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Racconti erotici sull'Incesto

Domaya

By 30 Aprile 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

L’edificio, non imponente, di tipica architettura locale, si erge sulla collina, in posizione dominante. Chiesi a Don Efisio cosa fosse. Mi rispose che era Domaya, una vecchia fattoria, da qualche tempo ristrutturata perché i proprietari si proponevano di farne un agriturismo. C’era già qualche camera allestita.
Gli domandai anche cosa significasse quello strano nome.
‘E’ una fusione di tre parole, domo, mamma, yaya: casa, madre, nonna.’
Alzò le spalle e disse che per saperne di più sarebbe stato bene chiedere a loro, ai proprietari, in particolare a Maria Grazia.

Fu così che andai a chiedere ospitalità a Domaya, ricevuto da Maria Grazia, non più giovane ma ancora una gran bella donna. Era vedova, ormai, e divideva la casa col fratello, Gavino, di due anni più vecchio.
La curiosità incalzava.
Dopo aver messo a posto le mie cose, seduto di fronte a un bicchiere di insuperabile malvasia nera e a un pezzo di pan’e saba, non riuscii più a frenarmi e chiesi il perché di quello strano nome: Domaya.
Maria Grazia e Gavino si guardarono, lui annuì e lei si alzò. Andò in un’altra stanza, e tornò con un vecchio grosso quaderno. Lo mise sul tavolo.
Gavino si avvicinò. Pose una mano sul quaderno.
‘Questo &egrave stato scritto da Cecilia, con caratteri incerti, parole semplici, inchiostro che va sempre più sbiadendosi. Aveva imparato a scrivere da sola, non era mai andata a scuola. Qualcuno ha cercato di riportare il racconto in termini meno dialettali, lasciandone qualcuno per una migliore coloritura, e in forme più comprensibile. E’ tutto qui. Leggiamo.’

Una specie di cronaca, scarna, semplice, essenziale.

Matteo é partito l’anno scorso. Alla terra ci ho pensato io e i due pitzinneddu, Yuanne e Antioco. Sono loro i due cristiani di casa. Sono forti, specie Yuanne, e lavorano sodo. Antioco va ancora a scuola. L’altro, il primug&egravenitu, sa leggere e scrivere, e sarebbe bello se fosse lui a seguire sto quadernu. Ma non tengo la faccia di dirglielo.
Appena Matteo salì sulla corriera, Yuanne mi mise la mano sulla spalla e mi disse.
‘Ma’, ci sono io. Babbu &egrave andato lontano, in Africa. Farà soldi e quando tornerà staremo tutti meglio. Adesso ci sono io!’
Quella sera mi sembrava che tutto fosse più nero del solito.
Sentivo rumori da ogni parte.
Cominciò una strada lunga e difficile.
Matteo scrisse che andava tutto bene, l’Abissinia non era male. Inviava soldi e ogni tanto una lettera.
E noi ci ammazzavamo di lavoro. Giorni lunghi, faticosi.
E la sera, sola, con la speranza che non durasse a lungo.
Poi, quella mattina, la visita del brigadiere, una lettera di Matteo, e la notizia che era ‘caduto per la Patria’. Il brigadiere disse che gli dispiaceva e assicurò che avrei avuto la pensione!
Un anno dalla partenza. Non sarebbe tornato mai più.
Yuanne mi abbracciò, e ripeté ancora: ‘Ma’, ci sono io.’

