Il discorso è più o meno sempre lo stesso.
Per alcuni le mie preferenze sono ‘anomali’.
Quando poi chiedi a tali giudici del cavolo cosa sia una anomalia, ti fanno un lungo discorso, per cercare di convincerti che trattasi di cosa ‘non naturale’, per poi ripiegare sul più accettabile termine inconsueto.
A me, però, non garba neanche tale definizione.
Cominciamo col dire che quanto avviene in natura, tutto, è naturale, anche se si riferisce solo a una minoranza.
Il fatto, poi, che di una determinata facoltà, consentita e stimolata dalla natura, cioè istintiva, se ne avvalga la minoranza (posto che sia così), non autorizza la definizione anomala.
La nostra è una famiglia che potrebbe dirsi multirazziale, perché mio padre è un tipico discendente degli incroci arabo-normanni, i miei nonni materni sono rispettivamente olandese lei e indonesiano lui. Mia madre ha ereditato quanto di meglio potevano darle i genitori, sia dal punto di vista fisico che culturale. Mia sorella più grande, Diamante, è di quelle che fanno girare la testa, e non solo per seguirla con lo sguardo. Anche la colf, che sta con noi da quando aveva quindici anni e che assumemmo in Brasile, dove ho trascorso la mia adolescenza, conserva la tipica attrazione delle meravigliose femmine della sua terra, con delle forme mozzafiato che, a poco più di trenta anni, ti ammaliano. Specie, poi, il suo ‘bumbum’, il fondo schiena, elemento che ha sempre attratto la mia attenzione e il mio interesse, e non solo quello suo.
Ben Rug, come tutti chiamiamo il capo famiglia, Benedetto Ruggero, é quasi sempre in giro per le sue innumerevoli consulenze, per convegni e cose del genere.
Un aitante cinquantenne.
Io, da bambino, lo immaginavo a cavallo, con la spada dell’Islam sguainata, a capo dei suoi gregari.
Bea, Beatrice, mia madre, aveva incontrato il suo uomo durante uno stage alla Royal Dutch Shell di Amsterdam. Lo aveva sposato, nove mesi dopo era nata Diamante, e lei non aveva ancora venti anni.
Due anni dopo venivo al mondo io, Franco.
Quando uscivamo, noi tre perché Ben Rug come ho detto non c’era quasi mai, ci scambiavano per fratelli.
I quarantadue di Bea si potevano senz’altro ridurre a poco più di trenta, Diamante era nel pieno splendore dei suoi ventidue, e i miei venti me li portavo abbastanza bene, grazie agli ascendenti, all’ottima cucina di Bumy, e allo sport.
Io l’ho sempre chiamata Bumy, e solo quando divenni più grandicello compresi che quel nomignolo sussurrato dagli altri, ‘Bumbum’ si riferiva allo statuario posteriore di quel metro e ottanta di Brazileira un quarto di sangue, con tutto in magnifica e prosperosa proporzione.
Cresciuto tra donne, e che donne, era più che logico che divenissero la mia idea fissa, alimentata anche da una qualche mia esuberanza che, in effetti, spesso era motivo di disagio.
Donne che ho sempre considerato, e ora più che mai, come femmine, con tutte le loro attrattive.
Non avevano troppe inibizioni, specie nei miei confronti, e quando mi vedevano girare con la mia digital-camera sorridevano.
La nostra casa, sul poggio, era al riparo da occhi indiscreti, ed era stata realizzata curando al massimo la privacy, specie intorno alla piscina, arricchita di lisci massi che ricordano gli scogli.
E’ qui che le ‘mie femmine’ si sentono in piena libertà.
La splendida mammina con natiche di sogno, e i lunghi capelli neri, quelli che, certamente hanno ‘inchiostrato’ il ricco e curato pube della mia fascinosa sorellina che, quando la chiamai, pronto a scattare la foto, alzò appena il capo e, incurante della sua spettacolare nudità mi fece il segno con la mano, come a dirmi ‘bricconcello’ bricconcello..!’, e mi sorrise.
Che pezzo di f..anciulla la mia superba germana.
Ebbene, pur essendo attratto da entrambe quelle magiche visioni, la preferenza andava al didietro della insuperabile Bea, che mi faceva eccitare spasmodicamente, desiderare licenziosamente di affondare il mio consistente biscotto tra quelle chiappe paradisiache. Concupita speranza che covavo da tempo.
A proposito di fondo schiena, non crediate che quello di Diamante fosse di serie ‘B’.
