I migliori anni della nostra vita
I migliori anni della nostra vita, mia, di mia moglie Sara e di mia figlia Giulia, cominciarono quando mia figlia entrò in III liceo. Si era fatta una ragazza straordinariamente bella: un volto d’adolescente su un corpo sensualissimo, al limite della provocazione. Si muoveva con movenze da pantera ed emetteva solo desideri per nulla casti. Purtroppo, anche se ero suo padre, non ne ero indenne, ma scacciavo con prepotenza ogni desiderio incestuoso. Non è che la volessi scopare, ma accarezzare quei seni di sogno, serrarli tra le mie mani, succhiarne i capezzoli, frugare nella sua fica, certo che lo agognavo. Ma, come dicevo, scacciavo con pervicacia questa idea. Mia moglie era una donna molto sexy e, di sicuro, era dovuta a lei la bellezza di Giulia.
Tutto avvenne una notte. Verso la una entrò a precipizio nella nostra camera da letto, terrorizzata. Io e mia moglie ci affannammo a consolarla, spiegandole che talora i sogni sono davvero brutti, ma sono sempre sogni e che tutto era passato. Mia moglie le promise che sarebbe rimasta seduta accanto a lei per un po’ dopo che si fosse addormentata. Niente: non ci fu potenza a convincerla. Voleva dormire con noi. Protestai, ricordando che era grande e che non poteva dormire con noi. Si mise a piangere, ci commosse e acconsentimmo. Rapida e contenta come una bambina si sistemò in mezzo a noi.
Stavo sognando che mia moglie mi aveva afferrato il cazzo e mi stava masturbando. Inconsciamente, però, capii che non era solo un sogno e mi svegliai. Lì per lì non mi ricordai di Giulia, quando mi avvidi che realmente c’era una mano femminile che stringeva il mio sesso. Ci misi, però, poco a capire che era la mano di mia figlia. Vi si era aggrappata quasi fosse un ramo di un albero in mezzo al mare e lei stesse per annegare. Dolcemente, tentai di staccare quella presa. L’effetto fu che, lungi dal toglierla, cominciò ad agitare la mano in un inconsulto saliscendi. E il mio organo cominciò a risentirne, gonfiandosi come il collo di un serpente. Ero, da un lato, deliziato da quel massaggio, ma ancor di più spaventato, non fosse per il fatto della vicinanza di mia moglie. Le forzai deciso le dita, anche a costo di svegliarla, e così, pur farfugliando, mollò la stretta. Per afferrare, però, subito il mio braccio destro che, giratasi sul fianco sinistro, trascinò al di sopra della spalla, sopra il suo petto, serrandolo contro. La mia mano si trovò, così, a spiovere sul quel seno fragrante, caldo e seducente, mentre mi ritrovai col mio cazzo a ridosso del suo delizioso di dietro nudo. Già, perché non solo la camicia da notte si era tirata su verso i fianchi, ma sotto era totalmente nuda. Lei, per giunta, si accucciò di più contro di me e il mio cazzo si ritrovò a pigiare prorompente tra le sue cosce, appena sotto il perineo. Rinculando tentai di sottrarmi a quell’incandescente rifugio, ma fu tutto inutile: lei affondava pervicacemente le rotondità del suo deretano contro il mio pube. Così vi rinunciai. Tutto quello che potei fare fu di distendere il mio membro di lungo tra l’ano e il suo fondo schiena. Lei si accovacciò di più su di me e, come sistemandola nel sonno, infilò la mia mano nella scollatura della camicia da notte. Fu come se milioni di aghi di fuoco la trafiggessero. Il mio sesso s’inturgidì viepiù. Mia figlia sembrava soddisfatta di quella situazione. Ancora oggi non so se non tentai di sottrarmi a quella situazione, perché temevo che si svegliasse e potesse pensare che stessi approfittando del suo sonno, oppure, perché mi piaceva e volessi sfruttare l’occasione. Sta di fatto che la sfruttai. Mi venne quasi istintivo incominciare a far scorrere la mia mano sul suo seno, colmandola, accarezzandola. Ne saggiavo la morbidezza, la voluttuosità, la consistenza. Mi feci più audace e raccolsi il suo piccolo capezzolo tra i polpastrelli del pollice e dell’indice, strofinandolo fino a sentirlo inturgidire come un corbezzolo. Il suo culetto cominciò ad agitarsi sopra il mio sesso. Trascorsi, poi, la mano sull’altro seno, sollecitandone anche lì la fragola di carne. Quel seno adolescente, armonioso, golosamente sbocciato, mi stava ubriacando. Era bello, bello, bello. Cominciavo a non capire più nulla. Stavo smarrendo la coscienza che quella ragazza era mia figlia. Sapevo solo che era un corpo di donna, caldo, voluttuoso, fresco di adolescenza, morbosamente seducente. La fica: impellente mi assalì la voglia di stringere la sua fica. Mi era capitato di intravederla, visto che capitava non di rado che Giulia girasse nuda per casa. Solo che non mi ero mai permesso di indugiarvi con lo sguardo. La intravedevo appena più che un’ombreggiatura. E, poi, una cosa era vederla di sfuggita, un’altra constatarla palpandola, accarezzandola. Era folto il suo vello o appena accennato? E quelle labbra segrete erano tumide e levigate, o meno spesse e ripiegate all’interno come nelle bambine? E la peluria anche lì: era folta o leggerissima? E, se la masturbavo delicatamente, penetrando nelle morbide pieghe della sua vulva senza destarla, l’avrei sentita godere nel sonno? Forse non aveva ancora avuto un orgasmo, io glielo avrei fatto provare. Solo l’almanaccare questi pensieri con le relative immagini, mi avevano fatto irrorare il prepuzio di abbondanti secrezioni. Dovevo subito sfilare la mia mano dal suo petto. Volevo accarezzarla tutta, bearmi di ogni angolo del suo corpo acerbo e vellutato. Quasi avesse letto il mio desiderio, Giulia, sbuffando, si girò per distendersi supina. Sì, così la volevo. Avrei così potuto utilizzare entrambe le mani per accarezzare il suo corpo. Le lasciai, intanto, ancora a bearsi nello scorazzare su quelle morbide colline, poi, lentamente, mentre una di esse restava a deliziarsi del suo seno, con voluttà, incominciai a scendere l’altra in giù, giù, sino al suo pube. Il suo vello, oh, il suo vello! Come un verde tappeto a primavera, tenue, leggero, appena crespo, radioso. Me ne colmai le dita, poi, lo serrai a sorbirne il piacere. Ne tentai le rive, levigate, calde, tumide. Era una fica perfetta. Le piccole labbra non sgusciavano tra le grandi e io volevo incontrarle, come volevo scoprire la fragola del suo piacere. Preso da una crescente frenesia affondai la punta del mio dito indice nella sua fessura e lo lasciai scorrere lungo tutta la sua apertura, fino a incontrare quel segreto piacere. La sentii sussultare. Mi immobilizzai, ma mi accorsi che continuava a dormire. Allora, cominciai blandamente a masturbarla. Cominciò di lì a poco a sospirare e, invece, di preoccuparmi, questo mi eccitò di più: la stavo facendo godere nel sonno. Chissà a quale sogno erotico la stavo inducendo. Accelerai di più la mia pressione rotatoria sul suo clitoride. Gemeva. In modo contenuto, ma gemeva. Si agitò quasi scompostamente, ma non mi fermai. Godevo di farla godere. Volevo godere pure io, però. Ormai ero preda solo di un piacere forsennato. Volevo che, mentre la masturbavo, lei stringesse il mio cazzo. Lasciai per un momento il suo sesso, le presi la mano e la depositai sul mio membro, quindi, ritornai a masturbarle il clitoride. Avrei desiderato baciarlo, leccarlo, succhiarlo. La sua mano, intanto, inconsciamente, aveva stretto il mio membro, e incominciò ad agitarla in un deciso saliscendi: mi stava masturbando pure lei. Sussultammo insieme nell’orgasmo. Riuscii solo all’ultimo istante di sottrarmi alla sua mano e di eiaculare sopra il lenzuolo.
Sembrava che ormai quella insania erotica fosse finita. Ma non era così. Dopo alcuni minuti di immobilità reciproca, Giulia, sospirando, mi venne addosso per tre quarti della sua persona. Non sapevo che fare. Ero combattuto da contrari intendimenti. Ancora una volta: volevo scostarla e insieme sentirla tutta nuda su di me. Avevo il braccio sinistro sotto il suo costato e decisi di abbracciarla. Fu del tutto sopra di me. La camicia da notte si era raccolta attorno al suo stomaco. Il suo ventre gravava contro il mio. Cominciò a strofinare, apparentemente sempre dormendo, contro il mio il suo pube. La cinsi per i fianchi, poi, risalii con tutte le due mani lungo il costato. Si sollevò di colpo, sempre gli occhi chiusi, e si sfilò la camicia, per poi riabbandonarsi, nuda, sopra di me. I suoi seni mi trafissero, infiammandolo, il petto su cui gravarono turriti e morbidi. Il suo pube continuava ad agitarsi sopra il mio, mentre le sue mani circondavano le mie spalle, il suo viso affondato sul cuscino contro il mio. Il mio membro era nuovamente inalberato e turgido a pigiare contro il suo ventre. Allungai la mano e lo feci sgusciare tra le sue cosce, sotto il suo perineo. Lei lo serrò, lasciando che vi scorresse dentro, nell’insenatura tra le cosce. Sentivo nitidamente il calore bagnato della sua fica. Affondare: avrei desiderato affondarvi il mio cazzo. Ma non potevo. Era mia figlia. Non pensava, però, la stessa cosa lei. Di colpo si sollevò a sedere sopra il mio grembo, portandosi le mie mani sulle sue mammelle, che strinsi avidamente. La sento allungare la mano verso il mio sesso, lo afferra e fa l’atto di impalarsi. Voleva scopare! Riuscii a stento ad impedirglielo, rovesciandola sul letto. ‘Lo voglio, lo voglio’, gridò isterica. Inorridii, mentre le tappavo la bocca con la mano. Era furente. Brancolava alla ricerca del cazzo. ‘Zitta’, sibilai sottovoce. ‘Zitta! Vuoi che la mamma si svegli?’. Mugolò qualcosa. ‘Ti darò lo stesso il piacere, senza scopare almeno per ora. Se sei d’accordo, stringi pure il mio sesso e ti toglierò la mano dalla bocca’. Rimase qualche istante a pensare, poi, allungò la mano sul mio membro, stringendolo stretto. Le liberai la bocca. ‘Vieni qua’, le sussurrai. ‘Sei bellissima, meravigliosa. Sarai la mia piccola amante e, potremo godere, senza bisogno, almeno per ora, di scopare. Che ne dici? In silenzio ancora per un po’ stanotte. Domani, quando mamma non ci sarà, ne parleremo. Va bene?’. ‘Sì’, mi rispose con un sospiro torrido di desiderio, ‘ma fammi ancora godere, fammi venire tante volte. Succhiami il seno, mordilo, leccami la fica’. ‘Vieni qua, piccola, ti farò provare piaceri inimmaginabili’. La feci inginocchiare a gambe aperte sopra il mio viso, la strinsi per i fianchi e affondai la mia bocca sulla sua fica. Gemette immediatamente, mentre le leccavo il sesso, mi insinuavo con la punta della lingua tra quelle labbra inturgidite, calde e bagnate. Poi, portai le mie mani su di esse, divaricandole fino a scoprirne il clitoride. Cominciai a leccarlo e a succhiarlo. Ad ogni vellicamento della mia lingua lei mi sobbalzava sopra il viso. Cominciava a torcersi. Si portò le mani ai seni, tormentandoli. Mugolava travolta dal piacere. La sentii venire più volte senza ritegno, sussurrando con la voce spezzata sempre ‘ancora’. Ero inebriato dal profumo e dal sapore di quel sesso acerbo. Lo bevevo come un assetato, stordendomi tra le sue cosce, dentro il suo grembo. Poi, le cercai la piccola corolla raggrinzita del culetto. La inzuppai dei suoi umori e della mia saliva penetrandola poco a poco con il dito. ‘Ti piace? Vuoi?’, le sussurrai. ‘Sì, papà. Continua. Mi piace’. E, così, mentre davanti la penetravo con la lingua, da dietro lo facevo con il dito. Dopo qualche minuto tentai di infilarle la punta di tre dita chiuse ad imbuto, pollice, indice e medio, accorgendomi che il suo ano cedeva. Dalla sua fica ormai scorreva un torrente di piacere. La invitai a distendersi accanto a me, coricata su un fianco. Capì quel che volevo fare, quando le appoggiai la punta del mio cazzo sul buchetto del culo. Ancora una volta le chiesi se volesse. Per tutta risposta, allungò la sua mano sul mio membro spingendolo contro le sue terga. Le scostai la mano e con le dita allargai le sue natiche. Sentii il suo forellino pulsare sulla punta del mio glande. Spinsi piano, ma deciso. E, senza eccessiva fatica, il mio membro scivolò tutto dentro di lei. E, mentre con una mano mi abbarbicavo al suo seno, cominciai a fotterla nel culo. Avanti e indietro, sempre più incalzante, sempre più veloce. E lei assecondava il mio andirivieni. Cominciò a lamentarsi così forte che dovetti tapparle la bocca con la mano. Poi, arrivò l’orgasmo mio, violento, intenso. Esplosi nelle sue viscere il mio seme, mentre lei riuscì quasi a urlare nonostante le tappassi la bocca. Mi abbandonai schiantato su di lei, il cazzo ancora dentro. Poi, la tempestai di baci sul viso, sugli occhi, sulla bocca. ‘Per questa notte basta. Rimettiti la camicia da notte. Vieni qua tra le mie braccia e dormiamo’. Mi baciò sulle labbra dolcemente, riconoscente, raccolse l’indumento. Poi, si abbracciò a me per dormire col mio cazzo irrimediabilmente turgido tra le sue cosce.
La mattina era mia moglie che si alzava sempre per prima e preparava subito il caffè. Svegliatici, io e Giulia ci guardammo negli occhi e, quando Sara, mia moglie, si allontanò, le nostre mani cercarono subito i nostri corpi. Il suo seno e la morbidezza calda della sua fica fu il mio traguardo, il mio cazzo il suo. Già teso per conto suo, divenne marmoreo, quando lo serrò nella mano e cominciò, mentre lo fissava affascinata, a masturbarlo. Non poteva farmi eiaculare in quel modo sconsiderato, con Sara che poteva sorprenderci. ‘Lascia: c’è la mamma’, bisbigliai. E, siccome non mollava, le torsi il lezioso, roseo capezzolo. ‘Lurido, fetente!’, quasi piagnucolò. ‘Mi hai fatto male. Te la farò pagare’. La baciai sulla bocca. ‘Ti adoro, insaziabile ninfetta!’. E, così dicendo, mi alzai velocemente.
Facemmo le nostre docce, poi colazione. Giulia si preparò per la scuola insieme a sua madre che insegnava nella stessa. Io dovevo recarmi in tribunale per il mio lavoro di avvocato. Mentre mia moglie si avviava verso l’automobile, mia figlia indugiò nell’ingresso di casa. ‘Ciao, papà’, mi disse e, invece di baciarmi al solito sulla guancia, si abbandonò con un bacio appassionato alla francese sulla mia bocca che ricambiai con altrettanto ardore. Di più: mentre ci baciavamo, la mia mano corse sotto la sua gonna, infilandosi sotto lo slip a cercare la sua fica, prima serrandola tutta e poi masturbandole il clitoride. Lei lasciò fare sospirando, mentre la sua lingua si abbarbicava ansante alla mia, finché la sentii sussultare e le mie dita si inumidirono del suo orgasmo. ‘Demonio, mi farai impazzire! Ti adoro’, mi disse con la voce arrochita. Mi baciò ancora sulle labbra. Poi se ne andò.
Lungo la strada pensavo a quanto era successo. Ritengo, anche se sono pochi ad ammetterlo, che ogni padre sia innamorata della propria figlia e, se potesse dare sfogo liberamente alle proprie nascoste pulsioni, se la scoperebbe. Io avevo desiderato mia figlia, ma non avrei mai almanaccato il più lontano pensiero di realizzare questo desiderio. Questo, però, era successo e, anche se avevo facilmente ceduto, non potevo negare che ero stato indotto. E, mentre rivedevo il suo corpo meravigliosamente seducente, poco mancò che non investissi. Avevo nuovamente il mio sesso inalberato. Non era mai successo con nessuna donna che il solo abbozzo di un pensiero mi portasse ad una subitanea eccitazione. Una cosa era certa: sarebbe stata la mia piccola amante. Finché l’avesse voluto. Questo pensiero mi trafisse come una coltellata nel cuore. Una vampa di gelosia strinse il mio cuore. E, se si fosse stancata di me, se si fosse messa poi con un ragazzo? No, non l’avrebbe mai fatto, glielo avrei impedito. Ero pazzo di lei: questa era la verità. Non vedevo l’ora di rivederla, stringerla, baciarla, bere il suo profumo, la sua acerba giovinezza.
Arrivai a casa che già era pronto in tavola. ‘Ehi, marito, ti vedo stressato. Problemi con qualche magistrato?’. ‘No, forse mi sono innervosito con quel tizio che è in galera. Non mi dice tutto quello che sa. E io non posso difenderlo con la paura che l’accusa trovi qualcosa che non so e che mi metta in difficoltà’. Giulia mi si avvicinò rapida e mi abbracciò. ‘Basto io, mamma, a farlo rasserenare’, disse, mentre mi baciava sulla guancia. ‘Sei la mia vita, piccola, la mia vita’, commentai sedendomi accanto a lei, con Sara, invece, a capotavola al posto mio in quell’occasione. Mentre mangiavamo, Giulia senza dare a vedere trascinò la mia mano sinistra sulla sua coscia sotto la gonna, facendola risalire sino allo slip. Sentii il tepore del suo grembo e con la punta delle dita l’accarezzai dolcemente sopra il tessuto. Solo per qualche minuto, poi la ritrassi. Era troppo sfidare così sfacciatamente la buona sorte. Non intendevo per nessuna ragione al mondo farci scoprire da Sara. Le sarebbe crollato il mondo, sarebbe rimasta stravolta, distrutta per sempre. No, Sara non avrebbe mai dovuto sapere. ‘Mamma’, disse Giulia, tra un discorso e l’altro che solitamente si fa a tavola,’papà mi deve accompagnare da Cinzia. Le ho promesso che ci avrebbe dato una mano dal punto di vista tecnicamente giuridico su una relazione che stiamo facendo’. ‘Ma, se non me ne hai parlato’, osservò Sara. ‘Mi mostri sempre le tue ricerche, perché non me ne hai parlato? E, poi, che ricerca di diritto è? E che c’entra tuo padre? Non diventa credibile per una liceale una disquisizione così tecnica’. ‘Tu lo dici. I miei insegnanti sanno che papà è un avvocato e non si meraviglieranno dei risvolti tecnici. Anzi. Io dirò che papà ci ha aiutato’. ‘Ma, non puoi farla vedere pure a me? Qual è il tema della ricerca?’. ‘Il raffronto tra la costituzione americana e il diritto romano. E’ qualcosa che dobbiamo presentare domani. Un paio d’ore ci vorrà. Ho promesso a Cinzia che mi sarei portata papà a darci una mano’. ‘Mah!’, fece Sara, ‘Fa come vuoi. Che penseranno i genitori di Cinzia?’. ‘Saranno magari un po’ invidiosi di papà mio’, concluse Giulia, stringendomi per il collo e baciandomi. ‘Ehi, ehi, quante effusioni! Lo vuoi proprio stregare, tuo padre’. ‘E l’amore della mia vita, il mio papà!’. ‘Fino a quando non incontrerai il ragazzo che ti farà perdere la testa’, osservò Sara. ‘L’ho già persa, mamma, per il mio papà’. ‘Vedremo tra qualche anno’, disse con un sorriso Sara. Io ascoltavo interdetto. Non sapevo se era vera la storia, o una frottola. ‘E, quando dovremmo andare, anche perché ho appuntamento con un cliente in serata?’. ‘Lo puoi rimandare, paparino: tutto il pomeriggio sarai al mio servizio’. ‘Ti sei intrappolato, paparino’, disse sardonica Sara. ‘Ecco, cosa significa concederle tutte a tua figlia. Ti sciogli con lei come un gelato alla panna’. Povera Sara non avrebbe mai immaginato come, simbolicamente, avesse colto nel segno!
Alle tre del pomeriggio eravamo già in automobile. Mentre allacciavamo le cinture dissi a Giulia: ‘A chi la dai da bere, streghetta? Dov’è che vuoi andare, invece? E, se tua madre parlerà a Cinzia, come la metterai, anzi, la metteremo?’. ‘Guarda che è vero che dovremmo andare da Cinzia, ma tu dirai che è scoppiata una ruota, o qualcosa nel motore non è andato, che è finita la benzina. Insomma: inventati qualcosa. Ce ne andremo sui colli a stare un pomeriggio insieme, tutti soletti. Telefonerò a Cinzia che siamo rimasti per strada. Così, se mamma la chiamerà, sarà lei a riferire la nostra bugia. Poi, te la sbrigherai tu con mamma, se dovesse accadere. Ma, mamma non chiamerà: sicuro. Tutto filerà liscio, tesoro’, disse calcando la parola ‘tesoro’. ‘Intanto, baciami’, e allungò il viso vero il mio. La baciai teneramente, ma lei invece cercò con la sua la mia lingua. ‘Ma chi ti ha insegnato a baciare così?’, dissi, staccandomi da lei, interdetto. ‘Non li vedi i film in tv?’. Già, la tv. ‘Allora, portami in un posto bello e appartato sui colli, come si conviene a due innamorati, a due amanti’. Non ricorreva a giri di parole, mia figlia. Voleva mostrarsi più donna che ragazzina, senza rendersi conto che era il suo essere ragazzina che la rendeva ancora più seducente. ‘Obbedisco, principessa’. Lei allungò la mano verso il mio grembo. ‘Se vuoi che arriviamo sani e salvi sui colli, non devi stuzzicare il cane che dorme’. ‘Solo qualche carezza, qualche carezza, mio re. E’ accipicchia se dorme il tuo cane!’, disse raggiungendo l’oggetto del suo desiderio. Era vero. Se lontano da lei il solo pensarla mi eccitava, accanto a lei ero come una torre elettrica. Mi aprì la cerniera dei calzoni e vi infilò la mano e, attraverso la feritoia dei boxer, conquistò il mio cazzo, duro più della verga di Aronne. Sussultai, quando lo cinse nella mano. Lo stringeva come uno scettro, senza masturbarlo, quasi volesse coglierne il calore, le pulsioni, i sussulti che lo rendevano attimo per attimo più roccioso. Avevo paura di non scorgere più la strada. Non vedevo l’ora di arrivare. Non mi andava che mi facesse eiaculare. Volevo amarla più volte, quando ci fossimo sistemati: non avevo più vent’anni, ma quaranta, quasi quarant’uno. Ricordavo nitidamente quand’era nata, la gioia indescrivibile quando l’avevo tenuta sulle mani. E, ora, eccola lì che mi stringeva il cazzo, non come l’avrebbe tenuto ad un uomo qualsiasi, ma come un trofeo che le apparteneva, che le era connaturato, come qualcosa di radicato dentro di lei, che era suo, e che, perciò, agognava riprendere, tenerlo stretto come un bambino partorito da poco. Era il cazzo di suo padre, che nessun cazzo d’uomo avrebbe potuto sostituire. Un brivido di piacere mi percorse la schiena. Volevo accostare, fermare l’auto. ‘Perché ti sei fermato?’. ‘E me lo chiedi. Col mio coso in mano, mi fai perdere la bussola’. ‘Col tuo cazzo, papà, anzi, col mio cazzo, perché questo è il mio, perché mi ha generata, perché il suo seme scorre nelle mie vene, perché è del mio papà, dell’uomo che adoro. Se potessi entrarti dentro, sotto la pelle, nascondermi nel tuo petto, nel tuo ventre! Voglio che tu mi alluvioni col tuo seme, che riempi ogni buco del mio corpo, ogni suo poro. Io devo profumare solo di te. Ti devo avere dentro ogni attimo del mio tempo. Camminando per strada, anelo sentire il tuo odore di maschio, trovandomi a scuola sentire il tuo odore, il tuo sapore nella mia bocca, annusando le mie mani sentire sempre il tuo odore. Potessi bere la tua anima: la custodirei come in un calice santo. Voglio berne almeno il succo. Ti farò godere, papà, come mamma non ha fatto mai’. Si accoccolò ai miei piedi e portò le sue labbra vogliose sul mio grembo. Con tutte e due le mani tenne il mio pene, ne abbassò la pelle, lasciando venire fuori il glande. Lo guardò adorante come fosse una divinità greca, se lo portò al viso e lo serrò ad una guancia come fosse il volto di un bambino. Poi, lo accostò alle labbra, lo baciò trepidamente sulla punta, di lato, fino a scendere ai testicoli. Poi, si decise a prenderlo tutto in bocca e cominciò a pomparlo, mentre con la mano ne masturbava il tronco. Il gaudio che mi dette fu senza confini. Mi abbandonai sullo schienale rapito dai marosi di quelle sensazioni. Succhiò, e ancora succhiò sempre più ingorda e più frenetica, accompagnando l’andirivieni della bocca con il movimento della mano, finché mi inarcai e eruttai estasiato il magma delle mie gonadi nella sua bocca, che lei ebbe l’accuratezza di bere sino all’ultima goccia, raccogliendo quello fuoruscito dalle labbra sopra il mio sesso con la lingua, leccandolo tutto con ingordigia. Lo tenne in bocca fino a quando avvizzì. Io non riuscivo nemmeno a muovermi, sprofondato nel mare di un piacere infinito. Quando la sentii nuovamente succhiare, mi accorsi che il mio pene si inalberava nuovamente. No, non volevo che mi facesse ancora venire così, ma non riuscivo ad allontanarla, tanto il piacere era grande. Succhiò, così, a lungo il mio cazzo, i testicoli. Il tormento e l’estasi si alternarono, fino a quando, ancora una volta, esplosi nella sua bocca la rugiada della mia essenza di maschio. Forse questa volta era sazia. Forse questa volta era soddisfatta di sentire l’odore del seme di papà nella sua pelle, nelle sue vene. Tutto l’abitacolo odorava di sperma, del mio sperma, che la bocca di mia figlia aveva spicciato come una sorgente dal seno della terra.