Ero sola nel letto grande, anche quella sera, ma questa volta ero disperata, scoraggiata, avvilita. Sola irrimediabilmente sola. Per sempre. Avevo paura, ero terrorizzata. Da un momento all’altro sarebbe entrato qualcuno mi avrebbe strozzata’ balzai a sedere sul letto, sudata. La camicia incollata addosso.
Mi alzai di colpo. Al buio, a rischio di cadere, andai nella stanza dei ragazzi, mi avvicinai al letto di Yuanne. Lo toccai.
‘Yuanne, ho paura’ tanta paura”
Mi prese la mano. Si alzò.
‘Vengo con te”
Non volevo chiederglielo, aveva diritto al suo letto, a riposare, ma già il contatto con la sua mano mi dava coraggio.
Tornai, con lui, nella mia camera.
‘Mettiti a letto, mamma’ sto vicino a te”
‘Si, fizu mio’ si”
Saperlo li, era tutta un’altra cosa. Mi sembrava avere Matteo.
Mi addormentai subito, vinta dal sonno, dalla stanchezza.
Era chiaro quando mi svegliai.
Ecco perché avevo dormito tanto bene. Yuanne mi teneva abbracciata, era dietro me, e la mia testa poggiava sul suo braccio. L’altra sua mano era quasi sulla mia pancia. Non mi mossi per non svegliarlo.
Solo allora mi accorsi che qualche cosa spingeva dietro di me’ quasi tra le natiche’ allungai la mano’ toccai’ su baddònu di Yuanne!
Logico’ al mattino’ alla sua età’! Povero ragazzo!
Mi allontanai lentamente, mi alzai, misi una vestaglia, andai a preparare. In cucina, il solito che mangiavamo ogni mattina: cacio, pane, latte.
Yuanne, intanto, s’era svegliato, era sceso, era andato all’aperto’ e ora stava lavandosi alla pompa. Era ottimamente sviluppato, snello e nel contempo muscoloso. Somigliava tanto a suo padre.
Mi venne in mente quel nervio, nerbo, che avevo sentito premere tra le chiappe. Scrollai le spalle per scacciare il ricordo. Chissà Matteo, se aveva sofferto.
Tornai alle mie faccende.
Yuanne entrò, sorridente.
‘Ma’, stai bene adesso?’
‘Si, figlio, grazie’. Grazie a te’!’
Mi avvicinai e lo baciai sulla fronte.
Era veramente un bel giovane mio figlio. Lo avevo partorito quando avevo da poco compiuto sedici anni.

