fare un gioco’, disse lei, ancora tutta vestita, solo con gli abiti sgualciti. Voglio essere spogliata senza che tu mi veda; sarà più erotico’.
Cercò uno scialle, risalì sul letto e bendò il padre. Come per incanto nella camera si materializzò Marta. Giovanna si fece da parte, sistemandosi in un canto della stanza a guardare eccitata. Marta, salì sul letto, si calò su Giacomo e cominciò a baciarlo. Sentì le mani di lui risalire lungo le cosce, cercarle il sesso, titillarlo e facendola già gemere. Certamente in quel frangente non poteva ricordare che i vestiti erano un po’ diversi. Sobbalzò letteralmente quando le afferrò i seni parzialmente scoperti, ma dentro il reggiseno. Si fece togliere la polo, poi il reggiseno, quindi si lasciò sfilare la gonna. Era tutta nuda sopra di lui, il cui sesso turrito svettava contro il suo grembo. Le mani di lui scorsero frenetiche su quel corpo magnifico, parcheggiarono sulle mammelle per ubriacarsene, tanto da farle avere un primo orgasmo. Lei risalì in ginocchio, con lui di sotto, fino al suo viso, fino a che le labbra del suo sesso non incontrarono le labbra della sua bocca. Che si attaccò famelica, mordicchiando, leccando e bevendo quella lussuriosa mancanza. E lei così venne, smaniando dal piacere, più volte, inondandogli il viso. Poi, lui si sollevò e la distese sul letto. Fu una sarabanda frenetica, di baci, palpeggiamenti frenetici, quasi volesse assorbirla, famelico, vorace di ogni parte di lei. Il godimento di lei fu così insopportabile che si mise a gridare come mai avrebbe immaginato. Non lo sopportava più, tanto dilagava come un mare in tempesta in ogni poro del suo corpo. La martellava con piccoli morsi e pizzicotti, per poi stritolarle i seni, aspirarne i capezzoli, quasi a farli sanguinare, strapparne furente le pelvi. Si sentiva impazzire dal godimento. Lui era pronto per prenderla, ma lei si scostò. Lui rimase nel buio perplesso, aspettandola. Pochi istanti di vuoto e la figlia scivolò sul letto. Le fanciulle intrecciarono le mani e fecero ponte con le loro braccia sopra di lui nel mezzo. Tastò con le mani ed incontrò una coscia. La risalì ed un folto vello increspato sorrise alla sua voglia. Un ginocchio lo strusciò dall’altro lato. Lì per lì non comprese, ma allungata la mano, risalì lungo la coscia fino ad incontrare una calda, bagnata pelliccia, il sesso di Marta. Allora comprese che le donne erano due e cominciò a invocare il nome di Giovanna, spaventato. Scese di corsa questa dal letto e accese pronta la luce. Belle come due dee balzate dalla spuma del mare, le due fanciulle si mostrarono, nude, agli occhi allibiti di Giacomo.
‘Allora, non sei felice di averci tutte e due nel letto, tutte e due nella vita e nell’amore?’.
Lui era senza parole. Guardava ora l’una e ora l’altra e sembravano uguali e sdoppiate. La testa gli vorticò. Non stava mica impazzendo.
‘Siete Marta e Giovanna? Certo sto vaneggiando! Marta sei anche Giovanna?’
‘No, non vaneggi, papà’, sorrise Giovanna. ‘Sì, eccomi qui, come mi vedi, papà, sono Marta. Mi piace chiamarti ‘papà’. Non ti dispiace’.
‘Ma basta con le parole. Dopo, poi dopo, parliamo. Vogliamo, adesso che ci ami’, concluse la figlia. Avide, come vampire, si gettarono su lui, lussuriose. E lui naufragò con delizia senza confini in mezzo a quei corpi fragranti di bellezza tanto insolente e le amò con disperazione, senza stancarsi per ora, tanta era la voluttà e la grande fiamma dei sensi. Alla fine, ormai senza fiato, i reni sfiancati alla spasimo, il membro quasi piagato, le gonadi inaridite e dolenti, giaceva, felice, in mezzo alle seducenti fanciulle. Le mani, ancora agognanti, raccoglievano come clipei di tartaruga il sesso dell’una e dell’altra. Era meravigliosa la vita. Tutta la vita, fino alla morte, con loro, figlie ed amanti.
Endimione.
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
ciao ruben, mi puoi scrivere a gioiliad1985[at]gmail.com ? mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze...
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?