Tutt’altro.
Quando, sul solarium, si alzava e si rassettava i capelli, era uno spettacolo da capogiro.
Il mio ‘biscotto’ non avrebbe certo disdegnato quella invitante imboccatura per qualche saggio speleologico.
Sbuffante locomotiva, il ‘mio’, attratto da quelle valli che nascondevano voluttuose gallerie.
Un bel sederino, alto, sodo.
Non per niente un culetto di’ Diamante!
Credetemi, non é facile tenere a bada il ‘gattaccio ingrifato’, come si dice di un pene violentemente eretto nel paese dove andiamo in villeggiatura, quando intorno ci sono tante ‘sorche’ pelose (locale definizione della fica) e soprattutto tanti culetti prensili.
Checco, il meccanico del paesello montano dove passiamo parte dell’estate, in una nostra bella villa, ai margini del bosco, ha un suo personale modo di parlare, di formulare le frasi.
Ogni tanto vado a fare quattro chiacchiere con lui, e mi diverto alla pratica semplicità del suo pensiero.
Passava una ‘quadrana’, contadina, con delle poderose chiappe che s’alzavano e abbassavano mirabilmente durante il suo incedere, eretto, col busto fermo, le belle tette protuberanti, e la testa immobile dove sul cercine manteneva in perfetto bilico la conca di rame, piena d’acqua.
Checco s’era accorto del mio sguardo penetrante.
‘Che fa’, Franco, je lo inzepperesti, eh, alla Mariuccia. Hai visto sì che zinne e che chiappe?
Che preferisci ‘na spagnola o ‘na interkiappen?’
Gli sorrisi.
‘Si, Checco, ma ci dovrebbe sta’!’
‘E tu domannajelo, nun te mancheno le parole, a te, je lo dici papale papale.’
‘Si, e quella mi rovescia la conca addosso.’
‘Ma no, tu adopera parole difficili per dije che è bella e bona, e poi je domanni se lo comprende, ma domannajelo in dieletto, je dichi: ‘a Marié lo inculprenni?’ Si te dice de sì, è fatta!’
Checchino rideva lui stesso del giuoco di parole, ma intanto si dava una rimenata al fagotto, e mi diceva che stasera sarebbe stata festa pe’ Assunta sua! La prosperosa e ancora appetitosa moglie.
Torniamo alle calamite caserecce, e al fatto che il ‘mio’ doveva essere sicuramente come l’ago della bussola se era sempre attratto da quelle.
Per Checco, la mia era una vera e propria ano’ malia, e ci tenne a tener distinte le parole.
Anche lui era affetto dallo stesso irresistibile allettamento.
Diceva che, sì, era meccanico, ma anche coltivatore di’ retto!
‘Tu lo sai mejo de me, a Franco, che se coltiva un’amicizia, un sentimento’ bè’ io coltivo qualche altra cosa che per me ha una vera e propria malia, m’incanta, m’affascina”
Lo ascoltavo, ed ero perfettamente d’accordo con lui.
Rieccoci in piscina.
Bumy aveva fatto una bella nuotata e ora si crogiolava al sole, bocconi sul lettino, e s’era liberata anche del microscopico perizoma che di solito indossava.
Mi avvicinai a lei, mi inginocchiai accanto.
Allungai la mano, cominciai a carezzare lentamente le sue natiche vellutate. Ero abbastanza sicuro di non essere disturbato da altri, eravamo solo noi a casa.
Bumy mi guardò.
‘Non è la prima volta che lo vedi, vero Franco?’
Seguitai a carezzarla, a inserire la mano tra i glutei, che si strinsero nervosamente.
‘Os Jardins de Paraìso, Bumy.’
‘Te senti Adamo, por entrare ?’
‘Vorrei tanto.’
Mi abbassai e cominciai a mordere dolcemente una natica dura e tiepida, mentre azzardavo, con l’altra mano, a carezzarle le grandi labbra.
Carnose, umide, invitanti.
Alzò appena il bacino, per accoglierla meglio.
Il clitoride era turgido, vibrante.
I miei morsi divennero più profondi, quasi cattivi.
‘Buono, querido, non stuzzicare la vecchia, che te prende oggi?’
‘E’ bellissimo, Bumy, altro che vecchia, sembri una ragazzina.’
E seguitavo.
Le mie dita, ormai, erano dentro il caldo umido del suo grembo.
‘Bueno, Franco, che non sono de acero, di acciaio.’