Soliti lavori del giorno.
Antiogu era tornato aveva fatto i compiti, aveva aiutato un po’.
Yuanne, lavato e pettinato, era seduto sulla panca, vicino alla madia, e mi guardava con insistenza. Sentivo i suoi occhi sul pettu, e mi squadrava da capo a piedi. Vedevo chiaramente le sue narici fremere’ insomma c’era qualcosa che non avevo mai notato prima.
E venne l’ora di andare a dormire.
Antioco mi baciò e andò a letto.
Yuanne attese che rassettassi tutto, mi preparassi per la sera, con la solita camiciola, e, quando tornai in cucina si avvicinò per salutarmi.
‘Hai paura ma’? Vuoi che ti faccia compagnia?’
Era teso. Attendeva la mia risposta, il mio responso.
Allungai la mano, lo carezzai.
‘Vuoi tenermi la mano fin quando mi addormento?’
Annuì.
‘Allora, ameddu, io mi avvio’ ti aspetto”
Andai nella mia camera. Ero perplessa. Chissà se facevo bene’ quel posto, nel letto, era di Matteo’ Che confusione. Cosa c’entrava, adesso, Matteo che era stato mio marito, l’omine meu. Yuanne &egrave fizo, il figlio. Anche se un figliolone.
Però, che senso di sicurezza!
Un lungo respiro. Mi misi a letto. Pensai a Matteo. Poverino.
In quel momento entrò Yuanne, con solo le mutande, a torso nudo. Senza parlare andò a mettersi al posto del padre, alla mia sinistra. Spensi il lume. C’era il chiarore della luna piena che filtrava dalle finestre, dagli scuri.
Yuanne si avvicinò.
‘Ti abbraccio, ma’?’
‘Vieni vicino’ metti la testa sul mio braccio’ io resto supina”
Si accostò a me. Su un fianco. Il capo più sulla mia spalla che sul braccio, si spostò un po’ più in basso’la sua bocca era quasi sulla mia tetta, sentivo il calore del suo respiro. Allungò la mano, per abbracciarmi, sfiorò l’altra tetta’il capezzolo’la poggiò lievemente’ alzò la gamba e con naturalezza la mise sulle mie’il ginocchio premeva sul grembo’ le mie gambe erano alquanto dischiuse’ il ginocchio era proprio sul mio sesso’
Il ginocchio di mio figlio sul cunnu di mamma sua!
Deglutii a fatica. Anche a Matteo piaceva stare così.
Sentii che sul fianco cominciava a premere qualcosa’. Di nuovo’ oddio’ su baddònu’
Non m’era chiaro se era una situazione involontaria e innocente o se lui lo ‘appuntellava’ volontariamente’ lo sentivo, attraverso la camicia leggera, era duro’ e grosso’. E il ginocchio non stava fermo, come se volesse carezzarmela’
Il problema era che la cosa non mi dispiaceva’
Dovevo spingerlo, Yuanne, sia pure con dolcezza, allontanarlo da me’
Ma come fare, adesso anche la sua mano libera carezzava la tetta e il respiro era più caldo’
Non riuscivo a fare niente, ma ero tremendamente nichidada, arrabbiata, con me stessa’ ma che cacchio stavo facendo’ ero appena venuta a sapere che mio marito era morto, sia pure per la Patria, e mi infiammavo con mio figlio’ , come una cagna in calore, fino al punto che avrei voluto gridargli con tutte le forze, cravadinci Yuanne’ cosa aspetti’ cravadinci’ infilalo!
Yuanne tremava come una foglia, si stringeva a me, la bocca mi baciava la tetta, attraverso la stoffa’ l’altra mano era scesa al posto del ginocchio’ mi appalputzava’ mi palpava’ Inutile’ sentivo l’umido tra le gambe’ e, d’un tratto, un caldo appiccicoso sul mio fianco’ e il suo ooooh!
Feci finta di niente.
Yuanne si calmò lentamente. Mi accorsi che piangeva, le lacrime bagnavano la stoffa sulla mia tetta. Decisi di restare ferma.
Poi, lentamente, presi un lembo della camicia e cercai di asciugare alla meglio ciò che aveva seminato intorno, soprattutto su me.
Sempre con quel lembo, cercai ripulire anche il suo battazu, ancora duro, proprio come un battaglio di bronzo.
Forse ci misi più tempo del necessario, ma mi sentivo confusa, stregata.
Lui s’addomentò presto. Io vegliai quasi tutta la notte.
Mi alzai alle prime luci del giorno.
La camicia era da lavare. E anche io. Ci voleva l’acqua’ per purificarmi.
Feci tutto con calma, ed ero in cucina quando entrò Yuanne.
Leggevo nel suo volto qualcosa di preoccupato e timoroso nel contempo. Come chi, avendola fatta grossa, attenda le conseguenze del suo gesto.
Cercai di sorridergli.
In fondo’era un giovane ‘sano’ robusto’ con naturali istinti.
Cosa avrei dovuto dire, allora, di me, sua madre, che alla sua linfa generatrice avevo aggiunto le secrezioni del mio sesso? Povero sesso, da quanto tempo era famelico e bramoso! Mi avvicinai a lui, lo carezzai dolcemente sul volto.
‘Stai bene fizu meu?’
Mi fissò, sorpreso, incredulo. Annuì, in silenzio.
Non mi ero quasi accorta che la mia blusa bianca era sbottonata, quasi aperta.
Sono slanciata, non troppo alta, con seno e fianchi abbastanza rotondi. L’attività quotidiana, nei campi, a casa, concorre a rassodare il mio fisico. Gambe snelle e lunghe. Capelli lunghi, ancora nerissimi, qualche raro filo più chiaro. Ci tengo molto all’igiene e alla cura della persona, e così ho abituato i miei figli. Matteo mi guardava sempre così, compiaciuto, con occhi che non nascondevano il suo desiderio di me’ e io desideravo lui!
Quando eravamo soli, ogni tanto, infilava la mano sotto la gonna e scompigliava i riccioli del pube e tra le gambe, dicendomi che era ‘u mezus e ispissu malésa du mundo’! Il migliore folto cespuglio del mondo, che nascondeva ‘sa selcia du gosu’, la grotta del piacere!
Là sono, da sempre, come la creazione ha voluto. Non mi sono mai tagliata un pilu, mai, in nessuna parte. Se li ha messi la natura &egrave segno che ci vogliono.
Yuanne mi fissava, guardava intensamente la mia scollatura, negli occhi la stessa espressione di Matteo.
Ancora una volta, feci finta di non notarlo, ma certo arrossii mentre i peli tra le gambe si ingrifavano.
Già pensavo alla sera, alla prossima notte’come mi dovevo comportare?
—–