Riposti i miei genitali dentro i boxer e rinchiusa la cerniera dei calzoni, Giulia si sollevò dal tappetino per risistemarsi sul sedile, sdraiandosi immediatamente dopo con le spalle sulle mie gambe. Il silenzio regnava sovrano. La guardavo estasiato. Era bellissima: il viso largo da fanciulla, gli occhi grandi castani come la chioma fluente che le incorniciava il volto, il naso impertinente dalle narici frementi, le labbra carnose, il seno, che si sollevava sotto la camicetta, baldanzoso e invitante, le gambe cesellate nel marmo. Quel corpo sprigionava sensualità, desiderio rovente. Le sue labbra, che parevano una ferita spalancata, sembravano implorare di essere morse a sangue, divorate. Ti si increspava lo stomaco a guardarla e avresti desiderato fare l’amore con lei fino all’ultimo respiro di vita. Affissò lo sguardo, persa, nei miei occhi, mi afferrò con dolcezza la mano e se la portò sullo scollo, fino a riporla sotto il suo reggiseno, sulla sua mammella sinistra. Seno di sogno il suo, pieno, sodo e morbido, a coppa di champagne, con l’areola rosata appena abbozzata e i capezzoli due fragole di bosco appena germogliate. Avresti voluto sprofondarci il viso e obliarti su di esso per l’eternità. Raccolsi teneramente quel seno nella mano e restammo forse per una mezz’ora in quel silenzio trasognato, appagati nell’anima e nei sensi. Fui io a rompere quell’immobilità del tempo. ‘Che facciamo: ci moviamo, dobbiamo ancora andare sui colli?’. ‘Certo che sì’, rispose lei sollevandosi e sistemandosi sul sedile. ‘Non dobbiamo inaugurare la nostra alcova di pini? Ho bisogna di amarti ancora tante volte e senza occhi indiscreti’.’Ehi, ragazzina, guarda che sono quasi un vecchietto. Vuoi un papà vivo o morto?’. ‘Non scherzare’, rispose seria. ‘Il mio amore è solo vita, vita perenne. Saprò contenermi. Mi basta sapere che mi ami più di qualsiasi altra donna al mondo, più di mia madre’. ‘Io ti adoro, figlia mia, ti adoro e ti desidero da non capire nulla. Non vedi che il mio sesso, quando sto con te, è sempre in ebollizione? Sei la mia vita, l’unica ragione della mia vita’. Gli occhi le brillarono come stelle in un cielo terso di notte, poi, si girò a prendere la borsa sul sedile posteriore e ne estrasse il telefonino. ‘Ciao, Cinzia: sono Giulia. Non so se faremo in tempo ad arrivare: sono scoppiate due ruote. Dovremo aspettare o un meccanico o un carro attrezzi. Ti richiamerò. No, non preoccuparti. No, non c’è bisogno che venga tuo padre. Certo, ci fosse bisogno, ti farei subito sapere. Un bacio. A più tardi’.
‘Come sai dire bene le bugie!’, sorrisi io. ‘Si fa sempre, quando si deve stare con il proprio amante’. Sì, mi chiamò ‘amante’. Più che mia figlia, si considerava una donna in competizione con l’altra donna che era mia moglie. Non replicai, misi in moto e ci avviammo verso una piccola pineta nascosta in uno scoscendimento delle colline. Un luogo ameno e appartato, che avevo scoperto, quando Giulia era ancora piccola e, insieme a Sara, tante volte ci siamo fermati per una scampagnata. Bisognava scendere per una trazzera fino a un certo punto, poi, a piedi, raggiungere la pineta. Anche se si era a metà maggio, faceva fresco, ma eravamo così infervorati che avremmo sentito caldo pure sul monte Bianco. Un quarto d’ora dopo eravamo sul posto. Si sentiva solo il cinguettio degli uccelli. Gettai sull’erba il plaid che avevo portato dall’auto e mi appoggiai con la schiena ad un pino e la percorsi con lo sguardo. ‘Sono bella?’, mi disse intrecciando le braccia dietro la nuca, facendo così risaltare la rotondità del seno. ‘Sei più che bella, un sogno, il mio sogno’. Mi corse incontro e mi abbracciò. ‘Baciami appassionatamente’. Le presi il viso tra le mani, e avventai le mie labbra sulle sue come una ventosa, mentre le mie mani corsero a frugare sotto la sua minigonna. Mentre mi baciava, il suo grembo strusciava prepotente sul mio, contro il mio sesso svettante come i pini che ci attorniavano. Le mie mani scivolarono dentro il suo slip a stringere le natiche, a compulsarle. Erano levigate come le sculture del Canova. Mi tolse la giacca e cominciò a sbottonarmi la camicia, mentre mi trascinava verso il plaid. Si volse a spiegarlo per bene, poi vi si distese, si slacciò la gonna, lasciandola scivolare fuori dai piedi, sbottonò la camicetta, rimanendo in reggiseno e mutandine, poi, peccato implorante, allargò le gambe, ostentando il pube che pigiava contro la stoffa dello slip come una collina ricca di erba. Un bosco sacro di fronte a cui inginocchiarsi in adorazione. E io mi inginocchiai, strinato dal desiderio di penetrare quel sacrario, o, almeno, di squassarne i cespugli fragranti di voluttà verginale. Poggiai trepidante le mani sulle sue anche e cominciai con le labbra a esplorare i contorni dello slip. Sentivo la sua pelle allertare sotto i miei tocchi. Pian piano, in modo esasperato, scendevo verso l’inguine, con i peli che dai bordi del triangolo di stoffa fuoriuscivano a solleticare, infiammandole di più, le mie labbra. Lei sollevò il bacino come in un’offerta suprema e io finalmente affondai la mia bocca sul greto che scorreva sotto il tessuto, mentre con le mani la tenevo per le terga. La tormentavo con la bocca e con la punta del mio naso, fino a quando la stoffa si impregnò così tanto dei suoi umori da gocciolare come fosse stata gettata in un catino d’acqua. Ma, non volevo ancora toglierle lo slip. Volevo che mugolasse soffrendo nell’attesa. Lasciai il suo sesso e raggiunsi il serto del suo seno. Lo raccolsi tra le mie mani sopra il tessuto che lo ricopriva e cominciai a scorrerlo tutt’intorno alla stoffa con i miei baci, mentre con le dita roteavo sui capezzoli, che cominciarono ad inturgidire come bacche acerbe. Gli occhi chiusi, Giulia smaniava gemendo, e quel suo torcersi accresceva sempre di più il desiderio di esasperare quel tormento dei sensi. Anche se di tanto in tanto spiavo se, per caso, ci fossero occhi indiscreti, mi proponevo di sentirla gridare, implorare di deflorarla, pur se non avevo intenzione alcuna di farlo. Il diletto di sentirla invocare mi eccitava all’inverosimile. Infilai le mani nelle coppe del reggiseno e le colmai di quelle rotondità voluttuose e acerbe. Le accarezzai, le serrai, fino a quando fu lei stessa che si slacciò il reggiseno, lasciando libere le sue fantasmagoriche colline di concupiscente femminilità. Mi parve un’esplosione di stelle, così mi abbagliarono nella loro nudità alla luce del giorno. L’intero tappeto verde della pineta le faceva da cornice, facendo risaltare estasiata la ruggente bellezza. Se avessi potuto, li avrei trangugiato quei seni! Rituffai il mio viso, la bocca, le labbra sul velluto fragrante di quelle colline. Mi inebriai al parossismo. Ne succhiai i capezzoli fino a farla gemere di piacere e di dolore insieme, come accade per un poppante che ti succhia la mammella fino a farla sanguinare. Quei seni erano un delirio di passione e di perdizione dei sensi. Lei cominciò con le mani, quasi istericamente, a spingere la mia testa lì, verso la sua lussuriosa assenza, e io ubbidii. Lentamente, mentre baciandola ne seguivo il tragitto, cominciai ad abbassarle le mutandine. Il suo vello si affacciò a poco a poco come le brume della sera e io annegai in quelle brume. Il crespo di quel vello sulle mie gote che lo trascorrevano, sulle mie labbra smaniose, sotto le mie dita affannate, era un crepitare fragoroso di sensazioni, che si rovesciavano nel mio cervello come cavalloni in tempesta, mentre il mio pene si inalberava all’inverosimile. Eppure, tentavo disperatamente di non lasciarmi travolgere dall’eccitazione. Volevo padroneggiare la mia passione per goderla sino all’ultima goccia e, soprattutto, per far cadere in deliquio lei, quello scrigno di lussuria sotto le spoglie di figlia. E, così, finalmente, fui con la bocca sulla sua fica, poi con le dita. E, ancora, con la bocca e poi con le dita: una sinfonia di sollecitazioni da renderla istupidita dal piacere, da stremarla, fino a quando la sentii rantolare e implorare: ‘Scopami, papà, scopami. Io muoio, se non mi scopi!’. E, quando vide che non le ubbidivo, esplose ormai inconscia in un violento insulto verbale: ‘Bastardo, maledetto, infila quel cazzo nella mia fica, lo voglio, lo voglio’. Poi, nuovamente implorante: ‘Fottimi, papà, fottimi: non farmi morire’. Non potevo esaudirla. Poteva restare incinta. Sarebbe stata la fine delle nostre vite. Lei, però, non poteva capirlo in quel frangente. Le sue viscere esasperate di vergine impetravano di essere espugnate, ma non era ancora il momento di farlo, pur se lo agognavo con tutte le radici dell’anima. Indispettita, come una menade impazzita, si sollevò tentando di afferrare il mio pene con l’intenzione di impalarsi da sola. ‘No, Giulia, no. Rimarresti incinta. Incomincia a prendere la pillola e poi lo faremo, ma adesso no. Porgimi l’altro tuo buco. Hai goduto tanto ieri notte, sarà così anche questa volta. Io ti amo. Desidero quanto te entrarti dentro, raccogliere la tua verginità. Oggi non si può, lo capisci? Vieni, girati, porgimi le rotondità lussureggianti delle tue terga. Ti voglio, ti fotterò nel culo, il tuo impudico, lascivo, provocante, ammaliante culetto. Sarà come scopare. E, mentre scopiamo, tu ti tocchi, dandoti e dandomi piacere. Pensa a me che ti guardo, mentre ti masturbi con i tuoi seni incastonati nelle mie mani’. Le mie parole la colpirono e il suo desiderio rutilante si riversò sul suo di dietro. Si accoccolò sulle mie cosce, si lubrificò con i suoi umori la parte, raccolse il mio membro, duro come un albero di pino, con esso pigiò il castone del suo sfintere e si lasciò sprofondare, infine, cominciò a dimenarsi come se lo avesse nella vagina. Si dimenava e si masturbava, mentre io le scompigliavo i seni, martirizzavo i capezzolini. A poco a poco la vidi naufragare nel piacere più profondo, le sue guance trascolorarono, le labbra si schiusero quasi incapaci di suggere l’aria, le pupille si rovesciarono. Ebbi paura che stesse davvero male. Rantolava, singhiozzava stordita, travolta dal piacere. E, infine, venne, quando sentì il mio seme schizzare dentro di lei. Serrò spasmodicamente le sue piccole mani sopra le mie avvinghiate sul suo seno, dette una serie di sussulti quasi stesse esalando l’anima e, infine, schiantata, mi si rovesciò di sopra. E rimase, così distesa su di me, raccolta nel mio abbraccio in silenzio per minuti e minuti, finché non fui io a scuoterla. Dovevamo andare via. Per quel pomeriggio era finita.
II
‘Ti dovrò dividere con mia madre? Mia madre, una donna. Ti dovrò dividere con un’altra donna?’, così sbottò, mentre in macchina andavamo dalla sua compagna. Era abbandonata mollemente sulla mia spalla. Così ruppe il delizioso silenzio che ci ovattava. Era una domanda, più che a me, fatta a se stessa. E continuò. ‘Fino a quando non sarò tua, lo potrò permettere, ma solo perché è mia madre. Quando sarò tua, solamente tutta tua, pensi che potrei sopportare che il grembo di un’altra donna accolga il tuo sesso, il tuo seme? Può una donna perdutamente innamorata del suo uomo, se questi è sposato, accettare che scopi con un’altra, anche se è la legittima moglie? Moglie! Che parola vuota! Si è moglie solo perché sta scritto in un documento? Si è moglie solo se l’altro ti entra non solo nel tuo grembo, ma anche nella tua anima, se senti nella tua saliva il sapore del suo seme in ogni istante della giornata, se il cuore ti scalpita quando pensi a lui, se vorresti che stesse dentro di te sempre come un feto attaccato alla placenta della madre’. Poi, di scatto, sollevò il capo dalla mia spalla, e, gli occhi spalancati, si rivolse a me interrogativa e sfacciata: ‘Hai scopato mai il culo a mia madre come hai fatto a me, o ti ha fatto dei pompini, ti ha fatto godere come ho fatto io?’. Non mi piaceva quel linguaggio scurrile e mi adombrai. ‘Stai parlando di tua madre e della sua intimità! Che modo è questo. Dopotutto, sei una ragazzina!’. Vidi immediatamente le sue gote imporporarsi come sotto la sferza di una scudisciata. ‘Le parole sono da prostituta, eh; ma, quando telo succhiavo, o quando mi hai sodomizzata, ‘ preferisci questo termine elegante? ‘ allora ero la tua bambina vogliosa, che ti faceva smaniare dal piacere, che andava altro che bene., benissimo. Ho succhiato il tuo cazzo come una bimba succhia per fame e per amore, soprattutto per amore, perché la voglia di te, il distillato di te si fondesse con me, potendoti così portare ogni attimo dentro di me, con me. Tu questo non lo hai nemmeno lontanamente almanaccato. Hai pensato che fossi solo ingorda del tuo cazzo, anzi di un cazzo chicchessia, purché bello e nodoso. Sicuro, mi piace il tuo cazzo, mi piace da morire, ma perché è il tuo, di mio padre, dell’uomo che adoro. Ma a te ho dato solo un piacere fisico, allora? Non era anche un gaudio dell’anima? Puoi scavare la fica di un’altra donna come quella di colei che ami più della tua vita? Fottere per fottere lo fanno solo gli animali. Sì, sono gelosa di mia madre. Immagina per un attimo, solo per un attimo, me, nuda, le gambe spalancate allacciate al collo di un ragazzo nudo, le sue mani che serrano i miei fianchi, che mi sbatte furiosamente. Guarda, guarda questa immagine e vedi che effetto ti fa! Ecco: lo stesso effetto fa a me, se ti figuro mentre scopi con mia madre’. ‘Non scopo con tua madre: faccio l’amore. Tu sei il frutto non di una scopata vogliosa, ma di un amore grande. Perché io amo tua madre, se, fosse possibile, più del primo giorno che l’ho conosciuta, quando la vidi rassettarsi una ciocca di capelli, mentre usciva dal cancello della facoltà di lettere. Guardati allo specchio e vedrai quanto le somigli. Tua madre ti adora: non puoi sparlare di lei come se fosse una donna qualsiasi. Certo che ti amo e lo sai bene, certo che morirei, se ti vedessi tra le gambe di un ragazzo, sì, mi verrebbe un infarto e impazzirei, ma non potrei abbandonare tua madre. E, come potrei, come fare? Immagina la scena: ‘Tesoro, sono innamorato di nostra figlia: voglio stare solo con lei. Fa’ i bagagli e vattene’. Oltre ad essere una crudeltà, sarebbe una bestemmia: non potrei farlo mai!’. ‘Perché non mi hai respinta subito? Perché hai accettato le mie avances? Allora non ti sei fatto questi scrupoli, eppure tua moglie era accanto. Mi hai amato come se non avessi mai visto una donna. Io avrei potuto al limite essere scusata per i miei ormoni di fanciulla e perché ogni ragazza è innamorata di suo padre, ma tu, grande e saggio come sei, avresti potuto raffreddare le mie intemperanze, mettendomi a posto. Sicuramente ci sarei rimasta molto male, ma sarei stata costretta a ritirarmi, almeno per l’altra notte, in buona pace. No, tu hai pensato che dormissi e ne hai approfittato a strusciare subito il tuo sesso sul mio di dietro, a rovistarmi il seno: come ti eccitavi nel riempirtene le mani, come lo sentivo! Eppure, insisto, tua moglie era accanto. Potevi scavalcarmi e, se il tuo desiderio si era acceso per i miei toccamenti, avresti potuto sfogarti con lei. Lo so che fai l’amore con lei ogni notte. E ora come farai ad accontentare due donne. Perché è certo: non ti darò pace. Mi farò prescrivere la pillola, la prenderò, ma ti costringerò a fare l’amore con me ogni giorno. Vedi? Non c’è soluzione: o me o lei. Non puoi fare il musulmano e avere tutte e due. Non ce la faresti fisicamente. E, quando lei ti chiederà, perché non fai l’amore con lei? Che le risponderai? Che soffri di emicrania, come fa la moglie col marito, quando ha l’amante? Claudio, Claudio’, non ero più suo padre, ora, ma il suo uomo, ‘al di là della mia gelosia, c’è uno scoglio obiettivo: fare l’amore quotidianamente con due donne’. Sproloquiava: si dava arie da donna, ma ragionava come una bambina capricciosa. Certo, era vistoso che era innamorata pazza di me, soprattutto perché suo padre, ma quel modo petulante di parlare era proprio di una bambina. ‘Ehi, ragazzina, il fatto che scopiamo non ti consente di rivolgerti a me con questo tono. E, poi: dove sta scritto che dobbiamo fare l’amore tutti i santi giorni? Ti pare che ho vent’anni? Fattene una ragione: non lascerò tua madre. Amo te, ma amo anche tua madre e continuerò a fare l’amore con lei. Il discorso è chiuso. Se per questo non vorrai avere più rapporti intimi con me, so che mi sarà difficile sopportarlo, ma lo accetterò’. ‘Tu non mi stai parlando come ad una figlia, ma nemmeno come ad un’amante. Ti stai rivolgendo a me come a una troietta in calore. O mi chiederai scusa a dovere o non ti rivolgerò più la parola, anche se dovessi morire dal dolore’. E, giratasi dall’altro lato, cominciò a piangere. E, allora, capii che era più intossicante di una droga il mio amore per lei: piangevano insieme la figlia e l’amante, la figlia adorata e l’amante appassionata. Il cuore mi si contrasse. ‘Scusami, scusami, bambina mia, scusami non penso nemmeno lontanamente le cose che ho detto. Vedrai, risolveremo il problema. Vieni qua, amore mio, non piangere ché mi spacchi il cuore. Ti amo, ti amo, ti amo. Vieni qua, piccolo amore mio. Immaginarti senza di me: impazzirei. Non dirlo nemmeno per scherzo. Troveremo una soluzione, certo che la troveremo’. La tirai verso di me. Fermai l’automobile e cominciai a tempestarla di baci sugli occhi, sul viso, sulla bocca, mentre impudicamente il mio sesso si inarcava. Già, una droga: mia figlia mi faceva l’effetto di una droga, e la droga, a lungo andare, ti porta alla tomba. Avevo già ghermito la sua coscia con una mia mano e il respiro di lei si era già fatto ansante, avvertita dal mio desiderio. La sua bocca rovistava avida, appassionata, la mia, le sue dita annaspavano sopra la cerniera dei miei calzoni infiammate dalla turgida prepotenza constatata. No, non era possibile avere ancora un altro rapporto. Con un disperato sforzo della volontà seppi staccarmi da quella morsa. ‘Non arriveremo mai dalla tua compagna. Forza, amore mio. Diversamente, se continuiamo così, finirò nemmeno per sorreggermi in piedi’. La vidi sorridere, un vero affacciarsi del sole da dietro nuvole scure. ‘Ti faccio l’effetto di un tubetto di ‘viagra’, eh. Questo mi rassicura, perché non scodinzolerai di certo dietro qualche ragazza, come Cinzia, per esempio, che stravede per te e un peccato con te lo farebbe: lo so, perché me lo ha detto. E Cinzia non è per niente male: ha un seno da invidia’. ‘Ah, non mi sarebbe mai, ma proprio mai, venuto in mente di turbare la fantasia di una tua compagna. E ti ha detto che verrebbe a letto con me?’. ‘Ehi, non montarti la testa. Alla nostra età si fanno pensierini sugli uomini maturi: sono solo fantasie. Se si dovesse mettere in atto ogni fantasia’ Ma, giocarci è piacevole. Magari, quando la notte si va a letto e si ha voglia, ci si accarezza e ci si figura un uomo che ci eccita. Poi, ci si addormenta serene’. ‘Butti la pietra e poi nascondi la mano. Insomma: se ne avesse l’occasione reale, verrebbe o no a letto con me?’. ‘Te lo taglierei, ci potresti scommettere. Lei mi ha confidato questo suo desiderio tra il serio e il faceto, ma, dato che non ha inibizioni a proposito dell’età di un partner, propendo che tenterebbe di sedurti. Mi lusinga che una bella ragazza sia interessata a mio padre, basta che mio padre non sia interessato a lei. Occhi azzurri, bionda naturale, un seno che è una favola: non ci metterebbe molto a sedurti, se le lasciassi campo libero. E gliel’ho detto che sei tabù. Ché, se c’era una fanciulla che avresti potuto cercare per andare a letto, quella potevo essere solo io’. ‘Cosa? Hai confessato a Cinzia che avresti fatto l’amore con me? Non è possibile! E, se lo raccontasse a qualcuno? Se si accampasse un minimo sospetto? Sai, dove finirebbe tuo padre? In galera, altro che nel tuo letto! Tesoro, queste cose non devi accennarle nemmeno per scherzo! La nostra vita per sempre spezzata e infangata. Io diverrei il padre pervertito che ha approfittato della figlia’. La vidi sbiancare. Si rese perfettamente conto del precipizio su cui avremmo potuto trovarci. ‘Oh, papà, rassicurati: ha capito benissimo cosa intendessi. Che ero gelosissima, come figlia, perché le permettessi di fare l’amore con te, che glielo avrei impedito ferocemente. Ché, se ci fosse stata una fanciulla che tu potessi concupire, quella non potevo che essere io, non un’altra della mia età, perché sono tua figlia. Capisco, però, la mia leggerezza. Il fatto è che avevo deciso da quando ero ancora piccola che ti avrei sposato e, poi, cresciuta e diventata donna, ho deciso che dovevo sedurti e, dando la cosa per scontata, mi sono sfuggite quelle parole. Cinzia, però, non immaginerebbe mai che andiamo a letto, né io le darò mai il minimo sospetto. Ma, tu non hai paura di fare l’amore con me, vero?’. ‘No, non ho paura. Ma, se dessimo adito al sospetto, anima mia, mio amore immenso, bambina mia, sarebbe la fine: il disonore, la gogna. Tu sei bellissima, tesoro, e prima o poi ci sarà un ragazzo che non solo ti verrà dietro, ma tenterà l’impossibile per fidanzarsi con te. Come potrebbe essere diversamente? Sei l’incarnazione della bellezza, del fascino, della sensualità. Il solo guardarti dà le vertigini. Tu lasci una scia di desiderio, lo trascini con te, quando cammini, tanto sei bella. Non ci si chiederà prima o poi, perché non vai con un ragazzo?’. ‘Ma, io esco con i ragazzi, badando a mantenere le distanze, però’. ‘Lo so, lo so. Non è questo che intendevo’. ‘L’ho capito, facevo per dire. Ma, dove sta scritto che una ragazza deve per forza andare a letto con qualcuno prima dei venti, trent’anni. Si dirà: è una ragazza che pensa allo studio, al lavoro e poi penserà ad accasarsi. Magari, penseranno che sono lesbica. Ma sai quanto mi frega? Che lo pensino pure. No, papà, nessuno mai riuscirà a carpire il nostro segreto. E, poi, compiuti i diciotto anni, ammesso e non concesso che lo si possa intuire, sarò maggiorenne e potrò fare quel che vorrò’. ‘Andare con un’altra donna sì, ma con tuo padre non te lo si perdonerebbe mai: saremmo emarginati, guardati a vista come appestati. Chissà, forse l’evoluzione dei costumi tra una decina di anni aprirà uno spiraglio, ma, stando le cose come sono, il nostro amore dovrà rimanere nel più assoluto segreto. Ti ho promesso che risolveremo il problema della mamma, che lo affronteremo in un altro momento e solo come tu vorrai. Però, ti prego di ponderare quanto di dico: l’unica persona che difficilmente potrebbe essere ingannata è tua madre. Pensaci, Giulia. Tu dovresti avere in tua madre un’alleata, non un gendarme. Non so in che modo, ma, da donna e da figlia, so che sapresti escogitare il modo di averla come alleata, o metterla in grado di vedere certi nostri atteggiamenti come un po’ sopra le righe, ma sempre affettive. Che lei possa vedere alcuni gesti come una risposta necessitata ad un tuo tormento, che, magari col tempo, possa attutirsi’. ‘Pensi che possa pensare male quando mi vede sedere su di te, o quando tu mi metti la mano sulla coscia, o, quando mi faccio la doccia con la porta del bagno aperta o giro nuda per casa? No, mamma non è bigotta, ma di vedute più che larghe. E’ raro, lo sai, che lasci la porta del bagno, come del resto fai anche tu, chiusa. E, quante volte l’ho scorta, mentre si fa la doccia, a sciacquarsi, accarezzando, orgogliosa e vogliosa, il suo sesso così rigoglioso e sensuale! No, mamma non ha mai mostrato false inibizioni. E’ prassi usuale girare più o meno nuda per casa e sa che io la imito. Non potrebbe pensare mai male delle mie effusioni con te, sa che le mie affezioni sono naturali, perché le ostento da sempre. Quante volte mi sono catapultata sotto la doccia con te, magari sotto forma di scherzo, e lei non si è mai adombrata o scandalizzata. No, non mi avrebbe fatto coricare fra te e lei, se avesse pensato a qualcosa di morboso tra noi. Ecco, perché non capisco che vuoi dire con ‘il farmela alleata’. Confidarle:’Sai mamma, scopo con papà: invece di farci la guerra, lo mettiamo in mezzo e ci scopa tutte e due”. Il discorso stava nuovamente prendendo una brutta piega. ‘Giulia, ti ho detto che affronteremo questo tema in un altro momento, certo non in automobile. Ti ho solo suggerito un dato di fatto: che tua madre è l’unica persona che ci può scoprire o, quantomeno, intuire la storia che c’è fra noi. Non credi che bisogna premunirsi? Tu non vuoi che il nostro amore finisca in tragedia? Allora rifletti su quanto ti ho detto e non litighiamo. E’ senza senso litigare, perché l’unica voglia che ho, adesso, ‘ ed è prepotente ‘ è quella di saltarti addosso. Mi dicevi che vorresti essere come un feto con la placenta della madre. E’ vero: vorrei stare dentro di te o almeno con le mie mani tra i tuoi seni o nel tuo caldo e umido boschetto. Che senso ha allora rimbeccarsi, se il nostro scopo è identico: amarci senza che nessuno ci possa impedirlo, ci possa separare?’. Accostai ancora una volta l’auto sul ciglio della carreggiata. ‘Solo per qualche minuto, ma fammi abbeverare sui tuoi seni, fammeli per qualche minuto scompigliare, fammi stringere la tua bollente fica, morbida, tumida, paradisiaca’. ‘Oh, papà, che bello! Hai così tanta voglia di me? Tua, amore mio, sono tua, sempre tutta tua. Ti amo, ti amo. Amami, amami, lacerami, abbattimi, scompigliami. Fai un anello dei miei seni alle tue dita, al tuo cazzo, al tuo desiderio: le mie labbra bramano solo le tue e la tua cuspide malva’. Non capii più nulla. Le mie mani furono rapide a brancicare sui suoi seni, ad attanagliarli, a strappare quasi il suo sesso fremente. Oh, come si aprì alle mie carezze, ai miei baci: calda, vogliosa, appassionata! Mi stordii di lei in un vortice, annichilante, di baci, teso ad ubriacarmi della sua carnalità straripante. Fu una sorta di temporale estivo, furente e breve, per attutire i miei sensi, il mio desiderio cocente, drogato di lei, del suo corpo, della sua struggente adolescenza. E lei si abbandonò docile e appassionata nel lasciarsi travolgere dalla tempesta delle mie carezze, dei miei abbracci, della mia furia sferzante che quasi voleva svellere dal pube il suo voluttuoso mistero.