‘Neanche io. Andiamo in camera tua?’
‘Ma sei matto? Non sai i miei anni?’
‘Che conta, sei uno schianto, mi piaci..’
Forse era l’effetto della mia mano irrequieta, delle dita perlustranti, ma Bumy attese un po’, ebbe una serie di sussulti che sapevano tanto di orgasmo, poi si alzò, si mise un accappatoio sulle spalle, calzò gli zoccoli, e mi prese per mano.
Non era molto più bassa di me, con le scarpe, ed io sono 190 netti!
Entrati nella sua camera, lasciò cadere l’accappatoio.
Una femmina da togliere il respiro, con la pelle lucida e scura che sembrava unta, ed era di seta.
Un paio di tettone sode che si mantenevano bel alte, vincendo le leggi della fisica, e il suo proverbiale bum, ‘meu burro’ disse lei, ma era di pietra.
Si avvicinò al letto. Sedette, mi attirò a sé, mi sbottonò i pantaloni, li fece cadere al suolo, ed anche i boxer, poi mi sfilò la t-shirt.
Avevo un’erezione prepotente.
‘E’ un aspersorio de todo rispetto. El più bel albero per os jardins de paraìso, bueno, ma io desiro ‘trepàr’, capisci? Scopare. Porqué anche Ben Rug trascura la mia pelosigna, e vuole il dietro. Io credo che la signora Bea non glielo permetta”
Vista la splendida ‘pelosigna’, non vedevo proprio perché ritirarmi di fronte al ‘trepàr’.
‘OK, Bumy, sarà meraviglioso trepàr con tigo, vamos.’
Anche io avevo qualche cognizione di quello strano linguaggio di alcuni strati che parlano un misto di afro-ispano-portoghese.
‘Stenditi stallone, che Bumy te cavalca.’
Si mise a cavalcioni, sostenendosi sulle ginocchia, prese il glande e lo portò all’ingresso della sua rugiadosa vagina che lo accolse con deliziosa maestria. Era quasi seduta su me, col mio sesso in lei. Quasi immobile, esteriormente, ma il suo grembo di muoveva meravigliosamente, sembrava una bocca avida che suggeva voluttuosamente, una mungitrice che aveva movimenti peristaltici che partivano dall’orifizio della vagina, e salivano inebriantemente fino al glande, e così, continuamente.
Solo piccoli movimenti del suo bacino.
La mie mani cercarono frementi di titillarle il clitoride, di percorrere il perineo, salite, stuzzicare il buchetto palpitante, e questo intensificava quel suo popparmi il fallo con la vagina.
Ad un tratto cominciò a gemere, sordamente, sempre più, a scuotere la testa. Ora il ventre era squassato dai suoi sobbalzi, e nel momento in cui il mio seme dilagava in lei, si abbatté su me, orgasmicamente inebriata, con gli occhi semichiusi.
‘O’ Paraìso.. Franco’ o’ meu Paraìso”
Adesso, per la verità, attendevo il mio di Superparaìso, perché il ‘trattamento’ di Bumy era stato spettacolare, una ‘trepàda’ indimenticabile!
Bumy si alzò pigramente, mi sorrise in modo incantevole.
‘Che dici Franco, della vecchia Brazileira?’
‘Una femmina de fuego, un godere sublime.’
‘Anche io, querido, ho goduto da morire. Sei guapo e meraviglioso, hai un ‘cosito’ de sogno, con una punta spettacolosa.’
S’era avviata verso la finestra che dava sul piccolo giardino che circondava la villa.
‘Vieni, amigo!’
Era china a novanta gradi, le bellissime chiappe spalancate. Il solco rorido del mio seme. Andai dietro di lei, puntai il mio inflessibile aggeggio sul buchetto ambito, e sentii schiuderlo deliziosamente, accogliermi come mai avrei immaginato.
Capisco le preferenze di Ben Rug, del resto non per nulla é mio padre.
A Bumy piaceva sentirsi lavoricchiate le tette, esplorata tra le gambe, ed era perfetta nei movimenti e nei tempi. Anche questa volta, attese che io stessi per esplodere in lei per lasciarsi travolgere da un orgasmo che stava per trascinarci in terra tutti e due.
Si inginocchiò, si distese, sempre tenendomi in lei, mugolando rocamente.
Chissà se anche gli altri due splendidi culetti della casa avrebbero dato le stesse paradisiache sensazioni.