Da quando avevamo saputo che Matteo era ‘caduto per la Patria’ non ne avevamo parlato più. Neanche Antioco aveva ricordato il padre. Forse era un modo per respingere la perdita, per considerarlo sempre presente.
Ma non era così!
Matteo nel mio letto non sarebbe tornato più.
Ecco la frase drammatica ‘mio letto’.
Sarebbe rimasto vuoto per sempre?
Era un caso o destino, fatalità, ineluttabilità che Yuanne avesse immediatamente, quasi naturalmente, istintivamente, occupato quel posto?
Nonna Bonaria diceva sempre che morto un papa se ne fa un altro, e concludeva: ‘morto il re viva il re’!
Che confusione nella mia testa, e intra sa udda, nel grembo!
E la sera arrivò.
Finita la cena, Antioco mi dette il bacio della buonanotte e si avviò verso la loro camera. Yuanne uscì all’aperto, nel quasi buio della sera, e sedette sulla panca di pietra a lato della porta.
Rassettai tutto, mi lavai bene, mi guardai allo specchio.
Presi una corta camicia da notte, di cotone leggero, e uscii per salutare Yuanne. Non c’era più. Rientrai, andai nella camera dei ragazzi, il letto di Yuanne era vuoto’
Yuanne era nel mio letto, al posto di Matteo.
Sguardo tra il preoccupato e il premuroso, tenero, amorevole.
‘Non voglio lasciarti ancora sola, ma”.’
Strinsi le labbra e annuii.
Spensi il lume, mi misi a letto.
La camicia non aveva bottoni, la scollatura era appena incrociata, e se mi mettevo su un fianco era quasi certo che ne usciva una mammidda. Perciò rimasi supina.
Notte di luna piena.
Chiuse le finestre, ma non le imposte, entrava un forte chiarore argenteo che colpiva il letto aumentando il biancore del lenzuolo. I miei capelli si stagliavano sul cuscino, sulle spalle, dando un senso di pallore al mio volto. Certamente, però, dovevo essere accesa in viso.
Girai il capo verso Yuanne. Era su un fianco, con la testa appoggiata sulla mano che, a sua volta si sorreggeva sul gomito. E mi guardava fissamente. Il bianco degli occhi risaltava al raggio lunare.
‘Che c’&egrave Yuanne?’
‘C’&egrave che sei bellissima, ma” più ti miro e più resto affascinato”
Si avvicinò piano, e mi baciò sugli occhi. Con infinita tenerezza. Lo guardai sorridendo’
‘Adesso ci sei solo tu, tesoro mio”
Gli presi il volto tra le mani e lo baciai sulla guancia.
Abbassò il viso e ricambiò il bacio’ sulla guancia’ poi’ delicatamente pose la sua bocca sulla mia’ la trattenne’ sentii la punta della sua lingua’ forse volevo dire qualcosa’ ma quando schiusi appena le labbra la sua lingua si insinuò, veloce e prepotente, e incontrò la mia’
Oddio’cosa stavamo facendo’.
Una mano di Yuanne si infilò nella camicia, afferrò la tetta, e la impastò freneticamente, pizzicando il capezzolo che s’era sempre più inturgidito’
Sentivo che mi mancava il respiro’ ma quello che mi spaventava, e nel contempo mi sconvolgeva, era che il mio sesso si contraeva, si rilassava’ come se volesse difendersi da un’intrusione per poi dilatarsi quasi invocandola’ era come un ciucciare a vuoto, mungere senza il capezzolo che avrebbe potuto sfamarmi’ E il fondo della vagina, invece, si dilatava, avido, come un deserto arido che vuol raccogliere il massimo della rugiada che sta per irrorarlo.
Deglutivo a fatica, ma quel contatto era incantevole.
Yuanne mi guardava con occhi spalancati’.
Di colpo, trasse da parte completamente il lenzuolo’ era nudo, totalmente nudo’ dalla corta camiciola sortivano le mie gambe’ con un ginocchio le obbligò a disserrarsi’ e si sistemò tra esse’ ero esterrefatta ed insieme stregata’ incapace di reagire’ c’era qualcosa di maledettamente attraente’
Madre mia’ quello era un maschio’ e che maschio’ ora lo vedevo’ e io ero una femmina che non aveva un maschio da più di un anno’ una femmina ancora giovane’ ardente’. appassionata’.
E quel maschio era ciò che m’era rimasto al mondo’ la mia vita’ vita della mia vita’ mio figlio’ Yuanne’. ed era in preda alla foia’