Furono davvero pochi i minuti accordati alle nostre smaniose effusioni, dopodiché misi in moto e ci avviamo verso la casa di Cinzia. Ci accolse lei con la madre, con cui mi fermai un po’ a chiacchierare del più e del meno, poi seguimmo la ragazza nella sua camera. Sicuramente, se Giulia non mi avesse messo sull’avviso, non ci avrei fatto caso, ma, dopo quello che mi aveva confidato, mi ritrovai ad osservarla con attenzione. Era davvero bella. Non che non me ne fossi accorto prima, solo che la vedevo come una ragazzina. Invece, era una fanciulla in fiore, molto sexy. Indossava un top bianco scollato e aderente, anche se non trasparente, ma si notava distintamente che non portava il reggiseno. Era una ragazza già alta per la sua età, con un bel viso ovale ed una bocca carnosa. Un seno, alto, prosperoso, sostenuto. Dalla minigonna verde scura sbocciavano due gambe tornite, piene, sensuali. Mentre parlavo con lei della tesina non potei fare a meno di notare un fatto che mi turbò: sotto la maglia sottile si vedevano distintamente areole e capezzoli, che si rizzavano e si ritiravano come il pulsare di un cuore. Non potei fare a meno di provare un sottile brivido di eccitazione. Così come non potei non avvertire il continuo pigiare del suo seno ora sulla mia spalla, ora sul mio braccio, quando si piegava a guardare quello che scrivevo. Certo, se Giulia non mi avesse detto nulla, forse non ci avrei fatto caso: invece, ne raccolsi ogni più piccolo strusciare e non nego che mi dava un certo piacere. Dico di più: se non ci fosse stata mia figlia, meglio, se non ci fosse stato quel rapporto particolare con lei, e si fosse spinta in modo più vistoso, forse ne avrei approfittato, adolescente o meno.
Sulla strada di ritorno Giulia non mancò di commentare:’Ti è piaciuto il suo pomiciare, vero? Non l’hai evitata nemmeno per un istante. Mi volevi fare ingelosire. Ebbene: ci sei riuscito. Te lo puoi scordare di tornare più da lei. Che spudorata! Ci ha provato senza ritegno davanti a me!’. Sorrisi e la baciai sulla bocca: ‘Amore mio, sei ancora più bella quanto fai la gelosa! La colpa è tua: se non mi avessi detto nulla, sicuramente non ci avrei fatto caso. Avevi ragione: ha un seno di tutto rispetto, ma niente a che vedere col tuo, più tornito della Venere di Cnido’. ‘Adulatore! Ti vuoi fare perdonare. Ma ti porterò il broncio fino a cena, così impari!’. Deliziosa e femminile. Come potevo non amarla appassionatamente?
A casa, la sera, non riuscimmo a non inviarci sguardi di intesa. E, quando tutti e tre ci sedemmo sul divano per guardare un programma televisivo con me nel mezzo, Giulia si abbandonò con la testa sulla mia spalla. Sara ogni tanto l’adocchiava intenerita. Ma, quando la madre era più attenta al programma, mi trascinava la mano sotto la cortissima gonna, perché con le dita le accarezzassi il sesso o ne cercassi il solco caldo e umido sopra lo slip. Io la sentivo inarcare e rabbrividire, mentre dolcemente lo trascorrevo. Godeva non tanto per la segreta carezza, quanto perché illecita, sfrontata, per la vicinanza della madre. Non ce ne accorgevamo, ma, forse, c’era in questo, più che un indice di esasperato erotismo, una punta di perversione. Fu quella, ed era la prima sera, che cercammo tutti gli spazi possibili per baciarci, per toccarci, per eccitarci. Non solo le sue mutandine, ma anche le mie, all’atto di andare a letto, erano fradice di umori. Mi sentivo spossato, le gambe molli e la nuca che mi faceva male. Era stata una giornata esasperante per le emozioni e per i continui rapporti carnali, continuamente eccitato e sempre sull’orlo dell’orgasmo. Era una febbre, la nostra, che doveva di necessità essere blandita. Eppure, la notte non potei fare a meno di alzarmi per sgusciare silenzioso nella stanza di Giulia. Al contrario di me, lei dormiva serena. Indossava un leggero pigiama. Era adagiata su un fianco. Mi accostai al lettino, la presi dolcemente per la spalla e la girai supina. Non se ne accorse. Le sbottonai pian piano la casacca e per qualche minuto alla luce della lucciola accesa ne contemplai il seno statuario. Poi, le abbassai fin sotto il culetto i calzoni fino a lasciare interamente scoperto il pube con il suo scuro e vellutato boschetto. Mi inginocchiai sullo scendiletto e le mie mani si riempirono dei suoi seni, li accarezzeranno, li titillarono, il tutto con la carezza di una piuma, e la sua pelle si increspò, i capezzoli si destarono, ‘come fioretti’dritti in loro stelo’. Poi, cercai il suo sesso, ne vellicai il solco, che sotto la mia pressione si schiuse come un bocciolo. Scoprii il clitoride e cominciai a masturbarla con la dolcezza calda d’una brezza. Pur se nel sonno, lei cominciò ad agitarsi e a lamentarsi, le labbra increspate da una ruga di piacere. Dormiva davvero, ma cominciava a godere e io mi eccitavo sempre di più nel sentirla sospirare di appagamento. Non volevo che si svegliasse: solo farla godere qualche minuto e bearmi del suo inconscio godimento. Quando il suo gemito si stava facendo più intenso, temendo si svegliasse, mi fermai. Le baciai a fior di labbra i capezzoli e le rimisi a posto il pigiama. Tornai nella camera da letto e, questa volta, appagato mi addormentai. Quella notte non feci l’amore con Sara: dovetti accampare un atroce mal di testa, che, in fondo, non era poi così destituito di fondamento.
III
Cominciai realmente e rendermi conto di quanto mia figlia mi fosse entrata nel sangue il giorno dopo. La mattina non ci fu modo di poter fare nulla, solo qualche rapida carezza, tranne prima che partisse per la scuola. Solo che, per l’occasione, indossava la tuta di ginnastica. Un bacio alla francese, lei che si appiccicò, al solito, col suo bacino al mio, io che tentati di frugarla dappertutto, ma, per come era vestita, solo sul tessuto. Mi ripromisi che le avrei imposto, almeno quando era in casa, di indossare solo gonna e camicetta. Anzi di più: doveva stare senza mutandine e reggiseno sotto di esse. Questo pensiero mi eccitò molto e il mio sesso si inumidì. Già mi figuravo mentre la prendevo di dietro, aggrappato ai suoi seni nudi sotto la camicetta. Ma, dicevo, quel giorno sentii la sua mancanza con sofferenza. Ero perennemente distratto. Forse il magistrato se ne accorse, ché mi riprese più volte. C’era un’escussione di testimoni in un processo e, più che ragionare su ciò che dovevo chiedere, pensavo a mia figlia. Sta di fatto che rimasi l’intera giornata in tribunale e arrivai a casa che erano passate le otto. Appena mi vide, gli occhi di Giulia si accesero, e fiamme lubriche arsero subito nei suoi occhi. Non ebbi nemmeno il tempo di baciare mia moglie che lei mi tirò in camera sua con la scusa che mi doveva fare vedere la tesina del giorno prima. Vestiva ancora la tutta di ginnastica. Fuori dalla portata della vista di mia moglie, mi si arrampicò addosso, abbarbicandosi al mio collo. Un bacio lungo e appassionato, e io, che non sapevo come fare per sentirla nuda sotto le mie mani. ‘Senti’, le dissi, ‘Quando sei a casa devi stare con addosso solo una camicetta, al limite una maglietta, e una gonna, senza né reggiseno, né mutandine: voglio le tue delizie sempre a portata di mano’. ‘Va bene padrone: non ci avevo pensato. Anche tu, allora, quando sei in casa non devi portare i boxer. Voglio avere pure io il tuo sesso a portata della mia mano’, ‘Accordo fatto’, chiosai. Ma, apriti questa dannata blusa, almeno per qualche minuto’. Mentre si stava accingendo a farlo, Sarà mi chiamò. ‘Resta qui: arrivo tra poco’. ‘Si è tappato il lavello: la poltiglia della buccia raschiata delle carote si è dovuta addensare. Vedi se puoi stapparlo’. Andai a cercare lo sturalavandino e cominciai a fare l’operazione di sturamento. Qualche minuto dopo il lavello era libero. Solo allora mi accorsi che mia moglie era in vestaglia e, infoiato com’ero, mi venne istintivo, tornando dallo sgabuzzino, di cingerla per le spalle e cercare il suo collo tornito per trascorrerlo di baci. Sentii la sua pelle rabbrividire. Aprii i bordi della vestaglia e la ritrovai con solo le mutandine. Mi ricolmai le mani coi suoi seni morbidi e invitanti. ‘No, no, Claudio, c’è Giulia di là’, protestò debolmente. Ma io non capivo più nulla: la volevo e subito. Sempre standole di dietro, mentre con una mano attanagliavo un seno, con l’altra cercai la sua fica e la trovai già bagnata. Pure lei era vogliosa. ‘No, Claudio, Giulia”, gemette. Ma, io le avevo già abbassato le mutandine. Docilmente si lasciò piegare sul piano della cucina e, da dietro, entrai dentro di lei. Sapevo che Giulia mi stava aspettando e non si sarebbe mossa della stanza. Avevo voglia di Sara, di mia moglie, la versione adulta della mia bambina. La chiavai con foga, mentre con le mani le tormentavo i seni e con la bocca e i denti le baciavo e mordicchiavo l’incavo del collo. Sara, per quanto si trattenesse, non poté fare a mano di gemere. Mentre la scopavo, con una mano le raccolsi la fica e cominciai a masturbarla. I gemiti si fecero un lungo e profondo lamento e dalla sua intensità capii che era vicina all’orgasmo. Intensificai i miei colpi. I miei testicoli scudisciavano violenti i suoi glutei e lei con la mano tentava di stringerli. ‘Puoi venire’, mi disse con la voce rotta. ‘Ora, avanti, ora’. La sentii vibrare come scossa dalla corrente elettrica, si tappò la bocca per non urlare e io allora venni dentro di lei, copioso, tanto intensa era stato la duplice voglia, di lei e di sua figlia. Si girò a guardarmi, il viso di porpora, placata e riconoscente, e mi baciò con passione: ‘Ti amo, marito, più della mia vita ti amo: non scordarlo mai, per nulla cosa al mondo, mai’. Mi sentii stringere la gola per l’intensità che vibrò in quelle parole. Non avrei mai potuto amare mia figlia contro mia moglie: avrei preferito morire. La strinsi sul mio petto, le accarezzai i capelli, le baciai gli occhi e, poi, affondai il mio viso sul suo seno, come su una culla di sensuale dolcezza. ‘Non tentarmi ancora, Claudio. Stanotte, sarà per stanotte. So che Giulia non si scandalizzerebbe, se ci vedesse, ma non sarebbe bello’. Mi staccai da lei e mi ricordai di Giulia. La trovai seduta sul lettino con camicetta e minigonna. ‘Ti sei perso!’. ‘Ho dovuto sturare il lavandino’. ‘Ho visto, ho visto’. Sobbalzai. ‘Ma, ci hai messo tanto. Stavo per cercarti: volevo farmi vedere così come tu desideravi’. ‘Te lo avevo chiesto da domani in poi’. ‘E io ti ho ubbidito da subito. Allora, non vuoi verificare?’. Mi accomodai accanto a lei e le appoggiai una mano sopra la gamba a metà strada tra il ginocchio e l’inguine, per risalirla verso di esso, lentamente. La pelle allertò. E, quando il dorso delle mie dita sfiorò il vello del pube, sobbalzò. Nonostante qualche minuto prima mi fossi sciolto, incredibilmente il mio sesso si drizzò protervo, gonfio del desiderio di lei. ‘E la camicetta? Non guardi dentro la camicetta?’. Sapeva che ero appassionato del suo seno e altrettanto sapevo che lei adorava lasciarselo palpare, che lo stringessi, raccogliessi nelle mie mani, tormentassi, titillassi, baciassi. Si eccitava immediatamente e cominciava ad avere i primi orgasmi. Il seno era il suo punto debole. Bastava accennassi a sfioralo, e lei si accendeva. Le sbottonai trepidante la camicetta, quasi fosse la prima volta nella vita, e i suoi seni sbocciarono luminosi, fulgidi, come le cupole delle chiese ortodosse russe, tanto da sembrare incastonati sulla cassa toracica. Si ergevano prepotenti e impudichi, invitanti e insolenti nella loro conturbante malia. Trasudavano effluvi afrodisiaci, spiravano brezze di lussuria, da inebriare e stordire. Trepidante e bramoso, li raccolsi a coppa nelle mie mani. La sua pelle fremette e i suoi capezzoli, già inturgiditi, si rizzarono più superbamente. Emise un leggero gemito. Ero pazzo di quelle turrite colline, e nello stesso tempo morbide come il velluto, seriche come la buccia di una pesca. Le strizzai, quasi le torsi per quanto fosse possibile, dato il loro marmoreo turgore, mentre lei, vacillando, rovesciava indietro la testa. Le mie labbra le cercarono, le incalzarono con morsi e baci: una piccola, intensa tempesta. Poi, rallentai e circondai con entrambi le mani il suo seno sinistro, lo incastonai tra di esse come un frutto agognato e succulento, carezzandolo e deliziosamente pressandolo, mentre, ora con un pollice, ora con l’altro, ora con entrambi, pigiavo, ruotando sopra e ai lati, il capezzolo. Avvertivo il seno gonfiarsi e areola e capezzolo inturgidirsi al parossismo, quasi fossero per schizzare via, poi, passai all’altro seno con la stessa operazione. I suoi gemiti, benché tentasse di contenerli, erano sempre più intensi. Tolsi le mani e sfregai quelle lussuriose fragoline dure come il diaspro, le titillai ora con la punta del naso, ora con la bocca, dardeggiandole con tocchi di labbra in tutta la loro sfericità, le succhiavo poi, li vellicavo con la lingua, per risucchiarle ancora. Fu percorsa da intensi spasmi. Come ho già detto, era sensibile al seno: bastava guardarlo per eccitarla, figuriamoci con quella sinfonia di carezze e di baci. Insistetti in quel vorticoso tormento sui seni, fino a quando la sentii sobbalzare più volte, mentre le sue mani si aggrappavano ossessive sulle mie, costringendomi a schiacciare all’inverosimile il suo petto, quasi soffocandosi: ma, il piacere era così intenso che non capiva nemmeno di farsi male. Non mi sarei meravigliato che non si formassero dei lividi, data la consistenza così compatta delle sue ghiandole mammarie. Ma, lei, quando godeva così intensamente, usciva quasi fuori di senno, inseguiva solo le mareggiate del godimento, lasciandosene sommergere. Mi sottrassi a quell’abbraccio frenetico e scivolai impaziente il mio volto sul suo grembo palpitante e la mia bocca incontrò copiosi i suoi umori. Infilai la mia lingua tra le labbra gocciolanti fino a sorprendere il clitoride, leccandolo e lappandolo. Si piegò, allora, in due, sfinita, su di me, i suoi seni avvallati sul mio capo, la sua fronte reclinata sulla mia schiena: io continuavo impietoso a scavare nel suo sesso e a tormentarle il clitoride. Rantolò con orgasmi ormai incontrollati. “Scopami, scopami”, supplicò flebilmente. Ma, non potevo, almeno finché non avesse preso la pillola. Lei, però, continuava a supplicare. La spinsi a stendersi sul lettino con il culo a spiovere sulla sua sponda, le poggiai le gambe sulle mie spalle e, sfoderato il pene che pigiava in tutta la sua erezione, lo portai sul suo sfintere, velo poggiai e spinsi. ‘No, mi fai male, mi fai male’, protestò con le mani, discostandomi. Preso dall’eccitazione non avevo pensato a lubrificarla. Mi tirai indietro, mortificato. ‘Nella fica, ti prego, qui, nella fica’. Lo poggiai sul solco febbricitante, schiudendone le labbra con il glande. La sentii inarcare dal piacere e dall’attesa, ma io non spinsi: lo lascai solo scorrere lungo quella ardente fessura, strofinandolo sulla sua gemma del piacere.’Scopami, scopami’, continuava a gemere singhiozzante, lacerata dal desiderio spasmodico. Tutto il suo basso ventre si contraeva: il suo sesso pulsava e colava come quello di una cavalla in calore. ‘Non posso’, balbettai. ‘Ti desidero allo spasimo, ma non posso. Quando prenderai la pillola’. E feci per staccarmi da lei. ‘Prendimi il culo. So che ti piace: prendimi il culo’. ‘No, ti sei fatta male. Scusami. Sono imperdonabile’. ‘Che dici? Prendimi pure il culo. Devi prendermi, comunque. ‘Devi’ entrare in me’, e calcò la voce disperata su quel ‘devi’. ‘Ti faccio male. Sei troppo stretta’. ‘No, non è vero: ieri mi hai preso e non mi sono fatta male’. ‘Eri stata molto lubrificata. Non l’ho fatto ora. Non sono scusabile’. ‘Non puoi lasciarmi così. Godo, quando mi prendi il culo: solo che ti voglio anche nella mia femminilità. Ti voglio mio, mio. Ma mi piace anche lì, nel culo, mi piace tanto. Non mi lasciare a metà: prendimi il culo, mettimelo dentro’. Ma, ormai, il momento magico era passato. Mi venne in mente Sara. Poteva entrare da un momento all’altro a chiamarci per la cena. ‘Tua madre: sta per entrare tua madre’. Restò un po’ frastornata, poi, anche se col volto in fiamme, si ricompose, sistemandosi la camicetta. Lessi la preoccupazione sul suo viso. ‘Che fai: mi troverai stanotte? Io ti aspetto’. ‘Ne discuteremo più tardi. Dirò a tua madre che, per rasserenarti dal brutto sogno dell’altra notte, starò un po’ con te. Su, alzati’. La tirai su dal lettino e la circondai tra le mie braccia. ‘Mi ami?’, chiese con la voce tremolante’. ‘Ti adoro, ti amo, ti desidero’, e, sollevandole la gonna, la strizzai forte nel sesso nudo. ‘Che bello! Com’è vellutato e inzuppato e come è buono il tuo odore, il tuo sapore: mi eccita e mi stordisce’, le sospirai, mentre mi portavo le dita alla bocca suggendole. ‘Ti piace davvero il mio succo, davvero tanto?’, chiese, orgogliosa e fiera del diletto che mi arrecava. ‘Non ne potrei più fare a meno, come un cocainomane con la droga: tu sei la mia droga. Poterti in ogni momento stringere la fica, averla sempre bagnata, calda nella mia mano: imprigionarla, accarezzarla, masturbarla magari. Mia, mia, tutta solamente mia. La pillola, devi prendere la pillola, e sarai mia fino nell’anima’. Riposi la mano sul suo sesso e lei divaricò le gambe per farmelo afferrare meglio. Era vistosamente eccitata e sentivo tutto il suo genitale contrarsi, palpitare, come un cuore. Ansimando, con la voce spezzata, mi disse: ‘Ho preso appuntamento per domani col ginecologo di mamma. Tra una settimana dovrò essere tua. Non ti perdono, però, di non avermi preso il culo. Ti volevo, solo che mi hai fatto male, perché non mi hai lubrificata’. ‘Sei troppo stretta: avevo paura che, anche se bagnata con la saliva, ti avrei fatto male. E, per nessuna cosa al modo lo vorrei. Ti devo fare gioire, godere, non farti male, nemmeno lievemente. Allora, sono perdonato?’ E la mia mano intanto continuava a serrare sempre più forte la sua fica. Con un lungo sospiro: ‘Sarai sempre perdonato da tua figlia!’, e intanto la sentii venire nella mia mano. ‘Va via, papà, non ci resisto più. Non puoi tormentarmi così. E’ un supplizio, una tortura insopportabile: avere la tua mano sul mio sesso e non il tuo cazzo, sì, non mi vergogno di dirlo, il tuo cazzo. Va via, subito, se no mi metto a urlare come una pazza’. Andai via. Ma, la sua fica mi ossessionò: una sorta di invasamento demoniaco o paradisiaco. So che non potevo farne a mano, quando ero in casa, di tastarla, di stringerla con tutto il suo serico vello.
Anche dopo cena non persi occasione, seppure per qualche attimo, di cercare il suo sesso. La trovavo perennemente bagnata. Il fatto di sapermi stregato, dipendente dal suo sesso, forse, l’eccitava più dell’azione stessa. Quando ci accomodammo, come al solito, sul divano tutti e tre per guardare un film alla televisione, lei mi incalzò nell’infilare la mano sotto la cortissima gonna. ‘Perché, invece, non vai a coricarti?’, suggerii, ‘Sei stanca e farti otto ore di sonno è salutare’. ‘Dici? Purché tu mi tenga un po’ compagnia’, precisò lei. ‘Più tardi. Ora voglio vedere il film con tua madre’. ‘E allora che vado a fare a letto? Tanto non dormirei. Ieri notte prima di addormentarmi ce n’è voluto: ero tesa, in ansia. Mi vedo il film con voi’. ‘Ma cos’è che ti spaventa, Giulia’, chiese mia moglie. ‘Poi, non ci hai raccontato l’incubo che ti faceva paura’.
‘Orribile, mamma. Sognavo che passeggiavo in un campo tutto erboso e fiorito, bello, lussureggiante. Ad un tratto è sbucato un gruppo di uomini, incappucciati, vestiti da scapestrati, tutti armati di lunghi coltelli, che si precipitarono verso di me. Volevo correre, ma le gambe erano pesanti. Dovevo fare sforzi enormi per alzare un piede. E quelli mi furono addosso, mi strapparono i vestiti. Due mi tennero per le gambe, un altro mi bloccò le braccia, inchiodandomi, supina, per terra. E, mentre i tre mulinavano i loro coltellacci sul mio viso, sul mio seno, l’altro mostrò l’intenzione ‘ ma, tutto avveniva a rallentatore – di colpirmi di sotto. Cominciai, nonostante il terrore mi avesse bloccato la lingua, a urlare impazzita. Invocavo con disperazione papà, mentre quello accostava sempre di più la punta del coltello verso il mio sesso. Tanto fu il terrore che, quando arrivò a sfiorarmi con la punta, mi svegliai. Mi era sembrato così reale che fuggii di corsa nella vostra stanza. Ecco perché vorrei che papà mi stesse vicino prima di addormentarmi, perché non accada come ieri notte: aspettai quasi l’alba per addormentarmi’. ‘Bugiarda!’, commentai in silenzio. ‘Quando sono entrato nella tua stanza dormivi saporitamente. E’ un sogno così sfacciatamente freudiano che te lo sei inventato di sana pianta, anche se, tuttavia, e non lo sai, espressione chiara del tuo più profondo desiderio: scopare con me’. ‘Sono sogni che si fanno quando si entra nella pubertà’, spiegò dolcemente mia moglie. ‘Uno scontro tra il desiderio di avere un rapporto sessuale e la censura posta dalla tua educazione, che te lo vieta perché ancora sei una ragazzina’. Avrebbe dovuto aggiungere: ‘Tranne che il coltello, o, sicuramente un oggetto meno traumatico, non l’avesse brandito tuo padre, che tu disperatamente invocavi’, così conclusi io, nella mia mente, la spiegazione di Sara. Sicuramente, anche lei lo aveva ben capito, solo che non ritenne opportuno dirlo: poteva immaginare che quel coltello era già stato affondato, se non nel sesso, nel sederino della sua bambina, per niente indifesa e innocente. ‘Sai che facciamo? Stasera ci corichiamo tutti un po’ prima, così anche io e tuo padre recuperiamo un po’ di spazio: oggi non ci siamo visti quasi per niente. Io mi sistemo e tu, Claudio, intanto sta un poco con Giulia: un poco, eh. C’è tua moglie che ha pure lei un disperato bisogno di te’, commentò con un sorriso assassino. E dallo sguardo di mia figlia mi accorsi che pure lei aveva capito. La presi per il braccio e la sentii irrigidita. ‘Allora andiamo bella fanciulla?’, le dissi, tirandola avanti. ‘Buonanotte, mamma’, biascicò acida e si incamminò verso la sua stanza. Sara mi fermò per la spalla: ‘Dieci, quindici minuti, non di più, chiaro?’. Eccome se lo era: forte e chiaro.