Il both sides, entrambi I lati, con Bumy, pur avendomi ampiamente soddisfatto e fatto sperimentare piaceri nuovi e sublimi, erano ben lungi dall’attenuare l’interesse, l’attrazione, verso i magnifici posteriori familiari, anzi mi aveva ancor più eccitato.
Bea era uno spettacolo.
Diamante rifulgeva come si addiceva al suo nome.
Come fare?
Quando ero certo di essere solo in casa, perché ho sempre avuto un certo disagio a restare nudo, ne profittavo per fare una bella nuotata e sdraiarmi a prendere il sole sulla mia tavola da surf, in quello che chiamavo il nudist corner, perché tutti andavano a prenderci il sole vestiti solo della pelle.
Non mi ero accorto che Bea, senza avvedersi della mia presenza, s’era gettata in piscina e nuotava ora a dorso, ora a rana, e potete immaginare con quale effetto.
Né avevo notato che la mia bellissima mammina era stata a lungo a guardarmi ‘forse m’ero assopito- e che il tuffo, forse, era un opportuno bagno freddo per il suo stato di eccitazione.
Bea uscì dall’acqua, si avvolse, più o meno, in un telo, e venne a sdraiarsi vicino a me che, intanto, avevo coperto con una piccola asciugamano la mia notevole erezione.
‘Ciao Franco.’
‘Ciao mamma splendida!’
‘Grazie per il complimento, ma ho visto che anche il mio ragazzo non lascia a desiderare’ in nulla!’
‘Tutta roba tua, mammetta..!’
‘Veramente’ mi riferivo al tuo’ capisci?’
‘Confermo, tutta roba tua, niente escluso!’
‘Sciocchino’ vedo che hai bisogno di un asciugamano”
‘Ma’, e che sono di ferro? dopo la tua nuotata’ sul dorso’ a rana’ con quegli argomenti”
‘Franco.. sono la tua mamma”
‘No, sei una dea, più di una dea, hai un personale, un fisico fantastico”
‘Dici?’
‘Dai, che lo sai benissimo. Non ti cambierei con mille ventenni’
Ma chi ha dei fianchi come i tuoi? Un seno che fa impazzire, e il fondo schiena’.’
‘Franco, stai parlando di tua mamma”
‘Lo so, mammina, lo so, ma il fatto è che la mia giovanissima mamma è una femmina ammaliante.’
‘Si’ giovanissima”
‘Lo sei, sei una ragazzina.’
Bea aveva allungato la sua bella mano e mi carezzava il volto, poi scese sul petto.
‘Sei un pericoloso adulatore, un incantatore, chissà quante ragazze riesci a circuire”
‘Io non ti circuisco, non ti adulo, non ti inganno. Ti dico la verità”
‘La tua verità, quella del figlio che vede la sua mamma sempre bella.’
Assunsi un tono serio, deciso.
‘No. La verità. Punto e basta. Quella del maschio che, lui sì, rimane incantato da una femmina come e te’
Tu non hai idea di cosa provochino in me le tue carezze’. materne”
Fece scendere più in basso la mano.
Sotto l’asciugamano.
Afferrò energicamente il mio fallo’
Si avvicinò a me con tutto il corpo.
‘Calma, baby, calma.
Non devi ridurti in questo stato.
Sta buono, tesoro’
Capisco’
Anche io non sono insensibile a certe attrattive’
Ma tu sei il mio bambino”
La sua mano, intanto, mi carezzava significativamente.
Mi voltai un po’ verso lei, intrufolai risolutamente la mia mano sotto il telo, tra le sue gambe, nel folto del boschetto che impreziosiva il suo pube, le sue gambe.
‘Lo so che sono il tuo bambino, che sono nato da te, da qui”
Era sbiancata in volto, Bea, mi guardò con gli occhi sbarrati.
‘No, Franco, basta’ volevo solo calmarti”
Si alzò di colpo, corse in casa, in camera sue.
La seguii, entrai con lei, chiusi la porta.
Seguitava a guardarmi, pallida, corse nel bagno, quando riapparve era parzialmente vestita, ma il suo sguardo non si staccava dalla sempre più violenta manifestazione del mio desiderio.
Deglutiva a fatica, le nari erano dilatate, frementi.
Mi avvicinai a lei, non si mosse, le tolsi la blusetta che era sbottonata, cominciai a ciucciarle una tetta.
Cominciava a tremare.