E io, allora?
Era sulle sue ginocchia’ prese i lembi dove s’incrociava la mia camicia e di colpo strappò la stoffa’ restai nuda, di fronte a lui’
Si ritrasse un po” guardò con occhi accesi il triangolo tra le mie gambe’ si chinò’ afferrò un capezzolo tra le sue labbra e cominciò a succhiare golosamente’ era sdraiato su me’ una mano si introdusse tra noi’ scese’ frugò nel folto boschetto che celava il mio sesso’ lo palpò’ carezzo’ e sentì il caldo umido dell’orificio che palpitava’.
Non ricordo bene come accadde’ ma la mia mano afferrò il suo corposo baddònu, turgido e vibrante’ lo avvicinai alla vagina’ sembrava stretta’ come se si opponesse’ ma poi’. al sentire quella carne viva e trepidante cominciò ad accoglierlo con voluttà’ tutto’ fino a quanto ne poté contenere’ la calda e vigorosa cappella fungiforme batteva sul fondo’.
Una sensazione sconosciuta, un piacere che non credevo che potesse esistere’ era appena entrato in me e fui scossa, travolta, sconvolta da un orgasmo vorticoso, che mi squassava, mi sbatteva come una foglia al vento’
Il grembo in tumulto, sentivo le pareti della vagina che lo stringevano avidamente’ forse stavo cadendo in deliquio’ mi sembrava che l’utero stesso si dilatasse, volesse attirarlo’
Yuanne era meraviglioso, superbo’ potente’
Ecco’ dette un energico colpo di reni, si fermò un attimo, e fu come l’impetuosa eruzione di un poderoso getto di lava che m’invase’ l’utero si muoveva, voleva dissetarsene’ e io stavo morendo di piacere’.
Eravamo sudati, anelanti. Il cuore sembrava voler scappare dal mio petto’.
Restammo abbracciati, avvinghiati.
Solo allora mi accorsi che avevo intrecciate le mie gambe sul suo dorso.
Lo tenevo prigioniero, non volevo che uscisse da me.
La mia vagina era impazzita’. il suo sesso era sempre solido, massiccio.
Su rei intru sa domo! Il re nella sua casa!
Accolto con tutti gli onori.
Restammo così, a lungo.
Alzò lentamente la testa, ci guardammo. Scoppiammo a piangere.
Dopo un po’, Yuanne, molto lentamente fece sgusciare il suo voluttuoso nerbiu, che strusciò sulla mia pancia lasciando un filo di bava biancastra e molliccia. Restò sul fianco. Mi voltai verso lui. Ci abbracciammo, forte. Sentivo la sua carne calda e lui sentiva quella mia, infuocata.
Non avevo la forza di articolare parola.
Mi baciò sugli occhi.
Misi il volto sul suo petto, sentivo battere il suo cuore.
Ci addormentammo così, stretti, come fossimo un corpo solo.
E lo eravamo. Lui, Yuanne, era carne mia, e, in fondo, sia pure in parte. era da dove era sortito.
Mi venne da sorridere a quel pensiero, ‘sia pure in parte’!
Che ‘parte’ meravigliosa.
Mi sembrava di essere nata in quel momento.
Quanto riuscii a dormire? Non so.
Ero ancora abbracciata a lui, ma questa volta gli volgevo la schiena e lui mi teneva afferrata, forte, con una mano su una tetta e l’altra sul sesso. Un grosso rotolo carnoso era alloggiato tra le mie gambe’ il glande sporgeva davanti’.
Lo toccai.
Dio, com’era bello. E quanto lo desideravo!
Fu spontaneo desiderare e pensare: T`inci fazzu torrai in su cunnu! ‘Ti faccio tornare nel grembo di tua madre!’
Mi mossi lentamente, mi scostai un po’, guidai il suo grosso fallo all’ingresso della vagina, mi spinsi verso lui, ingollandolo lasciviamente fino a sentire lo scroto sulle mie chiappe. Che delizia!
Yuanne rispose subito’ cominciò a titillare meravigliosamente il clitoride, e a tormentare voluttuosamente i capezzoli.
Inutile, era proprio una cosa inimmaginabile. Bastava lo sentissi entrare in me e partivo subito per incontrollabili orgasmi che mi sconvolgevano. Non riuscivo a trattenermi’ sentivo di gemere, sempre più forte’ e quando mi allagava col suo seme mi sentivo soddisfatta, appagata’ e per un po’ anche priva di forze’
Era bellissimo’.