Quando entrai nella camera di Giulia, lei era già sotto le lenzuola. ‘Ecco perché non ti volevi spendere con me. Notte di fuoco con lei!’, disse sardonica. ‘Con tua madre’, precisai. ‘E non mi sono ‘speso’ con te ‘ lo sai bene ‘ perché non prendi la pillola’. ‘Figurati, la pillola! Avresti potuto infilare il preservativo! Non so, quanto sia vero questo desiderio di farmi tua’. ‘Sei ingiusta, dispettosa e polemica. Anzi, solo gelosa. Il preservativo non l’ho mai usato, perché, quando faccio l’amore, voglio sentire dentro di me la mia compagna. Non c’è contatto, osmosi, tra la mucosa della vagina e quella del pene col preservativo, le secrezioni ormonali non hanno la possibilità di essere assorbite da entrambi. E’ una sorta di masturbazione: non mi piace. Poi, con te, che è la prima volta, era inimmaginabile. Tu devi sentire il tepore del mio sesso, i suoi umori dentro di te, il fiotto della sua ruggente passione’. ‘Però’, borbottò flebile, ‘hai disdegnato anche il mio culetto. E non è per niente vero che mi piace poco: hai visto come fossi fuori di me per il godimento. Io non so cosa proverò, quando mi sverginerai, ma so che è una libidine immensa, quando mi prendi il culo’. ‘Lo so che ti piace tanto e stai sicura che lo faremo sempre: hai tante cose da apprendere in fatto di giochi erotici. Solo che, proprio perché sei adolescente, lì, sei troppo stretta, e non solo ti farei molto male, ma farei anche del male a me, e un atto sessuale deve dare solo piacere non dolore. Certo, l’altro giorno abbiamo fato sesso anale, ma ricordi con quante cautele e continue lubrificazioni prima che ti penetrassi e, sicuramente, hai provato un po’ di male, perché ho dovuto forzare per entrare dentro di te’. ‘E, allora, in attesa della pillola?’. ‘Ho pensato di farti un regalino, domani, che, penso, ti piacerà e che renderà il tuo ano più disponibile’. Il suo viso si illuminò di un sorriso peccaminoso: non sapeva a cosa mi riferissi, ma capiva che era lubrico: ‘Pervertito!’, sorrise. ‘E, ora, vieni tra le mie braccia’, disse scoprendosi tutta. Era completamente denudata sotto il lenzuolo, luminosamente nuda. I suoi seni superbi, pur ancora non pienamente colmati, si ergevano prepotenti, quasi a stracciare l’impalpabile velo dell’aria, il lussurioso rigonfiamento del pube, tappezzato da un perfetto triangolo di riccioli castani, che declinavano con la loro serica ombreggiatura lungo le levigate rive del sesso, tra le cosce leggermente divaricate, irradiava onde rotolanti di lussuria da travolgere ogni stoico, imperturbabile, contegno. Non potevi frenare l’impulso selvaggio, animalesco, di buttarti su quelle concupiscenti colline di carne, su quel grembo che prometteva piaceri proibiti, inattingibili, e dilaniarli con voluttà. Mia figlia era l’incarnazione di un peccato carnale in cui anelavi dissolverti. Mi inginocchiai al suo capezzale e con le mani affannate raccolsi il velluto dei seni per poi ramingare su di essi, scompostamente, teso a volere imprigionare ogni poro di quella ammaliante sfericità. Potevi ubriacartene sino all’intontimento, ma non riuscivi a saziarti dal rovistarli, scompigliarli, così sovrana era la voluttà che sprigionavano. E quei capezzoli, che parevano volere schizzare via come proiettili dalla loro turgida sommità, ti trafiggevano le mani con la loro succulenta eccitante sofficità. Lei cominciò subito a gemere e io reduplicai le mie carezze. Poi, vi affondai il viso, picchettai con la lingua le carnose sommità, baciai voracemente l’uno e l’altro seno in ogni punto della loro rotondità, fino alla curva del costato, vi spaziai nell’incavo, la deliziai sospingendo con le mani, a cozzarsi, un seno contro l’altro. E furono singulti, spasimi di piacere nella sua gola, gli occhi sperduti nell’assenza. Veniva copiosamente e io volevo vederlo misurare, raccoglierlo, quel rivolo di piacere. Mi portai all’altezza del suo bacino, le divaricai ancora di più le gambe e, allargate le sponde della sua intimità, vi guardai dentro. E vidi come dal fondo del suo sesso, giù, nella fossa navicolare, si raccoglieva, come un piccolo lago, la rugiada del suo piacere, lattiginosa, vischiosa, per colare lungo il perineo, mentre tutto il suo genitale si contraeva come un cuore. Abbacinato mi buttai, avido, vorace, con la bocca a bere quel succoso liquore, per leccare con passione tutta la sua fica, rovistando, ora con la punta della lingua, ora con le dita, il suo clitoride. Sussultava come scossa da un terremoto sotto il mio viso, quando la sentii gridare istericamente per il godimento, per gli orgasmi ormai incontenibili. La paura che anche Sara dalla nostra camera da letto potesse udire, mi gelò. Corsi immediatamente al suo capezzale e le tappai dolcemente, ma deciso, la bocca. Agitò convulsamente le braccia, poi, proiettò la sua mano verso il mio inguine. Non cercò nemmeno di abbassare la cerniera dei calzoni: si agganciò alla cintura, tentando di tirarmeli giù con rabbia. Fui io a slacciarmeli, insieme ai boxer. Il mio pene svettò come un obelisco. Giulia, di colpo, mi stornò la mano dalla bocca, si sollevò dal lettino, si accomodò sulla sponda e lo afferrò con irruenza, quasi strappandolo, per affondarlo subito tra le sue labbra. Io, però, non potevo venire quella sera. Sara mi aspettava dall’altro lato e io dovevo essere in grado di soddisfarla. Lasciai che lei si sfogasse alcuni minuti a succhiare, poi, amorevolmente, la scostai. Mi guardò supplichevole con la mano attanagliata sul mio sesso e io non mentii: ‘Tua madre di là mi aspetta: non posso farmi ritrovare svigorito. Ti amo, piccola mia, con tutta l’anima. Domani, se troveremo l’occasione, ci rifaremo di quello che non abbiamo fatto stasera’. A malincuore abbandonò la presa. ‘Baciami appassionatamente, anche sulla fica, e te ne vai’. La serrai a me e la baciai appassionatamente anche sul sesso. La ricoprii con il lenzuolo e, sempre accarezzandola con lo sguardo, arretrai verso la porta ed uscii.
‘Si è addormentata?’, mi chiese Sara, quando mi vide entrare. ‘Era ormai sul punto’. Mi spogliai voltandole sempre le spalle, quindi indossai il pigiama e mi accomodai sotto le lenzuola. ‘E il pigiama perché, se devo togliertelo subito?’, osservò sensuale mia moglie, scoprendosi. Già, anche lei era nuda. ‘Riprendiamo il dialogo interrotto prima di cena’, disse avvinghiandosi a me. ‘Vedo che sei più che pronto. Anch’io: toccami sotto’. Vero: era calda e bagnata, molto bagnata’.
IV
La prima cosa che Giulia volle vedere fu l’oggetto che le avevo promesso. L’occasione ci fu offerta dall’occupazione di Sara a preparare le lezioni. Per quella bisogna lei si chiudeva nello studio e non voleva essere disturbata, se non in caso di necessità. Uscii il pacchetto dalla borsa e lo srotolai sul suo lettino. Rimase stupita nel vedere gli oggetti esposti. ‘Dei membri di lattice? E così corti? Cosa ci dovrei fare io? Sono lunghi meno della metà del tuo e solo uno mi pare grosso quanto il tuo. Che giuoco erotico ci vuoi fare?’. ‘Nessuno’, spiegai. ‘Sono per il tuo culetto’. ‘Cosa? Sei ammattito?’, rispose sbalordita. ‘Aspetta che ti spieghi’. ‘Ti piace veramente quando ti prendo di dietro? Non per accontentare me, ma perché realmente godi in modo profondo? Devi essere sincera’. ‘Certo che mi piace. Te l’ho già detto: tantissimo. Ma cosa c’entra con questi aggeggi? ‘Ti ho detto ieri che non mi va di prenderti di dietro, perché non voglio che ti faccia male, e nemmeno che me ne faccia io. E, poi, ora che, sotto, sei sempre nuda, quando ti prendo, devo poterlo fare istantaneamente e facilmente, allo stesso modo che se ti penetrassi nella tua cosina. Scivolando, facilmente, nel tuo sederino, se sai mantenere un contegno tranquillo, nemmeno tua madre si accorgerebbe che ti sto dentro. Immagina quale piacere dalla stessa situazione. Perché questo sia possibile, il tuo buchetto dev’essere più largo. Se tu tieni dentro uno di questi falli tutto il giorno, notte compresa, per una settimana, il tuo canale si allargherà in modo stabile e io potrò entrare in te a piacimento senza intralcio e dolore’. ‘Con questi aggeggi nel culo tutto il giorno? Non mi verrà di andare di corpo?’. ‘Ti darà fastidio in un primo momento, poi non lo avvertirai più. Pensa, però, al godimento che avremo quando ti sarai allargata’. Mi considerò perplessa, mentre si rigirava in mano uno dei falli. ‘Perché così corti?’. ‘Perché quello che ci interessa è che ti si allarghi l’anello dello sfintere. Vedi, poi, questa sottile base a cupola è fatta per aderire perfettamente al solco intergluteo. Non avrai fastidio, perciò, quando sarai seduta. Non ti intriga il fatto di sapere che hai un fallo di lattice nel tuo corpo, in mezzo ai tuoi ignari compagni? Sono convinto che ti farà piacere, perché ti darà stimoli erotici, quando agiterai i glutei sulla stessa sedia’. ‘Perché tu lo hai provato?’. ‘D’accordo: non ne parliamo più. Li butterò nel cassonetto’. ‘Perché non li proponi alla mamma, o con lei a suo tempo lo hai fatto?’. ‘Non c’è stato bisogno. Tu sei ancora giovanissima e il tuo canale è stretto. Ho fatto male a non parlartene prima. Lasciamo perdere’. Le sottrassi il fallo dalla mano e feci per riporlo insieme agli altri nel pacchetto. ‘No, no, aspetta. Proviamo’. ‘Non voglio per nulla al mondo che tu lo faccia per compiacermi’. ‘Scusami, papà, ma sei tu a godere del mio culetto. E non mi dire che non ti arrapi nel prendermelo’, disse risentita. ‘Usa termini diversi, ti prego. Ho pensato che la cosa ti avrebbe eccitata, incuriosita, così come so che ti ecciti nel sentirti nuda di sotto: sei sempre bagnata e il tuo sentirti godere mi attizza terribilmente’. ‘Lo faccio per te. A me non sarebbe mai venuto in mente’. ‘Neghi che non godi nel ritrovarti così?’. ‘Sì, è vero, mi estasio quando mi prendi il culo, ma non è la stessa cosa che mettersi dentro quel coso’. ‘Si tratta sempre delle stesse sensazioni erotiche. Comunque, ti ho detto che la questione è chiusa. Perché polemizzare, se l’unica cosa che voglio, quando sto con te, è di baciarti, accarezzarti, toccarti e godere con te?’. Mi guardò di tralice, poi, sussurrò: ‘Sicuro che non mi farà male? E come lo lubrifichi?’. ‘T’ho detto che non ne parliamo più’. ‘Non fare il sostenuto. Sicuramente mi piacerà come dici tu, ma cosa ti aspettavi che dicessi vedendoti con quegli aggeggi: avanti, proviamo. Che spalmi su quel coso?’. ‘Della pomata per le emorroidi: è più un antisettico che altro’. ‘Avanti su, proviamo!’, sospirò con malizia, e si distese sul letto a pancia in giù, sollevandosi la gonna. I suoi scultorei glutei emersero nella loro sublime rotondità. Li accarezzai e me li baciai ingordamente. Poi, presi il fallo più sottile, lo spalmai di pomata, ne aspersi un po’ anche nel suo buchino, vi introdussi il dito per spalmarlo dentro, quindi, spinsi la punta e il fallo vi scivolò come una supposta. ‘Allora, cosa senti?’. ‘Che ho una supposta molto grossa dentro’. ‘Prova a sederti e dimmi se hai fastidio’. Si accomodò sulla sedia, agitando il sedere. ‘No: aderisce bene. Il fastidio è solo dentro. E’ come se avessi, appunto, una grossa supposta. Speriamo che tra qualche ora non ci faccia più caso’. Si alzò e venne verso di me. ‘E, ora che sono stata bravina, qual è la ricompensa?’. Allungai le mani verso la sua camicetta e gliela cominciai a sbottonare. ‘Aspetta’, mi fermò. ‘A me la precedenza’. Abbassò la mano verso la cerniera dei miei calzoni, e, lesta, la infilò nell’apertura. ‘E’ possibile che lo trovo sempre drizzato?’, disse indispettita. ‘Io voglio vederlo fiorire, una volta tanto, nella mia mano’. Ma, impugnato il fallo, cominciò a menarlo tutta intenta a valutarne la dilatazione. ‘Ecco perché lo si paragona a un serpente: si rizza e si gonfia come lui. Sobbalza e si inarca pulsando come una bestia viva. Sentirlo dentro nella mia vagina deve essere sublime, un piacere sconfinato’. Fermò il movimento della mano e lo contemplò: ‘Sì, un serpente che striscia dentro di me, sopra di me, mi avvolge, mi prende, mi affascina con la sua ammaliante prepotenza. Sei bello nella tua arroganza!’. ‘Lo voglio riporre tra i tuoi seni’, dissi con la voce arrochita dal desiderio. ‘Vieni’, rispose lei, trascinandomi con il mio pene in mano verso il letto. Si tolse i due indumenti e vi si rovesciò con me sopra di lei. ‘Vieni sui miei seni!’, comandò con voce sensuale’. Ubbidii, solerte. Mi inginocchiai allargando a ponte le gambe e mi disposi sopra il suo petto, abbassandomi quasi a sedere sul suo costato e collocai il mio membro nell’incavo di quelle seducenti colline che pigiai l’una contro l’altra, incastrandolo come in un morbido anello. Così imprigionatolo, cominciai il mio andirivieni. I suoi seni erano talmente eburnei che le mie dita, nello stringerli alla base, non riuscivano ad infossarsi se non lievemente. Sembrava realmente di stringere tra le mani due masse di granito, pur non ancora pienamente sbozzate, rivestite di un multistrato di morbidissima, soffice, tiepida epidermide. Mi imponevo con sofferenza di non venire subito, così imponente era l’eccitazione che mi provocavano quelle voluttuose sfericità strette sulla mia virilità. Intanto, gongolavo nel constatare come lei godeva. Aveva portato una mano sui miei testicoli ballonzolanti, accarezzandoli o strizzandoli e l’altra sul suo picciolo del piacere, lasciandovi scorrere le dita. Di lì a poco, abbandonato il suo sesso, la vidi portarsi le dita più volte alla bocca, aspergerli di saliva e sistemarli sul mio di dietro, inzuppandone il buco, e, prima un dito, poi due entrarono a scorrere nel mio sfintere. Fui sorpreso dal senso di piacere che si irradiò tutto all’intorno. Col mio movimento di va e vieni accentuavo di più quello delle sue dita. Forse finì per toccare la prostata e il conato di eiaculazione dovuto a un piacere intenso si fece incoercibile. La scopai allora più frenetico nei seni e mi sorpresi nel sentirmi gemere, mentre lei accentuava ancora di più il saliscendi dentro il mio ano. Fu un’esplosione incontenibile del magma delle mie gonadi a schizzarle sul collo e sul viso, allagandola come un torrente straripato dagli argini. Ricaddi esausto e ancora sussultante sopra il suo busto e sopra i cuscini. Lei, intanto, raccoglieva il mio sesso in bocca e lo ripuliva beata.
Fu lei a rompere il silenzio. ‘E’ stato meraviglioso. Ignoravo questo modo di scoparmi. Mi hai appagata di piacere. Questa volta tocca a me dirti di ricomporci: alle sei devo recarmi con mamma dal ginecologo per la pillola. Che dici: è meglio togliermi quell’affare dal culo, caso mai volesse visitarmi?’. Mi ero disteso accanto a lei, svuotato e debole. ‘Non c’è bisogno: deve solo dirti che tipo di pillola si confà per te. Non c’è bisogno che ti visiti proprio lì. Se lo dovesse esigere, chiedi di andare in bagno e te lo togli. Ma, tu, ora, quando esci, ti rimetti reggiseno e mutandine, vero?’.’ Sei geloso dei miei tesori: non vuoi che altri ne attingano nemmeno con lo sguardo! Certo che sì. Ci mancherebbe altro. Solo quando ci sei tu, in casa, sto senza e mi arrapa da infarto stare così. Sobbalzo come presa da una scossa elettrica, quando, improvviso, ti aggrappi al mio sesso, lo solletichi o ti riempi a coppe le mani dei miei seni, anche se per pochi istanti: è un piacere delizioso e sottile che mi fa vibrare intera. Sono i giorni più belli della mia vita questi e non vedo l’ora che tu mi svergini. Tra qualche settimana mamma avrà il collegio dei docenti, che si sa quando comincia, ma non quando finisce, se non a sera molto tardi. Saranno passati almeno dieci giorni da oggi e potremo fare l’amore tranquilli nel letto matrimoniale. Su, rivestiamoci. Va via, via, altrimenti non resisto più a non saltarti addosso’. Mi alzai, mi ricomposi, mentre lei cercava nel cassetto mutandine e reggiseno e stavo per uscire, poi, ci ripensai, tornai indietro. Si stava agganciando il reggiseno. Volevo ancora sentire quei seni nelle mie mani e succhiarle la fica. La allacciai di dietro. ‘Che fai, papà? Non possiamo. C’è pericolo che entri mamma!’. Ma già ansimava presa da languore, mentre le mie mani la frugavano sotto le coppe del reggiseno. La baciai sul viso, sul collo, poi, la sollevai e la sedetti sul tavolo da studio. Mi abbassai e affondai il mio viso tra le sue cosce ad inebriarmi, scompigliandolo, del suo sesso. ‘Oh, papà, papà, non ne posso più’, sospirò con sofferenza infinita. ‘Non ne posso più. Mi stai facendo impazzire dal desiderio. Anelo ché tu mi scopi’. Continuai con ingordigia a scandagliarle il sesso, a penetrarla con la lingua, finché la sentii venire una, due, più volte, e mi saziai del suo fragrante miele dorato. La lasciai annichilita sul tavolo ed uscii.
La sera, dopocena, un momento che Giulia era in camera sua per ultimare i compiti scolastici, Sara mi disse con un velo di malinconia: ‘Tu sai che oggi ci siamo recati dal ginecologo, perché Giulia ha voluto che le prescrivesse la pillola. E’ vero: è una bellissima signorina, ma è ancora un’adolescente! Il mio primo rapporto l’ho avuto con te, ti ricordi? Avevo appena compiuto vent’anni. E, nessuno aveva sfiorato le mie labbra con le sue, nessuno aveva violato l’intimità del mio seno e del mio sesso, e la gioia, l’emozione della prima volta non è stato un momento qualsiasi, tanto per darla via, è stata un’esperienza che tengo custodita, preziosa, in fondo al cuore, irripetibile, perché l’ho fatto con l’uomo che amavo e che amo. Oggi, in macchina, mi ha detto che, se le capitasse di dovere fare sesso, vuole essere sicura. Le ho risposto di usare il preservativo. Ha respinto il consiglio, perché i ragazzi non sempre ce l’hanno, non lo sanno usare e, poi, che, almeno per la prima volta, non voleva sentire dentro di sé una guaina di lattice. Ci sono rimasta un po’ male, non tanto per la pillola o il preservativo, ma per la banalità della concezione del rapporto sessuale. ‘Fare sesso’: che brutta espressione, squallida! Non è fare l’amore. Questo lo si fa con chi si ama davvero, almeno in quel momento, non per noia, per distrazione, per curiosità o tanto per darla via. Ti giuro, non pensavo che Giulia, avendo noi come punto di riferimento, potesse avere una concezione così banale sulla sessualità e sulla prima volta. Mah, si vede che il condizionamento esterno è più incisivo dell’educazione dei genitori. Mi riprometto, però, di riprendere questo discorso con lei’. Un’ alluvione di ricordi bellissimi e sensuali mi riportò mia moglie a quella prima volta. Come solo dopo un po’ di tempo che ci conoscemmo potei, poco alla volta, raccogliere il tepore della sua intimità. Come dimenticare la volta che scoprii il suo seno e su di esso naufragai inebriato il mio viso! Come potevo confessarle che sua figlia, sì, aveva scoperto il sesso così giovane, ma che sapeva benissimo la differenza tra fare sesso e fare l’amore! Solo che voleva farlo soltanto e per sempre con suo padre. Il pensiero di Giulia, al solito, si confuse con quello di Sara e non potei fare a meno, mentre la stringevo sul mio petto e la baciavo, di cercare il suo sesso, di stringerlo nella mia mano ancora calda di quello di sua figlia, che teneva sempre scoperto per il piacere di suo padre.
Istintivamente fu portata ad allargare le gambe per permettere alla mia mano di frugarla più intimamente. Poi, ravvedendosi che eravamo in cucina, con la voce incrinata disse: ‘Ho voglia di te, anch’io, come in quei giorni. Andiamo in camera nostra: potrebbe uscire Giulia’. Con le mani sotto la sua gonna, dentro le culottes, una appigliata al suo vello, l’altra a brancicare il suo di dietro, mi caracollai verso la nostra camera. La catapultai, concitato, sul letto. Non mi persi nei preliminari. Avevo desiderio ruggente della sua fica con la bocca, le mani ed il cazzo. Le lacerai, quasi, le mutandine nello sfilargliele. Poi, tuffai le mie labbra in quel bosco lussurioso che si stava già brinando, tormentandolo con le labbra e con la lingua. La sentivo sussultare dal piacere e mi pareva di vedere nello stesso tempo il sesso della madre e della figlia. Inumidito un dito con i suoi umori, cercai il suo sfintere e lo cacciai dentro in un frenetico andirivieni, mentre con la punta della lingua strusciavo il clitoride. Da lontano sembravano giungere alle mie orecchie i suoi gemiti e mi sembravano quelli di Giulia. La penetrai nella sua intimità con due dita, agitandole in senso alternato rispetto all’altro nell’ano. ‘Scopami, Claudio, scopami’, la sentii mugolare. Quasi un eco. Continuai, accelerando il movimento delle dita. E il piacere fluiva come un torrente dal suo grembo. Era tempo che la possedessi con la mia verga. Ritrassi le dita da entrambi gli orifizi. Vorace e quasi brutale la presi, con foga, schiaffeggiando il suo pube col mio, finché il godimento divenne incontenibile e, serrandola per le natiche, eruttai dentro di lei. Restammo immobili e in silenzio per alcuni istanti entrambi. Uscii da lei, mi chinai sul suo sesso e lo baciai con dolcezza. Poi, mi distesi accanto a lei. Si girò verso di me ancora affannata dall’amore, accarezzandomi con la sua voce: ‘Mi hai distrutta! Avevi così tanta voglia di me? Sono tua moglie. Ma sarò sempre la tua amante, la tua puttana!’. Si sollevò su un braccio e mi abbracciò, baciandomi sugli occhi. ‘Non abbiamo finito, vero? Devo cucinare per la famiglia. Stanotte, comincerò io, però, a modo mio’. Si sistemò, scese dal letto e si avviò verso l’uscita. Rimasi a rimirarla mentre si allontanava.