La spinsi dolcemente sul letto, le aprii le gambe, appoggiai il mio glande vicino alla vagina, imperlata della linfa della sua ormai incontrollabile eccitazione, e la penetrai lentamente, mentre lei incrociava le gambe dietro la mia schiena e inarcava il bacino per ricevermi il più profondamente possibile.
Quale incantevole, inimmaginabile calore.
La vagina di Bea lo stringeva, lo carezzava, con una tenerezza e una dolcezza che non conoscevano uguali.
Ognuno desiderava il piacere dell’altro.
Si donava completamente.
Era meravigliosa la mia mammina, mentre faceva l’amore con me.
Ed ancor più quando cominciò a gemere di piacere.
Ero io a farla godere, ero io!
E mi suggeva in lei, voluttuosamente.
Volgeva la testa a destra e manca.
Ecco.
Raggiungevamo insieme l’acme del piacere.
Sentivo che al primo rilassarsi seguivano altre meravigliose contrazioni.
Mi strizzava.
Mi abbandonai su lei, baciandola, cercando la sua lingua e sentendo ancora come mi tratteneva in lei, ingordamente.
Quando sgusciai dal suo grembo, il mio seme scivolò sul suo perineo.
Il mio dito lo cosparse intorno al suo buchetto.
Era quella la mia meta.
Per qualche secondo lasciò fare.
Poi, quando sentì che il mio ringalluzzito fallo andava avvicinandosi a quel bocciolo anelato, lo spostò delicatamente.
Lentamente mi voltai su un fianco, verso lei.
‘Sei meravigliosa, ma’, più di quanto ti ho sognato..’
‘Mi hai sognato?’
‘Sempre’ avidamente”
Mi carezzò.
‘Piccolo mio, non avresti dovuto’ lo sai’ ma ormai’ è stato bellissimo’ tesoro’ bellissimo’ ma non dobbiamo farlo più”
‘Ma’, mettiti in braccio a me, tienilo tra le tue splendide natiche, al caldo”
‘Non dovremmo, piccolo’ non dobbiamo”
‘Solo un po’, ma” lo desidero pazzamente”
‘Va bene’ ma sta buono’ attento’ solo per un po”’
Le sue meravigliose chiappe erano sul mio grembo, il glande andò cautamente e poggiarsi sul suo bocciolo rosa e fremente ‘malgrado le riluttanze della mammina- e quel palpitare era come un susseguirsi di piccoli baci che aumentavano sempre più la mia eccitazione.
Con una mano cominciai a impastarle teneramente una delle sue floride tette, mentre l’altra si intrufolava, accetta, tra le sue grandi labbra e la carezzavano insistentemente.
Non poteva evitare, la bellissima Bea, di agitare in continuazione il suo culetto, appena appena, ma questo significava suggere dolcemente il mio glande. Credo che sapesse che stava portandomi all’acme del godimento. Spingeva piano, ma non consentiva al mio fallo di spingersi oltre i pochi millimetri che avevo già conquistato.
Incredibile.
Quando il mio seme zampillò in lei, violento e caldo, sembrò rilassarsi, poi ebbe un sussulto orgasmico, si rilassò ancora.
Non una goccia si sparse fuori di lei.
Si voltò, e s’avventò voracemente sulle mie labbra.
‘Sei un birichino, Franco, un birichino”
‘Non ne potevo più, mammì.. non ne potevo più”
‘Ti senti meglio?’
‘Sì. Ma solo un po”
‘Ora, ti prego va via”
‘Mi scacci?’
‘No, tesoro, devo restare sola”
‘Potrò tornare’ da te?!’
‘Non dobbiamo, caro’ ma’. Chissà!’
Per me, quella timida ma discretamente soddisfacente esperienza inter pugas ,tra le chiappe, era solo il prohòemium.
Mi ero scaricato, sì, ma era ancora più vivo il desiderio di praeteragere, di proseguire.
Ero sempre cogitabondo, cercando espedienti in materia, e anche se sapevo della disponibilità di Bumy, in cambio di altra pur piacevole prestazione, la mia idea fissa era ‘bearmi con Bea’.
Dovevo parlarne con qualcuno.
Con chi?
Diamante era nella sua camera, certo a poltrire, come suo uso.
Non è che potevo parlare con lei della mia mania, ma quattro chiacchiere fanno sempre bene.
Specie con una bellissima ragazza.
Spiai.
Era sveglia.
‘Vieni, fratellino. Qual buon vento!’