Da quel momento, Yuanne fu tutto per me, figlio, amante, protezione, solo scopo della mia vita.
Neanche la fantasia avrebbe potuto farmi pensare che avrei avuto un amante del genere, un vero e proprio stallone, sempre pronto, mai sazio’
Non c’era momento o luogo che potesse frenare la nostra voglia di congiungerci.
Poteva sembrare una cosa animalesca, puramente materiale, semplice sfogo dei sensi, piacere ingigantito dalla coscienza che si infrangeva un tabù, quasi un divieto sacrale’.
Era passione, indescrivibile amore.
I giorni trascorrevano, ero allegra, felice’.
Guardai il calendario’ era passato molto tempo’ troppo’ dalle mie ultime regole fisiologiche’. Inoltre, Yuanne mi aveva detto che le mie zinne erano più belle e gagliarde che mai’
Fui invasa da un senso di angoscia’
Bamba, stupida, mi disse una voce interiore, ché.. non lo sapevi che sarebbe accaduto?
Dovevo parlarne con Yuanne e pensare come fare’ andare da una comare per agurtire, liberarmene, neanche a pensarlo lo avrebbero saputo tutti o sarei stata ricattabile per sempre.
Tramunare? Trasferirsi? Come, dove’ avevamo tutto qui!
Presi il coraggio a due mani.
Dopo cena, sedetti vicino a Yuanne, sulla panca di pietra.
‘Yuanne’ sono prinza’ gravida”
Lo guardai negli occhi.
I suoi brillarono, sfolgoranti.
‘Che bella noa, ma” divento padre e armanu, fratello’ e tu madre e yaya’ madre e nonna’ che bello’!’
Mi strinse forte, mi baciò sulla bocca’ scese a baciare la mia pancia.
Scossi la testa.
‘Breccinu, matto, che dirà la gente quando mi vedrà con la pancia”
‘Che hai su compari! Che hai un amante.’
Quella notte festeggiammo la notizia, come due irresponsabili’ Yuanne era infaticabile e ogni volta diceva che stava costruendo suo figlio-fratello’ ed era così bello ed entusiasta che speravo quelle sue ‘stantuffate’ ardenti non finissero mai. Eravamo indecorosamente imbrattati di seme e della mia linfa erotica quando, esausti, ci abbandonammo al sonno’

Yuanne sembrava impazzito di gioia quando nacque su criu, il neonato, e mi trascinò col suo entusiasmo, tanto che, incuranti di tutto e di tutti non volle che quel pulcino restasse solo’
Olre Yuanne e Antioco, adesso, ci sono altri quattro ragazzi e una bella brunetta.
La fattoria l’abbiamo ammodernata, i campi sono lavorati bene, ne abbiamo comprati altri.
In paese, quando andiamo, ci guardano, ci salutano, e sembra che nulla sia accaduto.
Se uno che non ci conosce domanda chi siamo, dicono che siamo quelli di sa Domaya, la casa della madre-nonna.

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