V
I giorni che seguirono vedevano la passione tra me e Giulia diventare sempre più torbida e incontenibile. Nelle poche ore che trascorrevo a casa ero quasi del tutto schiavo della carnalità di mia figlia. L’amavo più della mia vita, ma non c’era più la tenerezza, la dolcezza, l’affezione paterna, solo convulsi toccamenti, sfregamenti, frenetici e impropri rapporti sessuali che non riuscivano a placare i nostri sensi sempre più infuocati ed esigenti. Non aspettammo di certo la settimana convenuta perché non usassi più delle sue terga. Due giorni dopo, in un’esaltazione dei sensi lei si tolse il fallo di lattice per lasciarsi scivolare dentro quello di suo padre. Però, era vero: più i giorni passavano, più il suo sfintere si allargava. E questa constatazione ci accendeva ancora di più. In attesa che entrassi nel suo grembo, lei non si saziava di avermi nel suo culetto. Era un piacere forsennato, che aveva contagiato come un’infezione pure me. Un pomeriggio, addirittura, capitò che, mentre sua madre era in cucina, a pochi passi da me, appoggiato allo stipite della porta, intenta a preparare la cena, e, volgendomi le spalle, da lì, discuteva, Giulia mi si accostò e, senza timore, strattonandomi verso di sé, allungò la mano sulla mia patta accarezzando il mio genitale. Appena lo sentì crescere, vi inserì risoluta la mano e lo tirò per intero fuori, masturbandolo e mungendo i testicoli. Sollevatasi la gonna, mi trascinò, appena dietro la porta, col pene sul suo deretano, e io non capii più nulla. Le mani dentro la sua camicetta, abbarbicato ai suoi seni, la penetrai di colpo. Ormai il suo sfintere non faceva quasi più resistenza. Lei ruotava, strofinandolo, il suo posteriore contro il mio bacino e godeva, godeva come una matta e, galvanizzato dal piacere, in maniera smozzicata, continuavo, intanto, a interloquire con mia moglie, che, se si fosse girata, non avrebbe capito perché parlassi da dietro la porta. Era follia allo stato puro la nostra. E, quante furono le notti che correvo nella sua stanza, mentre Sara dormiva, per amoreggiare precipitosamente, scompostamente, con la paura di essere sorpresi. Se Sara si fosse svegliata e non mi avesse visto, avrebbe pensato, dopo un po’, che mi fossi sentito male e sarebbe corsa a cercarmi: sarebbe stata la fine! Arrivavo da lei solo con la casacca del pigiama e sprofondavo assetato sopra quei seni impregnati di desiderio, mi ci avvinghiavo, mai contento, mai sazio e poi il suo sesso: lo bevevo, mordicchiavo, lo sfinivo fino a farla torcere dalla voglia, dall’ebbrezza del piacere. E, tuttavia, non era mai sazia: mi abbrancava, quando capiva che dovevo abbandonarla, per la casacca del pigiama, se l’avevo ancora addosso, o per i fianchi, o ghermendomi per la verga. E, tuttavia, anche per me era una tortura strapparmi dalla sua mano, dai suoi capezzoli, dalla sua fica, che mi aveva impregnato l’intero viso con la sua rugiada. E, purtroppo, non c’era modo di vederci fuori. Giulia non poteva marinare la scuola, perché sua madre insegnava proprio lì, né trovare la scusa di uscire o andare al cinema con le compagne e invece vedersi con me: avrebbe finito per appurarlo. Inoltre, erano più concrete le possibilità di dare sfogo alle nostre effusioni in casa che fuori. Intanto, finivamo per dormire poco o niente e la mattina ci muovevamo intontiti. Ero sfinito, poi, dal dovere fare l’amore con due donne nello stesso giorno e talora più volte. Se il mio rapporto con Giulia si fosse protratto in quel modo allucinante e distruttivo per più settimane, sicuramente non sarei sopravvissuto. Intanto, non riuscivo a sottrarmi alla tentazione della lussuria del suo corpo acerbo, ma così fumigante di femminilità libidinosa. Poi, dovevo combattere anche con la sua gelosia: non accettava che facessi l’amore con sua madre. Mi diceva che quando l’avrei posseduta nel suo grembo, sarei stato solo suo. A volte faceva proposte impossibili, data la sua minore età, come quella di stare un pomeriggio in un albergo ‘ e poi con quale scusa?- o quella di andare a vivere per conto nostro. Avrei dovuto dire a Sara che mi ero innamorato di un’altra donna e che sarei andato a vivere con lei. Giulia avrebbe costretto, subito dopo, sua madre a mandarla a vivere con me, perché senza di me si sarebbe lasciata morire di fame. Lo sapeva pure lei che erano proposte folli, ma le proponeva lo stesso e si tormentava perché io non trovassi delle soluzioni. E, intanto, la nostra frenesia di fare l’amore, anche se incompleto, era incontenibile. ‘Se non stessi di più con lei ad aiutarla a fare i compiti’, dicevo a Sara, per spiegarle perché il mio tempo libero lo trascorressi nella camera di Giulia, ‘non riuscirebbe a fare niente’. Già’, osservava Sara, ‘sta passando un brutto momento: dorme poco, ‘ vedi le occhiaie! ‘ mangia svogliatamente e non riesce a concentrarsi nello studio. Avrà un amoretto non ricambiato e si macera. Ma, perché non ne vuole parlare con me, perché preferisce fare i compiti con te, piuttosto che con sua madre, che è pure insegnante di lettere? Non era prima a me che si rivolgeva per qualche aiuto?’. ‘Ora, però, è più di un qualche aiuto: sono io, talora, a svolgere i suoi compiti e, proprio perché sei un’insegnante, non può chiederlo a te: sai quanto è orgogliosa!’. ‘Sì, lo so, ma c’è qualcosa che mi sfugge. Più che infelice, è tormentata. Ma, neanche tu stai tanto bene. Sei distratto, affaticato, un po’ pallido. Anche tu non mi dici nulla. Sei preoccupato per Giulia? Ti ha confidato qualcosa che non mi vuoi dire? E’ per il tuo lavoro? Tra noi non ci sono mai stati segreti, né piccoli, né grandi. Sono preoccupata per entrambi’. E io: ‘Quale segreto? Mi vedi capace di nasconderti qualcosa? Impossibile. Sono preoccupato per Giulia, è vero. E’ poi, c’è la causa per quell’Impallomeni che mi sta facendo ammattire. Passo le notti buttato su quel processo’. ‘Mi sono accorta, qualche notte, che, nello svegliarmi, non eri a letto, e sono stata in procinto di venirti a cercare’. Mi balzò il cuore in gola a questa sua considerazione, come se fossi stato scoperto in quel momento. Sì, era da sconsiderati fare le incursioni notturne da mia figlia. Sarebbe venuto un colpo apoplettico a Sara nel vedere me e Giulia aggrovigliati come bestie in calore. Altro che segreti: erano peccati inimmaginabili i nostri! E, tuttavia, trovavamo ogni modo possibile per fornicare. Capitava qualche pomeriggio che veniva a trovare Sara una collega o un’amica per intrattenersi con lei o per uscirci insieme, allora Giulia, pronta a chiamarmi col telefonino e io a correre a casa con una scusa qualsiasi. E, se talora la situazione era sul drammatico, tal altra era comica, visto che troncavo quello che stavo facendo per correre da lei. Due amanti: eravamo due amanti, divorati da una passione insana. Mi detestavo per il modo con cui la trattavo: come se la usassi solo per fare sesso. E, invece, non era così. Certo, il suo corpo era una tentazione carnale, un adescamento lussurioso che mi irretiva con lo stesso fascino perverso del peccato, ma l’adoravo con tutta l’anima, le volevo un bene sconfinato come ogni padre ne vuole alla figlia. Il fatto era che non c’era il tempo reale per effusioni affettive: solo il trascinamento dei sensi, quella furia erotica che ci travolgeva ottenebrando ogni ritegno, ogni briciolo di ragione. Volevo amarla con carezze più tenere, per farle apprezzare quanto l’amore fosse delicatezza, coccole, carezze le più sensuali possibili, ma non frenetiche, dure, irruenti, e non riuscivo a farlo; e questo mi mancava tanto e sapevo, certamente, che mancava anche a lei. E’ che dovevamo fare sempre tutto di fretta e attenti a non scoprirci e la fame dei nostri reciproci corpi rimaneva, così, inappagata. E non poteva essere altrimenti quando, in casa, c’era Sara. Rientrando, ovviamente, cercavo prima mia moglie, mi intrattenevo con lei, ma Giulia era pronta a inframmettersi, abbracciandomi e appendendosi al mio collo. Era così incosciente che, con sua madre quasi a ridosso, lei sospingeva subito la mia mano sul suo sesso, spingendomi a sollecitarlo. E io non mi sottraevo. Ero stregato da quel giuoco così sfacciato e pericoloso: mi eccitava di più. ‘Scusa mamma, se te lo rubo, ma papà deve aiutarmi nei compiti. Senza di lui non riesco più a fare nulla’. ‘Giulia, così non può continuare, soprattutto dal punto psicologico: sei tanto grande e matura per capirlo da te. Non puoi diventare padre dipendente: minerebbe la tua sicurezza, la tua identità’. Era come se sua madre avesse parlato al muro. Mi trascinava per la mano e, nonostante ci fosse il concreto timore che Sara potesse improvvisamente entrare, una volta nella sua camera ci lanciavamo nella passione più sfrenata. Violenti i nostri baci, violenta la nostra passione, furenti e lesti i nostri rapporti. Le nostre bocche si cercavano subito a scavare l’una dentro l’altra, poi, la sollevavo per addossarla alla parete, mentre si attorcigliava con le gambe ai miei fianchi, o per distenderla sul tavolino o sopra il suo letto. Oppure, ero io a sedermi e lei pronta a cavalcarmi, facendomi di colpo scivolare nel suo di dietro. Le toglievo solo la camicetta ed era un furoreggiare disperato della mia bocca e delle mie mani suoi seni. Lei smaniava come una forsennata, mentre la percorrevo su tutto il corpo con la lingua, con labbra. Bevevo i suoi occhi, le sue labbra, i suoi capezzoli, il suo ombelico, la sua fica, il suo culo. Le nostre labbra si arroventavano per lo sfregamento e la focosità dei baci. La sua pelle era tutta un fremito, tanto la compulsavo in ogni parte del suo corpo. La giravo con il dorso verso di me e, mentre martirizzavo i suoi seni, artigliandoli convulsamente, con la bocca vampirizzavo il suo collo, mordicchiavo le sue spalle, mentre il mio sesso ramingava turrito tra le sue cosce, o mulinava nelle sue terga, mentre con le mani artigliavo i suoi fianchi o le afferravo la fica così rudemente da strapparle talora ciuffetti di peli. Lei dal piacere si piegava in due mugolando sommessamente, avendo, invece, voglia di urlare a squarciagola, quando, inculandola, la stremavo con le dita flagellando il suo occulto piccolo cazzo. La rigiravo un’altra volta, percorrendola nei punti più sensibili col mio genitale, strusciandole contro i testicoli o la punta della mia cuspide malva. La scopavo ora nella bocca e le sue labbra erano calde e accoglienti come se fosse stato il suo sesso, ora in mezzo ai seni, ora lei, serrando la mia verga come fosse uno scettro, martoriava i suoi capezzoli con la punta del mio glande, o lo portava a scorrere lungo il tragitto della sua intima fessura veloce come fosse un dito. E mi rituffavo con il mio viso in quelle erotiche labbra segrete per farne rampollare tutto il possibile liquore, che ingurgitavo sino all’ultima goccia, se un’ultima goccia ci fosse mai stata, tanto era fluente. E quante volte, ormai agonizzante, squassata dai dirompenti orgasmi, con lei a supplicare di prenderla, la piegavo come una puledra, facevo scorrere esasperatamente il mio pene lungo il solco intergluteo, poi, d’un colpo, lo immergevo nell’ano, tutto, fino in fondo, andando e venendo irruente, con colpi sordi, con i testicoli che schiaffeggiavano le sue natiche! E il piacere invadeva ogni fibra del mio e del suo corpo. Talora, stava carponi fino a che eiaculavo dentro di lei, talora, invece, ero io a distendermi e lei, le spalle volte contro il mio viso, mi cavalcava con quel palo di carne dentro. Su e giù in un crescendo ossessivo, fino a rantolare dal piacere, mentre le eruttavo il mio seme dentro. Poi, era per qualche tempo la calma, quindi, tutto ricominciava fino al mio sfinimento. Quando, finalmente uscivo dalla sua camera, lei tentava di svolgere i compiti scolastici alla meno peggio. Fuori di lì, per la casa, eravamo sempre appiccicati l’uno sull’altra, o lei con le sue mani dentro i miei calzoni, o io sotto la sua gonna, o entrambi a ramingare insieme nelle nostre intimità grondanti di umori. E, se io mi portavo continuamente le dita in bocca per leccare il suo sapore, anche lei faceva con le secrezioni del mio membro con cui si inzuppava le dita, pulendole con la bocca. Anche se le avessi chiesto ‘ ma non l’avrei fatto per nessuna cosa al mondo ‘ di indossare nuovamente reggiseno e mutandine, non l’avrebbe fatto più, così ormai era presa da quell’esasperazione dei sensi. Le mie mani ormai erano diventate le sue mutandine e il suo reggiseno e io ero ingordamente felice di farne le veci. Giuocavamo col sesso così d’azzardo che una sera discutendo tutti e tre, io, Sara e Giulia, di cose divertenti intorno al tavolo di cucina, mia figlia si venne a sedere sulle mie gambe, ma, prima di farlo, si sollevò la gonna. Io lasciai sgusciare il mio membro dalla patta. Appena lo sentì svettare sotto di lei, si sollevò appena e io con la mano lo sistemai sotto il suo sfintere, dentro cui scivolò di botto, trangugiandolo fino alla radice. Poi, cominciò ad oscillare il suo sederino sul mio pube lentamente, ma decisamente, come se cercasse una continua sistemazione. Il fatto che Sara stesse di fronte a parlare, e noi a rispondere, rendeva la cosa di un’eccitazione così esasperata da renderla incoercibile. Con la mano sopra la sua vulva io, nel contempo, la masturbavo. Sentivo che godeva per le contrazioni accavallate dell’ano e della fica, e, anche quando le venivo dentro e il mio sesso si afflosciava, continuava a tenersi il mio pene dentro, fino a quando non la costringevo, disperato per la presenza di Sara, a schiodarsi, alzandosi. Diversamente, se lo teneva dentro fino a quando non ci dovevamo alzare per andare a letto, ma, intanto, il gioco lo aveva ricominciato più volte. Solo che dal mio sesso non sgorgava ormai più nulla. Intanto, non riuscivo ormai più a fare a meno del suo culo e lei del mio cazzo infilato dentro. Non vedevo l’ora di sverginarla: forse ci saremmo tutti e due un po’ calmati. Il giorno era ormai prossimo e volevamo, però, che accadesse con tutti i crismi: un’intera giornata a disposizione. E questa arrivò: il giorno dei consigli di classe e del collegio dei docenti nella scuola in cui insegnava mia moglie. Quel giorno Sara non sarebbe nemmeno rincasata e Giulia avrebbe accampato una scusa qualsiasi per restare a casa. Lo stesso avrei fatto io. Ormai il suo culo era libero: niente più falli di lattice. Io la penetravo come e quando volevo senza alcun intralcio. Certo, non era il buco del sesso: era sempre più stretto; ma questo accresceva il piacere, perché stringeva, massaggiandolo, meglio il membro che vi scivolava dentro. Mi si avvicinava, quando le veniva voglia, e bastava che sollevasse appena la gonna, perché si facesse inculare, anche per qualche colpo, così, solo per sentirselo dentro, perché ormai era ingorda e non sapeva stare con lo sfintere libero. La prendevo, o esigeva che la prendessi, in ogni angolo della casa, non appena l’occasione lo permettesse. Quante volte, la mattina, in bagno, uscita sua madre, davanti al lavandino, mentre era a lavarsi i denti, mi accostavo di dietro. ‘Forza, sbrigati’, dicevo a voce alta per farmi sentire da Sara. Giulia indossava solo una cortissima e leggera camicia da notte. Non c’era nemmeno bisogno di sollevarla. Abbassato appena il bordo del mio pigiama, lasciavo sgattaiolare il mio pene e le ero già dentro. Cinque minuti nel dimenarsi su di me e si staccava appagata, anche se con le occhiaie fonde come voragini. Ma, era tempo dell’altro canale, quello più ambito e tanto atteso.
VI
Era il 31 maggio. Benché di mala voglia, Giulia aveva accettato la condizione che, nei due giorni prima, non doveva per nessuna ragione farmi eiaculare né con la sua bocca, né col suo culo. Dovevo fare l’amore con sua madre e poi, il trentuno, tutto il giorno con lei. Ero davvero esausto e dovevo raccogliere forza ed energia. Si era fatto promettere, però, che, comunque, la dovessi sollecitare, agguantare nelle parti intime, accendere di desiderio i suoi seni ed entrare lo stesso almeno una volta dentro di lei, anche se senza venire. In quei due giorni non mi introdussi per niente nella sua camera, tanto che Sara osservò compiaciuta che, forse, sua figlia cominciava un po’ a calmarsi. ‘Meno male che questa sorta di ipocondria le è presa alla fine dell’anno, con le interrogazioni tutte date e i compiti scritti quasi tutti svolti e che ha tutti i voti alti, diversamente chissà quanti debiti avrebbe lasciato!’. Quei due giorni furono, però, una tortura sia per Giulia che per me: eravamo troppo condizionati dalla fregola quotidiana per non soffrire di crisi da astinenza, anche se, in fondo, temperata da toccamenti e sfregature continue. E, pur se senza venire, altro che prenderla una sola volta: volle che le possedessi il culo due o tre volte in una giornata. Se lei gettava l’esca, io ero più che invogliato a calarle il mio amo. E il suo seno certo non dimenticò le coppe delle mie mani. La notte, con i sensi troppo esasperati, sommergevo Sara con la passione più smodata, tanto da farla gridare ad alta voce dal piacere, cosa che lei si tratteneva solitamente dal fare per rispetto di Giulia. ‘Che ardore!’, commentava Sara, gongolante e appagata. ‘So che per ora non stai tanto bene. Non mi hai voluto confidare cos’è che ti preoccupa. Ma, stasera, mi hai distrutta’. ‘E domani notte sarà lo stesso: ho tanta voglia di te, tanta. Se ti chiedessi, quando sei in casa di non indossare né reggiseno, né mutandine, di non mettere i calzoni, ma sempre la gonna, così da avere sempre a portare di mano la tua intimità, il tuo seno, ti piacerebbe? Non ti sedurrebbe l’idea di essere sorpresa da tuo marito in qualsiasi momento della giornata nel potere entrare dentro di te in tutti e due i voluttuosi canali? Scompigliare i tuoi seni di carezze e di baci sotto il top o una camicetta leggera?’. ‘Hai visto a mia insaputa dei film porno?’. ‘Avanti, rispondimi: ti stuzzicherebbe, non sarebbe eccitante, erotico?’. ‘E Giulia dove la metti?’. Stavo per ribattere che a Giulia lo mettevo ogni momento in quel posto! ‘Appunto per questo dovresti stare senza indumenti sotto, perché, anche con Giulia in casa, non mancherebbero le occasioni per fare l’amore o pomiciare’. ‘No, sarebbe una cosa troppo frettolosa, da una botta e via: io ti voglio gustare con pacatezza, voglio accendermi gradatamente con le coccole, i preliminari così accattivanti e davvero eccitanti. E’ vero, l’altro pomeriggio ci siamo scatenati di colpo: ma, era perché non lo facevamo da qualche giorno e, poi, avevi una voglia di me così prepotente da trasmettermi un intenso fluido erotico, di bruciante desiderio. No, non mi appagherebbe così. Certo, se non ci fosse Giulia, mi piacerebbe, mi galvanizzerebbe qualche intemperanza, anche aggirandomi nuda per casa, come saltarti addosso e cavalcarti a mio piacimento. Sarebbe un gioco erotico che non nascerebbe così a comando, ma che si snoderebbe in un crescendo, perché saremmo soli e insieme, capisci? Vediamo, comunque, fammi pensare su’, e, così concludendo, sospirò illanguidita e allungò la mano sul mio sesso. ‘Ti sei eccitato con questi discorsi, eh? Ci penso io a calmarti’. E, vogliosa, affondò il viso sul mio inguine.
La sera del giorno dopo, rientrando a casa, la trovai in cucina che stava preparando la cena in vestaglia. Quando la baciai sul collo, prendendola di dietro, le infilai la mano sotto l’indumento: era nuda, tutta nuda. Scivolai sempre più in giù fino a incontrare il folto velo del suo sesso. Vi affondai avido la mano. Al solito, sopraggiunse Giulia, ma io continuai a stringere quel tesoro rutilante nella mia mano, fino a quando mia figlia non mi fu quasi addosso. Mia moglie rimase celatamente ad ansimare. Qualche istante dopo Giulia pilotava la mia mano in quella micetta più giovane e meno folta di peli. Anche quella sera ci congedammo per la notte già alla dieci. Sara corse in bagno per lavarsi i denti, fare pipì e insaponarsi il sesso, e io, di corsa, la tallonai dietro, rinchiudendomi con lei. Quando sentì lo scatto della serratura si girò, chiedendomi sorniona: ‘Che vuoi, cosa cerchi? Devo lavarmi i denti, fare pipì e fare il bidet. Non devo prepararmi per la notte?’, e la sua voce si fece morbida, arrochita leggermente di sensualità. ‘Pure io, ma voglio farlo insieme a te’, replicai, prendendola ancora una volta alle spalle e baciandole subito il collo in modo lubrico. Torse il capo verso di me e le nostre bocche si incontrarono avviluppandosi in un bacio profondo e febbrile. La vestaglia scivolò per terra. Le mie mani corsero sui declivi delle sue morbide colline mammarie, impastandole, strizzandone delicatamente i capezzoli. Avvertii i brividi che subito la solcarono, mentre con le sue reni si stringeva, strusciandosi, sul mio bacino. Abbandonai il suo seno destro con la mano portandola sulla mia patta e tirando fuori il membro turrito, che si insinuò pronto sotto il suo perineo. Volevo il suo culo subito e lei lo sapeva. Si piegò leggermente in avanti, abbandonai anche l’altro seno e con le dita le allargai i glutei, rivelando il suo buchetto ombreggiato dalla peluria castana. La sentii tendersi in attesa: il suo culo lo voleva dentro, subito, lo invocava. Mi portai due dita alla bocca e le colmai di saliva, scendendoli poi sopra il suo sfintere. Era così eccitata che già gemeva. In quell’imbocco inumidito poggiai la punta del mio glande e la penetrai di colpo. Lei non era stretta come lo era stata Giulia: il suo culo da tempo conosceva la prepotenza del mio cazzo e vi si era adattato. Era, tuttavia, sempre un orifizio stretto rispetto all’altro più in giù e il piacere diventava più sottile. Cominciò a sospirare con leggeri gridolini. Non volevo eiaculare per mantenermi sontuoso più tardi, ma la volevo riscaldare a puntino. Così, dopo qualche minuto, cominciai a scemare i miei colpi fino ad uscire da lei, anche se nel frattempo avevo lavorato bene con le mani i suoi seni e il suo sesso. ‘Che stai facendo, mi lasci così? Non puoi, no, che non puoi!’. ‘Certo che posso. Così sarai tanto attizzata che ti scatenerai dopo. Non dovevi fare pipì? Su, falla: all’abluzione penso io’. ‘Mascalzone, birbante: mi vuoi esasperare! No: mi sciacquo da sola’. ‘Fa pure pipì: io mi lavo i denti’. Così, mentre lei si accomodava sul water, velocemente mi spazzolai i denti. ‘Allora, che fai: mi lavi o no?’, mi chiese. ‘Ma non volevi lavarti da sola!’. ‘Ho cambiato idea’, e si sedette a gambe aperte sul bidet. Mi chinai accanto a lei, aprii il rubinetto e cominciai a lavarla, massaggiandola lentamente. Quella pastosa frizione le fece chiudere gli occhi, facendola abbandonare alle sensazioni che ne scaturivano. Lentamente lasciai scivolare due dita nella sua vagina, strofinandone la parte superiore prossima al vestibolo. Sapevo che in quel tratto c’era un punto, forse sotto il clitoride, molto sensibile che, sfregandolo, la faceva schiumare dal piacere. E fu lì che mi indirizzai, prima tamburellando la parte, poi delicatamente stimolandola. La sentii venire subito nella mia mano una, due, tre volte, gridando sommessamente dal godimento. Fu in quel mentre che Giulia bussò concitata sulla porta: ‘Vi decidete ad uscire? Anch’io ho diritto di andare in bagno. Le vostre smancerie fatele in camera vostra!’. ‘Mi sto pulendo i denti’, rispose Sara, alzandosi precipitosamente dal bidet e, preso lo spazzolino, lavandosi di corsa i denti. Qualche minuto dopo, uscimmo tutti e due, cercando per motivi diversi di non incontrare lo sguardo di Giulia. Sara aveva le gote infiammate, sia per il piacere interrotto, sia per la vergogna di essere stata sorpresa da sua figlia. Mentre questa si chiudeva in bagno, pregai Sara di andare a coricarsi: avrei aspettato Giulia per calmarla e accompagnarla a letto. Sara ne convenne: ‘E’ un momento particolare per lei: in altra occasione non l’avrebbe mai fatto. Sa quando siamo in intimità e non si è mai scandalizzata. Consolala: sei suo padre e anche un uomo. Ha bisogno di entrambi per ora’. Rimasi interdetto a queste sue considerazioni. Che avesse capito qualcosa? Aspettai seduto in cucina, ma Giulia si attardava in bagno, così andai a bussare. ‘Allora, mi fai entrare? Voglio spiegarti. Su, aprimi!’. Silenzio dall’altra parte. ‘Giulia, ti prego, aprimi: ho bisogno di te’. Girò la chiave e la porta si schiuse. Si spostò per farmi entrare. Rinchiusi la porta. ‘Allora: forse è la prima volta che ci hai sorpreso nell’intimità? Che ti è preso: c’era bisogno di quella sfuriata? Non ti avevo informata che in queste due notti sarei stato tutto per tua madre, dato che la giornata di domani sarà tutta per noi? Dunque? Ci sono forse mancate le nostre carezze, durante il giorno? Io ti amo, piccola mia, non posso fare a meno di te e non posso non solo vederti in collera, ma nemmeno col broncio. Devo vederti sorridere, sapere che sei con me. Non ti avrei lasciata coricare senza darci la nostra solita, pur se temperata, buonanotte. Su, abbracciami e baciami’. A testa bassa, mi guardava di sottecchi. La tirai verso di me, le sollevai il mento e con la mia bocca cercai la sua. Le schiusi le labbra con la lingua, incalzandola. A poco a poco, cominciò a rispondere. La mia mano corse sul suo vello a scompigliarlo, cercò il suo solco per vellicarlo fino a sentirla fremere. Poi, la presi per mano e ci indirizzammo alla sua camera. Si denudò e si sdraiò sopra il lenzuolo. Fui lesto ad accarezzarle i seni, a sollecitarne i capezzoli con le dita e con le labbra, a masturbarla fino quando la sentii venire. Bevvi il suo succo, la baciai sul sesso e sulla bocca e feci per andarmene. ‘Lo voglio in bocca’, disse, di colpo, concitata, rompendo il suo mutismo. Rimasi in silenzio accanto al suo capezzale. Allungò la mano e tirò fuori con foga il mio membro che, come sempre, era già rizzato, lo masturbò con golosità, poi lo portò in bocca, succhiandolo e facendolo scivolare in su e in giù. Ero deciso a non venire. ‘Fermati, Giulia, fermati: non sono di marmo! Come ti vorrei scopare! Domani, ti prenderò tante di quelle volte da renderti la fica rovente per giorni’. ‘Ciao, amante mio: a domani’, e, alzatasi, mi infisse un bacio di fuoco. Un fuoco che divampava nelle mie carni, quando raggiunsi Sara, che mi aspettava luminosamente nuda e ammaliante sopra il letto. Mi buttai frenetico su di lei. Avevo i sensi accesi al calor bianco. Anche le radici dell’anima avevo scompisciate dalla lussuria. Era l’ora finalmente di scaricare quella lava che mi colava nelle ossa e sotto la pelle sulle voluttuose forme della mia bellissima, seducente consorte. Furono amplessi appassionati ed estenuanti, lunghi ed intensi, che si protrassero sino a notte fonda, poi, calda ed appagata, con la fronte sopra la mia spalla, distesa tutta su un fianco dal bacino in giù su di me, una gamba accavallata sopra la mia, col suo morbido bosco che riscaldava una parte del mio bacino, Sara si addormentò. Nella tenue luce della stanza illuminata da una lucciola ne coglievo i contorni luminosi, morbidi, sensuali: era davvero bella anche con i suoi trentotto anni. Per nessuna cosa al mondo avrei voluto perdere quel prezioso incantamento e, nel contempo, non volevo che si distruggesse di gelosia mia figlia: lei era il mio amore, la luce dei miei occhi, un sospiro dell’anima, ma anche un peccato di torbida lussuria. Ormai era diventata, eroticamente, succube del sesso. Non riusciva a stare senza i miei palpeggiamenti, i miei stimoli sessuali, senza la sodomizzazione. Prenderlo nel culo era diventata una necessità ineludibile, un piacere a cui, esasperata nei sensi, non poteva rinunciare. Analogamente accadeva per i seni. Erano un altro punto erotico di altissimo godimento, purché a palpeggiarli, a maneggiarli, a compulsarli con la lingua e le labbra fossi io. Anzi, entrava in calore solo a vedermeli fissare sia sotto che sopra la camicetta: i suoi capezzoli si rizzavano immediatamente, turgidi come bacche e il desiderio in me avvampava come il calore nel ventre di un vulcano. Non che io fossi meno schiavo delle forme del suo corpo, del suo modo di porgerlo, della spontaneità e insieme della torbida morbosità in cui me lo offriva: solo che lei esperiva all’infinito quella ostentazione, incendiando di continuo i miei sensi e il mio fallo. Era da solo dieci giorni che la possedevo in quel modo improprio, e sentivo la vita defluire da ogni poro del mio corpo, debilitato dalle troppe effusioni delle mie ghiandole seminali. Non potevo ad un tempo soddisfare mia moglie e, in modo così parossistico, Giulia. Mia figlia doveva assolutamente comprendere questo, se non voleva vedere suo padre finire in un nosocomio o al cimitero. Sì, perché, come un impenitente drogato, non avrei potuto più fare a meno della sua acerba e lussuriosa sessualità. Che fare per accontentare entrambe senza rinunciare a nessuna di loro due? Guardavo Sara, il suo viso rilassato, le labbra increspate in un sorriso, il suo corpo morbido, pieno, voluttuoso. Mi venne istintivo volgermi un poco verso di lei e, con la mano, accarezzarne le forme: la seta della pelle mi incantava, il velluto di un fianco, la morbidezza sensuale dei glutei. E, poi, il folto vello che mi faceva sempre vibrare. Lo accarezzai blandamente, ne cercai la nascosta fessura e ne percorsi languidamente il solco. Un fremito mi percorse il braccio. Com’era morbido e caldo! Continuai quella leggera carezza e lei agitò la gamba sul mio ventre. Risalii la mano sul suo gluteo, mi torsi di più verso di lei, potendo così stendere maggiormente il braccio, finché le mie dita incontrarono le grinze del suo sfintere. Mi piacque forzarlo appena: era umido e vellutato. Mi portai le dita alla bocca e li inumidii di saliva per ridiscenderle su quella intima rosellina. Spinsi di più e le due dita sgusciarono facilmente dentro. Li agitai in un leggero saliscendi per riscontrarne l’effetto sulla dormiente. E il corpo di lei inconsciamente rispose con dei sospiri eccitati. Le piaceva quel leggero movimento nell’ano, più di quanto da sveglia potesse ammettere con se stessa. Sapevo che Sara era passionale, ma c’era una parte nascosta, più lussuriosa, che non aveva del tutto tirato fuori. Era questa parte che dovevo stimolare, farle scardinare ogni ritegno di ipocrita pudicizia. Chissà, forse questo era il grimaldello che avrebbe potuto farle accettare di avere Giulia nello stesso letto con me e, chissà, ancora, se avessi potuto spingere le due femmine a spingersi anche in un erotico rapporto saffico. Sarebbe stato davvero paradisiaco. Continuai ancora in quel delizioso saliscendi nell’ano di mia moglie, finché la sentii godere nel sonno. Tirai fuori le dita, le accostai per alcuni istanti al suo sesso, ne constatai deliziato gli umori caldi che dalle labbra carnose erano fluiti in un sottile rivolo fino all’attaccatura della coscia, quindi, giratomi da un lato, soddisfatto, mi addormentai.