Era seduta sul letto, con la giacca del pigiama aperta e le sue tettine spavalde in bella mostra.
Strano, i pantaloni del pigiama erano sulla sedia.
Entrai, andai a sedermi sulla sponda del letto.
‘Dia, cosa fai così? Sei arrapante.’
A me piace usare parole chiare, senza sottintesi.
‘Che fai, ti ecciti con tua sorella?’
‘Mi eccito con un paio di tette del genere. Che poi siano di mia sorella tanto meglio: roba fatta in casa.’
Dia guardò i miei pantaloni.
‘Accidenti, che effetto!’
‘Buon sangue non mente.
E poi, quei pantaloni mi lasciano credere che tutto il resto sia in piena libertà. Fa vedere”
Scostai la coperta, debolmente trattenuto dalla mano di Diamante.
Spettacolo meraviglioso.
Ridottissime mutandine e semiabbassate.
Un folto ciuffo tra le gambe, e riccioli sembravano muoversi come scossi dal vento.
‘Piantala, non essere invadente”
‘Ma non è che anche tu’.’
‘E che ci troveresti di strano. Entra un maschiaccio d’un metro e novanta, ti sbircia le tette, si siede sul tuo letto, ti dimostra che è in preda ad una erezione’ che, sono morta?’
‘Dimmi, Dia, ti piace fare l’amore?’
‘Credo di sì’ ma non l’ho mai fatto?’
Strabuzzai gli occhi, incredulo.
‘Ma va! Davvero? Perché?’
‘Non lo so. Mi sento attratta, anche eccitata, ma poi credo che non sia il tipo giusto”
Quel discorso mi stimolava.
Leccare la fica a una verginella’ a mia sorella’!
La scoprii di più, sfilai una gamba dalle mutandine, mi abbassai e cominciai a leccarle i riccioli.
Dia era sorpresa, ma non riusciva, o non voleva, reagire.
Insistei, e feci in modo che allargasse le gambe, poi, piano, la tirai per i piedi, la feci sedere sulla sponda, mi misi in ginocchio.
Ora, la vulva era bella e spalancata, e la mia lingua la lambiva dovunque.
Grandi labbra, piccole, clitoride, timide introduzioni.
Dia sobbalzava, mi aveva messo le mani sulla testa e ne guidava i movimenti, fino a quando non cominciò a mugolare’
‘Franco, cosa fai’ vengo’ oddio’ vengo’. Siiiiii’ vengooooo’
E più copioso distillò sulla mia lingua il miele del suo godimento.
Il fatto, però, è che io ero sempre più eccitato.
Che fa, mi facevo ricambiare il servizio?
Aveva bellissime labbra, ma ancora più attraenti chiappe.
Col pretesto di volerle baciare le tette, le sfilai in parte la giacca del pigiama.
Lasciava fare.
Era incantevole lo stagliarsi della sua pelle chiara sulla parete della camera, quella accanto al letto, che riproduceva i magnifici colori d’un giardino tropicale.
Mentre ero intento a gustare le fragoline, che erano divenute fragolone, sulle sode tette, allungò la mano verso la mia patta, e abbassò la zip.
Non appena liberò il congegno a scatto dal boxer, si ritrovò in mano qualcosa che, forse, aveva sottovalutato.
‘Accipicchia, Franco, che arnese!’
‘Ti piace?’
”non lo so”
Intanto lo andava saggiando accuratamente e si soffermava intorno al glande.
‘Dia, fammelo mettere tra le tue chiappette, mi sembrerà entrare in te.’
‘Ma è enorme, Fra’, mi farai male, mi strapperai.’
Però.
Io avevo parlato solo di chiappette e lei aveva subito capito che il fine ultimo era ben altro.
‘L’hai mai fatto?’
‘Ma che, sei matto?’
‘Dai, voltai, mettiti giù, non ti farò niente, ti bacerò, carezzerò, lo terrò nel tuo calore, non farò niente che non vorrai”
Diamante si voltò.
Era sulla sponda, la gamba destra fuori del letto, con quel suo maestoso culetto sporgente.
Lo carezzai.
Lo lambii con la lingua, lo mordicchiai con i denti.
Lasciava fare e non sembrava scontenta.
Poi dilatai piano le sue natiche, e cominciai a percorrerne il solco dalla schiena alla vulva e viceversa.
Ogni volta che incontravo il suo bocciolo lo sentivo fremere.
Sempre più.
Era cosparso della mia saliva.