VII
‘Ehi, dormiglione, non vuoi tenermi compagnia in cucina?’: era la voce di Sara, morbida e ridente. Ancora mezzo addormentato, borbottai: ‘Ma che ore sono? Fammi dormire, ho solo bisogno di sonno, non di caffè’. ‘Niente tribunale, oggi? Niente clienti qui allo studio?’. ‘Lasciami dormire, Sara: non mi muovo dal letto almeno sino a mezzogiorno’. ‘Va bene pigrone. Sono le fatiche di stanotte: stasera ripeteremo, per consolarmi di una giornata esiliata a scuola. Vado, intanto, a vedere se Giulia si è alzata’. Dopo qualche ora ritornò tutta ben vestita e truccata. ‘Anche tua figlia oggi non ha voglia di alzarsi: sta male, non ha dormito e le viene da vomitare. Io devo andare: non voglio arrivare in ritardo. Se non ti costa troppo, alzati, e vedi cos’ha quella ragazzina. Meno male che la scuola è agli sgoccioli: credo che stia vivendo questi giorni in modo pesante. E dire che mi sembrava di umore migliore. Non mi fate stare in pensiero. Chiamerò più tardi al cellulare. Ciao’. Si chinò su di me, mi baciò e andò via. Per la verità, fosse dipeso dalla mia volontà, mi sarei rimesso a dormire di buona lena, ma sapevo, che, uscita la madre, Giulia si sarebbe catapultata sul mio letto: era la sua luna di miele. Anzi: il regalo della verginità a suo padre e al suo fallo.
E, infatti, Sara aveva appena chiuso i battenti che Giulia si precipitò nella nostra camera, a modo suo: nuda. ‘Il mio papà!’, gridò giuliva, tuffandosi sul letto. Era davvero una ninfa della mitologia greca: bellissima e sensuale. La luce le danzava attorno rendendo la sua pelle opalescente: mozzava il fiato a guardarla. Era alta per la sua età, quasi un metro e settanta ben distribuito in proporzione e armonia, un seno tornito, anche se ancora immaturo, a coppa di champagne, sodo e talmente sostenuto da potervisi aggrappare come a degli acrocori, una terza misura scarsa, fianchi flessuosi, bacino ampio, con quella fulgida conchiglia, vellutata, castana del suo sesso, gambe lunghe, agili. Il suo andamento era felpato, felino, sensuale: faceva, appunto, venire le farfalle nel ventre dal desiderio. Uno scrigno di erotismo. Ed era mia figlia, che mi si offriva, sempre, calda, vogliosa e insaziabile. Il suo nasino dalla narici larghe e frementi spiovve sulle mie labbra. ‘Buongiorno tesoro: sei bellissima!’, farfugliai, abbacinato. ‘E tu sei un figo stupendo, tutto da sorbire’. E la sua voce era un velluto incandescente. ‘Ti sono mancata?’. E si distese per tre quarti su di me: i suoi seni scavarono il mio petto e vi ondeggiarono. ‘Non mi baci?’ E fu lei a schiudere le sue labbra tumide, a divorare la mia bocca. Risposi pronto al suo bacio, mentre la circondavo appassionato tra le braccia. Mi si distese interamente di sopra, calcando il suo pube sul mio, incendiando il mio addome e scalmanando il mio cuore. Già mi ero riempito del desiderio di lei, già le mie mani la cercavano, frenetiche, tutta. Il mio sesso svettante, schiacciato sotto il suo ventre, la implorava. Lei lo avvertì, prepotente, e, bramosa, cominciò a strusciarsi di sopra. ‘Finalmente sarà mio’, mi sussurrò sulla bocca con voce arrochita e sollevandosi a sedere, accosciata, sopra il mio grembo. Non volevo che fosse così immediato, intempestivo, l’amplesso così tanto agognato. ‘Non ancora, amor mio’, e feci uno sforzo immenso per scostarla, facendola ricadere al mio fianco. ‘Prima dobbiamo rifocillarci: ne ho assoluto bisogno, se mi vuoi in buona prestanza. ‘Un assaggio, papà. Un piccolo assaggio. Il mio imene smania allo stremo di essere infranto’. E, pronta, allungata la mano, avida impugnò il mio pene. Vi si rovesciò con il capo e, scopertone il glande, vi appose il tocco delle sue labbra appena schiuse. Sobbalzai, quasi mi avesse scottato. ‘Lo voglio gustare e poi sentirlo scorrere, qui, sul mio viso, sopra i miei seni, sul mio pancino, ancora, qui, sul mio sesso, tra le cosce, dentro il mio culo. E’ come un rovente saluto. Non posso più farne a meno. Mi hai depravato quel buco, che geme e si strugge, bramoso, se non si sente sempre colmato. E’ come una droga, cocaina, eroina. La prendi perché incentivata da amici, compagni, più per compiacimento, curiosità. Si prova piacere, ma non così intenso. Solo perché è la prima, ti dicono. E vai, ti fai la seconda. Poi la terza e la quarta. Ormai sei dipendente, schiava fino a impazzire. Sei tu che ti danni a drogarti, perché non puoi più farne a meno. Il tuo cazzo per me è come droga, un maglio di carne che estasia le mie riposte mucose e mi dà onde tonanti di voluttà. Tu mi hai instillato un piacere così intenso, di cui mai più riuscirò a fare a meno. L’hai reso un vorace mortaio che esige il suo maschio pestello. Sei giorni m’hai fatto ospitare un simulacro del fallo. Un pegno pagato al tuo amore, che in breve divenne un piacere. Ed era un fallo di lattice! Il tuo lo sento pulsare, tenero e duro, rovente e deciso che avvolge quel vuoto, lo copre, lo riempie, lo inonda, sfinisce di gaudio le mie terga. Prendilo almeno un poco, dagli un po’ di ristoro, fallo godere!’. E, giratasi, si mise carponi sul letto, le dita a slabbrare le anse dei glutei. Allucinato da quelle esposte colline, flessi le gambe e mi calai su di esse quasi spietato, imperioso. Immersi il mio membro nel suo ano, una mano a ghermire un suo fianco, l’altra a stremare la fica. Mugolò dal piacere al possesso e pronta a sentire il mio seme. Mi bastò sentirla venire, dagli spasmi dello sfintere e dal miele che irrorò la mia mano. Potevo, perciò, uscire da lei, con le mie gonadi piene, in attesa di poterle svuotare nel suo grembo inviolato. ‘Fammelo tenere, però, un po’ nella mano. E’ bello sentirlo gonfiare, rizzarsi dentro il mio palmo. Voglio camminare per casa con la tua verga serrata. Non ci siamo mai aggirati nudi per casa e vedertelo così, libero, forte, imperioso. Se lo tenevo in mano, era solo in camera mia o di nascosto. Oh, guarda! Si è raggrinzito: è sottomesso, senza arroganza. No: voglio sentirlo innalzarsi, perché so l’effetto che gli faccio, quando lo stringo nella mano: si inalbera, insuperbisce. E con lui nella mano mi assale un piacere diverso da quando mi prendi: è come se il tuo membro fosse mio e, compiaciuta della sua fierezza, mi sento inorgoglita dentro. Ecco: è un piacere d’orgoglio maschio. Vi sentite potenti voi uomini, perché potete penetrare in ogni buco una donna: il fallo colma e non è colmato’. Prese il mio sesso con la mano destra e mi costrinse ad alzarmi. Era buffo, e nello stesso tempo eccitante, muoverci per casa in questa curiosa posizione. Quando uscimmo già dalla camera da letto, il mio sesso era più che infervorato. Dubitavo che avremmo potuto compiere il tragitto dell’intera casa senza che mi sciogliessi. E io non volevo assolutamente eiaculare. ‘Non resisto più’, dissi quando fummo in prossimità del mio studio. ‘Sto per venire e non voglio. Mi sta letteralmente bollendo dalla voglia che agogno saziare solo lì’, e con la mia mano le agguantai il sesso. ‘Ti riempirò del mio seme fino a fartelo schiumare in gola. Scoparti, fino a quando ti dovrò sentire ‘basta”. ‘Oh, no: questo è impossibile! Non mi sentirai mai dirlo. Non sarò mai sazia di te. Se potessi, oh, sì, se potessi, vorrei averti dentro tutta la vita. Andare in giro con il tuo membro dentro di me, come un cordone ombelicale. Non potrei mai essere sazia di te. Ecco, già la smania mi assale, là sotto tutto mi si contrae: facciamo presto, non posso più aspettare!’. ‘Lasciami! Preparo la colazione, poi, cercheremo per qualche ora di distrarci per non vomitarci di sopra e infine cominceremo la nostra luna di miele. Però, lasciami: non senti che sono sull’orlo?’. ‘Sì, lo sento che è teso al massimo. Lo sento pulsare e avvampare e questo mi arrapa. E, va bene: lo lascio! Intanto, mi vado a vestire.’. ‘A vestirti? Ma, se non vedevi l’ora di aggirarti nuda per casa? E, poi, sei così bella che il solo guardarti è una carezza di gioia sui miei occhi e al mio cuore’.’Adulatore! Voglio, però, vestirmi, a modo mio. Tu prepara la colazione’. E, lasciatomi, corse verso la sua camera. Ci feci caso, allora, che ero vergognosamente nudo con quel randello proteso, ma mi compiacque l’idea d’essere nudo vicino a mia figlia. Mi sentivo così libero e vivo!
Ogni mattina io e Giulia ci prendevamo una bella tazza di latte, lei con il cacao io con il caffè. Lei ci buttava dentro mezzo pacco di cereali, io vi spezzavo un po’ di pane di grano duro. Era Sara che ci preparava la colazione. Stamattina la sostituivo. Intanto che riscaldavo il latte, presa una confezione di multivitamine, ne tirai fuori due compresse e le mandai giù con un po’ d’acqua. Mentre stavo versando nelle tazze sopraggiunse Giulia. Indossava una maglietta di cotone, bianca, leggerissima, che, pencolando su dal suo statuario seno, scivolava appena sotto lo sterno, e un paio di ridottissimi calzoncini jeans, sfrangiati, che lasciavano scoperta la parte discendente dei glutei, declinanti verso le cosce. Era da infarto. ‘Ti preferivo nuda. E, poi, credevo che ti rimettessi gonna e camicetta. Riconosco, però, che sei uno schianto. S’attizzerebbe pure a un santo’. ‘Allora ti piaccio? Se rimanevo svestita, come avresti potuto denudarmi? E, io adoro quando mi spogli, quando mi frughi sotto le vesti. Già mi immagino le tue dita a brancicare sotto la maglietta e a rovistare dentro i calzoncini, senza mutandine.’. Tirai su un respiro profondo e non commentai: per me lo faceva il mio sesso, che tornava a decollare. Lei vide e rise, mentre si accomodava a sedere. Portai in tavola insieme al pane e alla scatola di cereali e, spiandoci negli occhi, cominciammo a fare colazione. Finito, lei si apprestò a sparecchiare e a rigovernare. Seduto, la stavo a contemplare. Pensavo come avremmo dovuto impiegare il tempo nell’arco di un’ora, senza ritrovarci l’una nelle braccia dell’altro, o, meglio, senza che lei mi stesse troppo vicina. Avevo del lavoro da sbrigare nello studio, ma, con lei accanto, sarebbe stato inutile. Eppure, la fortuna mi venne incontro: suonarono alla porta. Alle nove del mattino poteva essere solo un cliente o il portiere. Guardai dallo spioncino: era un cliente. Lo pregai di attendere qualche minuto. Di corsa mi vestii, mi rassettai alla meglio e andai ad aprire. Una questione di eredità era il problema, che mi portò via più di un’ora di tempo. Quando il tizio uscì, Giulia mi si catapultò addosso. ‘Non ti verrà più l’idea di aprire a chicchessia da ora in poi: nemmeno se scoppia un incendio nella palazzina!’. ‘Ci puoi scommettere, piccola. L’incendio è cominciato a divampare’. La presi per mano e, spedito, mi avviai verso la camera da letto.
In piedi, vicini ad un angolo del letto, la grande finestra, con le persiane tutte tirate su, alla nostra destra, illuminava a giorno la stanza. I riflessi della luce facevano scintillare di un velo trasparente il lato sinistro del corpo di Giulia, rendendo quasi eterea la sua bellezza. Tendemmo le braccia l’uno verso l’altra e ci tenemmo per le mani, le dita ripiegate, tremanti, le une dentro le altre, guardandoci smarriti negli occhi. Era come se fosse la prima volta, ma con lei era come se fosse sempre la prima volta. Dolcemente l’attirai su di me e la mia bocca si schiuse appassionata sulla sua. Un lungo, delizioso bacio. Avide le mie mani corsero sopra i suoi seni a tastarne le rotondità. Sotto la maglietta i suoi capezzoli di già rizzati si ersero di più e li sentii emergere svettando sotto i palmi delle mie mani. Volevo aspettare ancora, prima di frugarla sotto la stoffa e, infine, sfilarle l’indumento. Doveva gustare la sensazione di essere accarezzata e, a poco a poco, trafugata e scoperta. Corsi a cercare i suoi glutei, a stringerli sopra i calzoncini, sospingendola sopra il mio pube. Frenetiche anche le sue mani armeggiarono sopra il mio petto, sollecite nel togliermi giacca e camicia, nel cercare la cintura dei miei calzoni. Ero nudo di nuovo. La sospesi tra le braccia e l’accomodai sul letto.
Rimase immobile, increspata solo di desiderio. Il respiro era affrettato, le nari dilatate, gli occhi febbrili. Tutta lei era in attesa. Mi sistemai a ponte su di lei, le ginocchia infossate sul letto appena sotto il suo bacino e per alcuni istanti la contemplai. ‘Dio, quanto sei bella! Ti amo, ti desidero, ti voglio’. Mi piegai sul suo busto e le mie mani cercarono i suoi seni sotto la maglietta. Vi si riposarono per alcuni istanti, stupite, stordite da tanta fragrante femminilità. Quasi potessero assorbire quella inebriante voluttà, li attanagliarono come a soffocarli. Poi, allentarono la stretta, trepide di avergli fatto male, per riafferrarli, spaventate che potessero fuggire, che non potessero più bearsi della loro morbida marmorea delizia. Ero estasiato da quelle sensazioni che dalle dita si diffondevano per ogni punto della mia persona. Quasi a spezzare quella incantata immobilità, Giulia, si sollevò di colpo e rapida si sfilò la maglietta per serrarsi a me, stringendomi per il collo in un abbraccio vibrante e incollandosi alla mia bocca con la sua. Poi, mi sussurrò, la voce roca: ‘Prendimi: è insopportabile la voglia. Il fuoco mi scorre nelle ossa. Ti voglio, lo voglio!’. La risospinsi sul letto, mentre lei mi scioglieva dall’abbraccio e mi portai sui suoi fianchi con le mani. Mi soffermai ancora un attimo a spiarla negli occhi e, sbottonato i calzoncini, li tirai giù fino a sfilarli dai piedi. La sua fica mi si stagliò col suo manto serico come una folata di bruciante scirocco e mi arroventò le carni. Scesi le mani, distanziate a preghiera, sul suo bacino, poi, lentamente, a campana, le abbassai su quella impudica, concupiscente collina e le colmai a saziarne il desiderio struggente. Ero febbricitante e riverente come se stessi per addentrarmi in un bosco incontaminato e sacro. E il profumo che alitava da quel bosco mi accarezzava il viso come una brezza marina. Una ruga nel grembo del mondo, vergine e inesplorata, era la fica di mia figlia. Ero abbacinato da quel greto. Nelle sue anse sprofondare e rovistare gli scandagli nascosti, compulsarne gli anfratti, sprizzare dai fondali e dai greppi palpitanti rivi d’ambrosia. Lentamente discesi le mie labbra a esplorane i contorni. L’attacco della coscia, vicino al perineo, risucchiai leggermente con le labbra, con la lingua lo strusciai, quindi, pian piano, esasperando d’attesa quella bocca accesa, il contorno del pube fino all’inguine opposto. Poi, mi addentrai ramingo nei meandri del suo boschetto ammaliante, come il giardino di Armida, scompigliandolo con la bocca, col naso, con tutto il viso. Il dorso delle mani poggiato ai lati del suo triangolo pubico, con le labbra scesi il declivio del suo inguine, ricamando con la lingua e con baci le tremolanti rive del suo sesso, per poi allontanarmene verso l’interno coscia. Un supplizio per lei che smaniava esponendo il pube, tendendolo allo spasmo, perché fosse preso. Ma, fui impietoso: volevo farla sfinire dall’attesa e dagli orgasmi che rotolavano come torrenti straripanti. Attinsi, ebbro, gli umori gorgoglianti nel suo lussurioso greto, suggendola delicatamente, facendo scorrere le mie labbra lungo tutto il solco. Lei inarcò il bacino al parossismo, rovesciando il capo da un lato e dall’altro sul cuscino, le dita tra i denti, il volto roso dalla sofferenza del piacere, gli occhi naufragati nell’assenza, i gemiti da animale ferito. ‘Prendimi, prendimi!’, ogni tanto riusciva a lamentare tra i sospiri smozzicati, protendendo in offerta l’urna della sua femminilità struggente. Io incalzavo, invece, il mareggiare di gaudio che dal suo sesso si rovesciava fragorosamente nel suo cervello. Insinuai la punta della mia lingua tra le labbra palpitanti a cercare le pieghe più nascoste. Avvicinai le dita a quel sacrario di lussuria e ne allargai le sponde e il pistillo rubescente emerse svettante di desiderio. Con l’indice grondante del suo miele lo volli accarezzare. Sobbalzò la sua vulva sulle mie mani come per una scossa elettrica. Morbido e teso: era bello vellicarlo. Poi, vi avvicinai la bocca e cominciai a leccarlo con la punta della lingua. I suoi gemiti si decuplicarono, mugolava disperata. E venne, subito venne: con spasimi dirompenti, inarcando allo spasimo il pube, venne e poi venne, mentre, imperterrito, succhiavo quel membro in miniatura come un capezzolo. La sentii urlare come impazzita: ‘Non ti fermare, non ti fermare. Muoio, papà, muoio. Non ti fermare. E non mi fermai. La bocca inondata dal profluvio della sua rugiada fragrante, continuai a martirizzare quel prepuzio stillante piacere, finché schiantata, il pube convulso di spasmi, implorò di fermarmi. ‘Il mio cuore si spacca: fermati, papà. Solo per un momento.’, e fu un bisbiglio sconnesso. Accoccolatomi a ciambella a suoi piedi distesi in silenzio la mia guancia sul suo pube come sopra un cuscino assaporando il serico tepore ed il forte profumo del sesso. Un tempo di sosta, poi, fui nuovamente in ginocchio ad armeggiare su di esso. E lei in calore attendeva. Ero pronto a violare il suo grembo. Introdussi il mignolo e subito avvertii la membrana. Ne cercai il forellino e dolcemente vi scivolai con la punta. Lentamente lo ruotai e, poco alla volta, avvertii che la membrana cedeva: si allargava sempre di più. Sfilai il mignolo e infilai l’indice, ripetendo l’operazione di prima. L’imene si era dipanato senza sanguinare e senza causare dolore. Lei si era sentita frugare di dentro, ma non aveva capito cosa facessi: pensava che volessi masturbarla. Non si era accorta che la sua verginità era stata ormai infranta. La trascorsi di nuovo sul vello, sul solco, così deliziosamente angariato, col dorso delle mia dita, poi vi scorsi la lingua e riscoprii il suo rubino. Assetato di nuovo a vellicarlo, lapparlo, fino a che lei cominciò a sussultare: cominciava di nuovo a godere. Lesto lasciai che due dita sgusciassero ingorde nel sesso. Tastarono, errando, le grotte, cercarono il lieve rilievo che racchiudeva il piacere, lo scandagliarono e, avide, vi danzarono le loro carezze. I gemiti si fecero accesi, bagnati di intensa passione, la mia bocca, intanto, suggeva il suo bocciolo di carne. Convulsa agitava il suo sesso, inarcando il bacino alle stelle. Struggenti, affannati, i deliri le soffocavano il cuore. Ora, potevo scoparla, colmare la sua urna ruggente. La trassi sulle ginocchia, calate sotto le natiche. La mia mano brandisce il maglio anelante di sprofondare nel parco di voluttà verginale. Si poggia sul sensuale rigoglio la cuspide del mio tulipano, sguscia tra le roride labbra, si spinge deciso nell’antro, si insedia, lo colma, inchiavarda. Mi piego su di lei, lancinante di mugoli estenuati, mi abbarbico affamato dei suoi seni con le mani, li sforzo, li attanaglio nella smania del possesso, mentre aizzo le sue segrete soglie con meditati affondi che si abbattono con lo schiaffo di un cavallone. Le sue gambe si attorcigliano sui miei fianchi come chele d’aragosta, i suoi occhi, ‘vivi suggelli / d’ogni bellezza,’ dardeggiano smarrite attese di voluttà proibite. Il mio sguardo s’incanta: è così bella da frastornare, da ottundere il senno. Accelero i colpi dentro di lei. Il suo sesso appena violato stringe come un guanto il mio sesso, che freme già di eiaculare. Mi fermo. La mia mano corre sul suo bocciolo di carne, si bagna dei suoi umori e poi lo sollecita, ruotando su di esso l’indice. Lei, ormai, alla deriva dei sensi, fluttua sopra i marosi del godimento, che si rovesciano uno sull’altro con fragori di tuono. Riaffondo il mio gladio nell’urna e incalzo con foga le grotte vogliose di esser prostrate. Irruento, scorro sempre più veloce. Le sue gambe mi strangolano il busto, così violento il piacere la scuote. Spasimo sino allo stremo, sciogliendomi dentro di lei. I suoi seni raccolgono, inermi, gli spasmi delle mie dita convulse. Esausto mi abbatto su lei esanime, schiantata dai sussulti degli innumerevoli orgasmi. Defluisce ormai come la marea che si perde in crespe nel mare lontano. Lentamente, per gradi, emergeva dall’oceano di pace. Un leggero sorriso di beatitudine increspava le sue labbra, un velo di appagamento le accarezzava il volto. Nel riflusso cominciava a misurare la valanga del suo godimento. Il mio pene che si andava afflosciando riposava dentro di lei, che non mostrava volesse sfilarlo. Un cordone ombelicale, aveva detto. Sì, era vero: se fosse dipeso da lei, se lei avesse potuto, m’avrebbe sempre tenuto col sesso dentro il suo grembo. Gelosia, amore paterno, invidia inconscia del pene, piacere sottile e struggente della proterva arroganza del maschio, del morso che imbriglia la sotterranea voglia. ‘Rinasco!’: un sussurro, un fruscio di serica voce. ‘Emergo da un godimento bacchico. Onde di luce, fragori di voluttà smisurate, oblio, pace, totale dimenticanza del corpo e dell’anima. Sballottata, onda tra onde, tra sensazioni primordiali, estenuanti nel parossismo di voluttà. E non capire se ondeggi sulle creste degli albori della vita o negli spasimi agonizzanti della morte. Tutto m’è stato dato. Agognerò fino all’ultimo istante del mio respiro ritornare in quell’oceano di piacere in cui mi hai fatto naufragare sino all’abulia dei sensi. Una colonna corinzia il tuo sesso, che martellava i più lontani recessi del mio grembo. Il mio utero quasi si scardinava dai suoi infissi, così possenti erano i colpi vibrati contro. Oh, non uscire, ti prego, non uscire da me’, invocò stringendomi il viso tra le sue mani. ‘E’ così tenero, ora, piccolo, indifeso! Un bambino appena nato, che chiede il tepore della sua mamma. Lascialo dentro di me, ha bisogno di me. Guarda! Tra poco tornerà a rifiorire, si farà grande, fiero e baldanzoso nella mia culla, la invaderà e mi farà gioire coi suoi sobbalzi. Ci vuole un fodero giusto per un pugnale così speciale, come quello del padre. Il mio, solo quella della figlia, che spasima i tuoi lombi, che anela fondersi con te. Una cosa sola. Tu mi fotti sino allo stremo, perché, col tuo maglio, ti dissolvi, mentre ti sciogli, in ogni fibra della figlia. Tu ed io siamo solo una cosa. Ti amo, papà, ti amo come la vita ama se stessa ed espelle ogni ombra di morte. Vivo in te, tu dentro di me, con me, sempre, al di là dello spazio e del tempo’. Che cosa le stava accadendo? Sembrava una profetessa dei tempi antichi, ispirata dal dio. Ne ebbi una sorta di religiosa paura. Un piacere bacchico! Le Menadi che seguivano Dioniso, nelle follie orgiastiche, invasate dall’ebbrezza dei sensi. Non ricordo dove avevo letto che Tommaso d’Aquino metteva in guardia dall’incesto non perché fosse peccato, ma perché il piacere sortito sarebbe stato così insopportabile da diventare distruttivo. Morire, morire dal piacere? No, mai. Vivere, solo vivere con lei, per lei, e con sua madre. Forse era un capriccio perverso o incommensurabile amore, ma volevo tutte e due le mie donne. Ma avrebbero tutte e due accettato di avere lo stesso uomo, marito dell’una e padre dell’altra?
VIII
‘Non ti peso troppo standoti addosso? Ho bisogno anch’io di prendere un po’ di tregua: mi sento svuotato. Qui, disteso accanto a te, voglio che sciabordi lentamente l’oceano di meravigliose sensazioni che mi hanno alluvionato. Sono entrato in te come fosse stata la prima volta con una donna, con trepidazione e desiderio ruggente. Mia bellissima, dolce, sensualissima Giulia, stare dentro di te mentre le mie dita attanagliano i tuoi seni superbi e voluttuosi più di quelli d’alabastro che i mussulmani attribuiscono alle uri! Bere baci dalla tua bocca mi frastorna e mi ubriaca. Mi rendi beato con il tuo amore, figlia amatissima. Vorrei che il tempo si fermasse e che il mio seme potesse fluire come sorgente perenne, perché, standoti dentro, facesse innalzare un inno di tripudio al tuo grembo voglioso. Ti amo, piccola mia, ti amo. Ho conosciuto il peccato: è così succulento e vitale. Non posso più farne a meno. E’ come la conoscenza: la mente si smaga a scrutarla e vi spazia ingorda a frugare’
Giulia mi ascoltò rapita. ‘Mi ami allora così tanto? Non potrai mai più fare a meno di me: sarò la tua unica donna. I miei seni, la fica, la bocca, il mio culo saranno rifugio confortevole, trastullo del tuo desiderio, io tutta sarò golosa alcova’. Mi adocchiò compiaciuta, mentre le narici cominciavano nuovamente a dilatarsi e il desiderio di me, del mio sesso, la riprese, illanguidendola tutta. Intanto, le avevo raccolto la mano e teneramente stretto. Lei si volse su un fianco e si strusciò contro di me, stiracchiandosi. ‘Come si è acchiocciolato’, disse, indicando il mio sesso, ‘impigrito! Vorrebbe intenerirmi. Invece so che è tutta una finta: è spavaldo, insolente e sfrontato! Guarda come si inalbera appena lo tocco!’. E, piegatasi, allunga la mano per accarezzarlo con la punta delle dita. Il pene ebbe un sussulto immediato. Lei si chinò di più e lo raccolse con tutte e due le mani. La guardavo tra il divertito e l’eccitato. ‘Che ti dicevo? Ecco che si è arrabbiato. Ha sollevato subito la cresta’. ‘E’ l’effetto che gli fai tu. Non c’è bisogno che lo accarezzi: basta che lo guardi. Anzi: basta che io ti guardi. Senza contare l’impatto del tuo seno. Occhieggia tronfio baluginando contro i miei occhi e la voglia di addentarlo come una melagrana è irruente. Non ho per nulla il controllo su quell’arnese. Ecco. Ormai è perso: si è rizzato come un soldato davanti a un generale. Ti vuole’. ‘Anch’io lo voglio’, rispose Giulia con voce incrinata dal desiderio. Vi accostò le labbra e lo baciò sul prepuzio, che mostrava già la cuspide del glande. Un ennesimo sobbalzo e il membro si impettì maggiormente. Lei lo serrò come un trofeo, mentre lo scappucciava. Aprì la bocca e lo lasciò sgusciare dentro, cominciando a masturbarlo con ingordigia, assaporandolo come un sorbetto, sollevando ogni tanto gli occhi verso di lui, volendo coglierne le sensazioni. E mi lasciai cullare dalle increspature voluttuose che la bocca di lei mi recava. Vedevo le sue guance infossarsi nel risucchio profondo, come se con il seme avesse voluto aspirarmi l’anima. Non sarei durato molto. La voglia di venire era insopportabile. Lei continuava a guardarlo di sottecchi sorniona e golosa. Come la marea il piacere saliva su dai precordi sempre di più, finché non si contenne e sgorgò con impeto nella bocca di lei che lo ingurgitò tutto sino all’ultima goccia. Poi, soddisfatta, si passò il dorso della mano sulle labbra, come un vampiro fa col sangue della sua vittima, quando le cola in un filo da un angolo delle labbra. Era il mio vampiro, ma agognavo che lei si dissetasse alla fonte della mia virilità. La guardavo inebriato, soggiogato come da una malia. Le narici di lei continuavano a vibrare: non era ancora sazia. Del resto, era il primo giorno di nozze e dovevo onorarlo, fino a sfiancarmi, a piagare i lombi e a far sanguinare i testicoli. La dovevo sentire, almeno per quel giorno, sazia di me. La dovevo sfinire, arroventandole con le mie penetrazioni lo sfintere e la vagina. Dovevo sentirla implorare: ‘Basta, non ne posso più!’. Ci dovevo riuscire.
Con il membro ancora in mano, lei aspettava di pregustarlo ancora o, comunque, di vederlo rifiorire. Le piaceva tanto sentirlo crescere nella mano. Lo aveva detto: quel pene era suo, un suo giocattolo adorato. E il pene cominciò, infatti, a rizzarsi e lei se lo riportò tra le labbra per vellicarlo con la lingua e baci accennati. No, ora la volevo col suo profumo di donna. Volevo setacciare quel corpo lussurioso in tutti i suoi tratti, esplorarne la pelle in ogni suo punto, tormentare quei seni per stordirmi della loro fragranza, scavare nel suo ventre e nelle sue terga fino a sfibrarla, a farla schiumare dal piacere. ‘Vieni’, le dissi con voce infiammata dal desiderio, ‘vieni qui, tra le mie braccia: ti voglio bere in ogni lembo della tua pelle’. Mi sollevai a sedere, mentre lei si buttava tra le mie braccia. Le nostre bocche si aggrovigliarono, le mie mani la cercarono tutta, frenetiche, ingorde. Poi, lentamente, la distesi, sempre tempestandola di toccamenti, carezze e baci. Lei cominciò a impetrare il mio membro, le gambe spalancate e protese, la vulva esposta come in un sacrifico. Ancora una volta, fu una sinfonia di baci su quella lussuriosa apertura, ghiotto nel lapparle la fragola del piacere. Mi introdussi nella sua intimità con le dita e, pronta, lei si affannò di orgasmi, finché cominciò ad implorare di essere penetrata. E, infine, entrai dentro di lei, alternando il suo sfintere e il suo grembo, e lei cadde in un deliquio di godimento senza confini. Venni copioso con un fiotto caldo dentro quell’urna aulente e non più verginale. Lei non supplicò certamente di smettere quella ridda di amplessi: era sazia, traboccante di appagamenti per chiedere ancora, E, poi, il giorno non era ancora finito. Dovevamo pensare a rifocillarci, soprattutto io.
Giulia cucinava e rimuginava. Le leggevo dentro come un libro aperto. Poi, sbottò:’Sono tua moglie: io sono la tua vera moglie. Mi hai posseduta come sicuramente non avrai mai fatto con mia madre. La confidenza che ho con il tuo sesso non arriva di certo a quella sua. Il tuo sguardo mi divora continuamente di desiderio e, se dipendesse solo da me, vorrei che mi penetrassi ininterrottamente. Questo non accade con mia madre’. Nuda, le spalle ai fornelli, mi fissò stizzita, gli zigomi imporporati. ‘Come puoi stanotte, perché lei ti vorrà tra le sue gambe stanotte, come puoi entrarle dentro, dopo un’intera giornata perso nella mia casa? Non vedo forse che solo a contemplarmi ti si rizza. Ecco che ti si è inarcato. Mi vorresti già scopare e io sarei pronta ad accoglierti. Se volessi, potrei anche ucciderti con il sesso, perché, se è vero che sono persa di te, è anche vero che so che non puoi resistere a non prendermi, se ti provoco, se solo ti sfioro un braccio col mio seno. Tu brami tutto di me. Non puoi renderti conto di quanto immenso è il mio amore. La sete di sesso che mi divora, che mi spinge ad averti sempre dentro, è perché vorrei fonderti con me, è perché ti amo tanto che vorrei essere come un mare con i fiumi che si perdono dentro. Tu sei il mio fiume: vorrei che ti perdessi dentro di me, ti amalgamassi, diventassimo tutti e due una cosa sola. Capisci? I miei non sono solo orgasmi, ma estasi, un gaudio senza confini che viene fuori dal fatto che il mio amore per te è, appunto, senza confini. Oh, so bene che mi adori. Lo sapevo pure prima che diventassi il mio amante. Lo sapevo e lo so come figlia. Ma, ora sono anche la tua amante, sei entrato dentro di me, ti sei preso possesso della mia carne, dei miei sensi, della mia essenza di femmina, hai divorato ogni lembo del mio corpo. Non hai, quindi, solo il mio affetto, il mio amore filiale, ma anche la figlia nella sua bruciante, giovane femminilità. Io non posso immaginarti scartocciare il seno di un’altra donna, vagabondare sopra la sua fica e ripararti dentro come fosse un innocuo rifugio per la notte, senza sentirmi divorata dalla gelosia. Certo, è mia madre, ma, innanzitutto, è una donna, come me. Tu ci vorresti tutte e due a letto. Per te sicuramente la cosa è di un erotismo arrapante, ma non lo sarebbe per noi donne. Mamma non ti cederebbe a me, anzi, ti considererebbe un pervertito che ha approfittato della sua bambina. C’è una sola strada per noi due: andarcene a vivere insieme’. E io che credevo avesse fatto un pensierino sopra alla possibilità di irretire sua madre in un giuoco a tre. L’ascoltavo imbambolato. Nella sua agitazione diventava così bella da togliere il respiro. Ma, come avrei potuto lasciare sua madre! Se non riuscivo ad immaginare la mia vita senza Giulia, altrettanto non riuscivo ad immaginarla senza Sara. ‘E, intanto, dovrai per forza pazientare. Sai come la penso. Ma, anche a prescinderne, prima che tu divenga maggiorenne, quello che prospetti è impossibile. Lo sai bene: non c’è uscita. E’ vero: la soluzione cui pensavo era quella di trascinare tua madre in un rapporto a tre. Ma, se tu lo giudichi impraticabile, dovremo amarci di nascosto, in un segreto inaccessibile, di cui tua madre non dovrà avere nemmeno il più larvato sentore. Lo comprendi che non c’è alternativa?’. ‘Solo se tu non andrai più a letto con lei’, sentenziò decisa Giulia. ‘Dici di essere una donna, ma ti comporti come una bambina capricciosa. Noi non stiamo giocando a fare gli amanti, siamo amanti nel senso per giunta più torbido del termine. Dici che mi vuoi sempre con te. Ma, come mi avresti, se finissi in galera? Perché quello sarebbe il mio rifugio, se non cercassi quello tra le cosce di tua madre, come dici tu. Io amo tua madre, ma, a parte questo, se vorrai avermi con te, devi, capisci?, devi accettare che tua madre continui a far parte della mia, della nostra, vita’. Non rispose. Mi guardò per un momento rannuvolata nel volto, poi, si girò ad armeggiare attorno ai fornelli. Non osavo avvicinarmi: volevo che avesse il tempo per ragionarci sopra. Io, tuttavia, continuavo ad accarezzare l’idea di avere tutte e due le donne a letto con me, a costo di confessare gradualmente tutto a Sara e farle capire che non c’era alternativa a fare l’amore in tre. Già, ammesso che fosse stata d’accordo, sarei stato capace di convincere Giulia della stessa cosa? La adocchiavo così apparentemente interessata alla cucina e non potevo non ammirare i suoi glutei scultorei, il profilo dei suoi seni, ora a destra ora a sinistra, che si stagliava così netto e sensuale e la voglia di lei mi accendeva come benzina al fuoco di un cerino. Era indiscutibile: Giulia, per me, era una droga.
Fu un pranzo silenzioso: si sentiva solo il rumore delle posate. Eppure, mi veniva da sorridere. Eravamo entrambi nudi. Forse solo io ne ero consapevole. Giulia era come se fosse stata sempre in quella tenuta. La nostra casa come l’Eden, con mia figlia a posto di Eva e io al posto di Adamo e il mio pene sempre a tiro al posto del serpente. Avevamo fatto un’indigestione di frutti proibiti. E non mi stancavo di farne. Guardavo le sue labbra carnose, il suo seno che svettava con due fragoline inturgidite in cima e la tentazione di alzarmi per mordere quelle labbra e scompigliare di baci quel seno era irresistibile. E lei lo sapeva. Ostentava il suo corpo bellissimo in modo insolente e peccaminoso, totalmente conscia dell’effetto seducente su di me. Ma dovevo resistere, la dovevo piegare. Doveva accettare le mie condizioni: condividermi con sua madre, o separatamente, o tutte e due insieme.
Finito di pranzare, lei si alzò per sparecchiare e si mise a rigovernare e, da certi movimenti del capo, capii che si attendeva che, da un momento all’altro, l’abbracciassi da dietro le spalle. Invece, dopo essere rimasto ad osservarla per qualche minuto, mi alzai indirizzandomi alla camera da letto per rivestirmi. Non poté fare a meno di sobbalzare, quando mi presentai in cucina tutto vestito. Sorpresa e allarmata, mi guardò interrogativamente. ‘Esco: ho bisogno di stare solo. Non riesco ad averti vicino mentre fai la sostenuta come una ragazzina. Non c’è prospettiva per la nostra storia per come la vuoi tu. Forse è meglio che la smettiamo’. Sapevo che la ferivo profondamente, ma volevo che si arrendesse. Se non potevo fare a meno di lei, lei non poteva ormai più fare a mano di me, non sentirmi almeno una volta al giorno dentro di sé, non vedersi desiderata fisicamente, accarezzata, da me. Fu un urlo sbigottito, isterico, a stracciare l’aria. ‘Nooo! Non puoi andartene, non mi puoi lasciare tutta sola, nuda, indifesa. Chi mi protegge da me stessa, se tu non ci sei? E’ il nostro giorno di nozze. Si può abbandonare la sposa nel giorno di nozze? Per pietà non mi lasciare sola: farò tutto quello che vuoi. Abbi pietà di una bambina che non può fare a meno di suo padre’. E, con le lacrime fluenti come fiumi, mi si lanciò addosso ghermendomi, attanagliandomi. Mi si spaccava il cuore, ma dovevo fingere di essere di pietra. ‘Lasciami andare, ti prego. Mi sento soffocare, la testa mi esplode, perché non so che fare. Non posso lasciare tua madre, neanche se volessi e non lo voglio, perché non è possibile, perché sarebbe la fine non solo del legame con lei, ma soprattutto col tuo. Quindi, è meglio rompere ora. Piangerai, mi dispererò pure io, ma, alla fine, ce ne faremo una ragione. ‘Che dici? Allora non mi ami, non mi vuoi neppure un po’ di bene, neppure un goccio’, mi disse singhiozzando, rovistando disperata i miei occhi. ‘Non sono forte come te. Con te sono fragile. Tu puoi farmi tutto quello che vuoi, puoi farmi vivere o morire. Claudio o papà: come vuoi che ti implori? Vuoi che faccia la puttana per te? La faccio. Per te faccio tutto. Vuoi che corra nuda per strada. Lo faccio, se ti fa piacere. Tu non mi puoi abbandonare. Chi mi resta, se te ne vai? Una puttana. Non sono più la tua piccola amante, ma una puttana, se vuoi che venga a letto insieme a mia madre. Come puoi non capirlo? Io, una bambina, lo capisco e tu no? Perché io ti amo, ma tu mi hai solo come trastullo. Non importa: sarò il tuo svago. Inculami, fottimi nel naso, negli occhi, in bocca: sono solo una cosa, non la donna che ami. Non si chiede alla donna che ami di fare la puttana. Ma, è tua madre, dici. No, non è così. Sono solo una piccola cosa per divertirti. E divertiti, ma non mi lasciare. Quando mi scopi, farò finta che lo fai solo per amore, ma non mi lasciare. O sii pietoso e uccidimi: prendi un coltello e infilalo nel cuore o qua sotto, dove sei già entrato spavaldo, sicuro dell’amore della figlia’. E, come svuotata, scivolò ai miei piedi, avvinghiata alle mie gambe.
L’avevo vinta. Aveva ceduto. Avrebbe fatto tutto quello che dicevo io. Avrei architettato il modo di convincere Sara e entrambe avrebbero fatto corona al mio amore.
‘Non voglio che tu ti comporti da puttana’, dissi, mentre mi chinavo per tirarla su e con la voce incrinata dalla commozione. ‘Non ti sto invitando ad andare a letto con nessuno, se non con me. Solo che lo farai insieme a tua madre. La convincerò, vedrai, e saremo tutti felici. Trascorreremo così i migliori anni della nostra vita. Non sei il mio svago, il mio divertimento e lo sai benissimo. Sei la cosa più bella della mia vita, ma non possiamo lasciare tua madre, non possiamo, se vogliamo stare insieme. Tranne che non vogliamo assassinarla. Su, alzati. Non me ne vado’. Non mi rispose: mi guardava come istupidita. La sollevai in braccio e la trasportai nella stanza da letto. Anche così disfatta era bellissima. La voglia di lei si faceva sempre più forte. L’adagiai sul letto e, rapido, mi spogliai, sdraiandomi accanto. Cominciai ad accarezzarla sul viso, sulle spalle, le braccia, a trascorrerle il seno. Poi, presi a baciarla sugli occhi, sulle guance, sulla bocca. Insistetti dolcemente sulle sue labbra, sussurrandole di continuo ‘ti amo’, finché i suoi occhi velati ancora di lacrime cominciarono a schiarirsi, la sua bocca a schiudersi e le nostre lingue cominciarono a toccarsi. Mi tuffai su quelle lussureggianti colline mammarie e cominciai a intonare la mia sinfonia d’amore. Si abbandonò come sempre alla passione, all’orgasmo, all’estasi, si aprì come la terra alla pioggia del cielo e il mio sesso, ariete trionfante, irruppe bramoso nei suoi meandri appetiti, colmandoli del suo fiotto d’argento. Fu lei a parlare, appagata, ma rassegnata. Un velo offuscava la gioia radiosa che irraggiava sempre dal suo viso. E io non potevo non accorgermene. Dovevo stracciarle quel velo di disperata rassegnazione. Non doveva piegare il suo cuore al dolore degli adulti. L’amore alla sua età doveva essere solo luminosità, sogno, gaiezza. Dovevo riuscire a farle ritrovare la serenità smarrita. Se Sara fosse stata una moglie infedele o insopportabile e una madre vessatoria, non ci sarebbe stato problema alcuno, ma era comprensiva, disponibile, anticonformista: era a questo aspetto che dovevamo puntare.
‘Pensi che potrei mai sopportare l’idea di vederti fingere una gioia che non provi? Che io sia un aguzzino, che gode della tua sofferenza? Io ho bisogno della tua solarità, della tua spensieratezza, della tua gioiosità prima e dopo avere fatto l’amore. Ascoltami bene, con attenzione e non con rassegnazione. Non ti guardare come una vittima sacrificale, che va a farsi immolare per compiacere una divinità. Me lo concedi? Prova a fare questo: sdoppiati, come fa uno scrittore con le creature che crea. Se esse ridono o piangono, lui non ride e non piange. Giulia, amore mio, con te sto parlando: non mi guardare così svanita!’. Le accarezzai il viso, poi, la scossi dolcemente per le spalle. ‘Allora, ci provi?’. ‘Che vuoi che faccia?’, sospirò. ‘Voglio che ti sdoppi, ma sul serio, che guardi te, me e tua madre dall’esterno, come se fossi disincarnata, così potrai essere oggettiva E, poi, di’ pure qual è la soluzione migliore perché tu e io ci possiamo amare con diletto e serenità e se tua madre deve essere espunta dal nostro amore. E, ancora, se, invece, tutte e tre insieme non potremmo ricavare, non solo armonia e mantenimento sereno della famiglia, ma tanto diletto, erotismo, piacere inverosimile, proprio perché così trasgressivo. Non siamo noi sulla strada di quella che i ben pensanti considerano la peggiore delle trasgressioni? Non avresti, quindi, remora alcuna ad osservare un’alcova a tre’.
‘Eccomi sdoppiata. Sono uno spirito disincarnato e vedo una ragazzina che è perdutamente innamorata di suo padre, che lo vuole tutto per lei, che sospira ogni suo palpito, ogni suo respiro, che si rabbuia se lui si cruccia, che tripudia, se lo vede gioire, che si ristora solo alla sua ombra. Vedo lui, che ama perdutamente la sua bambina, che non potrebbe fare a meno di lei, un balsamo di luce nel suo cuore, una fresca carezza per i suoi occhi, una lussuria per i suoi sensi. Vedo una donna molto bella, dolce, ma forte, decisa, energica, passionale, perdutamente innamorata del marito, che stravede per la figlia e in lei si rivede. La figlia vuole per sé suo padre, anche suo amante, ma, anche la madre lo vuole per sé e, se scoprisse che i due sono amanti, distruggerebbe la vita del marito. La figlia ha sedici anni e non può andare a vivere col padre, ma, anche se potesse, le furie della madre, sotto forma di denuncia penale e di infamia pubblica, li perseguiterebbero ovunque. Sarebbe sempre la fine del rapporto incestuoso. D’altro canto, vivere questo legame segretamente, alla lunga, diventa impossibile, quindi, si ricadrebbe sempre nella tragedia. Ma, se vuole ad ogni costo continuare ad amare ed essere amata da suo padre finché morte non li separerà, Giulia ha una sola possibilità: che lei e la madre accettino in pieno, senza alcuna riserva, di poter amare lo stesso uomo, magari nello stesso letto. Ecco: le vedo tutte e due che si avvinghiano a lui, intento a scorazzare sul sesso della figlia, mentre la moglie ingordamente si accanisce con la bocca sulla sua virilità. Ecco, ora lui incula una delle due, mentre l’altra, lasciva, si abbandona, sotto di lei, a incalzarle il rubino del piacere. Come spirito disincarnato trovo le scene ridicole, come ragazza in carne ed ossa non riesco a figurarmi mentre lecco la fica a mia madre. Oh, papà, non capisci che la trasgressione nostra, quella di fare l’amore, per quanto condannabile dai perbenisti, è sempre perpetrata tra un uomo e una donna, quella fatta a tre, con due donne, madre e figlia, che fornicano come cagne in calore, è perversione. Solo in film porno è immaginabile. Davvero riesci a figurarti mamma che mi lecca la fica o che s’abbarbica con la sua lingua alla mia con perversa voluttà?’.