Lo carezzai con un dito, insistentemente, azzardai a introdurlo lentamente, seguitando a titillarle il clitoride e l’orificio della vagina, mentre il dito vi entrava appena un po’.
Sentii che aveva alzato il bacino, proteso verso me.
Era il momento di tentare.
Vi avvicinai la capocchia a punta del mio fallo, azzardai a spingere.
‘Piano, Franco, ti prego”
‘Ti faccio male?’
‘Un po’!’
‘Vuoi che smetta?’
‘No! Non adesso’. Ma fa piano’.’
Il bocciolo di Dia andava schiudendosi lentamente, poi si rilassò, vi entrai decisamente, ma senza violenza.
Un lieve ‘ahi!’
Rimasi fermo un istante, ma insistetti tra le sue gambe.
Fu lei, per prima, a riprendere un lento movimento.
Non ne potevo più.
Cominciai, dapprima piano piano, poi sempre più in fretta, a pompare come un forsennato.
Diamante sembrava impazzita, stava godendo sfacciatamente, sembrava rantolasse.
Quando si sentì invasa dal mio seme, voltò appena il capo verso me.
‘Mettimelo nella vagina’. Subito’ subito’ adesso”
Ero perplesso.
Come? Nella vagina? E la sua verginità?
‘Forza, Franco’ adesso’ entra’ il diamante sei tu, meraviglioso, non farmi aspettare’ dai’!’
L’invito mi faceva eccitare in modo delirante.
Sì, però’ sverginare mia sorella!
Lo avevo sfilato.
Era più rigido che mai.
Dia allungò la mano, lo prese, lo avvicinò alla sua vagina impazzita, si spinse verso me.
Fu istintivo penetrarla.
Facilmente, era più che lubrificata.
La debole membrana dell’imene oppose una resistenza effimera.
‘Ahi’ non ti fermare’ dai’. dai”
Dimenava il culetto come un’assatanata.
Il mio avanti e dietro fu un crescendo impaziente.
Dia scuoteva la testa.
‘Che paradiso’ che paradiso’ eccomi’. Si’ siiiiii.’
S’abbattè esausta, io su lei, in lei, e quando l’invasi col mio seme, solo allora, capii cosa avevamo fatto, e quali conseguenze ne potevano derivare.
La spossatezza della sorellina durò molto poco.
Sentii che le contrazioni della vagina andavano ricominciando.
Mi sfilai lentamente da lei.
Aveva una voce un po’ roca, preoccupata.
‘Che fai, Franco’ te ne vai’ mi lasci”
Si voltò supina, fremente splendida.
‘Piccola Dia’ ho fatto un pasticcio”
‘Ma che pasticcio! E’ meraviglioso, fratellino, hai un coso più prezioso del diamante. E chi poteva immaginare che fosse così bello’ ma forse sei tu che sai farmi godere così’ Dai, vieni’ avrò almeno trecento scopate di arretrato. Dai’ vieni”
Ero vicino a lei.
Si, il mio fisico aveva ancora qualche cartuccia in serbo, ma ero alquanto titubante.
Poi, pensando che i cocci, ormai, erano stati fatti, e attratto da quella bellezza che palpitava, decisi che potevo lasciarla così’ però’ trecento’ erano tante. Troppe anche per me.
Glielo dissi, ridendo.
‘Ok, Franco, lasciamone qualcuna per domani! Ma solo qualcuna!’
Fu incantevole,
Inutile, Dia era posseduta da una voracità sessuale che manifestava la troppo luna astinenza, la repressione della sua vera essenza di femmina bella e appassionata.
Non era mai stanca.
Ingorda, insaziabile.
Ma la ‘natura’ ci ricordò che il maschio ero io, giovane, sano, robusto, anche gagliardo e vigoroso, ma per tutti viene il momento della flexio capitis.
Dia lo carezzò a lungo, dolcemente, gli dette un caloroso bacetto.
‘Arrivederci a presto”
Le cose erano andate in modo inaspettato, ma tutto era stato splendido.
Diamante era una partner calda e appassionata.
Attribuii a quello che lei chiamava l’arretrato la sua voracità, la sua ansia.
Capita spesso all’affamato di fare una abbuffata, e magari poi gli viene la nausea.
I giorni successivi, però, mi dimostrarono che quello che era accaduto, per Dia era solo un assaggio, un aperitivo.
Tutto OK, ma nella mente c’era sempre il chiodo fisso del magnifico culetto di Bea.