‘Ecco, amore mio, non hai guardato, checché tu ne dica, il quadro da spirito disincarnato, ma da donna gelosa e piena di pregiudizi. Altro che trasgressiva e anticonformista. Quando usi aggettivi come ‘lasciva’ e ‘perversa’ hai, di fatto, pronunciato dei giudizi di valore. Altro che oggettività! Hai visualizzato tua madre innamorata di me, ma non anche viceversa. Hai delineato bene che cosa accadrebbe se la nostra storia fosse scoperta, ma non ne hai ricavato le logiche conclusioni, le relative soluzioni. Esigo che tu, invece, ti assuma la responsabilità di una soluzione oggettiva, facendo anche finta che io non voglia stare più con tua madre. Lo devi fare, se vuoi essere onesta con te stessa e col nostro amore’. ‘Come si vede che sei un avvocato! Non lo so, papà, te lo giuro: non so risponderti. In questo momento vedermi che lecco la fica a mamma mi fa venire il voltastomaco. Non riesco nemmeno a pensarlo, nemmeno se al posto suo, ci fosse la mia amica Cinzia. Non ritenermi volgare: succhiarti il cazzo mi piace tantissimo, il solo immaginarmelo, mi eccita, e tu lo hai provato quanto mi galvanizza e quanto piacere mi dà. Te lo prometto: farò un apprendistato, solo figurato, con Cinzia. Da domani, quando la vedrò farò qualche approccio lecito per capire se la cosa mi può intrigare in termini di trasgressione. Andrò a casa sua e scherzerò con lei, come di tanto in tanto facciamo, ma stavolta con malizia, facendo attenzione alle mie sensazioni. Chissà, forse c’è un po’ di lesbismo in me e non ne sono consapevole. Dammi un po’ di tempo. Ammetto che non c’è soluzione per potere vivere da soli, essendo mamma viva’. La guardai allarmato: ‘Eh, non scherziamo: auspichi la morte di tua madre. So che rapporti torbidi come il nostro possono degenerare in mostruosità. La vita di tua madre è sacra e la mia vecchiaia la voglio trascorrere anche insieme a lei’. ‘E’ un modo di dire. L’hai detto pure tu prima. Io amo mamma, lo sai: non voglio che ti stia vicino, in quanto donna, ma non vorrei mai che morisse!’. ‘Non ti accorgi che è un discorso contraddittorio, il tuo: non la vuoi vicino a me come donna, e poi sostieni di amarla come madre. Quando si ama una persona, non si può non desiderare di averla vicina’. ‘Non fare il sofista con me. Hai capito benissimo quel che voglio dire’. ‘No, non è sofistica: non si può amare una persona e volere che sparisca dalla propria vita. Comunque, ti prendo in parola: fa’ esperienza figurata con Cinzia e vedrai che ho ragione. Non c’entra essere lesbiche. E’ solo questione di sensazioni: saresti lesbica se non ti piacesse fare l’amore con un uomo, ma, questo pericolo non ci sarà mai. Tu sei femmina fino al midollo: non potresti vivere senza il cazzo, anche se è quello mio’. ‘Sì’, asserì con voce roca, mentre le sue nari cominciavano a dilatarsi, ‘ agogno il tuo cazzo’. Mi si catapultò addosso, allacciandosi al mio collo, con i suoi seni che gravarono, incendiandolo, sul mio petto e la sua bocca sconsacrava la mia. Poi, staccandola per un momento, mi bisbigliò: ‘Fottimi, ti voglio nella mia fica, subito’. Non ci furono preliminari questa volta. Attorcigliata con le gambe al mio bacino, seduta sulle mie cosce, afferrò il mio sesso e lo immerse con irruenza nel suo grembo.
Il pomeriggio era ormai agli sgoccioli. Mia moglie poteva arrivare da un momento all’altro e, inoltre, c’era da preparare la cena. Ci rassettammo noi e anche il letto, che era sottosopra e imbrattato dalle nostre scorribande erotiche. Giulia era più rasserenata e d’accordo a ridiscutere di come risolvere la nostra situazione a dopo la conclusione degli esami di stato, che avrebbero impegnato mia moglie sino alla metà di luglio. Il nostro rapporto d’amore avrebbe continuato in segreto e con ogni cautela come prima. Lei, intanto, avrebbe sperimentato il suo approccio intrigante con Cinzia.
IX
Il tempo trascorse veloce, le affettuosità tra me e Giulia si facevano sempre più ardite davanti a mia moglie, che arrivò, seppur celiando, a dire una serata, vedendoci, in una finta lotta sul divano, a scompigliarci con mia figlia seminuda: ‘Mi sembrate due amanti che amoreggiano, più che un padre e una figlia: non è che devo essere gelosa!’. In effetti, non era una zuffa casta: mi ritrovavo in quel momento con il viso in mezzo al seno nudo di mia figlia, la quale non si scompose per nulla a questa osservazione di Sara, anzi, avrebbe voluto continuare imperterrita la salace tenzone, se non fossi stato io a mettere fine. Di più. Un’altra sera la coinvolgemmo nelle nostre effusioni di finte lotte. Sara, prima di cenare si era fatta una doccia. Si era ai primi di luglio e, dopo un pomeriggio di esami, stanca per il lavoro e per il caldo si era rinfrescata. Era rientrata con l’accappatoio nella nostra camera da letto, quando piombammo come una valanga Giulia e io che la rincorrevo. La cosa, all’inizio, fu casuale, ma, alcuni istanti dopo, fu calcolata. Giulia si fece scudo di sua madre al mio tentativo di afferrarla, finché finimmo per trascinarla sul letto. Alla fine Sara si ritrovò con le mani di Giulia a scorazzare sulle sue tette e quelle mie a frugare sul suo sesso. E, avremmo insistito vergognosamente, se Sara, ansante e col viso in fiamme, non avesse posto fine decisa alla baruffa. D’altro canto, lei aveva preso l’abitudine, dietro quel mio suggerimento, di stare in casa senza biancheria intima, cosa che aveva accresciuto enormemente l’atmosfera erotica, ma anche l’avventatezza e la disinvoltura. Non furono poche le volte che ci ritrovammo a scopare con Giulia quasi accanto.
Intanto, procedeva l’educazione licenziosa tra Cinzia e mia figlia, che mi aggiornava di tutto, indugiando doviziosamente sui particolari, accortasi che la descrizione dei loro giochi mi eccitava. Avevano mimato due innamorati nei loro toccamenti anche i più audaci e, non solo a Cinzia non dispiaceva, ma anche Giulia aveva cominciato a prenderne gusto. Fu così che finalmente accettò l’idea, se avesse acconsentito, di coinvolgere sua madre nei giochi erotici. Con Cinzia tutto si diluì fino a smettere, mentre, invece, si accrebbe con Sara. Gli esami si erano conclusi e ci eravamo trasferiti in vacanza per un mese in una villetta vicino al mare.
Eravamo giunti da qualche giorno, io e Sara stavamo facendo la doccia, quando sopraggiunse Giulia: ‘Ehi, sposini, fate spazio anche a vostra figlia’, disse trillando gioiosa. Si tolse il costume e, prima ancora che replicassimo, si tuffò in mezzo a noi. ‘Ah, che bello! Ero tutta appiccicosa. Non so che c’era in un tratto di mare, sembravano chiazze di catrame. Sta di fatto che sono dovuta scappare fuori dall’acqua. Papà, mi sciacqui bene le spalle. Guarda, mamma, pure nello slip quella porcheria si è infiltrata. Ho i peli tutti ingrommati. Non è che mi fa qualche allergia o infezione. Tocca, tocca mamma’, e afferrata la mano di Sara, se la portò a farla tastare sul sesso. ‘Non così. Devi infilare le dita dentro. Aspetta: chinati’. Sara la seguiva imbambolata, travolta dalle parole e dalla naturalità degli atteggiamenti della figlia, quasi non si trattasse di una sedicenne, ma di una bambina di cinque anni. Si ritrovò così in ginocchio, con l’acqua che ci scorreva addosso, a schiudere con le dita le labbra del sesso della figlia, guardarvi dentro e tastarla. ‘Non vedo nulla, non è arrossata la parte. Provi bruciore?’. ‘No, bruciore no, ma prurito, dentro e all’altezza del clitoride. Ecco, perché preferisco la montagna. Anche lì ci si può abbronzare senza rischio di prendersi una brutta infezione. No, non ti alzare, mamma, cerca meglio. Guarda bene il clitoride. Anzi, pigialo, e dimmi che senti sotto le dita. Sicuro che non vedi nulla? Non è che devo andare in ospedale? Non mi fare preoccupare: io non ho il coraggio di toccarmi. Tu, da lì, vedi benissimo e puoi pigiare con sicurezza’. ‘Ma, Giulia, se ti prude, ti prude: è irrilevante ch’io ti pigi’. ‘Ma che ti costa, accontentami, se no fammi guardare da papà’. ‘Eh, lo so che ti piacerebbe, piccola sfrontata. Non hai nulla. Vuoi solo mettere in mostra a tuo padre i tuoi lubrici appannaggi. Se è per stemperare le scorribande dei tuoi ormoni, ti passo pure tuo padre, ma vedi di calmarti, figlia mia. Sono di larghissime vedute e lo sai, ma non ingenua, non ti pare?’. ‘Mamma, ti giuro, è vero. E, poi, non hai toccato con mano l’appiccicaticcio che avevo addosso. E, papà, non è che si ecciti guardandomi sotto: in fin dei conti sono sua figlia e, se non mi controlla lui nelle mie parti intime, vado a cercare un ginecologo sulla spiaggia? Tu non vuoi controllare!’. ‘Va bene. Controllo’. E, schiuse con due dita le grandi labbra della figlia, cercò il suo rubino, lo scrutò scrupolosamente e, poi, leggermente, cominciò a vellicarlo’. ‘Dimmi, quando ti basta!’, chiese risentita. ‘Se vuoi che te lo lecchi, sono pronta a farlo: basta che la smetti con la sceneggiata. Sii onesta e di’ chiaro cosa vuoi’. ‘Continua, mamma, continua, non ti fermare. Ne ho bisogno, non immagini quanto. Non ti adirare con me, non mi rimproverare. Invece, aiutami, ho bisogno di tutta la tua pazienza, la tua comprensione e il tuo amore. Non mi abbandonare. Poi, ti spiegherò. Ti prego, continua. E’ vero che mi prude. Non so se è per l’acqua sporca del mare, o per altro motivo, ma so che ho bisogno che qualcuno mi massaggi lì. Non ti fermare, il prurito si è attenuato. Oh, papà, papà’. Ero rimasto a guardare e ad ascoltare letteralmente incantato Sara inginocchiata con le mani dentro la passera di Giulia e i discorsi delle due donne senza giri di parole. Sentivo rabbia, mortificazione e apprensione per la figlia nelle parole di Sara, erano da commedia quelle di Giulia, forse con un velo appena accennato di aiuto. Quella situazione mi ipnotizzava e mi eccitava nello stesso tempo, anche se non ne ero consapevole. Un flebile lamento: era il gemito di Giulia. Sara la stava facendo godere davanti a me. Il lamento si fece più profondo fino a placarsi. ‘Ti lascio con tuo padre: il mio dovere l’ho fatto. Trova tu, Claudio, un modo per placare gli ormoni di tua figlia’. ‘Ma, Sara, aspetta, non scappare, parliamone’. Giulia mi tirò per un braccio, trascinandomi su di sé. Non avevo davvero voglia, con la logica, di amoreggiare sotto la doccia. Giulia, però, che, ancora prima del mio viso, adocchiava sempre il mio sesso, si avvide subito come si era infervorato e svettava baldanzoso. Lo agguantò con la mano e, accostata la bocca al mio orecchio, mi sussurrò: ‘Hai vinto’. ‘Ne parliamo dopo, lasciami andare da tua madre’.
La trovai distesa, nuda, su una sedia a sdraio sulla grande veranda. Era assorta in una sarabanda di pensieri. Non s’accorse nemmeno, quando mi sedetti accanto a lei. Appena la toccai sulla spalla, sobbalzò. ‘Sara, dobbiamo comprenderla. E’ un periodo che tutte le ragazze passano. Tu non hai mai sofferto di pregiudizi, di ipocriti tabù. Lo sai’, continuai con una ruga di sorriso, ‘quando un bambino piccolo era nervoso e strillava, le balie, per farlo quietare e addormentare, lo masturbavano. Ecco, Sara è un po’ come una bambina’. ‘Claudio, Claudio, non tergiversare e non indorare la pillola: tua figlia ha bisogno del cazzo. Questa è la verità. Ed è più che legittimo desiderarlo. Ma, una cosa è la voglia, un’altra, non avendo a portata di mano l’attrezzo ambito, ricorrere a certi espedienti per farsi masturbare’. ‘Sai, magari non sa come si fa e, siccome si vergognava di chiedertelo, ha voluto verificare come facevi tu che sei la madre’. ‘Ma che fai: pure tu vuoi prendermi per deficiente? Alla sua età ne sa di sicuro più di me. E’ stata una provocazione: se non lo fai tu, mi faccio toccare da papà, perché mi basta schioccare le dita per fargli fare quello che voglio. Io sono giovane e bellissima e papà è soprattutto un maschio e so di non essergli indifferente’. ‘Sara, ma davvero ritieni tua figlia così perversa? Che sia attratta da me è un fatto, che voglia scopare non puoi dirlo assolutamente. Credo solo che desideri essere iniziata al piacere del sesso dai genitori come si fa in alcune comunità tribali. Partiamo pure dal presupposto che sia desiderosa di esperienze erotiche, questa sorta di apprendistato non credi sia meglio che lo pratichiamo noi, piuttosto che estranei? Non potrebbe, data la sua situazione psicologica, commettere delle imprudenze, mettendo a rischio anche la sua vita? Se chiede qualche gesto di complicità erotica a sua madre o a me, che male c’è? Impara, lo fa con persone che sicuramente darebbero la vita per lei, e, a poco a poco, questa sua smania si tempererà, incanalandosi per le vie che la società giudica normali’. ‘Claudio,ma che fai? Anche tu si fuori di testa? Che significa le vie normali della società? Che i rapporti sessuali tra genitori e figli sono legittimi? Ma, siamo impazziti? Certo, ti piacerebbe scoparti tua figlia. Capirai: giovane, vergine e bellissima. Ti fa gola. Del resto, con quello che fa lei: anche un santo crollerebbe’. ‘Se invece di una femmina fosse un maschio, con un complesso edipico ancora più radicato, e volesse fare l’amore con te per non impazzire o lasciarsi morire, tu che faresti? Lo lasceresti cuocere nel suo brodo fino al suicidio o non lo accontenteresti, facendogli, poi, capire, a poco a poco, che nel tempo deve cercarsi un’altra donna? Ricordi quel film di Louis Malle con Lea Massari ‘Soffio al cuore’? E’ la madre che non rifiuta di fare da pedagoga nell’educazione sessuale del figlio quindicenne, portandoselo a letto. Non sarei così categorico in questo campo. La stessa Bibbia è piena di incesti. Non essere, perciò, dura con Giulia’. ‘Dura? Ma se l’ho pure masturbata, incazzata sì, ma l’ho accontentata. Che vuoi di più?’. Appunto che non sii incazzata, ma che la coccoli, che, sì, che la incentivi, non la fai sentire una pervertita. A sentirsi rifiutata e ritenuta un caso da psichiatria, tua figlia potrebbe commettere un gesto insano, così sottile è la linea tra eros e thanatos. Quella ragazza è passionale e impulsiva come te: non ci penserebbe due volte, credimi. Tu la conosci come me e lo sai. Non sfidare il destino. Lascia perdere la morale comune. In casa nostra ci comportiamo secondo la nostra coscienza e la nostra morale’. Sara rimase per alcuni minuti a meditare sulle mie parole, poi, girò il viso verso di me e disse: ‘Amo quella balorda più della mia vita. D’accordo: mi comporterò come se fossi io stessa. Le insegnerò come e dove toccarsi e lascerò che con le tue carezze tu possa acquietarla. Spero che si accontenti solo delle carezze. Ma, vieni, stringimi, che ho voglia, tanta voglia di te’. Fui pronto ad abbandonarmi sul quel corpo voluttuoso baciato dal sole e che implorava da ogni poro di essere amato.
Da quel giorno Sara divenne più disponibile alle sollecitazioni della figlia, anzi, la invogliò, la incominciò, ignorando totalmente ‘ e Giulia glielo lasciò credere ‘ l’esperienza sessuale della figlia, ad iniziare alla conoscenza del corpo femminile. Io e Giulia, d’altra parte, finimmo con lo spingerci sempre di più nelle nostre carezze. Ero giunto a spalmare la crema protettiva non solo sulle spalle, ma anche sul petto di mia figlia, presente Sara. Ma, ero riuscito a masturbare anche Sara davanti a Giulia, sempre con la scusa del massaggio. Con le mie dita a scorrere sotto il suo slip, mentre stava distesa su una stuoia sulla grande veranda, Sara assaporava il godimento con voluttà, quando intervenne mia figlia: ‘Siete decisi davvero a smaliziarmi!’. Non mi interruppi e continuai a massaggiarle il sesso e, prontamente piegatomi sulle sue terga, iniziai a strusciare le labbra e la lingua sulla morbida curva dei lombi. Sara sollevò appena il capo a guardare la figlia e ansando esclamò: ‘Giulia, va via, non è il momento. Oh, continua, continua, Claudio’. E io continuai, liberandola dello slip e mettendo a nudo gli opulenti glutei, su cui affondai, bramoso, il mio viso. Sara non si curò più della presenza di Giulia. Le tormentai il solco sinuoso picchettandolo con la punta della lingua e insistendo, sino a penetrarlo con essa, sul suo grinzoso orifizio, mentre la mia mano destra continuava a sfibrarle di carezze il sesso. Gemeva ormai senza ritegno. ‘Ehi, vi sentiranno dalle villette vicine!’, commentò, riaffacciandosi sulla veranda, Giulia. Sara, presa dal suo piacere, non rispose, mentre la sospingevo a sollevarsi carponi e penetrandola di colpo nel sesso che spasimava, gocciolante, la maschia minaccia del marito. Come un sussurro lontano aleggiò la voce di Giulia: ‘Abbiate pietà di una povera ragazza. Non sono fatta di marmo!’. Più tardi le sentii ridacchiare, sedute sulla sponda del letto, Sara con il copricostume, ma senza costume, Giulia col solo slippino: ‘Va via, povera innocente, tutta scandalizzata!’. ‘Perché, a me la voglia non è consentita?’. ‘Alle figlie non è permesso: cercati un maschio alla tua portata’. ‘Mamma, che linguaggio è questo? E che? Papà non stava dimostrando proprio questo: è il solo maschio, alla mia portata, che mi piace’. ‘E’ proprietà esclusiva’, ribatté Sara, sorniona. ‘Ma dove sta scritto?’, replicò ridendo Giulia. ‘E’ anche proprietà mia: metà dei suoi cromosomi sono miei. Anzi: è più mia che tua. Questi tesori così allettanti non le hai solo tu’, replicò Giulia, ghermendo con la mano le tette e il sesso della madre. ‘Ehi, piano: che confidenze sono queste!’, disse Sara, mentre tentava di sottrarsi alla presa della figlia. ‘Sì, sì, questi tesori sfacciatamente sbandierati’, e, incalzandola con le dita, finì col rovesciare la madre sul letto. ‘Mamma, come sei bella!’, disse, contemplandola e carezzandole delicatamente con sensualità i seni. Come è rigoglioso il tuo bosco e lussurioso. Perché non l’ho come il tuo!’, e cominciò a lambire con i polpastrelli delle dita i riccioli crespi e folti del vello materno. Pure l’aria sembrò immobilizzarsi, mentre le dita di Giulia sdrucciolavano sul velato turgore delle grandi labbra. ‘E’ meraviglioso il tuo sesso: morbido, caldo, voluttuoso’. E un dito, forse due dita, certamente si insinuarono, ardite, nella fessura palpitante. Potevo dalla soglia della veranda sentire i tonfi del cuore di Sara. Si stava abbandonando alla leggera ed erotica carezza della figlia, che si chinò su di lei ad abbandonarsi col viso sul petto, le dita inquiete a frugare nel sesso materno. Diavolo d’una ragazza: c’era riuscita! Aveva irretito la madre nella spirale dell’erotismo. Aspettavo di sentirla gemere, mugolare dal godimento, dimentica che chi glielo regalava fosse la figlia. E l’ansito di Sara si fece sempre più profondo e concitato, una ridda di sospiri lamentosi, che divennero lancinanti, quando Giulia cominciò a baciarle i seni, a mordicchiarli, a succhiarli. Fu allora che mi avvicinai io. Giulia allontanò la mano dal grembo materno e, imprigionati i seni della madre, li esasperò ancora di più di piacere con le sue labbra. Io, piegatomi, portai il mio viso in mezzo alle gambe di mia moglie, le sospesi sulle mie spalle e iniziai la mia esplorazione tra la radice delle cosce e le coste della vulva. Sara, forse, nemmeno comprese lì per lì che era la mia bocca a giostrare intorno al suo sesso. Sapeva solo che era travolta da un marasma di sensazioni voluttuose che dilagavano per ogni angolo del suo corpo e in cui lei ormai voluttuosamente naufragava. Ad un tratto, quando i suoi orgasmi ormai furono dirompenti e le sue labbra erompevano in un profluvio di lamenti, seppi che quello era il momento di penetrarla. Un attimo di lucidità e mi guardò smarrita, mentre diritto, la luce del pomeriggio infiammato alle spalle, le sue gambe su di esse, mi accingevo a possederla. Ebbe un moto flebile di ribellione, che Giulia seppe subito spegnere. Accoccolata sul suo seno, le bloccò contro il materasso le braccia. Io entrai dentro di lei, fottendola lentamente, ma vigorosamente, poi, a poco a poco accelerando, sempre più veloce, veloce. I suoi orgasmi divennero ormai incontrollati e i suoi umori colarono come un torrente. Smaniava forsennatamente. Ad un tratto mi fermai e lei sobbalzò e implorò: ‘Ti voglio, ti voglio, fottimi!’. Io puntai il glande sul suo sfintere e ve lo sospinsi, mentre Giulia, nuovamente con la mano la masturbava. I suoi gemiti divennero urla. Stavo per venire. Allora mi fermai, sempre nelle sue viscere. Giulia continuava indefessa a masturbarle il clitoride. ‘Fottimi, fottimi, fottimi’, ripeteva inconsulta. ‘Dille che vuoi il cazzo, mamma, dille che ti piace’, le bisbigliò con la voce roca dall’eccitazione Giulia. E, come sotto ipnosi, lei ubbidì supplicando. ‘Sì, voglio il cazzo, lo voglio, dammelo, mi piace, lo voglio!’. Quando mi sentii pronto, abbandonai, allora, le sue terga e rinfilai il mio membro nella sua vagina, ricominciando il suo andirivieni, finché esplosi dentro di lei il magma incandescente delle mie gonadi contratte dal godimento. Uscito da lei, mi distesi su un fianco in mezzo alle due donne. Accarezzai la lunga chioma di Sara, la fronte, una gota, poi, accostato il viso al suo, la baciai riconoscente sulle labbra. Erano trascorsi alcuni minuti. Sara si era accoccolata appagata sul mio petto, quando quel silenzio armonioso fu rotto: ‘Signore’, era la voce sensuale di Giulia, ‘il suo compito non è ancora finito: c’è tua figlia da soddisfare col permesso di mamma’. Sara mi adocchiò, le labbra increspate da un sorriso, e con la mano mi sospinse verso Giulia. Il suo seno stentoreo e trionfante ospitò fremente il mio viso.
Sono trascorsi due anni da quel pomeriggio. Sara non seppe mai che era da tempo che io e Giulia ci amavamo. Ritenne che, allora, fosse la prima volta. Si era resa conto che la malinconia della figlia fosse dovuta all’innamoramento per me e come le sue intemperanze seduttive fossero volte ad indurmi a fare l’amore con lei. Solo che riteneva che, a poco a poco, quella smania si calmasse, soprattutto vedendo che, in qualche modo, io l’assecondavo. Solo che, astutamente, Giulia la invischiò nei suoi giochi erotici e lei, di natura sensuale, finì per lasciarsi travolgere. Come poteva più negare alla figlia di fare l’amore con me, dopo che, di fatto, aveva fatto l’amore con lei? Tuttavia, non era pentita di quello che era successo. Era la figlia che adorava, che si concedeva a suo marito, una figlia che le somigliava quasi come una goccia d’acqua, che era appassionata e senza tabù come lei, che, invece, fino ad allora, per quanto di larghe vedute, aveva creduto possedere. Giulia non si ritrovò più ad avere remore a dividermi con la madre, anzi la eccitava molto essere nello stesso letto. Tuttavia, capitava molto spesso che facessi l’amore con loro separatamente e in momenti e luoghi diversi. Di notte, però, dormivamo tutti e tre, insieme. Per l’occasione, ci facemmo costruire un letto idoneo. E, credetemi, quanto mi sentivo gratificato, quando, di notte, a tutte e due le mie donne dormienti, sempre spoglie di biancheria intima, potevo, all’una con la destra, all’altra con la sinistra, raccogliere con le mani il declivio lussurioso del loro sesso! Sì, quelli furono – e continueranno ad essere ‘ i migliori anni della nostra vita.
Endimione
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
ciao ruben, mi puoi scrivere a gioiliad1985[at]gmail.com ? mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze...
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?