Dopo quella volta, era più tenera e dolce, più carezzevole, e i suoi occhi contraddicevano le sue parole.
‘Non dobbiamo farlo più, tesoro mio”
‘Ma è stato bellissimo”
‘Si, è vero, è stato incantevole”
E le sue carezze, i suoi baci, erano sempre più arditi, golosi.
Non certo quelli di una madre.
Le mie mani la cercavano, la lisciavano, si compiacevano soffermarsi sul suo seno, s’intrufolavano nella sua scollatura, sotto la sua gonna’ e spesso constatavano che non indossava biancheria intima.
La tirai dolcemente sulle mie ginocchia, le mordicchiai l’orecchio.
Lei certamente sentiva cosa urgeva nei miei pantaloni.
Le sussurravo stringendola a me.
‘Ma’ vuole stare ancora una volta al caldo delle tue natiche’ non ne può più”
Mi baciò con trasporto, mi carezzò.
‘Si, ma devi fare il bravo’
Più tardi, quando saranno usciti tutti, vieni nella mia camera’!’
Qualcosa mi diceva che il dies metae era giunto, eravamo al traguardo!
Era mio proposito puntare direttamente alla realizzazione del mio sogno.
In un certo senso: o la va o la spacca!
Era necessario prepararsi.
Mi spremevo il cervello cercando di trovare il sistema cauto e discreto per provvedere a quella che consideravo una indispensabile lubrificazione.
Ecco: il gel che usavano i medici per l’esplorazione rettale.
La farmacia era di fronte, due minuti dopo ero rientrato con quanto credevo mi abbisognasse.
Quando Bumy uscì per la spesa, bussai alla porta di Bea.
Mi atteneva.
Strano, però, era a letto e nuda.
Io credeva che per tenermelo al calduccio del suo culetto bastasse alzarsi la veste e sedere in braccio a me.
Meglio così.
In pochi attimi fui come lei, e visibilmente eccitato.
Con una dolce disponibilità, si voltò su un fianco perché potessi mettermi dietro di lei.
Fu allora che, abilmente, cosparsi abbondantemente di gel il mio glande.
Poi allargai le sue meravigliose chiappe e lo posi vicino al suo buchetto che anche questa volta lo accolse palpitante.
Ora dovevo passare a lavorarmi tette e vagina. Ormai avevo compreso i suoi punti deboli, dove insistere.
La strinsi a me, forte, e il mio glande premette decisamente.
La sentii irrigidirsi per un momento.
Voltò la testa, mi guardò.
Ma il lavorio delle dita stava raggiungendo lo scopo, si contraeva e rilassava, si muoveva aritmicamente, sussultava.
Ancora una stretta a me.
Ecco, il gel aveva funzionato, stava entrando’ tutto’ e lei spingeva’.
Con molta attenzione, cingendole i fianchi, mi posi supino, mi seguì con docilità.
Una collaborazione inattesa.
Cominciò ad alzarsi e abbassarsi, ed era delizioso sentire le sue natiche battere sul mio pube.
Evidentemente la cosa non le dispiaceva, e i miei ‘esercizi manuali’ le erano sommamente graditi.
Si muoveva sempre più in fretta, lo aveva accolto tutto, fino in fondo.
Rovesciò il capo indietro.
Il suo gemere andava crescendo, diveniva sempre più roco’
Forse cercava in qualche modo di controllarlo’
‘Bambino mio, è stupendo’ favoloso’ eccezionale’ sublime’ oddio’ come godo’ come è bello’ non lo avrei mai immaginato’ ma è perché sei tu’ perché lo desideravi tanto’ e non posso negare nulla al mio Franchino’ ecco’. Tesoro mio’ ora fai anche godere la tua mammina’. Si’. Siiii ‘. Siiiiiiiiiiii!’
E sedette su me.
Affranta.
La mia è proprio una ano’malia!
Buongiorno. Ottimo inizio del tuo racconto. Aspetto di leggere il tuo prossimo racconto in qui tu e il tuo amico…
Ciao purtroppo non sono brava nello scritto, Se vuoi scrivermi in privato . delo.susanna@gmail.com
Per un bohemienne come me, che ama l’abbandono completo al piacere e alle trasgressioni senza limiti, questa è forse la…
Ho temuto che non continuassi… sarebbe stato un vero peccato, il racconto è davvero interessante
Grazie, ne sono lusingato. E' da poco che lo faccio, ma lo trovo divertente. Tu scrivi, ho provato a cercare…